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Crespi uscì dal formicaio senza che nessuno lo notasse. Portava con sé un borsone scuro da palestra.
Il posto dell’appuntamento era in via Condotti, la prestigiosa strada che conduceva a uno degli indirizzi più ambiti della terra: piazza di Spagna.
La via era celeberrima anche perché ospitava le boutique delle principali griffe italiane e internazionali, nonché diversi negozi di lusso.
L’Antico Caffè Greco era l’unica eccezione. Fondato nel 1760 da un caffettiere di origini levantine, era diventato col tempo un cenacolo culturale, ritrovo di intellettuali e artisti di ogni genere. Oltre che per l’ottimo espresso, il locale era rinomato per gli arredi – le pareti in rosso pompeiano, i tavoli di marmo grigio, le sedie di velluto, le lampade liberty e déco, le specchiere e i dipinti con le cornici dorate.
Crespi aveva esattamente questa immagine nella testa mentre raggiungeva la destinazione. Aveva con sé una torcia, ma non l’aveva ancora accesa per paura di essere localizzato da qualche gruppo di facinorosi. Lo fece solo quando arrivò sul posto. Stentò a riconoscere l’antro nero che si ritrovò davanti. Ogni cosa era stata sfregiata dall’ignoranza e dalla bestialità degli sciacalli. Lo stesso destino era toccato agli altri esercizi commerciali della via. Svaligiate le gioiellerie di Bulgari e Cartier, depredati Gucci, Prada, Dior e Vuitton. Ma la vista peggiore si palesò quando fece scorrere il raggio di luce su piazza di Spagna. Era irrimediabilmente mutilata. La monumentale scalinata barocca era un parcheggio di rottami: si erano divertiti a scendere i centotrentacinque gradini bianchi con le auto. La famosa fontana conosciuta come «la Barcaccia» era stata in parte rasa al suolo da una Mercedes.
Crespi si addentrò nell’antro che una volta era il caffè più bello di Roma. Nulla era stato risparmiato. Appoggiò per terra il borsone da palestra e si piegò a raccogliere un frammento delle gloriose tazzine di porcellana con il logotipo del locale. Chissà quanti avevano posato le labbra su quel bordo liscio e spesso, alla ricerca di un nobile piacere. Scosse il capo, avvilito.
«Da questa parte» si sentì chiamare.
Camminando su una distesa di cocci di vetro e pezzi di legno e marmo, giunse nella sala Omnibus, dove alle pareti erano raccolte le placchette in gesso che testimoniavano il passaggio di ospiti illustri – da Apollinaire a Bizet, Canova, Goethe, Joyce, Keats, Leopardi, Melville, Nietzsche, Mark Twain e Orson Welles, se avesse dovuto citarne alcuni. Ormai erano polvere bianca sospesa in aria sopra le macerie.
Sandra era in piedi in mezzo alla stanza. Le puntò contro la torcia. Era scalza, aveva un abito da sera nero strappato in più punti e le mani infilate nelle tasche di una felpa col cappuccio. I capelli e il viso erano sporchi di fango. Il suo aspetto si intonava con la distruzione che avevano intorno. Erano soli.
«Ho portato ciò che mi hai chiesto» disse mostrandole il borsone.
«Bene, appoggialo sul pavimento.»
Crespi obbedì.
«Sono qui per aiutarti, commissario. Ma prima devo capire quanto sei coinvolto...»
Il poliziotto tacque, poi si slacciò la cintura e si abbassò i pantaloni all’altezza del fianco sinistro.
Sandra vide il tatuaggio del cerchio azzurro. «Non posso scordare ciò che hai fatto per me in questi anni, perciò ho deciso che sono ancora tua amica.»
«Vorrei poterti credere, Vega» disse l’altro mentre si risistemava i pantaloni.
«Per radio hai detto che ne vuoi uscire, no?»
Crespi tirò fuori la pistola. «Chi mi assicura che non sei dei loro? C’era la tua foto sul telefonino del taxi.»
«Se la pensi come Vitali, allora perché sei venuto?»
«Perché devi dirgli di lasciarmi in pace.» Crespi si sentì piagnucolare, si detestò per questo, ma non poteva farci niente: non aveva mai avuto così tanta paura in vita sua. Era confuso, stanco, ma colse lo stesso il movimento degli occhi di Sandra. Si erano spostati verso il buio alla sua destra. Perché?
Il commissario non fece in tempo a voltarsi che l’ombra gli era già addosso. Gli bloccò il braccio e si impadronì della pistola, quindi gli cinse la gola in una morsa.
Sandra avanzò di un passo. «Non serve» disse recuperando la torcia che era caduta al poliziotto. E Marcus lo lasciò andare.
Crespi cadde in ginocchio e cominciò a tossire. Sollevò lo sguardo sull’uomo che l’aveva disarmato. Ci mise un po’ a riconoscerlo. Si erano incontrati anni prima, al tempo del caso del mostro di Roma. Non sapeva chi fosse, ma quella volta l’aveva aiutato. Che ci faceva insieme a Sandra Vega?
«Sto aspettando una spiegazione» disse la poliziotta.
Il commissario si massaggiava la gola. «Non so chi crediate che io sia, ma la verità è che non conto nulla per loro.»
«Perché hai paura?» chiese Sandra puntandogli addosso la torcia.
«Ieri sera, subito dopo che la tv ha annunciato il blackout di oggi, sono stato convocato al formicaio. Sono uscito di casa per prendere la macchina e mi sono accorto che l’avevano forzata. Ladri, ho pensato subito. Quando ho controllato, però, avevano lasciato tutto ciò che poteva avere un minimo valore e, invece, avevano portato via un mazzo di chiavi e un taccuino che tenevo nel cruscotto per annotarmi le cose.»
Sandra e il penitenziere si guardarono. Ecco dove Marcus aveva trovato il libriccino e, soprattutto, le chiavi dell’archivio dei casi irrisolti in cui avevano rinvenuto le foto del rapitore di Tobia Frai.
Marcus avrebbe voluto ricordarsi del momento in cui, nel corso della sua indagine dimenticata, aveva scassinato l’auto del commissario. Ma sapere che era accaduto non bastava a far riaffiorare i ricordi: la sua breve amnesia sembrava irreversibile.
«Perché un piccolo furto ti ha spaventato tanto?» Sandra non capiva.
«Tu non li conosci» disse Crespi, sussurrando come se potessero sentirlo. «Loro non minacciano mai platealmente. Si limitano a mandarti un piccolo segnale... Quando nel video del telefonino ho visto come hanno ammazzato il drogato con il mio stesso tatuaggio, ho capito che era la fine. Per questo ho deciso di metterti sulla pista giusta.»
«Chi sono gli altri membri della Chiesa dell’eclissi?» chiese Marcus.
«Non lo so» rispose Crespi, come se fosse ovvio. «Riceviamo gli incarichi durante incontri periodici in cui tutti indossano una tunica nera ma anche una maschera. Così viene preservata la segretezza.»
«Chi attribuisce questi incarichi?»
«Li chiamiamo il Vescovo, il Giocattolaio e l’Alchimista.»
Marcus aveva già scoperto l’identità dei primi due, ma il terzo gli mancava. «Sono loro che comandano?» lo incalzò.
«No.» Crespi si guardò intorno, come se dal buio potessero spuntare all’improvviso delle gigantesche fauci pronte a sbranarlo. «Sopra ognuno di noi c’è il Maestro delle ombre.»
Sandra non riusciva a credere che l’uomo che aveva tanto stimato nascondesse un così turpe segreto. A lei toccò la domanda più dolorosa. «Che fine ha fatto Tobia Frai?»
«Io non so niente del bambino. Mi hanno solo incaricato di conservare una cosa, e io l’ho fatto.»
«Che cosa?» chiese Marcus.
«Una valigia. Ma non so che cosa c’è dentro, lo giuro.»
«E dov’è adesso?»
«La tenevo in cantina, ma stanotte l’ho spostata.» Il commissario temporeggiava.
«Ti ho chiesto: dove si trova?»
Sotto pressione, Crespi abbassò lo sguardo. E solo in quel momento notò i piedi del penitenziere. Il terrore proruppe sul suo volto. «Dove hai preso quelle?»
Marcus non capiva.
Crespi indietreggiò. «Chi ti ha dato quelle?» Indicò col braccio le scarpe di tela bianche. Perché lo intimorivano tanto? «Non me lo ricordo» disse Marcus.
L’anziano poliziotto si voltò verso Sandra. «Mi hai tradito» la accusò.
Lei si chinò accanto a lui, gli mise una mano sulla spalla. «Nessuno ti ha tradito. L’unica cosa di cui sono certa è che lui non è un nemico. Vuoi che si spogli per dimostrarti che non ha alcun tatuaggio?»
Crespi ci pensò un momento. «No» disse. «Tanto, fidarmi di voi è l’unica possibilità che mi resta...»
«Allora, dove hai messo la valigia?»
«Proteggetemi e ve lo dico.»
«Devi raccontarci anche il resto.»
«A tempo debito e alle mie condizioni» affermò il commissario. «Ogni volta che vorrete qualcosa, io vi chiederò qualcosa in cambio.» Crespi sapeva che la sua anima era spacciata, ma poteva ancora salvarsi la vita.
«E sia» disse Marcus, e afferrò i manici del borsone da palestra che il commissario aveva con sé. «Ti porteremo in un posto sicuro.»
Con la torcia di Crespi, tornarono alla casa «staffetta» di via del Governo Vecchio.
La meta era ubicata fra Castel Sant’Angelo e piazza Navona, nei luoghi più colpiti dall’inondazione. Marcus non era così certo che l’avrebbero raggiunta. Ma arrivati nei pressi di piazza Sant’Eustachio, avevano visto che da lì in poi le acque si erano ritirate rapidamente, lasciando dietro di sé rifiuti di ogni genere e macerie. Per terra giaceva uno sterminato tappeto di oggetti quotidiani – Sandra notò una pantofola, un mestolo, una bambola. Il tutto impastato con il fango.
Sandra, Marcus e Crespi affondavano nella melma che a volte arrivava fino alle ginocchia. Impiegarono più di un’ora a giungere a destinazione. La zona era devastata, per questo era sicura. Nessun vandalo né balordo con lo sguardo vuoto avrebbe avuto interesse ad andare lì.
Sandra fece strada a Crespi nell’angusto appartamento. Davanti al camino c’erano ancora i resti del piccolo picnic che aveva imbastito per sé e Marcus. «Di là troverai qualche scatoletta di tonno e dei cracker» lo informò, rammentando ciò che avevano mangiato. «Ci sono anche delle bottigliette d’acqua.»
«Voglio solo fumare» rispose Crespi. Estrasse un pacchetto di sigarette dalla giacca. A quanto pareva, il commissario aveva proprio deciso di riprendere sul serio il vizio.
Marcus aveva aperto il borsone con la roba che Sandra aveva richiesto a Crespi. All’interno, torce elettriche e batterie di ricambio, una tuta e delle scarpe da ginnastica per lei, due pistole – un revolver e un’automatica – e, infine, una coppia di telefoni satellitari. Erano un modello superato. «Ti avevamo chiesto due radiotelefoni, che ce ne facciamo di questi?»
«Andranno bene» lo rassicurò l’anziano poliziotto. «E poi non c’era di meglio.»
«Adesso sei al sicuro. La valigia.» Sandra gli rammentò l’accordo.
«L’ho lasciata in un albergo, alla stazione Termini. Hotel Europa, stanza centodiciassette.» Crespi si frugò in tasca, recuperò la chiave e gliela consegnò.
Sandra sospirò, era delusa. «Perché?»
Il commissario abbassò gli occhi. «Avanti, crocifiggimi...»
«Pensavo che credessi in Dio, che fossi un buon cristiano...»
L’uomo si sedette e aspirò la sigaretta. «L’ostia nera...» disse, poi sollevò nuovamente lo sguardo su di loro. «Dio ha abbandonato l’uomo su un piccolo pianeta nell’immenso universo. L’ha circondato di una natura bellissima ma ostile. Poi si è nascosto e se n’è rimasto in silenzio a guardare... Ci ha lasciati qui, soli e impauriti, a domandarci: ’Perché siamo in questo luogo?’, oppure: ’Da dove veniamo? Dove andremo?’ Quale padre farebbe una cosa del genere a un figlio?» Cercò nei loro volti un po’ di comprensione, non ne trovò. «Il Signore delle ombre, invece, ci ha restituito la conoscenza... Chi assaggia la sua comunione, riceve in cambio il dono del sapere.»
Sandra ricordò le frasi in aramaico pronunciate dal drogato. «Quale conoscenza?»
«Per ognuno una cosa diversa» puntualizzò Crespi. «Ci sono uomini che chiedono di sapere cose lontane da loro, altri vogliono semplicemente guardare in se stessi e scoprire chi sono veramente. Io, per esempio, ho chiesto all’ostia nera di svelarmi il significato della mia vita.»
«Hai ottenuto la risposta che cercavi?» domandò Marcus con disprezzo.
«Sì» affermò l’altro con orgogliosa sicurezza.
«Puttanate» disse Sandra. Era sicura che ci fosse dell’altro. Conosceva troppo bene il commissario per sapere che non era facile corromperlo.
Crespi si mise a ridere. «Va bene, tanto ormai...» Sapeva che non l’avrebbe ingannata. «Molti anni fa ho ammazzato una donna.»
Sandra rimase spiazzata dalla rivelazione.
«Non l’ho fatto apposta, è stato un incidente. L’ho investita con la macchina ma poi sono scappato via.» Fece una pausa e li guardò. «Era incinta, sapete? Una bambina.»
«Non capisco il nesso» disse la poliziotta, sprezzante.
«Io l’ho capito col tempo... Dio ha fatto fare a me una cosa tremenda, al posto suo. Forse perché non gli andava, non lo so perché abbia scelto proprio me.» Tirò fuori un fazzoletto dalla tasca e lo usò per soffiarsi il naso. «Avrebbe potuto prendersi quella donna e sua figlia in tanti modi. Una malattia, per esempio, o una complicazione della gravidanza. Invece ha voluto che fosse qualcun altro a fare il lavoro sporco. Un figlio devoto di cui non gli fregava nulla.»
Sandra era scandalizzata dal pressappochismo di quell’uomo. «E tutto ciò vale il sacrificio di vittime innocenti? Valeva l’uccisione di Tobia Frai? Perché l’avete ucciso, non è vero?»
Crespi scosse il capo rabbiosamente. «Voi non avete provato che significa, perciò non potete comprendere fino in fondo. Quanto è forte il tuo desiderio di verità? Fino a che punto sapresti spingerti per squarciare il velo ingannevole dell’oblio?» Gli occhi del poliziotto sembravano quelli di un invasato. «Con quale presunzione ti definisci un uomo probo, un buon cristiano, se non hai mai sperimentato il male e l’iniquità?»
Marcus ripensò al vescovo Gorda. Aveva voluto mettersi alla prova. C’era una parte malvagia in lui, il vecchio prelato lo sapeva, e forse c’era un modo per farla emergere. Allora perché non tentare?
«Come puoi avere il coraggio di guardare negli occhi i tuoi figli o la donna che ami se non sei sicuro di te stesso? Se non sai nemmeno chi sei? Io dovevo sapere se era davvero colpa mia o se Dio aveva agito attraverso me perché nessuno potesse poi attribuirgli la responsabilità della morte di una donna incinta. E, alla fine, l’ostia nera mi ha svelato la verità.» Crespi assomigliava a un predicatore in cerca di proseliti. «Il Signore delle ombre ha parlato per mezzo del Maestro... Il Vescovo, il Giocattolaio e l’Alchimista sono al servizio del Maestro delle ombre.» Il fervore si placò. «Il resto dopo. Questi erano i patti.»
Marcus scosse Sandra per una manica. «Cambiati e andiamo» disse.
Lei allungò una mano verso Crespi. «Il distintivo.» L’anziano commissario glielo consegnò senza fiatare. Prima di allontanarsi, Sandra lo guardò ancora una volta. «Il tuo dio nero ti ha già dimenticato, miserabile uomo.»
Attese in silenzio che fossero usciti. Rimasto solo in casa, Crespi poteva solo fare i conti con la propria coscienza. Forse avrebbe dovuto dirgli subito del morbo. Ma ormai era andata così.
Si mise a fumare accanto al camino spento. Terminò il pacchetto in meno di mezz’ora. Poi si guardò intorno. Cos’era quel posto? C’erano un vecchio pc e un telefono collegato a una linea domestica. Era l’abitazione dell’uomo che stava insieme a Vega? Non sembrava che ci vivesse davvero qualcuno. Decise che forse era meglio dare un’occhiata in giro.
Con una candela si mise a perlustrare l’appartamento. La cucina, il bagno, la camera da letto. Sembrava più una tana che una casa. Ma poi si imbatté in una porta chiusa. Provò ad aprirla, ma niente. Desistette e tornò in cucina, alla ricerca delle scatolette di tonno e dei cracker di cui aveva parlato Sandra. Stava rovistando nella credenza, ma si fermò. Si era reso conto che non riusciva a sopportare quel dubbio, gli eventi delle ultime ore l’avevano reso paranoico. Perciò andò di nuovo verso la porta e stavolta provò a forzarla. Sembrava chiusa dall’interno.
Trascorse i successivi minuti seduto in soggiorno. Attraverso la luce della fiammella, fissava intensamente la stanza proibita. Proprio non riusciva a ignorarla.
Alla fine si alzò di scatto dal proprio posto, afferrò un attizzatoio dal camino e si diresse deciso verso la porta. Usò lo strumento come leva sullo stipite e scassinò la serratura. Avvertì come un alito di aria gelida liberarsi dall’antro scuro. Con la candela esaminò l’interno. Non c’era nulla d’interessante, solo una stanza vuota con un grande armadio di legno.
Ma era sigillato col nastro isolante.
Crespi si addentrò nell’ambiente e si avvicinò al mobile, domandandosi cosa potesse contenere. Non riuscendo a farsi una ragione del nuovo mistero, decise di controllare di persona. Strappò il nastro e spalancò le ante. Da un ripiano cadde un enorme sacco nero che gli rovesciò addosso una cascata di polvere scura. La candela si spense, e la porta alle sue spalle si richiuse con un colpo secco.
«Ma che cazzo...» protestò. Poi tornò indietro e cercò di aprire, inutilmente. C’era una seconda serratura e adesso era bloccata. Si frugò in tasca in cerca dell’accendino, lo trovò e riaccese la candela.
La nuvola grigia si era in parte depositata sul pavimento e le pareti tutt’intorno. Ma era così leggera che, ogni volta che lui faceva anche un piccolo movimento, tornava a sollevarsi. Che roba era? Si piegò per verificarla al tatto. Cenere, si disse.
E, senza accorgersene, cominciò a inalarla.