Bridget, si chiamava cosí. Giocava a carte mettendoci l’anima e trincava gin e lime. Teneva la gente a pensione, ma erano pensionanti scelti: gente che andava per fare la pesca a pelo d’acqua, o magari un avvocato che si tratteneva la notte per discutere un caso con un cliente o con un procuratore legale.

Il direttore del caseificio fu il primo ospite piú o meno in pianta stabile. Dopo qualche mese si capí che non avrebbe costruito la villetta che aveva in mente e dopo qualche altro mese cominciò a invitare le ragazze come se fosse a casa sua. E quante se ne sentivano! Si raccontava di partite a carte, bevute e Dio sa cos’altro. Nessuno osava chiederlo espressamente. Spesso si presentavano donne appariscenti, con le unghie laccate, le borsette di lucertola e compagnia bella, e a volte si fermavano il fine settimana. Bridget aveva consacrato il salotto a lui e ai suoi ospiti, decidendo di dire che quello che combinavano era affar loro.

Lei di giorno lavorava in un negozio, dove teneva la contabilità. Se ne stava molto in disparte, chiusa in un ufficetto con le pareti di vetro satinato a stilare conti e pagare la merce e raramente, per non dire mai, si affacciava in negozio per servire i clienti. Lei e il proprietario andavano d’amore e d’accordo. Lui la chiamava Biddy, diminutivo di Bridget, e da questo si capiva che erano buoni amici. Ogni tanto lei emergeva dalla sua cabina di vetro per congratularsi con una giovane madre che aveva avuto un figlio o per fare le condoglianze a chi aveva perso qualcuno, ma la gente diceva che era tutta scena, tanto per rispettare le forme. Non aveva mai invitato nessuno nella sua nuova casa con la facciata a intonaco e, quando le gemelle le avevano fatto un’improvvisata, le aveva lasciate sulla porta con la scusa poco convincente che stava tinteggiando il soffitto della cucina. Era decisa a mantenere le distanze e, quasi a sottolinearlo, aveva fatto mettere le veneziane.

Vi chiederete, come si era chiesta la direttrice dell’ufficio postale, quella direttrice dell’ufficio postale che era la sua nemica giurata: «Perché tiene le veneziane sempre chiuse, d’inverno e d’estate, di giorno e di notte? Che cosa cerca di nascondere Bridget?» Che cosa succedeva là dentro la sera, quando Bridget tornava senza fretta a casa con qualche prelibatezza che le aveva regalato il proprietario del negozio, come le fette di bacon o le scatolette di salmone? Girava voce che si togliesse il grembiule scuro del negozio per indossare abiti piú variopinti. Una bambina l’aveva vista portare in casa un secchio di carbone. Ma allora accendevano il camino in salotto, diceva la gente.

Cominciarono a dare feste e molte sere una o due macchine strane, se non tre, parcheggiavano nel vialetto di casa e ci restavano fin quasi all’alba. Spesso gli ospiti all’uscita cantavano: «She’ll be comin’ ‘round the mountain when she comes, when she comes». Ovvio che a fare tanto i farfalloni poi succedono le disgrazie, e infatti ne capitò una che lasciò tutti interdetti. Nella casa morí un prete. Non era un prete della zona, era arrivato a bordo di una di quelle strane macchine con la targa strana. Raccontarono che era andato in bagno, uscendo non aveva visto il gradino e, ovviamente – potrebbe succedere a chiunque –, aveva inciampato ed era caduto. Era ruzzolato giú per tutti e quindici i gradini, aveva sbattuto la testa contro l’orologio a pendolo in fondo alla scala ed era rimasto a terra privo di sensi. Si era scatenato il finimondo, aveva riferito Rita, una vicina. In casa si sentiva urlare. Pare che il direttore del caseificio avesse barcollato fino alla macchina ma fosse troppo ubriaco anche solo per metterla in moto; poi era arrivata una donna giovane che invece era partita in quarta e di lí a poco ecco spuntare il curato della zona con un viatico. Un’ora dopo un’ambulanza aveva portato il prete in ospedale, solo che era già morto.

Bridget aveva fatto buon viso a cattivo gioco. Anziché nascondere il comprensibile senso di colpa, lo riconosceva. Parlava in continuazione di quella notte fatale, del divertimento che aveva preceduto la tragedia, del prete che non aveva toccato una goccia d’alcol e li aveva intrattenuti con il racconto meraviglioso di quando era stato ricevuto in Vaticano, non per un’udienza, come pensava lui, bensí per vedere i tesori: «Tesori che valgono migliaia di sterline… tesori che valgono migliaia di sterline!» pare avesse detto descrivendo un quadro, una scultura, un calice o un paramento. Poi Bridget proseguiva raccontando che avevano giocato tutti a Quarantacinque e senza che se ne accorgessero si erano fatte le tre del mattino e padre Tal dei Tali prima di tornare a casa era andato di sopra. A suo dire aveva bevuto bicchieri su bicchieri di limonata. Poi il tonfo terribile, loro che erano rimasti increduli, il direttore del caseificio che si era alzato dal tavolo per andare in corridoio, e poi la ragazza che era uscita, e poi le urla. Bridget diceva chiaro e tondo che non si sarebbe mai perdonata di non avere una lampadina piú forte sul ballatoio. Alla messa solenne in suffragio del prete indossò una cosetta di pizzo lunga e nera che non rispolverava dalla morte dell’amato marito.

Il marito era annegato anni prima, perciò era conosciuta come «la Vedova». Erano sposati da pochissimi mesi, due autentici piccioncini. Abitavano in un’altra casa, una casetta con una veranda baciata dal sole dove coltivavano gerani, begonie e perfino qualche pomodoro. La disperazione di Bridget per quella morte era stata cosí terribile da diventare leggendaria. Il suo urlo, quando le avevano dato la notizia, aveva lacerato la parrocchia e si diceva che l’avessero sentito anche nelle parrocchie piú lontane. L’avevano sentito i bambini nella culla, l’avevano sentito i vecchi sordi seduti davanti al fuoco e pure quelli che lavoravano nei campi. Quando le avevano detto che il marito era annegato, non aveva voluto crederci: suo marito non era morto; era un nuotatore provetto, lui; nuotava giú al molo ogni sera della sua vita prima del tè. Quelle urla erano la sua ribellione. Aveva urlato tutta la sera e tutta la notte. In paese nessuno aveva chiuso occhio. Quando la mattina avevano trovato il corpo ammantato di canne, le sue grida avevano toccato punte pantagrueliche. Non potevano lasciarla andare in chiesa. Le donne avevano dovuto tenerla ferma per evitare che desse i numeri.

Poi, qualche giorno dopo la sepoltura, quando le mucche avevano cominciato a calpestare la tomba e a trattarla come se fosse una vecchia tomba qualsiasi, aveva interrotto il lamento funebre. Subito dopo aveva assunto un contegno calmissimo, allegro e rassegnato. Diceva a tutti che ormai era una donna impegnata e che aveva tanto da fare. Doveva scrivere per ringraziare chi aveva partecipato al funerale, per ringraziare i preti che avevano celebrato la messa solenne e poi decidere cosa fare dei vestiti del marito. Soprattutto, era decisa a vendere la casa. L’avevano sconsigliata, ma non si era lasciata smuovere. Quella era stata la casa sua e di Bill – «il caro Bill», lo chiamava lei – e soltanto andandosene il ricordo, l’inviolato ricordo, delle mattine, delle sere, delle notti e dei loro momenti di intimità, sarebbe rimasto inalterato.

Aveva venduto la casa, o meglio, l’aveva svenduta, ed era tornata a vivere in campagna con i familiari: un fratello e una sorella sordomuta. In paese nessuno l’aveva piú sentita nominare fino a qualche anno dopo, quando il fratello era morto e la sorella era andata in un istituto. Non sapendosela cavare con l’aratura e il foraggio, Bridget aveva venduto la fattoria e si era trasferita di nuovo in paese. Al suo ritorno era un’altra donna, molto piú padrona di sé. Molto piú sciccosa, diceva la gente. Aveva trovato lavoro come contabile al negozio e cominciato a costruire una casa, e durante i lavori molti avevano congetturato che le frullasse per la testa di rimaritarsi. Si vociferava che si fossero visti vari scapoli parlare con lei, specie uno venuto dall’America che l’aveva portata alle corse dei cani a Limerick per qualche sabato sera di fila e le aveva offerto del gin. La notizia che beveva si era diffusa a macchia d’olio e il verdetto era stato che era tipo da alzare il gomito col primo venuto. Perciò quando si era installata nella nuova casa il vicinato non l’aveva accolta a braccia aperte. Non c’erano state feste inaugurali, per esempio; niente panna, sanguinacci fatti in casa o torte alla birra scura di benvenuto; niente ferri di cavallo portafortuna sulla porta. Per farla breve, l’avevano ostracizzata. Lei sembrava non farci caso, tanto era abituata a stare per conto suo. Aveva un bel guardaroba, aveva un buon lavoro e appena si era decisa a tenere pensionanti scelti, due o tre al massimo, tutti avevano detto che si era montata la testa. Casa sua era sarcasticamente chiamata la dimora del piacere e ogni tanto, con piú malanimo, veniva associata alla canzone: «Biddy la puttana, che viveva in albergo senza la sottana».

I primi ospiti erano stati due forestieri impegnati in qualche ricerca per la commissione territoriale e sospettati da tutti i contadini di essere degli intriganti. Loro e Bridget erano diventati grandi amici, si sedevano fuori sulle sedie a sdraio e tutti li sentivano ridere; la domenica andavano insieme all’ultima messa e la sera sbevazzavano, a casa o al bar. Quando quei due se n’erano andati era arrivato il direttore del caseificio, un omaccione con le spalle larghe e la faccia grande e rossiccia. Era un chiacchierone affettuoso. Toccava il bavero delle persone, specie delle donne, e chiedeva baci senza ritegno. Qualche ragazza confessava di averlo respinto. Le zitelle, che non si fidavano di lui, lo tenevano d’occhio quando usciva dal caseificio alle cinque e mezzo di sera per vedere se tornava dritto a casa o se attraversava il paese per farsi un paio di pinte. Lo aspettavano appostate dietro i muri, o dietro la finestra del salotto. Era raro che parlasse di Bridget chiamandola per nome, per lui era «la padrona di casa», e spesso aggiungeva che era un’impertinente e una cuoca straordinaria. Aveva un debole per il suo stufato d’agnello che in realtà, diceva la gente, era stufato di montone.

Ben presto il direttore del caseificio, che si chiamava Michael, trovò una fidanzata fissa che si chiamava Mea. Mea faceva l’impiegata di banca in città e nei fine settimana arrivava in macchina e si fermava due notti. Michael si metteva l’acqua di colonia e la aspettava camminando su e giú davanti a casa, tanta era la smania di vederla. Non si baciavano mai sui gradini ma andavano sempre dentro lasciando che alcuni degli impiccioni locali, specie le donne, impazzissero di curiosità per ciò che succedeva dopo. Quella donna, disse Bridget al padrone del negozio, che poi lo disse a tutti, si rigirava Michael come voleva. Pare che fosse soggetta a sbalzi d’umore: certe volte era gioiosa come un colibrí, altre dichiarava di avere il mal di testa o la sinusite o il mal di pancia e si rifiutava perfino di rivolgergli la parola. Un volta si era chiusa a chiave in camera e non era uscita per tutta la sera. Mangiava come un uccellino, si schiariva i capelli con tuorlo d’uovo e limone e si metteva sempre in ghingheri per la messa o le orazioni sfoggiando un cappello o un foulard diverso ogni domenica. Pregare, però, non era il suo forte: si guardava attorno, soppesava i presenti, elargiva qualche sorrisetto di superiorità e, per capire quando bisognava alzarsi e quando inginocchiarsi, guardava cosa facevano gli altri.

– Ah, è il suo dolce mistero… il suo dolce mistero, – aveva detto Michael a Bridget, che l’aveva detto al proprietario del negozio che, naturalmente, l’aveva detto a tutti. Di lí a poco Mea e Micheal erano fidanzati e Mea si fermava non solo due ma tre notti alla settimana e scorrazzava in macchina con lui alla ricerca di case o villette sfitte perché ovviamente volevano andare a stare per conto loro. Ogni settimana portava anche qualche mobile, di solito ingombrante – uno specchio, un armadio, una scansia o uno scrittoio –, e a sentire lui era proprio fissata, con i mobili. Lui chiedeva scherzando agli uomini chi glielo faceva fare di mettersi un cappio al collo.

Dovevano sposarsi a giugno ma una sera di inizio maggio ci fu uno screzio. E Michael la lasciò. Successe al bar, proprio mentre gli altri avventori facevano auguri e allusioni alla cicogna. Michael era molto ubriaco – nelle ultime settimane ci dava parecchio dentro con l’alcol – e all’improvviso si girò verso Mea e disse, con estremo candore e quasi in lacrime, che non ce la faceva ad andare fino in fondo. L’anello poteva tenerselo: voleva chiudere i rapporti senza dissapori. Lei gli mollò tre ceffoni, lí, davanti a tutti. – Come osi? – disse con l’acrimonia di un’istitutrice, poi corse fuori, lui la seguí e un attimo dopo eccoli sfrecciare lungo Shannon Road, di sicuro per fare pace, disse la gente. Ma Michael fu irremovibile. Il fidanzamento era rotto.

Lei andò via quella sera stessa e Michael non si fece vedere per tre giorni. Tornò al caseificio, teso e con la barba lunga, e quel venerdí apprese da un settimanale che lei l’aveva denunciato per aver rotto la promessa. Il giornale riportava le loro foto, l’accenno a qualche scambietto sdolcinato e perfino una foto di Bridget che, a detta di Mea, aveva non poca influenza su di lui e probabilmente era responsabile della rottura. Mea parlava anche del suo cuore a pezzi, dei tanti progetti che aveva fatto, della casetta con un giardino di rose che aveva immaginato, poi raccontava del suo corredo, del baule pieno di biancheria, sacchetti di lavanda e via dicendo. Soprattutto, lamentava il fatto che per lei ormai un futuro romantico con un altro uomo era fuori discussione; in parole povere, la sua vita era distrutta. Michael ricevette la lettera dell’avvocato, si rivolse al proprio avvocato e a quanto pare la risarcí profumatamente. Poi ci diede dentro a bere per qualche settimana e lo trascinarono in un monastero cistercense e alla fine tornò a casa assai dimagrito e molto piú calmo. – Una cacciatrice di dote, ecco cos’era, una cacciatrice di dote, – diceva Bridget ogni volta che sentiva nominare Mea, e ben presto la faccenda finí nel dimenticatoio.

Notarono – prima la direttrice dell’ufficio postale e poi un’altra signora, che ne parlarono con tante altre – che Bridget e il direttore del caseificio amoreggiavano apertamente. Di lí a poco li videro passeggiare mano nella mano in Chapel Road dopo la benedizione. Si erano attardati in chiesa nell’attesa che gli altri uscissero. Era stata la sacrestana a vederli, e appena si era ripresa dallo spavento era corsa a raccontarlo in paese. La gente le domandò se ne era sicura, se non l’avesse immaginato. – Che possa morire stecchita se non è vero, – disse lei, mettendosi la mano sul cardigan di lana grigia che le copriva il petto rincagnato.

Questo poi no, era veramente troppo da mandare giú. In fin dei conti era una vedova, e quarantenne per giunta, doveva pur sapere come ci si comporta. I vicini cominciarono a guardare con piú attenzione, specie la notte, per vedere quante luci si accendevano nelle stanze al primo piano, per vedere se avevano camere separate o vivevano nel peccato mortale. I censori meno severi dissero che era un fuoco di paglia e che presto lui avrebbe avuto un’altra pupa al seguito, perciò tutti, e dico tutti, rimasero esterrefatti la mattina in cui Bridget si piazzò sulla soglia del negozio annunciando il fidanzamento. A riprova aveva un diamante azzurro che le luccicava al dito e gli occhi ballerini mentre la gente la guardava a bocca aperta.

Poco dopo Bridget comprò un’auto e Michael iniziò a darle lezioni di guida in Dock Road, quella stessa strada che aveva percorso il marito andando incontro alla morte. Lui smise di fare il cascamorto con le ragazzine, anche con quella del burro al caseificio, e raccontava agli estranei quant’era felice, diceva che le altre erano state soltanto degli zuccherini, mentre lei era quella giusta.

Bridget era troppo felice perché gli altri riuscissero a digerirlo; la chiamarono sgualdrina, pronosticarono un’altra promessa mandata a monte, aspettarono la disfatta. Alcune delle donne anziane si rivolsero al prete della parrocchia, ma lui era cosí di malumore per i contributi destinati al nuovo altare che le esortò tutte a rimboccarsi le maniche e a rimediare i soldi vendendo torte, gelatine e compagnia bella a un’asta di beneficenza. Intuí il motivo della loro visita perché il direttore del caseificio era andato a trovarlo da solo e si era trattenuto un’ora, dandogli di sicuro un’offerta sostanziosa per le messe.

Per salvare le apparenze durante il periodo del fidanzamento, a casa di Bridget si trasferí un ragazzo di campagna, uno cosí stupido da raccogliere i tuberi degli iris scambiandoli per cipolle, insomma, uno che non dava certo adito a malignità. Dovevano sposarsi a dicembre, il che concedeva a Bridget due mesi per lasciare il lavoro e preparare il corredo. Ora la vedevi sempre sfrecciare a bordo della sua auto rossa, una minaccia per i pedoni e le mucche che si erano spinte sul ciglio della strada. Per ingraziarsi gli altri, dicevano, si offriva di accompagnarli in città, oppure di sbrigare qualche commissione per loro. Alcuni, i deboli, accettavano quei favori, ma non gli irriducibili. Qualche maschietto, a dire il vero, la elogiava, le diceva che aveva un bel fegato. Era molto piú vecchia di Michael e, come se non bastasse, gli aveva fatto perdere il vizio dell’alcol; ormai beveva soltanto vino… da tavola.

Qualche settimana prima del matrimonio la coppia andò al pub, contravvenendo alle recenti abitudini, e offrí da bere a tutti. Il proprietario del negozio, proponendo un brindisi, disse di sapere che Biddy e Michael avevano l’approvazione generale. La gente applaudí e qualcuno cantò. Poi Biddy, che era un po’ sbronza, batté l’anello di fidanzamento contro il bicchiere e disse che avrebbe recitato una cosetta. Si alzò senza tanti indugi, sfoderò quel suo sorriso da monella, si passò la lingua sulle labbra, altro suo vezzo, e recitò una poesia intitolata La gente parlerà. Era un attacco a tutte le persone maligne e avvizzite che non le perdonavano di essere rifiorita. Può darsi – e sono in tanti a dirlo – che sia stata quell’ardita provocazione a scatenare il terremoto delle settimane successive. Forse confidarsi con qualcuna delle donne locali l’avrebbe salvata, ma lei non si confidò; si tenne in disparte con il suo uomo, gli occhi che le brillavano, la felicità in tasca.

Non si è mai saputo chi abbia veramente cominciato, fatto sta che all’improvviso la voce iniziò a girare, lo scheletro in agguato da anni: il marito non era annegato per sbaglio, si era tolto la vita. Era talmente divorato dalle preoccupazioni, si diceva, da non vedere altra via d’uscita. Quella sera, dopo l’ennesima lite furibonda con lei, era sceso al molo con carta e penna in tasca e aveva scritto un biglietto di addio. Ce l’aveva nella tasca dei pantaloni prima che lo dessero a lei. Altrimenti perché Bridget aveva urlato tre giorni, si chiedevano, perché non era stata in condizione di andare al funerale del marito e poi alla messa solenne? Altrimenti perché si era ripresa cosí in fretta se non perché era una donnaccia malvagia e senza cuore? Il direttore del caseificio, predissero, sarebbe diventato un capro espiatorio a matrimonio avvenuto. Prima una persona lo disse sottovoce, poi un’altra, e poi un’altra ancora; la storia passò di casa in casa, di bocca in bocca, e di lí a poco arrivò alle orecchie incredule di Bridget. Come se non fosse già abbastanza sconvolgente, una mattina ricevette una lettera anonima dove c’era scritto che presto il futuro marito avrebbe saputo del suo scheletro nell’armadio. Buttò la lettera nella stufa, poi cercò invano di recuperarla. Per fortuna Michael era ancora al piano di sopra, addormentato in camera sua. Fu allora che commise il primo errore: corse in giro a cercare di comprarsi le persone, a chiedere di non accennare a quel pettegolezzo terribile, di non raccontarlo al direttore del caseificio, per l’amor di Dio di non raccontarglielo. Piú cercava di soffocare quella diceria, piú la gente si convinceva della sua colpa. Perse ogni ritegno. La si vedeva correre in strada scalza o in camicia da notte per andare incontro al postino, per tenere lontani altri orribili bollettini.

Dopo quella mattina non osò far andare Michael in giro da solo, temeva che qualcuno gli raccontasse tutto. Sapeva, o quantomeno si aggrappava alla speranza, che al lavoro nessuno si sarebbe arrischiato a raccontargli niente, per paura di essere licenziato in tronco. In strada, però, o andando a messa, o al pub… erano quelle le zone pericolose e per settimane lo seguí ovunque, tanto che lui cominciò a mostrare segni di insofferenza e a dire che gli stava troppo appiccicata. Bridget, che con il fidanzamento era diventata piú bella, si guastò, tornando a essere quella di prima: un’anziana pelle e ossa con i capelli radi e la pelle troppo gialla.

Michael si accorse che era sconvolta ma non capiva perché. Pare che avesse raccontato alla ragazza che faceva il burro che alla sua signora era presa l’agitazione e che prima si sposavano, meglio era. Mentre lui parlava cosí, la futura signora non sapeva a che santo votarsi. Si confidò con il proprietario del negozio, che le consigliò di dirlo a Michael, ma lei perse il controllo e diede in escandescenze, non fidandosi dell’unico amico che aveva. – Perché non prendi il toro per le corna e non glielo dici chiaro e tondo? – le aveva consigliato. Ma non poteva. Lui l’avrebbe piantata in asso. Non ne aveva già piantata una piú giovane e carina e lei, Bridget, non rischiava di fare la stessa fine? Fu allora che si ricordò della vecchia che un tempo abitava di fronte a lei e al marito e che in seguito era tornata a vivere in campagna. Sarebbe andata a cercarla e quella donna avrebbe giurato di non averli mai sentiti alzare la voce, anzi, che Bridget e il primo marito la sera si accomodavano sempre nella veranda assolata, fra gerani e begonie, a dirsi paroline, tenersi per mano e scambiarsi effusioni.

Poi ci fu una piccola tregua. Michael decise di andare a casa dai suoi una settimana, e quella fu una manna dal cielo. Dopo si sarebbero visti a Limerick, con una manciata di parenti, e lí si sarebbero sposati in una chiesa agostiniana. Uno dei frati, che era amico di Michael, aveva già organizzato tutto. Considerato il precedente della promessa infranta, si sarebbero sposati senza clamori.

Prima di partire Michael la prese di petto. La fece sedere in cucina sulla poltroncina accanto alla stufa dove spesso, anzi, spessissimo, scherzavano e si coccolavano. Le chiese se per caso avesse avuto dei ripensamenti, se per caso non lo amava. A lei si riempirono gli occhi di lacrime. Disse: – No, no, Michael… no –. Era cosí innamorata, confessò, da temere che qualcosa andasse storto. Poi lui la baciò, la rimproverò di essere sciocca come una gallina e ballarono per tutta la stanza, promettendosi le cose che avrebbero fatto una volta sposati, come mettere un lucernario in cucina e comprare una stufa nuova, cosí lei non si sarebbe piú sporcata le dita con la cenere e le scorie. Lui le disse di amare quelle sue manine, poi le baciò. – Gnam, gnam, – fece, come se le stesse mangiando, come se fossero crostatine alla marmellata.

Come lei raccontò in seguito al proprietario del negozio, il commiato era stato gioioso. Lui aveva cercato di convincerla a dirgli come si sarebbe vestita al matrimonio ma lei aveva tenuto la bocca cucita. – Ho tenuto la bocca cucita, – disse, e raccontò di essere corsa di sopra a prendere il vecchio collo di volpe, con quel musetto volpino e gli occhi rotondi, e di averlo minacciato con quello, facendo: – Bau, bau, bau –. Avevano giocato a nascondino, avevano riso, si erano presi in giro ma lei non gli aveva permesso nel modo piú assoluto di entrare nella stanza dove aveva riposto il corredo con l’abito di tulle e le scarpe di raso, le pile di biancheria intima nuova e le morbide mantelline da notte. Il loro addio era stato cosí dolce che Michael era tentato di annullare il viaggio. – Che diamine, sono maggiorenne da un pezzo, – aveva detto. Ma lei l’aveva convinto ad andare, aveva insistito. Sapeva che era essenziale allontanarlo da quel posto, dove qualunque piantagrane poteva dire: «Secondo me la tua futura moglie ha spinto il primo marito a uccidersi». Non era proprio il caso di rischiare. Qualcosa di Michael, anche se non gliel’aveva mai detto, le ricordava il suo primo marito. Erano tutti e due ingenui e affettuosi, e tutti e due si arrabbiavano per delle sciocchezze ma erano pronti a scusarsi, a farle trovare una barretta di cioccolato o un fazzoletto sul cuscino per farsi perdonare. E lei li amava piú o meno nello stesso modo, nello stesso modo prorompente, spumeggiante e infantile in cui aveva amato a vent’anni e, come per miracolo, il suo amore era ricambiato.

Il giorno dopo la sua partenza, Bridget si mise in viaggio per incontrare l’anziana vicina. Era allegra quando si fermò in paese a fare benzina. Disse perfino al giovane benzinaio che stava pensando di dare una festa e gli chiese se ci voleva andare. – Come no, – sostenne in seguito di aver risposto il benzinaio.

Nessuno di noi ha mai saputo come sia andata con la vicina, perché è sulla via del ritorno che successe. Il tratto di strada era infido, questo si è sempre saputo; curvava, si raddrizzava, poi si biforcava all’improvviso, ondulandosi sotto una fitta cupola di faggi. Lí camion e macchine si erano schiantati cosí spesso che la gente diceva che era maledetto, quel tratto di strada. Un tempo da quelle parti abitava una strega, una strega che sfidava la gerarchia ecclesiastica ed escogitava cure pagane con le erbe. La gente si chiedeva se non fossero gli strascichi lasciati dalla strega a provocare tanti disastri, e i preti ci avevano spruzzato l’acqua santa non si sa quante volte.

Era buio quando ci fu l’incidente. Bridget aveva fatto visita all’anziana vicina e dopo era andata in un bar del paese piú vicino e si era concessa un bicchiere. È possibile che fosse andata al bar a festeggiare, ad assaporare per la prima volta la gioia, oltre che la certezza, di avere un futuro. Forse la vicina le aveva detto: «Glielo racconto io a quelli quant’eravate felici tu e Bill», oppure aveva pianto, ricordando l’ultima volta che si erano viste, quando non era vecchia, quando non aveva le cataratte agli occhi, quando la bella coppietta che abitava nella casa di fronte la invitava a prendere un bicchiere di birra o una tazza di tè. O forse l’anziana vicina aveva dimenticato quasi tutto e si era limitata a tremare e a fissarla. Qualunque cosa sia successa, non si è mai saputa, ma al bar dove bevve un gin e lime e comprò le patatine Bridget chiacchierò con il proprietario e gli chiese il biglietto da visita, dicendo che sarebbe tornata a cena con il marito. Quella località le aveva portato fortuna, disse, e sentiva di doverle una piccola ricompensa. Mezz’ora dopo era intorno a un albero, la macchina sollevata sulle zampe posteriori, come un animale, la faccia sul cruscotto, di traverso, gli occhi spalancati.

Alcuni operai impegnati a rifare il manto stradale sentirono lo schianto dell’incidente e accorsero da una piccola roulotte dove stavano preparando la cena. Nessuno la conosceva. Due rimasero mentre il terzo andò nella portineria di una grande casa a chiedere se poteva usare il telefono. La portinaia era un po’ strana e non glielo permise, perciò dovette salire alla grande casa e trascorse un mucchio di tempo prima che arrivassero l’ambulanza e la polizia. Ma concordarono tutti che era morta sul colpo. La portarono all’ospedale piú vicino, dove una giovane infermiera la vestí di bianco. Chi il giorno dopo andò al funerale rimase sorpreso per non dire inorridito vedendo quella faccia cosí meravigliosamente liscia, senza tagli né squarci. Era perché l’avevano truccata, dichiararono, truccata alla perfezione: che scandalo, addobbare un cadavere.

Michael le si inginocchiò accanto e urlò senza ritegno, come aveva urlato lei un tempo, dimostrando senz’ombra di dubbio che l’amava con tutto il cuore. Al cimitero cercò di parlarle, cercò di impedire che calassero la bara. Adesso sapeva tutto; sapeva che cosa lei aveva passato e non poteva farci nulla. Il suo fu un gran funerale, ma sotto le preghiere e i mormorii si bisbigliava che fosse ubriaca fradicia quand’era montata in macchina. Dissero che aveva il viso sfigurato ma che qualche stupida infermiera l’aveva resa presentabile, aveva manipolato la verità, l’aveva mandata al creatore con quel travestimento mostruoso, un’oca di infermiera, dissoluta com’era stata Bridget.