25.
China arriva a El Campito senza grosse difficoltà, a parte aver trovato le mutandine della sua ex amica nel vano del cruscotto dell’auto del suo ex fidanzato. Perché qualcuno, guidatore o passeggero, deve mettere un paio di mutandine nel cruscotto assieme al libretto di circolazione e alla chiave inglese per svitare i bulloni delle ruote? Non è nelle condizioni di trovare una risposta, e neppure di pensarci su. Ha problemi più urgenti da risolvere, adesso che si trova nel Santuario de la Virgen del Rosario. Si chiama così, la Madonna di El Campito. Lo sa perché risulta con quel nome sul Gps del cellulare quando ha localizzato il posto prima di partire da Buenos Aires. Quando aveva digitato: “El Campito San Nicolás”, niente da fare. Il sistema aveva invece riconosciuto “santuario San Nicolás”. E aggiunto il nome della Virgen del Rosario. Era comparsa l’indicazione: 237 chilometri e 2 ore e 35 di viaggio. Ci ha messo solo cinque minuti in più. Ha parcheggiato davanti al posto, per decidere come proseguire. Questo è soltanto un punto di riferimento, quel poco che Román le ha potuto fornire come pista attraverso la pagina web del canale televisivo. Non è la destinazione finale. Adesso non le resta che perlustrare le strade limitrofe fino a rintracciare il mobilificio dello zio. Ammesso che si tratti di un mobilificio. Scommette di sì. Si concede un attimo per radunare le forze e inizia a cercare. Percorre le strade dei dintorni guidando in un senso e nell’altro. Procede a meno di venti chilometri all’ora per poter controllare bene entrambi i lati. Qualche frettoloso le suona il clacson. Lei non si scompone, nessuno può avere un’urgenza maggiore della sua. Se entro tre minuti non compare quello che sta cercando, chiederà a qualcuno. Si pone questo limite: tre minuti. Sebbene, se l’ansia glielo permetterà, potrebbe anche aumentarlo, perché meno chiede in giro e meno si fa notare, meglio è. Non ha ancora capito bene cosa stia succedendo con Román, tuttavia, di qualunque cosa si tratti, conviene trovarlo senza richiamare l’attenzione.
Sebastián risponde al cellulare. Lo avvisano che l’auto noleggiata è a disposizione nel parcheggio di Pragma. Un’auto cara, ma che gli permetterà di muoversi velocemente in caso di fuga. Non si sa mai. Ma sarà così, arrivato a questo punto ha ben pochi dubbi. Grigia, ha faticato a far capire a quelli dell’autonoleggio che l’auto doveva essere grigia. Una lunga conversazione che gli ha lasciato il cellulare con appena il quindici percento di batteria. Deve ricordarsi di prendere la batteria supplementare per ricaricarlo lungo la strada. Ha dovuto sprecare almeno cinque minuti per ottenere il colore desiderato. Era impensabile dover fuggire su un’auto rossa, nera o bianca. Su qualsiasi strada, in qualsiasi città, la maggior parte delle auto è grigia. E la sua deve passare inosservata in mezzo alle altre. Intende partire immediatamente per San Nicolás, anche se prima deve sistemare i documenti, le diapo e il proiettore che ha usato per la presentazione nella sala riunioni più piccola, quella che usano quando si riuniscono al “tavolo ristretto”. E lo sta facendo adesso, suo malgrado. Lui avrebbe chiuso tutto a chiave nel suo ufficio, non vuole che qualcuno ficchi il naso nel proprio lavoro senza che sia sotto il suo controllo. Ma Rovira gli ha detto di lasciare il materiale lì, a disposizione, nel caso che qualche giornalista chiedesse ulteriori informazioni. E visto che lui sarà assente, meglio così, sarebbe peggio se lo cercassero. Non vede l’ora di partire e incontrarsi con Román, comunque non ha dubbi di aver fatto la cosa giusta, era preferibile andare al pranzo a cui lo ha invitato il leader di Pragma e lasciare tutto a posto come gli ha chiesto, per non suscitare sospetti.
“A San Nicolás? E da dove lo hai tirato fuori questo dato?” sente dire a Rovira mentre si apre la porta.
Sebastián si mette in allarme. Fernando Rovira è in compagnia di Vargas e di una donna. Ha appena fatto questa domanda a uno dei due.
“È tutto a posto, Sebastián? Pensavo che questa sala fosse già libera.”
“Quasi,” risponde lui.
“Ti presento mia madre, non so se la conosci già…”
“No, credo di no. Se ci fossimo incrociati me la ricorderei,” dice lui con galanteria, e si fa avanti per salutarla. “Buongiorno, signora, sono Sebastián Petit.”
“Igréne, piacere.”
“Come va, Vargas?” continua lui con i saluti.
“Tutto sotto controllo,” risponde l’uomo.
“Dimmi, Sebastián: ti dispiacerebbe lasciarci da soli per qualche minuto, che dobbiamo parlare di una certa questione? Solo pochi minuti.”
“Ma sì, certo. Come no. Mi mancava solo di sistemare due o tre cosette da nulla. Torno quando avrete terminato e finisco.”
“Ottimo, grazie.”
Sebastián Petit esita, sa che deve andarsene subito ma non può farlo senza prima verificare cosa stiano tramando quei tre, perché Rovira abbia detto “San Nicolás”. E se ciò di cui vogliono parlare abbia a che vedere con Román Sabaté o se si tratti soltanto di una casualità che alimenta la sua paranoia. Allora, prima di uscire, con un gesto veloce finge di controllare il cellulare, mette la modalità aereo per impedire che entrino le chiamate e attiva il registratore. Poi lo fa scivolare in mezzo a una delle pile di fogli a cui stava lavorando. E lo lascia lì, a registrare quello che diranno quando lui non sarà presente. Adesso, finalmente, si dirige alla porta.
“Torna tra dieci minuti, ne abbiamo per poco.”
“Perfetto. Torno tra dieci minuti, allora.”
Esce e prega che la batteria duri abbastanza da poter verificare perché si riferiva a San Nicolás. E confermare i suoi sospetti: lo sanno anche loro che Román Sabaté si nasconde lì.
Se è così, Sebastián Petit dovrà agire più rapidamente del previsto.
“Mobilificio Sabaté” legge China al di sopra di una vetrina quando non ha ancora percorso neanche la metà delle strade previste. È sicura che sia quello. Oggi ha fortuna. O una fortuna relativa, perché non appena entra nel negozio, la donna che sta chiedendo le misure di un tavolo da cucina la riconosce.
“Ma tu non sei quella del telegiornale?”
L’uomo che la stava servendo si mette in allerta. Lei lo guarda senza rispondere. Lo sguardo che le rivolge lui basta a confermarle che è lo zio di Román.
“Benvenuta a San Nicolás,” aggiunge la donna. “Quando lo racconterò alle mie amiche…”
“No, no. Non sono io. Probabilmente le somiglio molto, non è vero? Mi è già capitato altre volte che le persone mi scambino per lei.”
“Identiche!” conferma la cliente con entusiasmo.
“Qui ti ho annotato le misure e il prezzo,” le dice Adolfo nel tentativo di liberarsene.
“Ah, perfetto, grazie. Prendo le misure della mia cucina e ti confermo se fa al caso mio.”
“Altrimenti, ne faccio fare uno su misura per te, non preoccuparti.”
“Non voglio che lo faccia fare a qualcun altro. Voglio che me lo fai tu.”
“Ti costerà più caro…”
“Sono una cliente affezionata, mi farai un buon prezzo. Non è forse identica alla ragazza di TvNoticias, Adolfo?” insiste la donna, che prima di uscire dal negozio si avvicina a China e la prende sottobraccio.
“Non lo so, io non guardo mai TvNoticias. È troppo filogovernativa per i miei gusti.”
“Identica…” ripete la donna. “Separate alla nascita…” Poi saluta e se ne va.
China e Adolfo si guardano in silenzio mentre la donna esce. Nessuno dei due deve spiegare all’altro chi è né perché se ne stiano lì in piedi, ognuno su un lato dello stesso divano a due posti in ecopelle color avorio, provando uno spavento superiore a quello che vogliono mostrare.
“Vieni, ti porto da Román,” dice lui.
“Come sta?” chiede lei.
“Secondo me, è meno preoccupato di quanto dovrebbe. Ti sta aspettando. Mi auguro che voi due sappiate quello che state per fare.”
China gli sorride, ma non annuisce, mentre si infilano nel corridoio che separa il mobilificio dall’abitazione. Come potrebbe annuire, se non ha la minima idea di cosa stiano per fare.
Sebastián Petit esce dal parcheggio di Pragma diretto a San Nicolás. Non riesce ancora a dare credito a ciò che ha ascoltato nella registrazione del cellulare. Preferisce pensare di aver frainteso certe frasi. Per il momento si concentra sul fatto che Rovira effettivamente sa dov’è Román e che tra un paio d’ore andrà a cercarlo assieme a Vargas. Che lo porti con sé non è un dato di poco conto, perché Vargas, come minimo, è armato. Il suo vantaggio è tutto lì, appena due ore, non può permettersi di sprecare un solo minuto. Avrà tempo lungo la strada di riascoltare la registrazione tutte le volte che vorrà. Quando il cellulare si sarà ricaricato almeno un po’. Deve aver interpretato male. Sentire una conversazione senza vedere le espressioni può prestarsi a malintesi. Altrimenti, se quello che crede di aver sentito è davvero così, non solo il suo amico è in grave pericolo, ma anche lui dovrà rivedere gli ultimi anni della propria vita. Ha dedicato il suo tempo e ogni energia a sviluppare un progetto politico che ha Fernando Rovira come unico leader. I leader politici, lui ormai lo sa bene, anche quelli che suscitano grandi passioni popolari, possono essere autoritari, manipolatori, sadici, arbitrari, perversi, bugiardi, persino disonesti e corrotti. Addirittura incapaci. Il vero problema è che se Sebastián Petit ha sentito quello che crede di aver sentito, Fernando Rovira, oltre a meritarsi ognuna di queste qualifiche, è anche fuori di testa. Completamente suonato. Dietro un politico avveduto, che indossa vestiti eleganti e possiede una buona oratoria, con un’équipe consolidata alla quale lui appartiene, che presenta progetti di legge innovativi e propone cambiamenti all’avanguardia, lanciato in una carriera travolgente prima a governatore e in futuro alla presidenza della Repubblica, può esserci un pazzo. E noi siamo nelle sue mani. Sebastián Petit si chiede quante altre volte saremo stati nelle mani di pazzi che fingono di non esserlo. E chissà quante volte accadrà in futuro.
Imbocca la Panamericana, sente finalmente di aver intrapreso il viaggio. Controlla la batteria del cellulare. La ricarica non è completa ma basterà. Preme il play. Al di là della follia di Rovira e di sua madre, vuole confermare se effettivamente Joaquín sia figlio del suo amico, il che finirebbe di congiungere i bandoli della matassa.