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La Biblioteca Angelica aveva sede nell’ex convento degli agostiniani, proprio in piazza Sant’Agostino. Dal 1600 i frati si erano occupati di raccogliere, catalogare e preservare diligentemente circa duecentomila preziosi volumi. Marcus rammentava che era stata la prima biblioteca europea aperta alla pubblica consultazione. Ciò che vide una volta arrivato davanti all’entrata del palazzo lo costrinse a fermarsi.
Il fango della piena del Tevere era penetrato dal vestibolo fino al salone di lettura – il famoso Vaso vanvitelliano, dal nome dell’architetto che aveva ristrutturato il complesso nel XVIII secolo. I volumi che si trovavano negli scaffali più bassi erano ridotti a una poltiglia di carta grigia. Centinaia di testi di incalcolabile valore storico e artistico erano andati irrimediabilmente perduti. I pensili erano crollati e i tomi galleggiavano in una cloaca di acqua ristagnante.
Faceva eccezione la stanza blindata che conteneva gli incunaboli più preziosi.
Il penitenziere conosceva a memoria la combinazione per accedervi. Tante volte era stato lì a consultare libri sull’origine del male, alcuni proibiti per secoli. Sperava solo che le batterie che tenevano in vita i sistemi di sicurezza fossero ancora funzionanti per permettergli l’accesso.
Era così. Entrò nella saletta dove gli incunaboli erano custoditi in un microclima perfetto, né troppo secco né troppo umido. Di solito gli studiosi che chiedevano di consultarli indossavano guanti bianchi per poter maneggiare le pagine sottilissime, ricche di miniature, senza correre il rischio di danneggiarle irrimediabilmente. Ma Marcus non aveva tempo. Andò in cerca del testo che gli aveva chiesto Cornelius Van Buren durante l’ultimo incontro.
La Historia naturalis di Plinio il Vecchio.
Trovò il volume e lo avvolse in un panno di lino bianco. Quando aveva fatto la promessa, non aveva certo avuto intenzione di consegnare a quel mostro un simile tesoro dell’umanità. Glielo avrebbe fatto ammirare attraverso le sbarre della cella per poi riportarlo al proprio posto. Ma nelle ultime ore le cose erano cambiate. E se sacrificare un libro serviva per salvare Roma e, soprattutto, la vita di un bambino, allora poteva anche accettarlo.
Sistemò il delicato involucro sul serbatoio della moto, piazzandolo fra sé e il manubrio. Quindi ripartì. Fino a quel momento era sempre entrato in Vaticano con l’aiuto di Erriaga, sicuramente adesso era più difficile con la gendarmeria e le guardie svizzere che presidiavano ogni accesso per impedire agli estranei di invadere il perimetro del minuscolo Stato.
Ma Marcus conosceva lo stesso un modo.
Il Passetto di Borgo era un percorso sulle mura leonine che congiungeva i palazzi vaticani a Castel Sant’Angelo. In pratica si trattava di un viadotto che nei tempi passati aveva consentito al pontefice di raggiungere la fortezza in caso di pericolo. Il penitenziere lo percorse in senso inverso e, poco dopo, si ritrovò nuovamente all’interno dei giardini. Attraversò il bosco incolto e bussò alla porta del convento di clausura delle vedove di Cristo.
Venne ad aprirgli una suora che, come sempre, lo accompagnò in silenzio dall’ospite segreto della casa. Non era la stessa dell’ultima volta, notò Marcus. Nonostante la lunga tonaca e il drappo nero che le copriva il volto, vide che indossava scarpe diverse dalla consorella che l’aveva guidato quel pomeriggio. Non stivaletti allacciati fin sugli stinchi, bensì pantofole nere.
Quando Marcus si affacciò con la candela alla cornice delle sbarre, Cornelius era disteso al buio sulla branda.
«Non preoccuparti, sono sveglio» disse il prigioniero. «Con l’avanzare dell’età, dormo sempre meno e le giornate diventano insopportabilmente lunghe. Perciò mi fa piacere che tu venga a offrirmi un diversivo.»
Marcus infilò un braccio nella barriera di ferro e gli porse l’incunabolo. «Ho mantenuto la promessa.»
Van Buren si sollevò dal letto e, con occhi che brillavano di stupore, andò a prendere il libro. «Sono senza fiato.» Tornò al proprio posto e se lo posò in grembo. Lo liberò dal panno di lino bianco e lo osservò, rapito. «Che magnificenza, che miracolo!» Quindi sollevò la copertina di pelle cucita a mano e iniziò a sfogliare le rare miniature, sfiorandole appena col palmo della mano.
Marcus intravide i disegni e i ricami dorati che ornavano le pagine, ma era lì per altri motivi. «La tua felicità è già un premio per me, Cornelius» ironizzò. «Però sono pronto a riscuotere il mio compenso.»
Van Buren alzò lo sguardo dal libro. «Raccontami cosa sai di nuovo e ti aiuterò.»
Il penitenziere riepilogò per lui gli accadimenti delle ultime ore. Decise di non tralasciare nulla, la cautela poteva essere un lusso troppo grande visto il pericolo che correvano Roma e Tobia Frai.
«Così il bambino dopo nove anni è ancora vivo» prese atto alla fine Van Buren, come se il cuore di un serial killer potesse davvero apprezzare una simile notizia.
«Il mio timore, però, è che gli rimangano ancora poche ore» ammise Marcus. «Temo che vogliano ucciderlo stanotte.»
«E cosa te lo fa pensare?»
«Non lo so, ma credo che la Chiesa dell’eclissi voglia santificare questo giorno di distruzione con il sacrificio di una vita innocente.»
Cornelius valutò la cosa. «Il figlio di una suora è un simbolo molto potente» convenne.
«Per questo devo fermare il Maestro delle ombre. Ma, per arrivare a lui, devo prima trovare l’Alchimista.»
«Sarebbe necessario conoscere le dinamiche e i rituali della Chiesa dell’eclissi per capire il ruolo di questo personaggio, non credi?»
«Crespi, il commissario coinvolto con la setta, ha parlato di una specie di rito attraverso cui vengono istruiti gli adepti. Ha detto che i membri non si riconoscono fra loro perché indossano tuniche nere e sono tutti mascherati.»
Cornelius posò l’incunabolo accanto a sé, sul letto. Poi cominciò a passarsi una mano nella barba ispida. «Maschere e un alchimista» ripeté mentre rifletteva. «Nikolay e Penka Šišman» disse.
«L’Alchimista sono due persone?» si meravigliò il penitenziere.
«Aspetta, per favore» lo frenò Van Buren. «Ci sto ancora ragionando, ma è l’unica storia che mi venga in mente...»
«Raccontamela.»
«In principio, i Šišman erano una famiglia di principi bulgari che si era insediata a Roma secoli fa per sfuggire alla persecuzione dei cristiani attuata dai turco-ottomani. Facevano parte della corte pontificia rimasta fedele al papa anche dopo il 1870, quando questi venne privato del suo potere temporale. Nel 1968, però, Paolo VI decretò la fine della corte e dell’aristocrazia vaticana, ritenendole un inutile orpello del passato. I principi Šišman, che avevano pagato con l’esilio la propria fedeltà alla Chiesa di Roma, si sentirono offesi e umiliati. Insieme ad altri nobili, continuarono a far parte della cosiddetta Nobiltà Nera. I componenti di questa esigua schiera dal sangue blu si attribuirono il compito di ripristinare le tradizioni secolari e, con esse, i propri privilegi.»
«Cosa c’entra tutto ciò con i due Šišman che mi hai nominato?»
«Nikolay sposò Penka contro il volere della propria famiglia. Lei, che era una semplice insegnante, prese l’antico nome dei Šišman... Penka era una donna piena di vitalità, a Roma erano celebri le sue feste mascherate che si tenevano in un palazzo storico del centro. Nikolay, invece, era un tipo taciturno, dedito allo studio della scienza. Aveva sfidato i suoi genitori prendendo una laurea in chimica.»
Di colpo per Marcus fu tutto chiaro. «Le maschere di Penka, e l’Alchimista è un chimico.»
«C’è un’altra parte della storia che devi per forza conoscere, risale più o meno agli anni Settanta.» Van Buren abbassò lo sguardo sul pavimento della cella. «Quando era ancora molto giovane, Penka Šišman si ammalò gravemente. Suo marito la portò dai più grandi luminari per farla guarire. Quando i medici si dichiararono sconfitti, Nikolay si mise in testa di curare da solo il male della moglie. Girò il mondo in cerca di una qualche sostanza miracolosa e sperimentò sulla poveretta una serie di composti, alcuni di sua invenzione. Non voleva arrendersi all’evidenza che lo stava facendo impazzire. Ma poi, un giorno di settembre, Penka morì e i parenti dissero a Nikolay che Dio aveva ripristinato la giustizia delle cose.»
«Allora cosa accadde?»
«Accadde che Nikolay rinnegò la fede. Continuò a tenere in casa feste mascherate, ma con uno scopo diverso: ora ai suoi ospiti chiedeva di compiere rituali di magia, sedute spiritiche. La sua ossessione era mettersi in contatto con la moglie defunta, la donna che aveva tanto amato.»
«Che legame può esserci fra questa storia e la Chiesa dell’eclissi?» disse Marcus.
Cornelius lo guardò. «Cosa saresti disposto a fare per amore?» chiese, in modo volutamente provocatorio.
Il penitenziere, preso alla sprovvista dalla domanda, non rispose.
«Saresti disposto a vendere l’anima al Signore delle ombre?» Cornelius si mise a ridere. «Povero è il prete che vive nella tentazione.»
Marcus avrebbe voluto entrare nella cella e picchiarlo.
«Non ti adombrare se ti prendo un po’ in giro» disse il vecchio, poi tornò serio. «Hai detto una frase poco fa, ma non ti sei reso conto del significato delle tue stesse parole... Menzionando gli incontri degli adepti della Chiesa dell’eclissi, descritti dal commissario di polizia, mi hai rivelato che i partecipanti indossano maschere e tuniche nere. È corretto?»
«Sì.»
«Però rifletti: esiste comunque un modo per riconoscere qualcuno che è coperto dalla testa in giù.»
Marcus fu colto da un improvviso sgomento. Gli apparve l’immagine delle vedove di Cristo che ogni volta lo scortavano dal prigioniero. Aveva imparato a distinguerle dalle scarpe.
Per questo abbassò lo sguardo su quelle che aveva ai piedi.
Cornelius si compiacque che l’allievo ci fosse arrivato da solo. «Non c’è il rischio di essere riconosciuti se tutti indossano le stesse calzature.»
Scarpe di tela bianche, si disse il penitenziere. Ecco perché Crespi era tanto turbato dopo aver notato le sue. Anche il vescovo Gorda ne aveva un paio uguali. Allora c’era una sola spiegazione. «L’indagine di cui non ricordo nulla... Ero molto vicino a scoprire la verità.» Un altro dettaglio strappato al buio dell’amnesia. «Ecco perché c’erano queste maledette scarpe accanto ai miei vestiti quando mi sono risvegliato nel Tullianum.» Cosa era accaduto prima di allora? Forse aveva già risolto il caso, ma poi l’aveva dimenticato.
«Dovresti imparare a nascondere meglio la tua collera» affermò l’altro, vedendolo in quello stato.
Ma Marcus non aveva più voglia di ascoltare le lezioni del vecchio sacerdote. «Se Nikolay Šišman è l’Alchimista, dove posso trovarlo?»
Van Buren accarezzò l’incunabolo con la Historia naturalis. «Nel posto in cui si è rinchiuso dal giorno in cui sua moglie è morta.»