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Tempo geologico

Otto anni dopo l’improvvisa proposta di Paul Crutzen, i geologi erano pronti ad agire. Nel 2008, Jan Zalasiewicz e i suoi colleghi della Società geologica di Londra pubblicarono un articolo sul mensile «GSA Today» dal titolo Are we now living in the Anthropocene? in cui invitavano tutti a riconoscere ufficialmente questo nuovo intervallo di tempo geologico.

La comunità scientifica aveva già dimostrato con assoluta certezza come l’uomo avesse alterato il funzionamento della Terra, ma allora sembra strano il fatto che ancora oggi questo non sia stato riconosciuto nella cronologia scientifica della storia della Terra, nota come scala dei tempi geologici. Il motivo è molto semplice: gli studiosi del tempo geologico fanno affidamento soltanto sulle testimonianze fisiche che si sono depositate nelle rocce per mezzo dei processi geologici che modellano il nostro pianeta.

Per comprendere la difficoltà di riconoscere l’Antropocene è necessario conoscere i metodi scientifici di cui si servono i geologi per classificare cronologicamente la storia della Terra. Innanzitutto, il tempo geologico viene dedotto dai livelli, o «strati», che nel corso del tempo si sono depositati l’uno sopra all’altro creando un record «stratigrafico». Questi possono essere, per esempio, conservati nei sedimenti che nel corso degli anni si sono andati ad accumulare sul fondo di un lago fino a indurirsi in una roccia sedimentaria.

I geologi specializzati nello studio dei record stratigrafici sono conosciuti come «stratigrafi» e vengono considerati i custodi del tempo geologico, perciò saranno loro ad avere l’ultima parola sul destino dell’Antropocene. Se si vogliono comprendere i pro e i contro del riconoscimento di questa nuova era della storia della Terra è necessaria una conoscenza di base della stratigrafia e di come viene stabilita la scala dei tempi geologici.

ORIGINI DELLA STRATIGRAFIA

Questa disciplina nasce verso la fine del XVII secolo grazie alle ricerche di Nicolaus Steno (Niels Stensen, 1638-1686, naturalista e vescovo danese chiamato in italiano Niccolò Stenone; ritenuto fondatore della geologia e della stratigrafia, ha vissuto molti anni in Italia, N.d.C.) e alle sue interpretazioni della struttura stratificata delle rocce sedimentarie (Figura 8). Il concetto chiave di tale scienza è ancora oggi la sua «legge della sovrapposizione» secondo cui gli strati più recenti di rocce sedimentarie si depositano sopra quelli già esistenti. In seguito Steno introdusse due ulteriori principi. Questi affermano che, indipendentemente dalla condizione e dall’orientamento attuale dei vari strati di rocce sedimentarie, in origine essi si erano depositati formando strati orizzontali e continui.

Grazie a tali principi fu possibile considerare le antiche rocce sedimentarie come veri e propri strati del tempo, a prescindere da quanto fossero deformate, inclinate, erose o mischiate a causa dei processi geologici successivi alla loro formazione. Per quanto riguardava invece le proprietà fisiche (come per esempio composizione mineralogica, consistenza o colore, e i fossili presenti all’interno), Steno e altri studiosi riconobbero che potevano essere usati per identificare i singoli strati e correlarli a quelli di una qualsiasi altra formazione rocciosa.

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Figura 8. Letti di torbiditi, una roccia sedimentaria (Cornovaglia, Inghilterra), che illustrano strati sedimentari.

Il lavoro di stratigrafia più rivoluzionario fu realizzato circa un secolo dopo da un ingegnere inglese specializzato in miniere, canali, fosse oceaniche e giacimenti di carbone. Lavorando letteralmente nei canali, William Smith (1769-1839, N.d.C.) acquisì una profonda familiarità nei confronti dei vari strati osservati in tutta la Gran Bretagna. Correlando i fossili ai diversi tipi di roccia derivanti dalle sue osservazioni, comprese le connessioni tra di loro nei livelli stratigrafici per tutta l’Inghilterra, il Galles e la Scozia.

Questa mappa è ancora nota come «la mappa che ha cambiato il mondo», Smith fu il primo a elaborare una mappa accurata degli eventi e dell’esposizione di strati rocciosi su vaste zone. Sebbene abbia dovuto lottare per ottenere un qualche riconoscimento, che arrivò comunque solo dopo la sua morte, e abbia persino trascorso un breve periodo in prigione per debiti, Smith è oggi conosciuto come il padre della geologia inglese. La sua mappa è ancora presente a Burlington House, la sede della Società geologica di Londra.

Oggi la stratigrafia viene utilizzata in diversi settori, come per esempio l’estrazione mineraria o l’edilizia, ma principalmente serve per ricostruire il tempo geologico. Tale misurazione è fondamentale per avere informazioni dettagliate sulla prima crosta del pianeta, sull’origine e l’evoluzione delle specie e persino sui processi di trasformazione del sistema Terra che continuano ancora oggi. Per riuscire a fare tutto questo, gli stratigrafi hanno costruito un’ampia gamma di strumenti che Steno e Smith non avrebbero nemmeno potuto immaginare.

GEOCRONOLOGIA

Le prime ricostruzioni stratigrafiche del tempo geologico furono delle «geocronologie relative». Secondo questo metodo gli strati rocciosi, o «unità stratigrafiche», vengono interpretati come successioni temporali in cui i livelli più bassi sono più antichi di quelli superiori. Per quanto riguarda i singoli strati, invece, questi possono essere identificati come «unità litostratigrafiche» in base alle loro proprietà fisiche, come «unità biostratigrafiche» sulla base della presenza di determinati fossili, oppure combinando entrambi i metodi. Questo tipo di informazioni non permette di determinare con precisione quando si sia formata una specifica roccia, ma assemblando lunghe sequenze di queste unità si possono ricostruire intervalli di tempo geologico piuttosto significativi. Questi studi permisero di osservare i cambiamenti evolutivi negli organismi fossili e di creare un ulteriore principio stratigrafico detto «successione dei fossili», secondo il quale negli strati rocciosi i fossili del biota (il complesso degli organismi viventi che si trova in un determinato habitat o regione, N.d.C.) si succedono l’uno all’altro in un ordine specifico e continuo. Questo presupposto costituiva una prova fondamentale a supporto della teoria dell’evoluzione che Darwin stava sviluppando proprio in quegli anni.

A metà del XVIII secolo, Giovanni Arduino (1714-1795, N.d.C.) e i suoi colleghi stratigrafi provarono per la prima volta a stilare una cronologia continua che comprendesse l’intera storia della Terra. In questo primo tentativo misero in relazione quattro diversi intervalli di tempo, o «ordini», con quattro diversi tipi di rocce, e li chiamarono in sequenza da Primario a Quaternario. Successivamente, stimarono la durata di ognuno di questi intervalli basandosi sul loro spessore e sui tassi di formazione; questi ultimi vennero a loro volta calcolati da un lato grazie alla velocità di decomposizione chimica e fisica, di erosione e di sedimentazione delle rocce, e dall’altro dalla velocità del processo di compressione e cementazione dei sedimenti in rocce solide (litificazione).

All’inizio del XX secolo una nuova tecnica rivoluzionò la stratigrafia. La datazione radiometrica, di cui la datazione al carbonio rappresenta l’esempio più conosciuto, permise di misurare per la prima volta l’età esatta di ogni unità stratigrafica, creando così «unità geocronologiche» le cui date di formazione sono note.

La datazione radiometrica si basa sul principio che alcuni elementi chimici possono presentarsi sotto forma di vari isotopi radioattivi (con un numero variabile di neutroni) che possiedono differenti tassi di decadimento; quest’ultimo è definito anche «emivita» o tasso di dimezzamento e corrisponde al tempo in cui questi isotopi decadono in altri elementi.

Per esempio, l’isotopo del carbonio più diffuso è il carbonio-12 con sei protoni e sei neutroni, che è stabile e non decade. Tuttavia, il carbonio è presente in natura anche sotto forma di carbonio-14, con otto neutroni; questo isotopo è radioattivo e la metà dei suoi atomi decade in 5.730 anni (tempo di dimezzamento). Misurando il numero relativo dei diversi isotopi presenti in un campione di rocce o di altri materiali, si può dunque calcolare l’età assoluta a partire dalla quantità rimanente di ogni isotopo e dalla sua emivita relativa. Mentre l’emivita del carbonio-14 è breve e quindi permette di datare materiali ricchi di carbonio che non hanno più di 40.000 anni, alcuni elementi hanno isotopi con tempi di dimezzamento pari a centinaia di milioni di anni, come per esempio l’Uranio-235 (emivita di 700 milioni di anni), e possono perciò essere usati per datare unità cronostratigrafiche che risalgono a più di un miliardo di anni fa.

Nel 1913, la datazione radiometrica venne usata su di un campione di roccia di 1,6 miliardi di anni. Quello fu solo l’inizio: con lo sviluppo della datazione assoluta e della geocronologia assoluta, fu possibile sviluppare scale di tempi geologici collegando unità di tempo e di rocce. Questa metodologia si arricchì poi di ulteriori strumenti: la stratigrafia chimica, che consentiva di identificare e correlare le unità stratigrafiche sulla base della loro dettagliata composizione chimica e isotopica, e la magnetostratigrafia, con cui si poteva datare ogni unità ricostruendo le inversioni di polarità del campo magnetico della Terra. Insomma, combinando la datazione radiometrica con questi numerosi strumenti stratigrafici sono stati nel tempo ricostruiti in modo dettagliato più di quattro miliardi di anni di storia della Terra.

SCALA DEI TEMPI GEOLOGICI

La scala dei tempi geologici (Geologic Time Scale, GTS) raccoglie il lavoro di generazioni di stratigrafi in un’unica geocronologia standardizzata della storia della Terra (Figura 9). L’organizzazione di una tale mole di studi scientifici venne facilitata dall’istituzione nel 1974 della Commissione internazionale di stratigrafia (International Commission on Stratigraphy, ICS), un sottocomitato permanente dell’Unione internazionale di scienze geologiche, l’organismo che coordina la comunità scientifica dei geologi. Sin dall’inizio, l’obiettivo principale dell’ICS fu quello di organizzare la storia della Terra nella scala dei tempi geologici basandosi su una gerarchia standardizzata delle unità cronostratigrafiche. Gli eoni costituiscono l’unità temporale più vasta, che viene poi suddivisa in sezioni sempre più ridotte definite ere, periodi, epoche ed età. La cosa più incredibile è che l’ICS è stata in grado di produrre una tale struttura ordinata di tempo geologico integrando tutti i lavori stratigrafici condotti in diverse zone del mondo a partire dalla fine del XVIII secolo. Per esempio, il periodo Giurassico venne stabilito da Leopold von Buch (1774-1853, N.d.C.) nel 1839, che si era basato sulle osservazioni delle formazioni rocciose che Alexander von Humboldt (1769-1859, il grande naturalista ed esploratore tedesco ritenuto il fondatore della geografia moderna e dell’ecologia, N.d.C.) aveva condotto nel 1795 presso il Massiccio del Giura, in Svizzera. La scala dei tempi geologici venne pubblicata per la prima volta nel 1982 e da allora è stata regolarmente rivista e aggiornata a mano a mano che sono venute alla luce nuove prove paleontologiche e che le tecniche di datazione si sono evolute.

La scala dei tempi geologici divide i 4,55 miliardi di anni della storia della Terra in unità cronostratigrafiche che racchiudono molti degli eventi fondamentali avvenuti nella sua storia, ma non tutti. Delle cinque estinzioni di massa generalmente riconosciute, durante le quali un numero estremamente alto di specie è andato perduto nel raggio di brevi intervalli di tempo, quattro coincidono con i limiti dei periodi geologici. La più drammatica, che distrusse quasi completamente la vita sulla Terra, avvenne circa 252 milioni di anni fa alla fine del Permiano, mentre la più famosa è quella dei dinosauri non aviani e dei rettili marini che si verificò 66 milioni di anni fa e costituisce il limite tra il Cretacico e il Paleogene (già conosciuto come limite K-T). I primi reperti fossili di organismi multicellulari e delle loro tane risalgono a circa 541 milioni di anni fa all’inizio del Cambriano, il primo periodo dell’attuale eone detto Fanerozoico (periodo della «vita visibile»).

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Figura 9. La scala dei tempi geologici della Commissione internazionale di stratigrafia (ICS) illustra eoni, ere, periodi ed epoche (sulla base del GST 2017; Ma = milioni di anni fa).

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9. Continua.

Tuttavia, la GTS non presenta limiti geologici che segnino le origini della vita (che si verificano nel primo Archeano), i primi organismi fotosintetici che producono ossigeno (nel Paleoproterozoico), i primi animali multicellulari o l’emergere di piante sulla Terra (entrambi nel Tardo Neoproterozoico), o persino la comparsa dei primi animali (probabilmente nel Siluriano). Le ragioni sono del tutto pragmatiche. Se non ci sono segni stratigrafici riconoscibili, anche le tappe più importanti nella storia della Terra non possono essere incluse nella scala dei tempi geologici.

Gli unici eventi che sono indicati nella GTS sono quelli che hanno lasciato dei segni stratigrafici chiari e riscontrabili a livello globale, come lo strato ricco di iridio depositato dall’impatto dell’enorme meteorite che si ipotizza abbia causato l’estinzione dei dinosauri. L’ossigenazione del pianeta prodotta dagli organismi fotosintetici, certamente uno dei più radicali cambiamenti di sempre nel sistema Terra, fu semplicemente troppo graduale per lasciare un segno stratigrafico distinguibile. Al contrario, la presenza di fossili animali facilmente riconoscibili, che costituiscono le basi fondamentali della biostratigrafia, marcano una profonda divisione nella GTS, separando l’eone in cui ci troviamo da quello Precambriano, termine generico che si riferisce alla preistoria della Terra iniziata 4,06 miliardi di anni fa. Questo è vero nonostante gli animali pluricellulari avessero iniziato a comparire decine di milioni di anni prima, perché le prime specie avevano corpi molli che lasciavano pochi fossili riconoscibili.

I metodi impiegati dalla stratigrafia sono chiari, i cambiamenti nel sistema Terra non abbastanza. Un evento deve lasciare il giusto tipo di prove stratigrafiche per apparire nella scala dei tempi geologici.

CHIODI DORO

La scala dei tempi geologici è stata suddivisa in intervalli attraverso l’identificazione di limiti stratigrafici. Nello specifico, il limite inferiore di un intervallo costituisce il limite superiore dell’intervallo precedente (conosciuti come «stratotipi del limite»). A partire dal 1977, questi limiti sono stati individuati utilizzando dei marcatori ben definiti e datati all’interno delle sequenze stratigrafiche; in genere si tratta di segni biostratigrafici distintivi, come la comparsa del primo organismo fossile. Questi marcatori, ufficiosamente noti come «chiodi d’oro», identificano un punto specifico nella precisa sequenza di uno strato roccioso e vengono formalmente chiamati «sezioni e punti stratigrafici globali» (Global Boundary Stratotype Section and Point, GSSP).

Il lavoro per marcare tutti i limiti temporali nella scala dei tempi geologici con i GSSP non è ancora finito. Per esempio, a causa della scarsità di materiale fossile, i limiti del Precambriano invece che dai GSSP sono stati marcati principalmente da tempi cronologici noti come «età stratigrafica standard globale» (Global Standard Stratigraphic Age, GSSA). Ciononostante, l’obiettivo ultimo è quello di riuscire a segnare tutti gli intervalli di tempo con GSSP.

I GSSP sono molto più di semplici punti datati nelle rocce. Dopo aver marcato un punto specifico all’interno di una precisa sequenza stratigrafica, ognuno di questi GSSP viene formalmente registrato e conservato in un luogo accessibile in modo da consentire osservazioni future. Per esempio, il punto stratigrafico che indica il limite tra Precambriano e Cambriano coincide con la comparsa delle prime tracce fossili caratteristiche di specie scavatrici, chiamate Treptichnus pedum (si tratta delle tracce di scavature di possibili antenati di vermi Priapulidi risalenti a 541 milioni di anni fa circa, N.d.C.), in sequenze rocciose che si trovano in una riserva naturale a Fortune Head, nell’isola di Terranova (il «GSSP Fortuniano»; Figura 10).

Alcuni GSSP sono contrassegnati nel loro sito di origine mediante un vero «chiodo d’oro»; tuttavia non necessario: l’importante è che ognuno fornisca la miglior documentazione possibile del marcatore di confine e delle sequenze stratigrafiche sopra e sotto di esso. Uno dei maggiori problemi è che lo strato limite identificato dal GSSP dovrebbe essere «isocrono» e quindi rappresentare un’unità cronostratigrafica che possa essere riconosciuta contemporaneamente in diverse aree di tutto il mondo, piuttosto che un’unità «diacronica» che varia negli anni da un luogo all’altro. Per evitare di selezionare marcatori diacronici, bisogna osservare numerose sequenze stratigrafiche in diversi luoghi sparsi per tutto il mondo e valutarle contemporaneamente come una «sintesi globale». Oltretutto, il GSSP ideale dovrebbe poter essere datato utilizzando il metodo radiometrico (o altre tecniche affidabili) e dovrebbe includere più marcatori distinti, biostratigrafici, magnetostratigrafici e chemiostratigrafici, che possano essere correlati nel tempo attraverso sequenze stratigrafiche in tutto il mondo. Come vedremo più avanti, la necessità di scartare i marcatori diacronici, e quindi anche i processi ambientali diacronici, è diventata motivo di discussione durante i dibattiti per identificare un GSSP per l’Antropocene.

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Figura 10. Esempio di un Global Boundary Stratotype Section and Point (GSSP), o «chiodo d’oro», che marca l’inizio del periodo Ediacarano. Situato a Ediacara, Australia meridionale.

Spesso è difficile riuscire a soddisfare tutti questi requisiti così precisi ed è quindi necessario trovare delle soluzioni pragmatiche per risolvere i numerosi problemi stratigrafici. A volte possono volerci anni di meticolose ricerche per poter confermare anche solo una proposta di un nuovo GSSP. Se ci sono le condizioni, la proposta di un GSSP da parte di un gruppo di lavoro viene sottoposta a una valutazione. Un GSSP può essere ratificato e registrato nella scala dei tempi geologici solo dopo essere stato approvato dal gruppo di lavoro, dalla sottocommissione principale, dallo stesso ICS e infine dal Comitato esecutivo dell’Unione internazionale di scienze geologiche. Grazie a queste ufficiali procedure istituzionali e scientifiche, realizzate a livello internazionale, la storia della Terra è strettamente collegata alle testimonianze fisiche incise nella roccia. Questo è il procedimento che potrebbe consentire all’Antropocene di essere contrassegnato geologicamente come l’intervallo di tempo più recente nella scala dei tempi geologici.

IL QUATERNARIO

Iniziato 2,6 milioni di anni fa, il Quaternario è il periodo più recente della Terra, pertanto è qui che molto probabilmente si inserirebbe l’Antropocene. Questo periodo, l’unico ordine ancora in uso dei quattro del calendario terrestre istituito da Arduino nel 1759, venne escluso dalla scala dei tempi geologici per cinque anni, ma fu poi riconfermato nel 2009. Il fatto che la nostra specie si sia evoluta durante questo periodo ha ispirato dei nomi alternativi, come per esempio il termine «Antropogene», il preferito dai geologi sovietici negli anni Ottanta.

Il Quaternario costituisce un intervallo relativamente freddo della storia della Terra, infatti, è conosciuto anche come «l’attuale era glaciale». Si distingue dal periodo precedente, il Neogene, per cicli glaciali e interglaciali più intensi e per la formazione di lastre di ghiaccio continentali più estese durante i suoi freddi intervalli glaciali. Dal momento che coprono gli ultimi 2,6 milioni di anni, i record stratigrafici del Quaternario sono generalmente più abbondanti, più accessibili e anche più dettagliati di quelli dei periodi precedenti; per questo motivo i geologi sono stati in grado di ricostruire, oltre ai singoli limiti usati nella GTS, anche numerose registrazioni continue dei cambiamenti del sistema Terra. Per fare un esempio, i cicli glaciali e interglaciali del Quaternario sono stati ricostruiti in maniera precisa misurando i cambiamenti negli isotopi dell’ossigeno presenti in carote di sedimenti oceanici profondi (Figura 11).

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Figura 11. Scala del periodo Quaternario comparata con gli stadi isotopici marini (Marine Isotope Stages, MIS). I MIS sono delineati da considerevoli sbalzi della temperatura globale indicati dai cambiamenti negli isotopi dell’ossigeno (δ18O). I MIS dispari corrispondono ai periodi caldi; MIS 1 coincide con il ciclo interglaciale dell’Olocene.

L’isotopo più leggero dell’ossigeno (l’ossigeno-16) evapora molto facilmente dal mare e fa sì che nell’acqua aumenti la concentrazione del più pesante ossigeno-18. Quando il ghiaccio si accumula sulla Terra durante gli intervalli glaciali, l’ossigeno-16 si blocca al suo interno portando a mari e sedimenti ancora più ricchi di ossigeno-18. Misurando nel tempo le proporzioni di ossigeno-18 e ossigeno-16 all’interno dei sedimenti, è possibile desumere con notevole precisione gli intervalli di riscaldamento e raffreddamento della Terra. Ogni fase di questo ciclo di caldo interglaciale e freddo glaciale è stata numerata a ritroso partendo dal presente, mediante il sistema ampiamente diffuso degli stadi isotopici marini (Marine Isotope Stages, MIS). Si parte con il MIS 1 che rappresenta l’attuale intervallo di caldo interglaciale, ovvero l’Olocene, il quale è preceduto dal MIS 2 che identifica l’«ultimo massimo glaciale», e così via all’interno del Pliocene. Questi stadi ciclici sono stati associati anche ai cambiamenti a lungo termine dell’anidride carbonica atmosferica e di altri gas traccia, usati generalmente per ricostruire linee temporali ecologiche e archeologiche, che sono stati misurati nelle carote di ghiaccio.

La maggior parte del Quaternario comprende i numerosi cicli glaciali e interglaciali dell’epoca del Pleistocene (ossia «più recente»), mentre l’Olocene (il cui significato etimologico dal greco è «assolutamente recente») ha avuto inizio solo 11.700 anni fa e ha marcato il passaggio all’attuale intervallo di caldo interglaciale. Quest’ultima epoca è l’unica ad avere il limite inferiore marcato da un GSSP contenuto all’interno di una carota di ghiaccio solido estratta in Groenlandia (Figura 12).

Il ghiaccio è una forma di roccia, ovvero un minerale allo stato solido, e la calotta di ghiaccio che ricopre la Groenlandia è formata da strati di neve che si sono depositati anno dopo anno e che nel tempo si sono compattati. Il record stratigrafico nel ghiaccio continentale è più preciso e costante rispetto a quelli che si trovano nei sedimenti oceanici, che possono essere mischiati e disordinati a causa dei movimenti degli organismi viventi («bioturbazione») e di altri processi. Per questo motivo, nonostante il GSSP dell’Olocene miri a segnare l’inizio dell’attuale periodo interglaciale, così come il record sedimentario che identifica il MIS 1, le sequenze stratigrafiche del ghiaccio permettono di calcolare un tempo di inizio più preciso di quanto si potrebbe fare usando i sedimenti marini (11.700 +/– 100 anni fa).

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Figura 12. GSSP dell’Olocene. Il limite inferiore dell’Olocene è contrassegnato a una profondità di 1.492,45 metri all’interno di una carota estratta dalla lastra di ghiaccio della Groenlandia (NGRIP = North Greenland Ice Core Project).

Il Quaternario è stato per molto tempo un vero e proprio banco di prova per migliorare le tecniche e le teorie riguardanti i tempi geologici, inclusi i metodi per contare a ritroso a partire dal presente, l’uso delle carote di ghiaccio e la ricostruzione di cronologie dettagliate e continue grazie a metodi isotopici, alla datazione radiometrica e alla chemiostratigrafia. Per inserire l’Antropocene nella scala dei tempi geologici sono necessari dei metodi stratigrafici ancora più innovativi.

ANTHROPOCENE WORKING GROUP (AWG)

Nel 2009, la Sottocommissione internazionale di stratigrafia del Quaternario (Subcommission on Quaternary Stratigraphy, SQS) suggerì a Jan Zalasiewicz, un professore della Leicester University, in Inghilterra, e a un esperto in biostratigrafia di formare il Gruppo di lavoro sull’Antropocene (Anthropocene Working Group, AWG). L’obiettivo era quello di esaminare il caso per riconoscere un nuovo intervallo di tempo geologico basato sugli effetti ad ampio raggio dell’influenza dell’uomo su parametri stratigrafici significativi. In altre parole, l’AWG avrebbe tentato di suddividere il Quaternario identificando il limite inferiore di un’eventuale epoca dell’Antropocene, idealmente con un nuovo GSSP. Con Zalasiewicz presidente, l’AWG si compose entro l’anno di sedici membri, circa la metà stratigrafi e gli altri un misto di scienziati ambientali ed esperti nel cambiamento globale antropogenico, fra cui Paul Crutzen, Will Steffen, io, e persino l’avvocato Davor Vidas, un esperto in diritto internazionale del mare (attualmente il gruppo è costituito da trentacinque esperti, N.d.C.).

Senza finanziamenti e lavorando part time, l’AWG iniziò lentamente. A differenza di quanto accaduto per i precedenti intervalli dei tempi geologici, le basi stratigrafiche per poter riconoscere l’Antropocene dovevano confrontare in maniera critica l’attuale grado del cambiamento ambientale causato dai processi antropogenici con le perturbazioni ambientali del passato geologico. Questo rappresentava un requisito del tutto nuovo per il lavoro stratigrafico. Sempre diversamente dai precedenti intervalli, i dati riguardanti i recenti cambiamenti della Terra che fossero in grado di lasciare dei record stratigrafici, naturali e antropogenici, erano davvero molto abbondanti: passavano dai cambiamenti del clima globale e della composizione atmosferica alla chimica degli oceani, dalla perdita di biodiversità all’inquinamento ambientale e all’aumento dell’erosione del suolo, fino alla profonda alterazione dei paesaggi di intere regioni. Dover districare questa gran quantità di dati non semplificò il lavoro, anzi, lo rese più difficile. Come se non bastasse, c’era anche chi si chiedeva quale beneficio potesse trarre la geologia dall’ufficializzazione dell’Antropocene, e questo è ancora oggi argomento di discussione. Per fortuna ci sarebbero voluti anni prima che servisse una proposta formale per un GSSP.

La domanda di Zalasiewicz («Are we now living in the Anthropocene?») forse non era neanche la più difficile, infatti la comunità scientifica aveva già ammesso che da tempo l’uomo stava trasformando la Terra, lasciandosi dietro numerose prove stratigrafiche. Quindi, in pratica, il vero quesito a cui doveva rispondere l’AWG non era se, ma quando e su quali basi si sarebbe dovuto inserire l’Antropocene nella scala dei tempi geologici. Il GSSP dell’Antropocene poteva essere individuato all’interno di strati di sedimenti, di ghiaccio o di altri materiali, o addirittura essere definito cronologicamente da un GSSA. In ballo c’era anche la possibilità di identificarlo come un’età o un periodo, tuttavia l’approccio preferito era chiaramente quello di definirlo come un’epoca mediante un chiodo d’oro (Figura 13). Si stavano considerando diversi possibili marcatori.

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Figura 13. Possibile revisione del Quaternario per includere l’Antropocene. (a) Scala dei tempi geologici già esistente (GTS 2012; i numeri a destra corrispondono a milioni di anni). (b) Opzione 1: Finisce l’Olocene, segue l’Antropocene. (c) Opzione 2: Olocene sostituito dall’Antropocene, Olocene ridotto a uno stadio interno al Pleistocene (attualmente l’AWG non sta tenendo in considerazione questa ipotesi).

Paul Crutzen aveva ipotizzato che l’inizio dell’Antropocene (fine del XVIII secolo) fosse collegato alla Rivoluzione industriale, cioè quando l’uso di combustibili fossili aveva iniziato a causare un aumento delle concentrazioni di anidride carbonica nell’atmosfera al di sopra dei livelli soliti dell’Olocene. Basandosi su questa proposta iniziale, Will Steffen sostenne che l’Antropocene fosse ufficialmente iniziato a metà del XX secolo, periodo in cui si verificò la «grande accelerazione» delle attività umane. Il geologo William Ruddiman, invece, suggerì che l’Antropocene potesse risalire a centinaia di anni prima della Rivoluzione industriale, in seguito all’esteso disboscamento dei terreni per l’agricoltura che causò rilasci di anidride carbonica e metano, e potenzialmente anche cambiamenti climatici globali. Tutte queste proposte avevano offerto un possibile GSSP per l’Antropocene, eppure, da un punto di vista pragmatico e stratigrafico, solo una possedeva una base relativamente semplice e inequivocabile per un marcatore globale e stratigrafico di tipo isocrono: la diffusione del fallout radioattivo in seguito ai test sulle armi nucleari, iniziati con il Trinity Test del 1945.