15
Il trillo sembrò strano, amplificato da dieci casse per auto d’alta qualità. Pervase tutto l’abitacolo, forte, intenso, chiaro. Il suono elettronico stridulo della rete cellulare cessò subito e l’apparecchio prese a ronzare.
«Adesso stia zitto», lo ammonì Burke.
Si piegò a destra e premette un tasto del Samsung.
«Pronto?» disse.
«Buona sera», rispose una voce, in modo lento, preciso, meccanico, tanto che sembrò quasi avesse pronunciato quattro parole anziché due: buo-na se-ra.
Era una voce incredibile, fuori dal comune, così artefatta che non c’era possibilità di riconoscerla senza il distorsore elettronico. Quegli apparecchi si compravano nei negozi di prodotti per intercettazioni. Reacher li aveva visti. Si applicavano al ricevitore del telefono: avevano un microfono, collegato a una scheda, e un piccolo e rozzo altoparlante. Funzionavano a batteria ed erano dotati di dischi per modificare il suono. Da zero a dieci, in base a vari parametri. I dischi di quell’apparecchio dovevano essere stati ruotati al massimo o addirittura oltre. Le frequenze alte mancavano del tutto. I toni bassi erano stati totalmente rimaneggiati. Rimbombavano come un battito cardiaco irregolare. C’era una correzione di fase per cui a ogni respiro si udiva un sibilo e un rombo, tanto che la voce sembrava arrivare dallo spazio. E c’era anche una vibrazione metallica che andava e veniva: sembrava che qualcuno colpisse una lamiera d’acciaio pesante con un martello. Il volume era molto alto. Attraverso le dieci casse della BMW la voce sembrava spaventosa, aliena. Appartenente a un mostro. Era come se fossero piombati in un incubo.
«Con chi parlo?» chiese lentamente.
«Con l’autista», rispose Burke. «L’uomo con i soldi.»
«Voglio sapere il tuo nome», disse la voce.
«Burke.»
«Chi è quello in macchina con te?» domandò allora la voce agghiacciante.
«Non c’è nessuno in macchina con me», replicò Burke. «Sono solo.»
«Stai mentendo?»
«No, non sto mentendo.»
Reacher suppose che all’altro capo ci fosse un lie detector. Probabilmente un apparecchio semplice, venduto anch’esso nei negozi di prodotti per intercettazioni. Una scatola di plastica con luci verdi e rosse. In teoria erano in grado di individuare la tensione nella voce di chi mentiva. Reacher ripensò alle risposte di Burke e concluse che avesse superato il test. Era di certo un dispositivo rozzo e i soldati della Delta erano addestrati a superare prove più complesse di quelle previste da aggeggi che si compravano in un qualsiasi negozio di Madison Avenue. Sull’apparecchio si era evidentemente accesa una luce verde perché dopo un istante la voce agghiacciante parlò di nuovo. «Adesso dove sei, signor Burke?»
«In 57th Street», rispose. «Sto andando a ovest. Sto per prendere la West Side Highway.»
«Sei molto lontano da dove ti voglio.»
«Chi sei?»
«Lo sai.»
«Dove mi vuoi?»
«Prendi la West Side Highway, se preferisci. Va’ a sud.»
«Dammi tempo», lo avvertì Burke. «Il traffico è molto intenso.»
«Sei preoccupato?»
«Tu come ti sentiresti?»
«Resta in linea», disse la voce.
Il rumore distorto del respiro pervase l’auto, lento e fondo. Non è in ansia, pensò Reacher. È una persona paziente, padrona di sé, che ha la situazione in pugno ed è al sicuro da qualche parte. Sentì la macchina accelerare e curvare a sinistra. Ha imboccato l’autostrada passando col giallo, pensò. Attento, Burke. Se stasera ti fermano, la situazione potrebbe farsi molto imbarazzante.
«Adesso sono sulla West Side Highway», disse Burke. «Diretto a sud.»
«Continua», ordinò la voce, sostituita subito dopo dal rumore del respiro. C’era un compressore audio da qualche parte, nel distorsore stesso o nello stereo della BMW. All’inizio il respiro era sommesso, ma a poco a poco aumentò fino a rimbombare nelle orecchie di Reacher e a riempire l’abitacolo. Sembrava quasi di essere all’interno di un polmone.
D’un tratto cessò e la voce chiese: «Com’è il traffico?»
«Tantissimi semafori rossi», rispose Burke.
«Continua.»
Reacher cercò di seguire mentalmente l’itinerario. Sapeva che c’erano molti semafori tra la 57th e la 34th Street. Il Passenger Ship Terminal, l’Intrepid, gli accessi al Lincoln Tunnel.
«Adesso sono alla 42nd Street», disse Burke.
Parli con me? O alla voce? pensò Reacher.
«Continua», affermò questa.
«La signora Lane sta bene?» chiese Burke.
«Certo.»
«Posso parlarle?»
«No.»
«Anche Jade sta bene?»
«Non preoccuparti per loro. Continua solo a guidare.»
È americano, pensò Reacher. Sicuramente. Al di là della deformazione percepiva l’inflessione di un madrelingua. Aveva sentito parecchi accenti stranieri e quello non apparteneva alla categoria.
«Adesso sono al Javits», annunciò Burke.
«Continua», rispose la voce.
Giovane, pensò Reacher. O comunque non vecchio. Se la voce strideva e grattava era a causa del dispositivo elettronico, non dell’età. Non è un uomo grosso, pensò ancora. Quei bassi potenti erano artefatti. Si percepiva invece un certo slancio, una leggerezza. Non aveva una cavità toracica ampia. O forse era un uomo grasso. Un ciccione con la voce acuta.
«Quanto ancora?» chiese Burke.
«Hai poca benzina?» replicò la voce.
«No.»
«Allora che t’importa?»
Tornò il rumore del respiro, lento e costante. Non siamo ancora vicini, si disse Reacher.
«Sto arrivando in 24th Street», comunicò Burke.
«Continua.»
Al Village, pensò Reacher. Stiamo tornando al Greenwich Village. Adesso l’auto procedeva più spedita. In genere era proibito svoltare a sinistra nel West Village, perciò c’erano meno semafori. E la maggior parte del traffico era diretto a nord, non a sud. Avevano la strada abbastanza sgombra. Reacher allungò il collo e riuscì a scorgere qualcosa dal finestrino laterale posteriore. Vide alcuni edifici con il riflesso del sole serale sulle finestre. Svanirono subito, come le immagini di un caleidoscopio.
«Adesso dove sei?» chiese la voce.
«In Perry Street», rispose Burke.
«Continua, ma tieniti pronto.»
Ci stiamo avvicinando, pensò Reacher. La Houston? Prenderemo Houston Street? Poi pensò: Tieniti pronto? È un’espressione militare. Ma solo militare? Anche lui è un ex soldato? O no? È un civile? O un militare mancato?
«Morton Street», fece Burke.
«Fra tre isolati svolta a sinistra», ordinò la voce. «In Houston Street.»
Conosce New York, si disse Reacher. Sa che la Houston è tre isolati più a sud della Morton e sa anche che si pronuncia House-ton, non come la città del Texas.
«Okay», rispose Burke.
Reacher sentì l’auto rallentare e fermarsi. Aspettò, avanzò lenta e poi scattò per approfittare del verde. Reacher sbatté pesantemente contro il sedile posteriore.
«Sto andando a est sulla Houston», disse Burke.
«Continua.»
Lì il traffico era lento. Acciottolato, segnali di stop, buche, semafori. Reacher ricostruì mentalmente il percorso. Washington Street, Greenwich Street, Hudson Street, poi Varick Street, dove era uscito dal metrò quel mattino per l’inutile appostamento. L’auto sobbalzava sull’asfalto rovinato dal gelo e dalle buche.
«La prossima è Sixth Avenue», disse Burke.
«Prendila», rispose la voce.
Burke svoltò a sinistra. Reacher allungò il collo e vide gli appartamenti sopra il suo nuovo caffè preferito.
Burke inchiodò e Reacher andò a sbattere contro il sedile anteriore, poi udì il ticchettio della freccia. L’auto girò brusca a destra e rallentò.
«Vedrai il tuo obiettivo a destra. La Jaguar verde del primo mattino. Proprio a metà isolato. A destra.»
«La vedo già», confermò Burke.
Lo stesso posto? Proprio qui su quel maledetto idrante? pensò Reacher.
«Fermati e trasferisci i soldi», ordinò la voce.
Reacher lo sentì inserire il cambio nella posizione di parcheggio e udì lo scatto dei blinker. Poi la portiera di Burke si aprì e il rumore esterno si riversò nell’abitacolo. Le sospensioni ondeggiarono quando scese. Dietro, qualcuno gli strombettò. Si era creato all’istante un ingorgo. Dieci secondi dopo la portiera accanto alla testa di Reacher si spalancò. Burke non guardò in basso, si limitò a chinarsi e ad afferrare il borsone. Reacher allungò il collo e vide la Jaguar capovolta. Ne scorse fugacemente la vernice verde scuro, poi la portiera gli fu sbattuta in faccia. Udì quella della Jaguar aprirsi e chiudersi e poco dopo un vago thunk di un meccanismo idraulico. Dieci secondi dopo ancora Burke rientrò in macchina. Ansimava leggermente.
«Il trasferimento è stato effettuato», annunciò. «I soldi sono nella Jaguar.»
«Addio», rispose la voce agghiacciante.
La telefonata terminò e l’auto fu invasa da un silenzio profondo, assoluto.
«Adesso vada», fece Reacher. «Svolti a destra in Bleecker Street.»
Burke partì con i lampeggianti ancora accesi. Trovò il verde e superò veloce il passaggio pedonale. Accelerò per venti metri e inchiodò bruscamente. Reacher armeggiò sopra la sua testa e trovò la maniglia. La tirò, aprì la portiera con una testata e si buttò fuori. Si rialzò, la richiuse e rimase fermo per un secondo per sistemarsi la camicia. Poi tornò in fretta all’angolo.