18.
L’ispettore
Domenica, 8 aprile 2007
Glen Taylor aveva sempre una risposta per tutto. Era molto sveglio, e una volta superato lo shock dell’arresto sembrava quasi che si godesse la sfida, disse Sparkes a sua moglie.
– Uno stronzetto arrogante. Io non sarei cosí spavaldo, se fossi in lui.
Eileen gli strinse leggermente il braccio e gli porse il suo calice serale di vino rosso. – Oh no, tu confesseresti tutto all’istante. Saresti un pessimo criminale. Cosa vuoi per cena stasera: costolette o pesce? – Sparkes si appollaiò su uno degli altissimi sgabelli della loro cucina (c’era stato un periodo in cui le cucine dovevano per forza avere un bancone da bar), e prese dall’insalatiera un ciuffetto di carote crude. Sorrise a sua moglie, compiacendosi dell’atmosfera rilassata che regnava in casa quella sera. Il loro era stato un matrimonio come tanti, con i soliti alti e bassi di una vita in comune, ma da quando i figli avevano abbandonato il nido la tensione era cresciuta a livelli insospettabili. Dopo tanto parlare delle cose che avrebbero fatto, dei posti che avrebbero visitato, dei soldi che avrebbero potuto spendere per sé stessi, quando finalmente era arrivato il momento i coniugi Sparkes si erano resi conto che la riconquistata libertà li obbligava a guardarsi davvero in faccia per la prima volta dopo anni e anni. E in quel momento, pensava Bob, forse Eileen l’aveva trovato manchevole.
Quando avevano cominciato a uscire insieme, e anche dopo, da sposati, Eileen aveva sempre nutrito grandi ambizioni per Bob: lei l’aveva convinto a dare l’esame da sergente, e sempre lei aveva sostenuto la sua concentrazione con innumerevoli panini e tazze di tè.
E lui non aveva mai mollato, aveva portato a casa trionfi e sconfitte, e di promozione in promozione, di anniversario in anniversario, il tempo era passato. Ma davvero era possibile che ora, nella fredda luce della tarda mezza età, Eileen avesse tirato le somme di ciò che lui aveva conseguito e si fosse detta: «Tutto qui?»
Sua moglie gli passò accanto con due costolette surgelate in mano, e gli intimò di lasciar stare la verdura.
– Giornataccia, oggi?
Una giornata faticosa, piú che altro: tutto il giorno a ricontrollare le dichiarazioni di Taylor, alla ricerca di vuoti e incongruenze.
Le immagini degli abusi sessuali a danno di bambini trovate sul suo computer erano state, a sentire lui, scaricate «per un errore che dipendeva da Internet», oppure a sua insaputa; e se la sua carta di credito era stata usata per l’acquisto di immagini pornografiche voleva dire che qualcuno gliel’aveva clonata. «Le truffe di questo tipo sono comunissime, lo sa? – aveva ribattuto in tono sprezzante. – L’anno scorso mia moglie ha denunciato lo smarrimento della sua carta di credito: chiedete a lei, se non ci credete. La denuncia sarà in qualche cassetto dei vostri archivi». Infatti c’era.
La cosa strana, aveva pensato Sparkes, è che proprio in quel periodo i giornali avevano cominciato a mettere in luce i legami tra ricettazione delle carte di credito e pornografia online. Ma era tutt’al piú una prova indiziaria.
«È convinto di poterla fare franca, – si era detto l’ispettore durante una pausa caffè. – Crede che la sua versione possa reggersi, ma non sa che non abbiamo ancora finito».
Taylor era sempre rimasto imperturbabile finché, in uno degli ultimi interrogatori, non gli avevano mostrato un album di ritagli trovato dietro il boiler, nell’essiccatoio ad aria calda di casa sua. C’erano solo foto di bambini, prese da giornali e riviste.
Una volta tanto non c’era stato bisogno di far scena: era chiaro che Taylor non l’aveva mai visto prima. L’aveva sfogliato pagina per pagina, a bocca aperta davanti alle immagini di quei teneri angioletti in abiti eleganti o buffi costumi da carnevale.
– Cos’è questo? – aveva domandato poi.
– Ci aspettavamo che fosse lei a spiegarcelo, Glen.
Ormai lo chiamavano per nome. Glen non si era opposto, ma per mantenere le distanze continuava a rivolgersi a Sparkes chiamandolo «signor ispettore».
– Non è mio. Siete sicuri di averlo trovato in casa?
Sparkes aveva annuito.
– Sarà stato dei precedenti proprietari, – aveva azzardato Glen. E mentre Sparkes chiudeva l’album e lo metteva da parte, Taylor fissava l’ispettore a braccia conserte, agitando i piedi.
– Mi sembra improbabile, Glen. Quanti anni sono che abitate lí, ormai? Magari è proprio suo, oppure di Jean, non crede?
– Mio non è di sicuro.
– Quindi sarà di Jean. Ma perché avrebbe dovuto farsi un album con delle foto di bambini?
– Non so, chiedetelo a lei, – aveva risposto Glen, a bruciapelo. – Mia moglie ha la fissa dei bambini. Non possiamo averne, e ci ha pianto su per un sacco di tempo. Fino al giorno in cui le ho detto di smetterla, perché questa storia ci stava avvelenando la vita. E comunque io ho lei, e lei ha me. È già una fortuna, in un certo senso.
Sparkes aveva annuito: sai che fortuna, un marito come Glen.
«Povera donna», aveva pensato.
Secondo lo psicologo forense, era molto improbabile che l’album appartenesse a un pedofilo.
«Non è il libro di un predatore, – aveva detto. – Non c’è niente di sessuale nelle immagini: sono fantasie di una persona che sicuramente non considera i bambini come oggetti. Sembra piú un album dei desideri, come quelli che fanno le ragazzine».
«O le donne senza figli», aveva pensato Sparkes.
Ma la cosa certa era che le fantasie segrete di Jean avevano messo in agitazione Taylor. Sembrava profondamente immerso nei suoi pensieri, ma forse si stava solo chiedendo cos’altro non sapeva di sua moglie. Era come se quella scoperta avesse aperto una minuscola crepa nella sua certezza di tenerla in pugno, aveva detto Sparkes a Matthews. I segreti sono roba pericolosa.
Ormai mancava poco alla scadenza delle trentasei ore di fermo cautelativo, e durante la riunione di riepilogo con i superiori Sparkes aveva dovuto ammettere la sconfitta. Le avevano tentate tutte. Dal furgone non era uscito alcun indizio, e a parte le immagini pornografiche non c’erano accuse sufficienti a convalidare il fermo di Taylor.
E cosí due ore dopo Glen era stato rilasciato, e appena uscito dalla stazione di polizia si era subito attaccato al cellulare. Bob Sparkes lo spiava da una finestra del corridoio.
– Non metterti troppo comodo: torneremo, – aveva mormorato alla sagoma dell’uomo che si allontanava.
Gli uomini della squadra incaricata di sorvegliarlo ventiquattr’ore su ventiquattro riferirono che Taylor era rientrato al lavoro il giorno successivo.
Sparkes si domandò come avrebbe reagito il titolare della società di trasporti.
– Scommetto che lo lasciano a casa entro fine mese, – disse a Matthews. – Tanto meglio. Se resta in casa a ciondolare tutto il giorno avrà piú tempo per commettere errori. Si caccerà nei guai, sono sicuro.
Lui e Matthews si guardarono negli occhi.
– Perché non chiamiamo Johnstone e chiediamo di poter controllare un’altra volta i suoi registri? Tanto per dargli una spintarella nella direzione giusta, – disse il sergente.
Il signor Johnstone li accolse nel suo ufficio e liberò dalle scartoffie un paio di sedie abbastanza logore.
– Buongiorno, ispettore. Di nuovo qui? Glen mi ha detto che si è chiarito tutto, per quanto lo riguarda.
I poliziotti ricontrollarono con attenzione i tabulati, annotando per l’ennesima volta i chilometraggi. Johnstone, un po’ a disagio, incombeva su di loro.
– Sono i suoi figli? – domandò Sparkes a un certo punto, sollevando dal piano della scrivania una foto di due bambini in uniforme da calcio. – Bei ragazzini, – disse. La frase restò sospesa nell’aria mentre Johnstone allungava la mano per riprendersi la foto.
Alla fine Matthews si congedò con un brioso: – Ci vediamo presto!
Glen Taylor fu invitato a lasciare l’azienda quella settimana stessa. Alan Johnstone chiamò Sparkes per metterlo al corrente.
– Gli altri autisti avevano paura: molti di noi hanno dei figli, sa. Gli ho dato quel che gli dovevo, e lui non se l’è presa granché. Ha alzato le spalle ed è andato a svuotare l’armadietto.
Matthews sorrise a tutti denti. – Vediamo cosa combina adesso.