6
Rimasero a lungo seduti in silenzio, poi Reacher disse: «Cinquantacinque minuti. Dovrebbe prepararsi per la prossima telefonata».
«Non ha l’orologio», osservò l’altro.
«So sempre che ora è.»
Reacher lo seguì in soggiorno. Lane si mise di nuovo in piedi accanto al tavolo con le dita allargate sul ripiano. Reacher suppose che volesse prendere la telefonata con tutti i suoi uomini attorno. Forse aveva bisogno di conforto o di sostegno.
Il telefono squillò puntuale, alle due del mattino. Lane lo sollevò e ascoltò. Reacher udì il lieve gracchiare della voce robotica al ricevitore. «Passatemi Kate», chiese Lane ma dovevano essersi rifiutati perché aggiunse: «Vi prego, non fatele del male». Ascoltò per un altro minuto e disse: «Va bene». Poi riagganciò.
«Tra cinque ore», riferì. «Alle sette del mattino. Stesso posto, stessa procedura. La BMW blu. Una persona sola.»
«Vado io», si offrì Gregory.
Gli altri uomini si agitarono, in preda allo scoraggiamento. «Dovremmo andarci tutti», propose uno. Era un americano piccolo e scuro che sembrava un ragioniere tranne per gli occhi, inespressivi e freddi come quelli di uno squalo martello. «Scopriremmo dove la tengono nel giro di dieci minuti. Glielo garantisco.»
«Una persona sola», ribadì Lane. «Queste sono le istruzioni.»
«Siamo a New York», insistette l’uomo con gli occhi da squalo. «C’è sempre gente in giro. Non si aspetteranno certo che le strade siano deserte.»
«A quanto sembra ci conoscono», replicò Lane. «Ci individuerebbero.»
«Potrei andare io», fece Reacher. «Non mi individuerebbero.»
«È venuto qui con Gregory. Forse sorvegliano l’edificio.»
«Possibile, ma improbabile.»
Lane non commentò.
«Decida lei», affermò Reacher.
«Ci penserò.»
«Ci pensi in fretta. Sarà meglio che esca con un buon anticipo.»
«Le riferirò la mia decisione tra un’ora», disse Lane e si allontanò verso lo studio. È andato a contare i soldi, pensò Reacher e si chiese per un attimo che aspetto avessero cinque milioni di dollari. Lo stesso di un milione, suppose, ma con i biglietti da cento al posto di quelli da venti.
«Quanti soldi ha?» chiese.
«Parecchi», rispose Gregory.
«Ha perso sei milioni in due giorni.»
L’uomo con gli occhi da squalo sorrise.
«Ci rifaremo», affermò. «Può contarci. Non appena Kate sarà a casa, sana e salva, faremo la nostra mossa. E vedremo chi vince e chi perde. Stavolta sono finiti nel vespaio sbagliato, questo è maledettamente certo. E hanno fatto fuori Taylor. Era uno di noi. Si pentiranno d’essere nati.»
Reacher fissò quegli occhi inespressivi e credette a ogni parola. Poi d’un tratto, con fare un po’ sospettoso, l’uomo gli tese la mano. «Sono Carter Groom. Piacere di conoscerla. Voglio dire, per quanto si possa provare piacere in circostanze del genere.»
Gli altri quattro si presentarono a turno, dicendo i loro nomi e stringendogli la mano. Furono tutti educati, niente di più. Tutti riservati in presenza di uno sconosciuto. Reacher cercò di associare i nomi alle facce. Gregory, già lo conosceva. L’uomo con la grande cicatrice sull’occhio si chiamava Addison. Il più basso era un latino-americano di nome Pérez, il più alto si chiamava Kowalski. C’era anche un nero di nome Burke.
«Lane mi ha detto che fate le guardie del corpo e vi occupate di sicurezza aziendale», osservò Reacher.
Calò un improvviso silenzio. Nessuno rispose.
«Non vi preoccupate», proseguì Reacher. «Non mi aveva convinto, a ogni modo. A mio parere eravate tutti sottufficiali operativi. Militari. Quindi penso che il vostro signor Lane lavori in tutt’altro campo.»
«Tipo?» incalzò Gregory.
«Penso che procacci mercenari», rispose Reacher.
L’uomo chiamato Groom scosse la testa. «Scelta sbagliata di parole, amico.»
«E quale sarebbe quella giusta?»
«Siamo un’organizzazione militare privata», disse Groom. «Ha problemi al riguardo?»
«In realtà non ho un’opinione.»
«Be’, sarà meglio che se la faccia e che sia positiva. Siamo legali. Lavoriamo per il Pentagono, come abbiamo sempre fatto, e come anche lei faceva un tempo.»
«La privatizzazione», intervenne Burke. «Il Pentagono la adora. Aumenta l’efficienza. L’era del grande governo è finita.»
«Quanti uomini avete?» chiese Reacher. «Siete soltanto voi?»
Groom scosse di nuovo la testa. «Noi siamo la A-team. I sottufficiali più anziani, per così dire. Poi c’è un intero schedario di nomi dei componenti delle B-team. In Iraq abbiamo portato un centinaio di uomini.»
«È là che siete stati? In Iraq?»
«E in Colombia, a Panamá, in Afghanistan. Andiamo ovunque serva allo Zio Sam.»
«E che mi dite dei posti in cui non servite allo Zio Sam?»
Nessuno rispose.
«Ritengo siate nel libro paga del Pentagono», osservò Reacher. «Ma mi sembra che girino anche un bel po’ di soldi d’altro genere.»
Di nuovo nessuno rispose.
«Dell’Africa per esempio?» incalzò Reacher.
Ancora silenzio.
«Come volete», concluse Reacher. «Dove siete stati non è affar mio. Tutto ciò che ho bisogno di sapere è dov’è stata la signora Lane nelle ultime due settimane.»
«Che differenza fa?» domandò Kowalski.
«L’avranno tenuta d’occhio», rispose Reacher. «Non credete? Non penso che quei tizi andassero tutti i giorni da Bloomingdale sperando d’essere fortunati.»
«La signora Lane è stata negli Hamptons», rispose Gregory. «Con Jade, per gran parte dell’estate. È tornata solo tre giorni fa.»
«Chi le ha riaccompagnate?»
«Taylor.»
«E poi sono rimaste qui?»
«Esatto.»
«È successo niente negli Hamptons?»
«Tipo?» domandò Groom.
«Tipo qualcosa di insolito», rispose Reacher. «Un fatto inconsueto.»
«Non direi», fece lui.
«Un giorno è venuta una donna», disse Gregory.
«Che donna?»
«Una donna qualunque. Grassa.»
«Grassa?»
«Di costituzione robusta, sulla quarantina. Capelli lunghi, riga in mezzo. La signora Lane l’ha portata a fare due passi sulla spiaggia, poi la donna se n’è andata. Ho pensato fosse un’amica in visita.»
«L’aveva mai vista prima?»
Gregory scosse la testa. «Forse era una vecchia amica.»
«Che cosa hanno fatto la signora Lane e Jade una volta tornate in città?»
«Non credo abbiano fatto nulla.»
«No, è uscita una volta», lo contraddisse Groom. «La signora Lane, intendo. Non Jade. Da sola a far spese. L’ho accompagnata io in macchina.»
«Dove?» chiese Reacher.
«Da Staples.»
«Il negozio di articoli per ufficio?» Reacher aveva visto le filiali dappertutto. Era una grossa catena, arredi in bianco e rosso, negozi enormi pieni di roba che non gli serviva. «Che cosa ha comprato?»
«Niente», rispose Groom. «Ho aspettato venti minuti accanto al marciapiede ed è uscita senza niente.»
«Forse ha chiesto che le consegnassero tutto a casa», suggerì Gregory.
«Avrebbe potuto acquistare online. Non aveva bisogno di scomodarmi.»
«Allora forse è andata solo a curiosare», disse Gregory.
«Strano posto per andare a curiosare», commentò Reacher. «Chi fa una cosa del genere?»
«Tra poco inizia la scuola», osservò Groom. «Forse Jade aveva bisogno di qualcosa.»
«Nel qual caso sarebbe andata con lei», replicò Reacher. «Non pensa? E avrebbe comprato qualcosa.»
«Aveva qualcosa con sé?» indagò Gregory. «Forse è andata a restituire un articolo.»
«Aveva una borsa grande», fece Groom. «È possibile.» Poi alzò lo sguardo fissando qualcosa al di sopra della spalla di Reacher. Edward Lane era tornato in soggiorno. Aveva un borsone di pelle e faceva fatica, tanto era grosso. Cinque milioni di dollari, pensò Reacher. Allora sono così.
Lane gettò il borsone per terra vicino alla porta che dava sull’ingresso e questo atterrò sul legno con un tonfo, assestandosi come la carcassa di un animale grasso.
«Devo vedere una fotografia di Jade», disse Reacher.
«Perché?» chiese Lane.
«Perché vuole che faccia il poliziotto. E le fotografie sono la prima cosa che i poliziotti vogliono vedere.»
«Venga in camera», disse Lane.
Reacher gli si accodò e lo seguì in una stanza. Era un altro locale ampio dal soffitto alto, le pareti di color bianco sporco, tranquillo come la cella di un monastero e silenzioso come una tomba. C’era un letto king-size di ciliegio con le colonne e due comodini ai lati. C’erano inoltre un armadio coordinato che avrebbe potuto contenere un televisore e un tavolo con una sedia. Sul ripiano c’era una fotografia in cornice da venti per venticinque, orizzontale, non verticale, la tipica inquadratura che i fotografi definirebbero paesaggio, non ritratto. Invece era un ritratto e raffigurava due persone. A destra, Kate Lane. Era la medesima inquadratura della foto del soggiorno. Stessa posa, stessi occhi, stesso accenno di sorriso. La foto del soggiorno tuttavia era stata tagliata in modo da escludere l’oggetto del suo affetto, la figlia Jade, situata a sinistra. La piccola era l’immagine speculare della madre. Si fissavano con sguardi carichi d’affetto, entrambe sul punto di sorridere come divertite da qualcosa che solo loro sapevano. Jade aveva all’incirca sette anni, i capelli scuri lunghi, leggermente ondulati, fini come seta. Gli occhi verdi e una pelle di porcellana. Una bambina splendida. E una foto splendida.
«Posso?» chiese Reacher.
Lane annuì in silenzio. Reacher la prese e la osservò con più attenzione. Il fotografo aveva colto il legame tra madre e figlia in modo perfetto, assoluto. Al di là della somiglianza fisica, non c’erano dubbi sul loro legame. Erano madre e figlia, ma anche amiche. Davano l’impressione di condividere molte cose. Era davvero una foto incredibile.
«Chi l’ha fatta?» chiese Reacher.
«Ho trovato uno in centro», rispose Lane. «È molto famoso. E molto costoso.»
Reacher annuì. Chiunque fosse, ne era valsa la pena. Anche se la qualità della stampa non era buona come quella della foto in soggiorno: i colori erano un po’ meno definiti e il contorno dei volti un po’ troppo marcato. Forse era stata stampata a macchina. Forse il budget di Lane non prevedeva stampe tradizionali a mano quando si trattava della figliastra.
«Molto bella», osservò Reacher. La posò senza far rumore sul tavolo. Nella stanza c’era un silenzio totale. Reacher aveva letto che il Dakota era l’edificio più insonorizzato di New York. Era stato costruito nello stesso periodo in cui avevano realizzato Central Park. Tra i pavimenti e i soffitti c’era uno strato di novanta centimetri di argilla e fango estratti dal parco. Anche le pareti erano spesse. Tutta quella massa dava l’impressione che il palazzo fosse scolpito nella roccia. Il che doveva essere stato un bene, pensò Reacher, quando ci viveva John Lennon.
«Okay?» domandò Lane. «Ha visto abbastanza?»
«Le spiace se guardo la scrivania?»
«Perché?»
«È di Kate, giusto?»
«Sì.»
«È quello che farebbe un poliziotto.»
Lane alzò le spalle e Reacher iniziò dai cassetti in fondo. Quello di sinistra conteneva scatole di cancelleria, carta da lettera e biglietti con stampato solo il nome: Kate Lane. Il cassetto di destra era adattato a schedario e conteneva materiale riguardante gli studi di Jade. Frequentava una scuola privata nove isolati più a nord. Era un istituto costoso, a giudicare dalle rette e dagli assegni staccati. Erano tutti addebitati sul conto personale di Kate. I cassetti in alto contenevano penne, matite, buste, francobolli, etichette adesive con l’indirizzo del mittente, un libretto degli assegni. E varie ricevute di carte di credito. Ma niente di particolarmente rilevante o recente. Documenti di Staples, per esempio.
Nel cassetto centrale c’erano solo due passaporti americani, uno di Kate, l’altro di Jade.
«Chi è il padre di Jade?» chiese Reacher.
«Ha importanza?»
«Potrebbe. Se si trattasse di un puro e semplice rapimento, dovremmo sicuramente prenderlo in considerazione. Di solito sono i genitori separati che rapiscono i bambini.»
«Ma questo è un rapimento con richiesta di riscatto. E stiamo parlando di Kate. Jade era là per caso.»
«I rapimenti possono essere camuffati. Il padre avrebbe necessità di vestirla, nutrirla, mandarla a scuola. Potrebbe volere dei soldi.»
«È morto», rispose Lane. «Di cancro allo stomaco quando Jade aveva tre anni.»
«Chi era?»
«Aveva una gioielleria. Dopo, l’ha gestita Kate per un anno, non molto bene. Era una modella. Però è là che l’ho conosciuta, al negozio. Ero entrato a comprare un orologio.»
«Ci sono altri parenti? Nonni o zii possessivi?»
«Nessuno che abbia conosciuto. Quindi nessuno che abbia visto Jade negli ultimi anni e che possa essere definito possessivo.»
Reacher chiuse il cassetto centrale. Raddrizzò la fotografia e si girò.
«La cabina armadio?» chiese.
Lane indicò una porta bianca a due battenti. Al di là si apriva una cabina armadio grande per un appartamento di New York, ma piccola per qualsiasi altro luogo. La luce si accendeva tirando una catenella. Era piena di vestiti e di scarpe da donna. Si sentiva un profumo nell’aria. Per terra c’era una giacca piegata con cura, pronta per essere mandata in tintoria, pensò Reacher. La prese. Aveva un’etichetta di Bloomingdale. Controllò le tasche. Niente.
«Cosa indossava quando è uscita?» domandò Reacher.
«Non so dirle», rispose Lane.
«Chi potrebbe saperlo?»
«Siamo usciti tutti prima di lei», spiegò Lane. «Non credo che ci fosse più nessuno, tranne Taylor.»
Reacher chiuse la porta della cabina e si avvicinò all’armadio. Aveva una porta a due ante in alto e alcuni cassetti in basso. In uno c’erano i gioielli. Un altro era pieno di cianfrusaglie: sacchetti di carta con bottoni di riserva di abiti nuovi e spiccioli recuperati dalle tasche. Un altro ancora conteneva biancheria di pizzo. Reggiseni, mutandine, tutti bianchi o neri.
«Posso vedere la camera di Jade?» chiese Reacher.
Lane lo condusse in un piccolo corridoio. La stanza era dipinta di tonalità pastello e zeppa di giocattoli: orsi di peluche, bambole di porcellana, giochi vari. Il letto era basso, con un pigiama piegato sul cuscino. La luce da notte era ancora accesa. Il tavolo era ricoperto di disegni fatti con i pastelli a cera su carta da pacchi. La piccola sedia era riposta con ordine.
Là non c’era nulla di importante per un poliziotto militare.
«Ho finito», fece Reacher. «Mi dispiace molto per l’intrusione.»
Seguì Lane in soggiorno. La borsa di pelle era ancora là per terra, vicino all’ingresso. Gregory e gli altri cinque erano sempre al loro posto, muti e pensierosi.
«È ora di decidere», fece Lane. «Dobbiamo presumere che Reacher sia stato visto entrare nell’edificio stasera? O no?»
«Io non ho visto nessuno», rispose Gregory. «Lo ritengo molto improbabile. Una sorveglianza ventiquattr’ore su ventiquattro sottrae mano d’opera. Quindi direi di no.»
«Concordo», disse Lane. «Penso che per loro Reacher sia ancora uno sconosciuto. Perciò potrebbe trovarsi sul posto alle sette. Dovremmo effettuare un appostamento.»
Non ci furono obiezioni. Reacher annuì.
«Terrò d’occhio la facciata dell’edificio di Spring Street», disse. «Così ne vedrò almeno uno, forse due.»
«Non si faccia scoprire», affermò Lane. «Capisce i miei timori, vero?»
«Perfettamente», rispose Reacher. «Non mi noteranno.»
«Parliamo solo di un appostamento. È escluso qualsiasi intervento.»
«Non si preoccupi.»
«Arriveranno presto», disse Lane, «quindi dovrà essere in posizione prima di loro.»
«Non si preoccupi», ripeté Reacher. «Esco ora.»
«Non vuol sapere quale edificio dovrà sorvegliare?»
«Non mi serve saperlo», rispose Reacher. «Vedrò Gregory depositare le chiavi.»
Quindi lasciò l’appartamento e prese l’ascensore. Fece un cenno al portiere e uscì in strada, dirigendosi verso la metropolitana tra la 72nd Street e Broadway.
La donna che stava tenendo d’occhio l’edificio lo vide allontanarsi. Lo aveva visto arrivare con Gregory e adesso se ne andava solo. Guardò l’orologio e annotò l’ora. Allungò il collo e lo seguì mentre si dirigeva a ovest. Poco dopo lo perse di vista e tornò nell’ombra.