Sparkes fece il punto della situazione. Erano passati due mesi da quando aveva bussato alla porta di Glen Taylor, e da allora le indagini non erano andate avanti di un passo. Eppure ce l’avevano messa tutta, a scandagliare la vita di Taylor – come quella di Mike Doonan e di Lee Chambers – ma non ne era venuto fuori granché.

Doonan sembrava aver condotto un’esistenza piuttosto grigia, che nemmeno i due divorzi erano riusciti a ravvivare. L’unico dettaglio interessante era che le sue ex mogli erano diventate amiche e avevano opinioni identiche sui difetti di Mike. «È un egoista», aveva detto Marie Doonan. «Sí, un egoista», aveva confermato Sarah Doonan. «Stiamo molto meglio senza di lui».

Persino i figli sembravano poco interessati alle sue vicissitudini con la polizia. «Non lo vedo mai, – aveva detto il maggiore. – Se n’è andato via di casa prima ancora che capissi chi era».

Ma il sergente Matthews, testardo come un segugio, continuava a scavare. Il giorno in cui aveva scoperto che Doonan non si era presentato all’appuntamento con il dottore gli era salita la pressione a mille; ma poi il sospettato aveva detto di essere rimasto a casa per il troppo dolore alla schiena, e il medico aveva confermato. «Povero diavolo: certe volte non riesce neanche a stare in piedi».

Secondo Matthews era ancora presto per scagionarlo, ma Sparkes si stava innervosendo: voleva che il sergente si concentrasse su Glen Taylor.

– Doonan è un invalido, non riesce quasi a camminare, come potrebbe aver rapito una bambina? – insisteva Sparkes. – Non c’è nient’altro che lo collega al caso a parte il furgone blu, giusto?

Al che Matthews scuoteva la testa: – No, capo, c’è anche l’Operazione Gold.

– Ma siamo sicuri che fosse proprio lui? Non abbiamo neanche una prova. Taylor invece ha della roba da pedofili sul computer. È su di lui che dovremmo concentrarci, Matthews. Devi darmi una mano.

Il sergente non era affatto convinto che fosse ora di chiudere il capitolo Doonan, ma il capo sembrava ben deciso.

Il problema di Sparkes era che non riusciva a non fidarsi del suo istinto, e l’istinto gli diceva che Taylor era l’uomo giusto; se non l’avessero fermato sarebbe andato a cercarsi un’altra vittima.

Ormai l’ispettore aveva una specie di radar per i bambini dell’età di Bella: li notava ovunque – per strada, nei bar, in auto – e poi si guardava intorno alla ricerca di eventuali predatori. Stava cominciando a perderci l’appetito: se ne rendeva conto, ma non riusciva a distogliere l’attenzione dal caso. Gli rubava la vita, e lui non poteva farci un bel niente.

– Questa storia ti sta ossessionando, – gli aveva detto Eileen l’altra sera. – Invece di startene chiuso nei tuoi pensieri, perché non esci di casa e andiamo a bere un bicchiere di vino? Hai bisogno di rilassarti!

Lui avrebbe voluto gridarle: «E se il sequestratore torna in azione mentre io sono fuori a bere?» ma non l’aveva fatto. Eileen non capiva, ma non era colpa sua. Quanto a lui, sapeva benissimo che era impossibile difendere dal male tutte le bambine della città, ma doveva comunque provarci: non poteva farne a meno.

Di piccole vittime ce n’erano state tante, nel corso della sua carriera: Laura Simpson; «Baby W.», ucciso dal patrigno che l’aveva scosso con troppa violenza; il figlio dei signori Voules, annegato nella piscinetta durante una festa in giardino; e poi gli incidenti d’auto, le fughe. Ma Bella era speciale: la conosceva meglio di tutti gli altri bambini.

Pensando a lei provava lo stesso senso di impotenza di quando aveva preso in braccio per la prima volta suo figlio James: la stessa sensazione di essere l’unico responsabile della sua tranquillità e incolumità, in un mondo pieno di pericoli e individui malvagi.

Aveva persino cominciato a sognarla, il che non era mai buon segno.

Chissà, magari la pista del furgone blu li rendeva ciechi ad altre linee di indagine: ma perché l’autista non si era mai fatto avanti? Eppure ce n’era, di gente disposta a collaborare! Se fosse stato un tipo qualsiasi che si era fermato a salutare un amico si sarebbe presentato, no?

A meno che non fosse proprio Glen Taylor.

Le ricerche erano state dettagliatissime: la squadra aveva controllato e ricontrollato ogni minuzia. Una maglietta gettata in un fosso, una scarpa scompagnata, la segnalazione di una bambina bionda che cercava di sfuggire a un adulto in un centro commerciale. Ore, giorni, settimane senza il minimo risultato: ormai i suoi uomini avevano i nervi a fior di pelle. Erano stanchi morti, ma nessuno voleva darsi per vinto.

Le riunioni dedicate al caso erano sempre piú brevi e melanconiche. La maglietta era di una taglia adatta a un bambino di otto anni, la scarpa non era di Bella, e la biondina urlante stava solo facendo i capricci. Le tracce si dissolvevano non appena ci posavi lo sguardo.

Sparkes cercava di tenersi dentro la sua disperazione. Se lo avessero visto chinare il capo, anche gli altri si sarebbero arresi. Ogni giorno arrivava in ufficio e si faceva un bel discorsetto, o parlava alla sua immagine nello specchio nel bagno: per quanto scure fossero le ombre sotto i suoi occhi, nessuno doveva leggervi la sconfitta. Dopodiché entrava a muso duro in centrale operativa e cercava di dare la carica alla sua squadra.

– Riepiloghiamo i punti principali, – disse quella mattina. Ed ecco di nuovo le fotografie, le mappe, i nomi, gli elenchi. – Cos’è che ci sfugge? – chiese ai suoi uomini. Per tutta risposta ebbe soltanto facce stanche. – Chi rapisce una bambina? – insisté. – Cosa ci hanno insegnato i casi precedenti?

– Un pedofilo, – azzardò qualcuno.

– Un giro di pedofili.

– Qualcuno che vuol chiedere un riscatto.

– O vendicarsi di qualcosa.

– Una donna che ha perso un figlio.

– O che non può avere figli.

– Un mitomane che vuol realizzare una sua fantasia.

Sparkes annuí. – Bene, ora dividiamoci in gruppi di due e ricontrolliamo tutti i testimoni e le persone informate dei fatti: vediamo se qualcuno rientra in una di queste categorie.

La stanza si riempí di voci, e Sparkes lasciò il comando della riunione a Ian Matthews.

Chissà quanto ci avrebbero messo per tirare fuori il nome di Jean Taylor, si domandò; prima, però, voleva rifletterci per conto suo. Certo che era strana, Jean. Sparkes ripensò al loro primo incontro: quella donna dall’espressione cosí sconvolta, che rispondeva in modo fermo e preciso alle domande insidiose dell’ispettore. Di certo stava proteggendo il marito: per cieca fedeltà, aveva pensato Sparkes. Ma non poteva darsi che fosse in qualche modo coinvolta?

È raro che le donne ammazzino i bambini, e se lo fanno le vittime sono quasi sempre i loro stessi figli: cosí dicevano le statistiche. Ma a volte capita che una donna rubi un bambino.

In casi del genere l’infertilità può essere un movente fortissimo, pensò Sparkes. Brucia dentro il cuore di certe donne, le fa impazzire di pena e desiderio. I vicini e le colleghe del negozio di parrucchiere avevano detto che Jean era disperata di non poter avere figli. Se una cliente annunciava di aspettare un bambino, lei scappava a piangere nel retro. Ma nessun testimone aveva visto Jean a Southampton il giorno del rapimento di Bella.

Sparkes meditava, disegnando ragni sul taccuino.

Se Jean amava cosí tanto i bambini, perché restava accanto a un uomo che usava il computer per guardare immagini di abusi sessuali sui minori? Perché era fedele a un uomo del genere? Se al posto di Taylor ci fosse stato lui, una donna come Eileen non sarebbe rimasta in casa un minuto piú del necessario. Come fargliene una colpa, del resto? E dunque, qual era il potere che Glen esercitava su sua moglie?

– Forse abbiamo guardato le cose dalla prospettiva sbagliata, – disse alla sua immagine riflessa nello specchio del bagno dei maschi. – E se fosse lei a tenere in pugno Glen? Magari è stata lei a istigarlo?

Come volevasi dimostrare, quando Sparkes rientrò il nome di Jean era scritto a chiare lettere sulla lavagna della centrale operativa. Gli agenti che avevano seguito l’ipotesi «Donne che non possono avere figli» stavano esaminando la casistica. – Il punto è, signore, – disse uno di loro, – che in genere agiscono da sole, e non prendono bambini di quell’età. Alcune fingono di essere incinte, si mettono dei cuscini sotto la pancia e comprano abiti premaman, poi concretizzano la loro fantasia rubando un neonato da un ospedale o da una carrozzina. Prendere un bambino che sappia già camminare è molto rischioso: i piccoli di quell’età possono fare un gran casino, se spaventati, e un bambino che grida a squarciagola attira l’attenzione di tutti.

Alzò la mano Dan Fry, una delle ultime reclute della squadra, e Matthews gli diede la parola con un cenno del capo. Fry era giovane, evidentemente fresco di università e ancora ignaro delle regole del gruppo: infatti si alzò in piedi e parlò guardando in faccia i presenti, invece di restare seduto e tenere gli occhi bassi sul tavolo come facevano tutti.

– E poi, – esordí, schiarendosi la gola, – c’è il problema di come tenere nascosto un bambino di quell’età. È molto piú difficile spiegarne la presenza ad amici e familiari. Quindi, se uno rapisce un bambino che abbia piú di diciotto mesi e vuol far credere che sia suo, deve sparire e ricomparire da un’altra parte. Invece i Taylor non si sono mossi di un centimetro.

– Giustissimo, agente... ehm... Fry, – disse Sparkes, facendogli segno di sedersi.

Gli altri gruppi avevano escluso le ipotesi del rapimento a scopo di riscatto o per vendetta. Dawn Elliott non aveva denaro: gli agenti avevano ricostruito la sua vita fino all’adolescenza, controllando nomi di ex fidanzati ed eventuali connessioni con il mondo della droga e della prostituzione. Niente da fare: nessun legame con la criminalità organizzata. Dawn era una ragazza di provincia che nella vita aveva sempre fatto l’impiegata, finché non si era innamorata di un uomo sposato ed era rimasta incinta.

Quanto al padre di Bella, non era ancora stato trovato: il nome indicato da Dawn era probabilmente falso, e il numero di cellulare era collegato a una carta prepagata non piú attiva.

– Sarà il tipico opportunista, capo, – aveva detto Matthews. – Uno che va in cerca di avventure extraconiugali e poi sparisce. Il classico rappresentante con una donna in ogni porto.

Sulla lavagna restava una sola parola: pedofili.

La poca energia rimanente defluí dalla stanza. – Ed eccoci di nuovo al nostro Glen Taylor, – disse Sparkes.

– E a Mike Doonan, – brontolò Matthews. – Che fine ha fatto l’Operazione Gold?

Ma il suo superiore non gli dava retta. Stava ascoltando le sue paure interiori.

Sparkes era certo che Glen Taylor, istigato dalla pornografia in rete, stesse già pensando alla prossima vittima. Tutti i manuali di psicologia concordavano sul fatto che il consumo di pornografia dà assuefazione, proprio come le droghe, e che disintossicarsi è altrettanto difficile.

Sparkes sapeva che la dipendenza dalla pornografia in rete poteva avere varie origini – depressione, ansia, problemi economici o di lavoro – e che secondo alcune teorie il consumo di immagini pornografiche procurava una sorta di brivido, un «appagamento chimico» originato dall’entrata in circolo di adrenalina, dopamina e serotonina. Secondo un articolo scientifico che si era letto a mo’ di compito a casa, in alcuni casi gli effetti erano paragonabili allo stato di esaltazione delle prime esperienze sessuali: e il bisogno di rivivere l’estasi spingeva a cercare immagini sempre piú estreme. «Qualcosa di simile alla dipendenza da cocaina», concludevano gli autori dello studio.

La rete offriva ai pornodipendenti un mondo di fantasie eccitanti e prive di rischio, uno spazio privato nel quale tutto era consentito.

– La cosa interessante, – aveva poi spiegato Sparkes a Matthews durante un pranzo in mensa, – è che non a tutti viene duro.

Sollevando un sopracciglio, Ian Matthews aveva deposto il suo panino alla salsiccia sul tavolo di formica della mensa. – Le spiace, capo? Io starei mangiando, eh! Ma che razza di articoli legge? Non è per dire, ma mi sembrano boiate!

– Grazie del suo responso, professore, – aveva replicato Sparkes. – Stavo solo cercando di entrare nel piccolo, torbido mondo di Glen Taylor. Sotto questo aspetto, gli interrogatori sono inutili; ma siccome sono certo che non riuscirà a togliersi il vizio, lo aspetto al varco. Lo beccheremo, prima o poi.

Matthews si appoggiò allo schienale della sedia e ricominciò a masticare il suo pranzo. – Mi spieghi come, allora.

– Questo Fry, il genietto che ci hanno mandato perché gli dessimo una sgrossata, è venuto a parlarmi ieri e mi ha fatto notare che avevamo tralasciato una pista interessante: quella delle chat room. Le stanze virtuali: è lí che i pornodipendenti e i predatori sessuali vanno in cerca di amicizie e perdono ogni inibizione.

L’agente Fry era andato a far visita al suo capo, e senza aspettare il suo invito si era accomodato su una sedia e gli aveva tenuto una lezioncina.

– Il problema, secondo me, è fare in modo che Glen Taylor si scopra.

«E dici niente, caro il mio Sherlock», aveva pensato Sparkes.

– Spiegati meglio, Fry.

– Cioè, forse dovremmo entrare nel suo mondo e beccarlo dove è piú vulnerabile.

– Scusa, Fry, potresti venire al sodo? Che vai dicendo? Cosa sarebbe questo suo «mondo»?

– Io credo che Taylor usi le chat room per andare in cerca di prede, e se noi ci presentassimo a lui come fruitori di pornografia potremmo ottenere qualche prova decisiva. Potremmo servirci di un Asc.

– Scusa? – fece Sparkes, alzando un sopracciglio.

– Un agente sotto copertura, signore: per vedere Taylor all’opera. Ho studiato la materia all’università, e secondo me vale la pena di fare un tentativo, – sentenziò Fry, disincrociando le lunghe gambe e sporgendosi sulla scrivania.

Sparkes si allontanò d’istinto, con il corpo e con la mente. Il punto non era che Fry fosse piú intelligente di lui: era la sua certezza di avere ragione che lo infastidiva. Ecco i vantaggi di una formazione accademica, pensò.

«Al diavolo l’università, – aveva detto suo padre. – È solo una perdita di tempo, buona per ricchi sfaccendati».

«Ma non per te», aveva concluso, guardando torvo il figlio diciassettenne che gli porgeva i moduli di iscrizione.

Fine della discussione. Il padre di Bob Sparkes faceva l’impiegato al consiglio distrettuale e si trovava perfettamente a suo agio in quel piccolo mondo senza incognite. La sua parola d’ordine era «sicurezza», e aveva sempre cercato di trasmettere al figlio la stessa mentalità piccolo-borghese.

«Prendi il diploma e poi cercati un bell’impiego, Robert, – diceva. – Un posto sicuro per tutta la vita». E cosí Bob aveva evitato di dire a quell’entità unica chiamata «mammaepapà» (cosí almeno se la immaginava) che aveva fatto domanda per entrare in polizia, mettendoli poi di fronte al fait accompli una volta che la domanda era stata accettata. Però gli aveva risparmiato il francese: «mammaepapà» non andavano d’accordo con le lingue straniere.

In polizia se l’era cavata bene, ma la sua non era certo stata una carriera travolgente. Non era cosí che si faceva, a quei tempi: le valutazioni periodiche del suo operato erano colme di aggettivi come «serio», «perspicace», «metodico» e via dicendo.

Ai laureati di nuova generazione, già pronti per una carriera ad alta velocità, quel genere di complimenti avrebbe dato la nausea, pensava Sparkes.

– Spiegami un po’ come funzionano queste chat room, – disse l’ispettore. Fry, che a giudicare dall’aspetto sembrava frequentare assai poco tanto i rasoi da barba quanto il sesso virtuale, proclamò di aver scritto una tesi sull’argomento.

– La mia docente di psicologia si occupa degli effetti del consumo di pornografia sulla personalità. Sono certo che vorrà aiutarci, se glielo chiediamo.

E cosí, verso la fine della settimana, Sparkes, Matthews e Fry si misero in viaggio verso l’università delle Midlands, alma mater del giovane poliziotto. La dottoressa Jones venne ad accoglierli all’uscita dell’ascensore: era talmente giovane che Sparkes la scambiò per una studentessa.

– Vorremmo parlare con la dottoressa Fleur Jones, – disse Matthews: la ragazza rise, ben sapendo che il suo aspetto (capelli tinti di rosso, minigonna, piercing al naso) causava frequenti equivoci. Cosa che, tra l’altro, la divertiva parecchio.

– Sono io, – rispose. – Quindi voi dovreste essere l’ispettore Sparkes e il sergente Matthews, giusto? Molto piacere. Ciao, Dan.

I tutori dell’ordine pigiarono la loro triplice e non trascurabile mole nel bugigattolo adibito a studio di Fleur Jones. Sparkes e Matthews, per deformazione professionale, cominciarono subito a ispezionare le pareti. La bacheca era tappezzata di disegni infantili che, a guardarli con attenzione, si rivelavano essere immagini pornografiche.

– Santo cielo, – esclamò Bob Sparkes. – Chi diavolo ha disegnato questa roba? Non sono i soliti lavoretti da scuola materna, mi pare.

La dottoressa sorrise; Fry fece una piccola smorfia. – È materiale per la mia ricerca, – spiegò paziente Fleur Jones. – Disegnando ciò che vedono online, i consumatori abituali di pornografia rivelano tratti interessanti della loro personalità; in certi casi riescono persino a considerare la cosa da una prospettiva diversa, a vedere la persona dietro l’oggetto sessuale di cui vanno in cerca.

– Giusto, – fece Sparkes, domandandosi cosa avrebbero fatto certi maniaci di sua conoscenza alle prese con album e matite colorate. – Be’, allora, dottoressa Jones: non vorremmo rubarle troppo tempo, perciò, se non le dispiace, veniamo subito al motivo della nostra visita.

La psicologa incrociò le belle gambe nude e annuí con espressione intensa, senza mai distogliere lo sguardo dai suoi ospiti. Sparkes cercò di imitare il suo linguaggio corporeo, ma non poteva incrociare le gambe senza dare un calcio a Matthews. Per di piú, cominciava ad avere un po’ caldo.

La dottoressa Jones si alzò e aprí la finestra. – Chiedo scusa, in effetti si soffoca. Siamo allo stretto.

Sparkes si schiarí la voce e prese fiato: – Come le avrà detto l’agente Fry, stiamo indagando sulla scomparsa di Bella Elliott. Abbiamo già un indiziato, ma ci occorrono nuovi strumenti per capire se è stato veramente lui a rapire la bambina. Sul suo computer abbiamo trovato prove di un forte interesse per le immagini sessuali di bambini e adulti in abiti infantili. Il sospetto dichiara di non averle scaricate di proposito.

La dottoressa Jones si concesse un breve sorriso d’intesa.

– È una persona molto manipolativa, e sta trasformando gli interrogatori in un campionario di risposte evasive.

– I pornodipendenti sono bugiardi patentati, ispettore. Mentono a sé stessi e a tutti gli altri. Non ammetterebbero mai di avere un problema, e sono abilissimi nel trovare scuse e capri espiatori, – disse la dottoressa Jones. – Dan mi diceva che sareste interessati a interagire con il sospettato all’interno di una chat room?

«Non avrà piú di trent’anni», stava pensando Sparkes.

La psicologa cronometrò la pausa e sorrise con l’aria di chi la sa lunga.

– Ehm... sí, sí, esatto. Ma prima vorremmo sapere qualcosa in piú su queste stanze virtuali, per avvicinarci al nostro uomo nel migliore dei modi, – spiegò in tutta fretta l’ispettore.

Seguí una breve conferenza sui sistemi per la ricerca di partner sessuali online, alla quale i due poliziotti piú anziani tennero dietro con qualche difficoltà. Non che fossero analfabeti informatici: il problema piú grosso era che la dottoressa Jones e le sue gambe irrequiete impedivano loro di concentrarsi a dovere. Infine la parola passò a Dan Fry, che si serví del computer della psicologa per accompagnare i suoi capi in quell’universo di fantasie cibernetiche.

– Come certamente saprà, signore, il tutto funziona grazie ai software di messaggistica istantanea. Ci si iscrive alle varie piattaforme dedicate, chessò, ai single o agli adolescenti, nascondendo la propria identità dietro un nickname. Dopodiché si può stabilire un contatto con tutti gli altri frequentatori della «stanza», oppure con una sola persona. Si parla, per cosí dire, attraverso la tastiera del computer. Si parla, cioè, ma non ci si vede: dietro un soprannome potrebbe esserci chiunque. È questo l’aspetto piú interessante per i predatori. Possono cambiare identità, età, persino sesso. Insomma, i lupi possono travestirsi da agnelli, – concluse Fry.

Una volta stabilito il contatto con una vittima potenziale – una giovane adolescente, mettiamo – il predatore cerca di convincerla a fornire un indirizzo email per approfondire l’amicizia in privato.

– Quando si arriva a quel punto, tutto è possibile. Tra adulti consenzienti non c’è nessun problema, ma capita spesso che gli adolescenti siano indotti, con l’inganno o la manipolazione, a mostrarsi alla webcam in pose esplicite. A quel punto il predatore può indurli, con il ricatto, a ripetere l’errore molte altre volte. In questo modo è fin troppo facile rovinare una giovane vita, – aggiunse Fry.

Terminata la fase teorica, Sparkes fece un esperimento con una chat room per maggiorenni. Matthews, che aveva suggerito un nickname tipo «Superstallone», fece uno sbuffo sarcastico quando il suo capo optò per «Mr Darcy», il personaggio letterario preferito da Eileen. Di lí a qualche minuto «Mr Darcy» era già subissato di messaggi da parte di sedicenti Elizabeth Bennet che non avevano alcuna difficoltà a passare dalla battuta civettuola all’ovvia proposta sessuale.

– Porco diavolo, – esclamò Sparkes, scorrendo rapidamente i messaggi. – Mi sa che Jane Austen le avrebbe trovate un po’ troppo audaci.

La dottoressa Jones scoppiò a ridere. Sparkes uscí dalla stanza virtuale e si voltò a guardarla.

– Sí, ma come facciamo a trovare Glen Taylor? – chiese. – Ci saranno centinaia di siti come questo.

Ma Fry aveva un piano già bell’e pronto.

– Abbiamo il suo computer, quindi possiamo sapere che siti frequentava. Certo, Taylor non è scemo: probabilmente quando l’Operazione Gold ha cominciato a dare i primi effetti avrà cancellato file e dati, ma noi ovviamente sappiamo che è ancora tutto lí, nel suo hard drive. Tracce invisibili per lui, ma chiarissime per i nostri laboratori. Hanno già estratto tutte le informazioni: sappiamo dove bazzica di solito.

Sparkes annuí distrattamente: stava pensando alla faccia di Taylor il giorno in cui l’avevano arrestato. Per un attimo gli era sembrato di sentire il fetore volpino della sua colpa. L’ispettore si scosse e cercò di concentrarsi sugli aspetti pratici dell’impresa.

– E chi di noi, esattamente, dovrebbe operare sotto copertura?

– Fleur e io cercheremo di costruire un personaggio plausibile, con un suo passato, e una sorta di copione con alcune battute chiave, – rispose Fry, arrossendo di emozione al pensiero del suo primo lavoro investigativo, mentre la dottoressa Jones mormorava il suo assenso.

– Sarebbe un contributo prezioso alla mia ricerca, – disse.

L’accordo era praticamente concluso, finché Matthews non se ne venne fuori con la domanda che nessuno aveva ancora osato fare. – Ma è legale?

Tutti gli sguardi puntarono su di lui.

– Cioè, potrà essere utilizzato come prova in tribunale? Siamo sicuri che non sarà visto come una sorta di induzione al reato?

Sparkes si domandò se Matthews non fosse per caso indispettito dalla saccenteria della giovane recluta. In ogni caso non aveva una risposta; fu Fry, ancora una volta, a indicare una possibile via d’uscita.

– A quanto ho capito, signore, non è che rischiamo di compromettere un intero castello di prove. Perché non proviamo a vedere cosa succede? Poi magari ci chiediamo di nuovo se è legale o meno.

Matthews aveva l’aria un po’ mogia, ma Sparkes annuí convinto.