55

«Taylor aveva un socio», affermò Reacher. «Ovviamente. Doveva, anche qui per via dell’accento. All’inizio pensavo che potesse essere l’uomo del fiume. Come hai detto, forse dopo hanno litigato. Oppure Taylor è diventato avido e ha voluto tutto per sé. Ma adesso i conti non tornano. Il tizio del fiume è uno dei tanti cadaveri di New York. Un omicidio non collegato. Era a Rikers nei giorni che ci interessano. Perciò non so chi abbia fatto le telefonate. Per questo è solo una teoria parziale.»

«Lane vorrà sapere chi è il socio. Non si accontenterà di un nome solo.»

«Ci puoi scommettere.»

«Non ti pagherà.»

«Pagherà una parte. Otterremo il resto dopo. Quando gli dirò chi è il socio.»

«Come facciamo a scoprire chi è?»

«L’unico modo sicuro è scovare Taylor e chiederglielo.»

«Chiederglielo?»

«Costringerlo a dircelo.»

«In Inghilterra?»

«Se il tuo amico del Pentagono ci confermerà che è andato lì. Credo possa verificare chi gli sedeva accanto sull’aereo. C’è una vaga possibilità che siano partiti insieme.»

«Improbabile.»

«Molto, ma vale la pena tentare.»

Pauling si mise a caccia del suo amico all’ONU, ma dopo dieci minuti rinunciò e lasciò un messaggio in segreteria chiedendogli di controllare se Taylor avesse un compagno di viaggio.

«E adesso?» disse.

«Aspettiamo che il tuo amico richiami», rispose Reacher. «Poi prenoterai un’auto per andare in aeroporto e due biglietti per Londra, se è lì che è andato, come credo sia probabile. Un volo serale che arrivi domani mattina presto. Scommetto che Lane mi chiederà di andarci. Vorrà che gli prepari il terreno. Poi porterà tutta la squadra per farlo fuori. E noi li affronteremo là.»

Pauling alzò lo sguardo. «Per questo hai detto che nessun poliziotto o pubblico ministero in America avrà dubbi sul tuo operato.»

Reacher annuì. «Ma i loro colleghi in Inghilterra si agiteranno parecchio, questo è maledettamente certo.»

Reacher infilò le fotografie di Patti Joseph nella busta e se le mise nella tasca anteriore della camicia. Diede un bacio a Pauling sul marciapiede e si diresse verso la metropolitana. Prima delle cinque di pomeriggio era davanti al Dakota.

Il nome. Domani.

Missione compiuta.

Però non entrò. Proseguì dritto, attraversò Central Park West e varcò il cancello di Strawberry Fields, l’area del parco dedicata alla memoria di John Lennon, vicina al punto in cui era stato ucciso. Come molti della sua età, Reacher considerava i Beatles parte della sua vita. Erano la sua colonna sonora, la musica che lo aveva accompagnato negli anni. Forse per questo gli piacevano gli inglesi.

E forse per questo non voleva fare quello che stava per fare. Si tastò la tasca della camicia, sentì le fotografie e ricostruì mentalmente la storia un’altra volta, come aveva fatto Pauling. Non c’erano dubbi. Taylor era il cattivo. Era certo. Reacher stesso lo aveva visto. Prima la Mercedes, poi la Jaguar.

Non c’erano dubbi.

Forse non c’era alcun piacere nel consegnare un cattivo a un altro cattivo.

Ma tutto questo è per Kate, pensò Reacher. E per Jade. E per i soldi di Hobart.

Non per Lane.

Fece un profondo respiro, tenne la faccia rivolta verso il cielo per approfittare dell’ultimo sole prima che sparisse dietro gli edifici a ovest, quindi si girò e uscì dal parco.

Edward Lane tenne le due fotografie di Taylor a ventaglio tra le dita, con molta delicatezza, e fece una sola domanda: «Perché?»

«Avidità», rispose Reacher, «cattiveria, gelosia o tutte e tre insieme.»

«Dov’è ora?»

«Suppongo in Inghilterra. Lo saprò presto.»

«Come?»

«Ho le mie fonti.»

«È in gamba.»

«Il migliore che abbia mai conosciuto.» Altrimenti ti avrebbero inchiodato quando eri nell’esercito.

Lane gli restituì le foto. «Deve avere un socio.»

«Ovviamente.»

«Per le telefonate. Qualcuno con un accento americano. Chi è?»

«Questo dovrà chiederlo a Taylor.»

«In Inghilterra?»

«Non credo che tornerà qui presto.»

«Voglio che lo trovi per me.»

«Voglio i soldi.»

Lane annuì. «Li avrà.»

«Li voglio ora.»

«Il dieci per cento ora. Il resto quando sarò faccia a faccia con Taylor.»

«Il venti per cento ora.»

Lane non rispose.

«Altrimenti me ne vado. E lei può fare un salto da Barnes and Noble a comprare una mappa del Regno Unito e una puntina. Oppure uno specchio e un bastone.»

«Il quindici per cento ora», rilanciò Lane.

«Il venti», ribadì Reacher.

«Diciassette e mezzo.»

«Il venti o me ne vado.»

«Cristo», imprecò Lane. «D’accordo, il venti ora, ma partirà subito. Oggi, stasera. Può prendersi un giorno di vantaggio. Dovrebbe bastare per un tipo in gamba come lei. Noi la seguiremo tra ventiquattr’ore. Tutti e sette. Io, Gregory, Groom, Burke, Kowalski, Addison e Pérez. Dovremmo bastare. Conosce Londra?»

«Ci sono già stato.»

«Saremo al Park Lane Hilton.»

«Con il resto dei soldi?»

«Fino all’ultimo centesimo», confermò Lane. «Glieli mostrerò quando ci incontreremo in albergo e ci dirà dov’è Taylor. Glieli darò quando lo vedrò fisicamente.»

«D’accordo», disse Reacher. «Affare fatto.» Dieci minuti dopo era di nuovo in metropolitana diretto a sud con duecentomila dollari americani in contanti avvolti in un sacchetto di plastica di Whole Foods.

Reacher incontrò Pauling a casa sua, le diede la borsa e disse: «Prendi quello che ti devo e nascondi il resto. Bastano almeno per le cure preliminari di Hobart».

Pauling prese la borsa e la tenne lontana da sé, come se fosse contaminata. «Sono i soldi africani?»

Reacher annuì. «Diretti da Ouagadougou, via Lane.»

«Sono sporchi.»

«Trovami dei soldi che non lo siano.»

Lei tacque per un istante, aprì la borsa, prese alcune banconote e le posò sul banco di cucina. Riavvolse il pacchetto e lo infilò nel forno.

«Non ho una cassaforte», disse.

«Il forno va bene», confermò Reacher. «Solo non scordartene e non mettere a cucinare qualcosa.»

Pauling prese quattro banconote dalla pila sul banco e gliele porse.

«Per i vestiti», spiegò. «Ne avrai bisogno. Stasera partiamo per l’Inghilterra.»

«Il tuo amico ti ha ricontattato?»

Lei annuì. «Taylor ha preso un volo British Airways per Londra neanche quattro ore dopo che Burke ha lasciato i soldi nella Jaguar.»

«Solo?»

«Sembra di sì. Da quel che sappiamo, era seduto vicino a una britannica. Questo non esclude che il socio abbia fatto il check-in separatamente e fosse seduto da qualche altra parte. È una precauzione piuttosto elementare. Sul volo c’erano sessantasette americani adulti non accompagnati.»

«Il tuo amico è molto preciso.»

«Sì. Si è fatto mandare l’intera lista per fax. Compresa quella bagagli. Taylor ha spedito tre borse.»

«Ha pagato per il bagaglio in eccedenza?»

«No. Era in business class. Forse hanno chiuso un occhio.»

«Non mi servono quattrocento dollari per i vestiti», osservò Reacher.

«Sì, se viaggi con me», ribatté lei.

Ero un poliziotto militare, aveva detto Reacher a Hobart. Ho fatto di tutto. Ma non era così. Trenta minuti dopo stava facendo una cosa che non aveva mai fatto in vita sua: comprando vestiti in un grande magazzino. Era da Macy a Herald Square, nel reparto uomo, davanti alla cassa: teneva in mano un paio di pantaloni grigi, una giacca grigia, una maglietta nera, una maglia a V nera, un paio di calzini neri e dei boxer bianchi. La scelta era stata limitata dalla disponibilità delle taglie. Cavallo, lunghezza del braccio e torace. Temeva che le sue scarpe marrone sarebbero state male. Pauling gli aveva detto di prendersi anche un paio di scarpe nuove, ma lui si era rifiutato. Non poteva permettersele. Allora Pauling aveva ammesso che le scarpe marrone sarebbero potute andare con i pantaloni grigi. Arrivò il suo turno e pagò, trecentonovantasei dollari e rotti, tasse comprese. Si fece una doccia e si vestì a casa di Pauling, prese il passaporto logoro e spiegazzato insieme alla busta di Patti Joseph con le fotografie dai vecchi pantaloni e li mise in quelli nuovi. Sfilò lo spazzolino pieghevole dalla tasca della vecchia camicia e lo infilò in quella della giacca nuova. Portò i vecchi abiti in fondo al corridoio e li gettò nello scivolo dei rifiuti. Poi attese con Pauling di sotto, nell’atrio. Non parlarono molto mentre aspettavano l’auto per andare in aeroporto.

Un passo di troppo
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