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Battista Erriaga era fermo in piedi davanti alla grande vetrata del suo lussuoso attico con vista sui Fori Imperiali.
L’esclusivo panorama era ingrigito dalla pioggia, ma il cardinale non se ne curava. Era assorto nei propri pensieri e intanto con le dita si rigirava l’anello pastorale intorno all’anulare della mano destra. Il gesto, che compiva quasi senza accorgersene, lo aiutava a riflettere.
Alle sue spalle scoppiettava il fuoco del grande camino di travertino rosa. Le fiamme si riflettevano danzanti sui divani bianchi e sulle pareti tutt’intorno, colorando i volti degli efebi di candido marmo o mescolandosi ai colori di un trittico sacro dipinto dal Guercino, già appartenuto nel XVII secolo alla collezione privata del cardinale Ludovisi, oppure al volto dolente di una Madonna del Perugino. A questi capolavori se ne sommavano altri del Ghirlandaio o di Antonio del Pollaiolo, Paolo Uccello o Filippo Lippi. Provenivano direttamente dai Musei Vaticani ed Erriaga, forte della sua posizione in seno alla curia, aveva preteso e ottenuto che arredassero il suo appartamento. Dopo aver trascorso un’infanzia e una giovinezza di fame e miseria nelle Filippine, adesso il cardinale amava posare il proprio sguardo solo sulla bellezza. Ma in quel momento le opere d’arte non gli procuravano alcun conforto.
La sua giornata era iniziata molto presto e nel peggiore dei modi.
E dire che la sera prima, dopo aver ascoltato le previsioni del tempo, aveva programmato di godersi il transito della tempesta al caldo di casa propria, sprofondato nella sua poltrona preferita in compagnia di Mozart, di una scatola di Montecristo n. 2 e di una bottiglia di Glenfiddich Rare Collection 1937.
Nonostante il clima di austerità che aleggiava da un po’ di tempo in Vaticano, Erriaga non intendeva rinunciare a una buona dose di piaceri materiali. E a differenza di altri colleghi cardinali che in pubblico avevano sposato una linea più sobria negli atteggiamenti e nell’abbigliamento, riservando i lussi al privato, lui se ne infischiava. Continuava a indossare tuniche di seta e mohair acquistate nelle sartorie di via dei Cestari, portava al collo croci d’oro tempestate di lapislazzuli e ametiste. E seguitava a frequentare i ristoranti dove di solito le alte sfere vaticane stringevano accordi col mondo politico e imprenditoriale della capitale, come L’Eau Vive al Pantheon, dove amava farsi servire i famosi Filets de perche à la pékinoise, o il Velando di Borgo San Vittorio, dove come dessert ordinava sempre il semifreddo di castagne con crema al torrone di cui era molto ghiotto. Ovviamente pasteggiava con i vini più costosi: prediligeva Chambolle-Musigny e Brunello di Montalcino. E tutto questo perché lui non era e non sarebbe mai stato come nessun altro.
L’Avvocato del Diavolo del Tribunale delle Anime possedeva un potere enorme.
Il «primo confessore» di Roma conosceva i peccati più segreti degli uomini. E se ne serviva per stringere patti e ammansire i nemici, fuori e dentro la Chiesa. Qualcuno avrebbe potuto definire «ricatti» i suoi banali ammonimenti, ma Erriaga amava assolvere il proprio operato pensando a sé come a un buon padre di famiglia, che a volte è chiamato a redarguire i propri figli distratti dalla retta via. Sosteneva, specie con se stesso, di perseguire uno «scopo superiore» che, chissà come, coincideva sempre perfettamente col suo tornaconto.
Ormai erano anni che Erriaga teneva in pugno mezza Roma grazie ai segreti di cui era a conoscenza.
Il fatto era che molti, dopo essersi macchiati di una nefandezza, commettevano un errore fatale: decidevano di sgravarsi la coscienza con un prete. I peccati capitali, che non potevano essere assolti da un comune sacerdote, arrivavano fino al Tribunale delle Anime, ultima istanza dei cattolici per ogni culpa gravis. Era così che il cardinale veniva a scoprirli. Erriaga era conscio fin dal primo momento che il penitente di turno ci sarebbe ricascato. Facevano sempre così: prima si ravvedevano, ed erano sinceri, ma per spingerli a ricominciare bastava una cosa sola.
Il perdono. Il perdono era il più grande nutrimento per la tentazione.
Erriaga rimpiangeva i tempi della Santa Inquisizione, quando i peccatori venivano puniti severamente e fisicamente per le loro malefatte. Era comprovato che molti alla fine si convertivano e non cedevano più alle lusinghe del demonio.
Il peccato veniva estirpato col dolore.
Purtroppo però, il cardinale non disponeva di simili strumenti di persuasione, perciò detestava quando le cose sfuggivano al suo controllo.
E, dalla sera precedente, due notizie lo avevano turbato nel profondo.
La prima era stata l’annuncio del blackout come conseguenza imprevista del maltempo. Il pensiero era subito corso a un preciso momento della storia. La profezia di Leone X, si era detto, e una strana inquietudine aveva iniziato a pervaderlo, come acqua gelata che scorre nelle vene.
La seconda notizia era giunta dopo il distacco della corrente, mentre si dibatteva in un sonno agitato da cui non riusciva a svegliarsi. In un primo momento aveva benedetto la voce del suo segretario che l’aveva liberato dai tormenti. Poi guardandolo si era reso conto di avere di fronte il messaggero di qualcosa di funesto.
Una morte improvvisa era avvenuta fra le mura del Vaticano.
Per quanto Erriaga non fosse un uomo superstizioso, era stato costretto a domandarsi se per caso i due eventi non fossero in qualche modo collegati.
La profezia... I segni...
Aveva scacciato subito l’idea con fastidio. Ma, per quanto cercasse di ignorarlo, quel pensiero aveva messo piccole radici nella sua mente, come una pianta infestante che continua a ricrescere ogni volta che viene estirpata.
Se non ci fosse stato il blackout, avrebbe chiamato il numero di una casella vocale che conosceva soltanto lui e avrebbe lasciato un messaggio. Invece aveva dovuto cavarsela diversamente. Si era spogliato della veste talare e aveva indossato l’unico abito borghese che conservava in fondo all’armadio. Lo usava quando voleva muoversi per le strade di Roma senza che qualcuno lo riconoscesse. Poi si era infilato un pesante giaccone e, calatosi un cappellino con visiera sulla testa, si era recato presso un indirizzo del rione Monti. Lì aveva atteso più del dovuto. Poi, stufo e impaziente, era tornato indietro lasciando un chiaro invito all’inquilino.
Una croce di ossidiana.
Rientrato in casa, aveva congedato la servitù per rimanere solo. Tale cautela era insufficiente, lo sapeva. Si stava esponendo comunque a un rischio, ma non aveva scelta.
In quel momento udì un lieve rumore alle proprie spalle. Una porta che si apriva, passi.
Gli avevano lasciato aperta l’entrata di servizio e Marcus aveva usato una scala secondaria per salire fino all’appartamento. Di solito si accedeva direttamente tramite un ascensore che al momento, ovviamente, non funzionava. Tuttavia non sarebbe stato opportuno usarlo anche se ci fosse stata la corrente. Il penitenziere sapeva che la sua presenza in quella casa era un azzardo. Il cardinale prendeva sempre diverse precauzioni prima di incontrarlo e sceglieva luoghi discreti o isolati. Anche se la sua identità e la sua missione erano un segreto, nessuno doveva collegarli. Se Erriaga si era scomodato ad andare a cercarlo fino alla soffitta e poi l’aveva convocato in casa propria, allora la ragione era seria.
Il cardinale si voltò a guardarlo. Marcus se ne stava immobile nell’angolo più buio della stanza, ai suoi piedi si era formata una piccola pozzanghera di pioggia che si allargava lentamente sul pavimento di marmo bianco di Carrara. Sul suo volto erano evidenti i segni di ciò che era accaduto quella notte. Non ne avrebbe parlato a Erriaga, non ancora. Ma dal suo sguardo immaginò il pensiero che gli stava passando per la mente. Cioè se, in quello stato, poteva ancora fidarsi di lui.
«Stanotte è morto un uomo» disse il filippino. «Non uno qualsiasi. Era un uomo potente» ci tenne a sottolineare. «Uno di quelli che, di solito, pensano di essere immortali. E infatti è morto in un modo molto stupido.»
Marcus notò che il cardinale cercava di mascherare qualcosa col sarcasmo e il consueto disprezzo. Forse era paura?
«Conoscevi il vescovo Gorda?»
Il volto gli apparve in mente all’istante. Era impossibile non conoscere Arturo Gorda. Era stato il capo carismatico di una potente congregazione che organizzava raduni spirituali. Immense distese di persone raccolte in preghiera. Gorda era un uomo di speranza, un paladino dei poveri, dei disadattati. Capace come pochi di accendere le folle con una parola, un gesto.
In Vaticano ci avevano messo un po’ a riconoscerne i meriti. Era percepito come un personaggio scomodo, non inquadrato, lontano da determinate logiche politiche. Era stato promosso e ammesso alla curia di Roma solo quando era già avanti con gli anni. Forse perché ormai non poteva più ambire al Soglio di Pietro. Gorda, però, era tenuto in grande considerazione dal pontefice, che lo voleva sempre accanto a sé. Gli aveva fatto riservare una piccola dépendance nel Palazzo apostolico, accanto ai propri appartamenti. Era molto più di un semplice consigliere. Quando parlava, dalla sua bocca si udiva la stessa voce del papa.
I potenti facevano a gara per farsi ricevere da lui. Ma Gorda preferiva essere popolare fra la gente comune. Era amato e, nonostante i privilegi a cui avrebbe avuto diritto, conduceva un’esistenza morigerata.
Per questo motivo, e altro ancora, il vescovo era l’esatto opposto di Battista Erriaga. E che i due non si amassero affatto non era un segreto. Ma la morte del rivale non consolava il cardinale. Anzi, per il momento e le modalità con cui era arrivata, era da considerarsi un problema.
«Gorda ha lasciato un segno» disse Erriaga. «Qualcuno intravedeva in lui le qualità di un santo. Nessuno si sarebbe scandalizzato se dopo la morte fosse stato elevato agli onori degli altari.» Il cardinale l’avrebbe preferito, ed era sincero mentre lo pensava. «Invece, dopo stanotte...»
Erriaga si avvicinò al prezioso scrittoio del Settecento napoletano su cui Pio IX aveva vergato la bolla Ineffabilis Deus. Marcus scorse sul ripiano alcune Polaroid sparse. Il cardinale le aveva fatte scattare dagli uomini della gendarmeria pontificia subito dopo il ritrovamento del corpo. Le raccolse frettolosamente e poi le porse al proprio ospite con un gesto sbrigativo, quasi volesse mettere una distanza fra sé e le immagini.
Marcus le prese e cominciò a visionarle.
«Hanno dovuto spiegarmi cosa fosse, altrimenti da solo non ci sarei arrivato» affermò Erriaga. «La chiamano ’la gogna del piacere’. Pare sia una pratica di autoerotismo bondage. Un aggeggino interessante, non trovi?»
Nelle foto si vedeva un uomo anziano rannicchiato sul pavimento, nudo. Sul capo del cadavere, un visore per la realtà aumentata che mascherava gran parte del volto. L’apparecchio era collegato con un cavetto a un collare di cuoio che stringeva la gola della vittima.
«Sembra che alcuni individui provino piacere a farsi strangolare» affermò il cardinale. E Marcus ripensò al senso di soffocamento sperimentato quella mattina nel Tullianum. «Mentre sul visore scorrono immagini pornografiche, l’eccitazione sessuale aumenta. Alcuni sensori lo percepiscono e stringono progressivamente il collare provocando una lenta asfissia che – dicono – accresce il godimento.»
Marcus era alquanto sorpreso nell’ascoltare una simile descrizione dalle labbra del cardinale che, invece, sembrava non curarsi affatto della singolarità della cosa e continuava a parlarne con naturalezza.
«Nessuno poteva sospettare che il vecchio avesse l’abitudine di rinchiudersi nel proprio studio a guardare immagini depravate e a masturbarsi con l’aiuto di quell’affare.»
«Chi dice che stesse guardando pornografia?» osservò Marcus. Era la cosa più ovvia, ma lui non voleva accettarla.
«Hai ragione» dovette ammettere Erriaga, nessuno poteva confermarlo visto che il ritrovamento del corpo era avvenuto dopo l’inizio del blackout. «Ma, in fondo, per un sant’uomo che differenza fa? Gorda avrebbe dovuto andarsene come un martire, invece è morto come un cane.» Pronunciò l’ultima parte della frase con un tono cupo, accusatorio. Proprio come quando, in seno al Tribunale delle Anime, portava a termine la requisitoria su un peccatore. Era capace di condizionare il giudizio finale con la sola inflessione della voce.
Marcus non intervenne, né domandò nulla. La storia era già assurda di per sé.
Il cardinale si avvicinò al grande camino e si appoggiò con una mano alla mensola che lo sovrastava. Il bagliore del fuoco adesso si divertiva a disegnare ombre sinistre sul suo volto. «Gorda non usciva più da anni, ormai. Era agorafobico. Adesso il mondo vorrà conoscere la verità sulla sua fine.» E solo per questo motivo, Erriaga ringraziava il cielo per il blackout che avrebbe impedito ai media di diffondere subito la notizia della morte.
«Perché noi? Perché io?» chiese Marcus.
Con chiunque altro, Battista Erriaga avrebbe liquidato con irritazione una simile richiesta di spiegazioni. I suoi ordini non si discutevano, si eseguivano e basta. Ma Marcus non era un normale sottoposto. Ed era un prete pericoloso. Era stato addestrato a dare la caccia al male. Avrebbe dovuto celebrare i sacramenti come un comune sacerdote, invece gli era stata assegnata la più ardua delle missioni: conoscere e contrastare la reale natura dell’uomo. Alla lunga, qualcosa di quella bruma ombrosa in cui era abituato a investigare gli si era inevitabilmente appiccicato addosso. Erriaga lo intuiva dal suo sguardo immobile, dagli occhi cavernosi che non smettevano mai di scrutare ciò che avevano intorno. Il fine di Marcus, ultimo componente dell’Ordine dei penitenzieri, era quello di ripristinare il bene. E spesso ci riusciva. Ma la sua sete di giustizia poteva nascondere un’ansia di vendetta. Il cardinale non era disposto a sperimentare la fondatezza del proprio timore, perciò disse: «La fine di Arturo Gorda rischia di oscurare la nobiltà della sua opera. E allora sarebbero i poveri e i bisognosi a pagarne il prezzo, non sarebbe giusto». Sperò che quella spiegazione bastasse a placare la curiosità del penitenziere. Non poteva certo dirgli che le ragioni erano altre, che qualcosa quella notte lo aveva gettato in una condizione di oscura prescienza. La profezia di Leone X, si ripeté, con lo sguardo perso nel fuoco del camino. «Ogni essere umano è peccatore. Ogni peccato è anche un segreto. Alcune colpe è giusto che muoiano con noi. Ma la morte spesso è impudica e si diverte a svergognarci. E a sporcare irrimediabilmente ciò che siamo stati in vita.»
Marcus sapeva che il discorso del cardinale riguardava anche lui: un prete che custodiva sotto il cuscino la foto di una donna. «Cosa vuole che faccia?» domandò.
Erriaga si ridestò, fissandolo. «Le pulizie.»