18
«Landon?» Gabrielle bussò alla porta della stanza degli ospiti.
Nessuna risposta.
«Landon?» Socchiuse l'uscio per sbirciare dentro. Il ragazzino era steso sul letto, con la faccia voltata dall'altra parte. Era così da mezz'ora. Lei aveva voluto dargli il tempo di riprendersi ma non voleva che la cosa si trascinasse per le lunghe.
«Poco fa ha telefonato tuo padre» disse facendosi avanti.
A quelle parole Landon girò il capo. Aveva gli occhi rossi e gonfi. «Non torna, vero?»
«Sbagliato. Stasera sarà qui.» Lo dichiarò con assoluta sicurezza, ma vide che lui restava incredulo. Aveva bisogno di qualcosa di preciso a cui aggrapparsi, un riferimento concreto. «Voleva sapere cosa ci sarebbe stato per cena.»
«Davvero?»
«Sì.»
Silenzio. Poi: «E cosa ci sarà?».
«Non so ancora. Cosce di rana?»
Lui fece una smorfia. «Puah!»
«No? Be', rigaglie di pollo, allora.»
«Rig... riga...?»
«Rigaglie, sì. Sai, quelle piccole cose viscide che stanno dentro il pollo» si affrettò a spiegargli lei.
«Ma che schifo!»
Lei fece la faccia costernata. «Accidenti, sei di gusti difficili! E va bene, lingua di vitello.»
«No! Papà non la toccherebbe nemmeno» aggiunse in fretta.
«Ma un ragazzo di fegato come te, di sicuro sì.»
Si accorse che lui era tentato di convenirne, per una questione di orgoglio, ma alla fine scosse il capo. «No, non mangerei mai niente che non mangiasse anche il mio papà.»
«E allora cos'è che piace al tuo papà?»
«La pizza» fu l'immediata risposta.
Gabrielle era pronta a scommettere che Tucker non era il solo a cui piacesse la pizza. «Davvero?»
Allie, in cucina, sentite le loro voci aveva abbandonato i giocattoli per gattonare lungo il corridoio. Arrivò sulla soglia, li vide ed ebbe un ampio sorriso compiaciuto.
«Vedi? Anche ad Allie piace la pizza. Secondo te che tipo dobbiamo ordinare?»
«Quella al formaggio è sempre buona.»
«Il formaggio piace a tutti» riconobbe lei.
«Ma forse è meglio farci mettere anche un po' della roba da grandi, per il mio papà.»
«Tipo cipolline e olive?»
Lui annuì gravemente.
«Mi sembra una buona idea.» A quel punto Gabrielle sottrasse alla figlia la scarpa di Landon di cui si era impadronita. «Bene, quindi abbiamo stabilito cosa avremo per cena. Ora bisognerà preparare qualcosa come dolce, non credi?»
Landon si illuminò in volto. «Non è un po' presto per il dolce?»
«È un po' presto per mangiarlo. Ma ci vorrà del tempo per preparare qualcosa di proprio buono, e un assaggino non farà male a nessuno. Che ne dici dei biscotti con le scagliette di cioccolato?» Cercò di trovare un'altra idea che potesse affascinare un ragazzino di otto anni. «Potremmo farli a forma di cuore, cuori giganti. Magari a tuo padre piacerebbe un biscotto grande come un piatto, non credi?»
«Sì!» Landon scattò su a sedere. «Ne ho visto uno, una volta. Con delle cose scritte con la glassa bianca e azzurra.»
«Ma sicuro, prepariamo anche la glassa! Ho un giornale con tutti i suggerimenti per le decorazioni dei dolci. Mi è servito per la torta di compleanno di Allie.»
Lui diede un'occhiata alla bambina, senza grande apprezzamento. «Quanti anni ha?»
«Appena uno.»
«È bella grassa.»
«Sì, come quasi tutti i bimbi piccoli.»
Landon ci meditò su. «E non ha molti denti.»
«Non ancora.»
«Come fa a mangiare?»
«Le do cose abbastanza morbide e lei le schiaccia con le gengive.»
Lui arricciò il naso. «Mmh... Sa parlare?»
«Sì, qualcosa sa dire. Mamma, papà, nanna.»
«Scommetto che non saprebbe dire il mio nome.»
«Puoi provare a insegnarglielo mentre prepariamo i biscotti.»
«Okay!»
Il tono animato diede fiducia a Gabrielle. «Allora, cosa vuoi scrivere sul cuore gigante per tuo padre?»
Landon serrò le labbra, riflettendo. «Bentornato a casa» suggerì.
«Perfetto. Meglio che ci mettiamo subito al lavoro perché non voglio dover cuocere i biscotti oggi pomeriggio.»
«Perché no?» chiese lui spostandosi per scendere dal letto.
«Avevo in mente di andare in piscina» esitò come se le fosse venuto un dubbio, «sempre che tu sappia nuotare.»
«Certo che so nuotare. E mi piace molto.» Adesso era in piedi e Allie gli diede un'allegra pacca su una gamba. Per un attimo Gabrielle temette che lui si seccasse o allontanasse la piccola, invece no. «Allie sa nuotare?» chiese lui, osservandola.
«Non ancora. Ma ha il giubbetto salvagente e noi la terremo d'occhio, giusto?»
«Oh, sì. Roba facile.»
«Magnifico. Allora cosa aspettiamo?» Gabrielle si diresse verso la cucina sperando che lui la seguisse. E difatti...
«Vieni, Allie» gli sentì borbottare. «Ehi, sai dire il mio nome? Lan-don. Lan-don...»
«Na, na» rispose Allie.
«No, Landon» la corresse lui.
Gabrielle sorrise tra sé. Aveva fatto progressi con il ragazzino. Ma neanche tutte le pizze e i biscotti di questo mondo avrebbero potuto compensare l'assenza di suo padre se quella sera Tucker non fosse rientrato.
Tucker, in un angolo dei giardinetti, sedeva a un tavolo di legno da picnic, nell'ombra maculata di un palo verde. Era solo ed era mezzogiorno: nessuno aveva voglia di abbandonare l'aria condizionata per affrontare i quarantacinque gradi esterni. I giardinetti, in un angolo di un quartiere residenziale di tono piccolo borghese alla periferia di Chandler, offrivano solo tre altalene, uno scivolo che al momento prometteva solo ustioni ed erba gramigna, l'unica in grado di resistere alle roventi estati dell'Arizona.
Al Nordstrom si era aspettato di trovare una semplice busta, invece gli avevano consegnato una scatola. Conteneva, da parte di suo padre, duemila dollari, che di certo facevano molto comodo, e alcune cose da mangiare, preparate da sua madre, tra cui una buona quantità dei suoi biscotti speciali. Ora ne stava sgranocchiando uno mentre cercava di decidersi ad aprire il terzo elemento: una busta in cui dovevano trovarsi le fotografie di cui aveva parlato suo padre.
Tucker non aveva idea di chi potessero essere ed era incuriosito, eppure esitava ad aprirla. Quali altre sorprese gli riserbavano? Quale altro duro colpo? Mai e poi mai avrebbe immaginato le traversie di quegli ultimi due anni. Aveva avuto degli ottimi genitori che gli avevano dato molto affetto. A scuola era andato bene, negli sport si era fatto più che onore e aveva avuto un successo straordinario nella sua breve carriera professionale. Essere condannato per un delitto era una cosa che succedeva a quelli che l'avevano commesso.
E invece lui era lì, costretto a sottrarsi alla legge, a continuare a nascondersi a meno che scoprisse qualcosa che desse alla polizia motivo di riesaminare le circostanze in cui sua moglie era stata assassinata.
Il biglietto di suo padre gli comunicava che Tom aveva trovato le foto sotto un materasso, allo chalet di montagna che Tucker aveva in comproprietà con Robert. Gliel'avevano prestato per qualche giorno, una settimana prima della scomparsa di Andie. «Le aveva nascoste in solaio perché non voleva che tu avessi a soffrirne» aveva scritto suo padre. Il che non faceva presagire bene.
Respirò a fondo, aprì la busta ed estrasse una mazzetta di polaroid. Scattate nel periodo natalizio, solo tre mesi prima della morte di Andie. Tucker riconobbe il vestito della moglie e il giaccone che aveva regalato a Landon. Avevano deciso di trascorrere le feste allo chalet con gli amici che abitavano nella casa accanto, Sean e Sydney Marshall, e le loro due bambine. Tucker aveva sperato che la loro presenza potesse servire a mantenere la serenità abbastanza a lungo da permettergli di trovare una vaga intesa con Andie.
Ma era andata in modo disastroso. Per quasi tutto il primo giorno Andie era rimasta immusonita e scostante, poi la sera aveva dato il via a una discussione a proposito del vendere la loro casa per averne una più grande. Tucker non ne vedeva il motivo, visto che già stavano in una villona. Inoltre desiderava abitare in un ambiente che favorisse i contatti umani, dove Landon potesse fare amicizia con altri ragazzini, e non dietro una cancellata alta tre metri, con cani da guardia e vari impianti di sicurezza. Inoltre avrebbe voluto aumentare la famiglia, e anche questo argomento era entrato nella discussione.
Come al solito, Andie aveva respinto l'idea dichiarando che non avrebbe avuto un altro bambino fino a che lui non avesse fatto una croce sulle sue amichette. Solo che lui non aveva nessuna amichetta. Era Andie a tradirlo.
Tucker si asciugò la fronte con il dorso della mano ed esaminò rapidamente le foto. Nelle prime si vedevano i due gruppi familiari: al pranzo di Natale, mentre aprivano i pacchi dei regali, mentre giocavano nella neve. Le ultime mostravano Sean Marshall, in varie fasi di svestizione e visibilmente eccitato. In una c'era Andie, completamente nuda, in posa sensuale. Sean non era presente nell'immagine ma Tucker capì che si trovava dietro l'obiettivo: Andie era allungata sopra i suoi pantaloni.
I Marshall si erano separati l'estate seguente. Tucker non aveva riflettuto molto sulla cosa perché a quell'epoca era già in carcere, nei guai fino al collo, ma adesso capiva come mai quei due, che un tempo erano sembrati così felici insieme, molto più di lui e Andie, avevano divorziato. La cosa più triste era che sua moglie, lui lo sapeva, non aveva mai tenuto particolarmente a Sean.
L'investigatore privato che aveva assunto prima della morte di Andie gli aveva portato le prove delle sue relazioni con almeno altri due uomini durante quello stesso periodo, due tali che frequentavano la palestra dove lei faceva aerobica. Sean era un sedentario ben poco atletico, certo non il tipo di Andie che anzi una volta aveva osservato che non capiva cosa ci trovasse Sydney in quel mollaccione di suo marito. Conoscendola, poteva pensare che avesse lanciato l'amo a Sean tanto per vedere se riusciva a fargli dimenticare la fedeltà coniugale, e dimostrare a se stessa di essere irresistibile come sempre.
Ma fare sesso con Sean allo chalet... ci voleva un bel coraggio, anche per lei. Tucker sapeva che lui e Sidney dovevano essere nelle vicinanze, al momento. Era accaduto mentre loro due erano fuori a costruire il pupazzo di neve con i bambini, o al supermercato? Sydney voleva prendere dello sciroppo d'acero per le crespelle programmate per l'indomani mattina, e lui si era offerto di accompagnarla perché aveva una jeep e conosceva meglio le strade. Avevano portato anche i bambini, ma Andie e Sean erano rimasti a casa: lei voleva fare una doccia e Sean era immerso nella lettura del giornale. Tucker non aveva mai pensato che potessero avere una relazione, né avvertito pericoli da quella parte. Ma a quel punto era talmente amareggiato che non ci badava più.
Né gliene importava adesso. Gli dispiaceva per Sean, e poteva sembrare una strana reazione date le circostanze. Ma quell'uomo aveva perso un'ottima moglie per un'avventuretta da niente con Andie.
«Che imbecille» mormorò. Rimise le foto nella busta e si alzò. Il senso di tristezza si dissolse lasciando il posto a una nuova speranza. Era tanto tempo che aveva rinunciato alla possibilità di scoprire l'assassino di Andie. I due della palestra avevano avuto solidi alibi, confermati anche dall'investigatore privato. Ma nessuno si era occupato molto di quel che aveva fatto Sean Marshall, quella sera.
La polizia naturalmente aveva interrogato tutti i vicini per appurare se avevano visto o sentito qualcosa. Per quel che ricordava, Sean aveva dichiarato di essere arrivato a casa tardi e di non aver sentito niente. Ma lui lasciava regolarmente l'ufficio alle cinque e nessuno aveva controllato i suoi movimenti. Forse invece si trovava a casa e aveva raggiunto Andie nel garage dopo che lui se n'era andato furibondo in seguito al litigio. Chi poteva dirlo? Di sicuro Sean non gli pareva il tipo capace di mettere le mani addosso a una donna, e tanto meno di picchiarla a morte. Non ce lo vedeva a perdere la testa fino a quel punto. E neanche ce lo vedeva a trascinar via il cadavere di Andie e nasconderlo tanto bene che nessuno l'avrebbe mai scoperto. Sean Marshall era sempre stato un bonaccione cordiale e solo moderatamente ambizioso, anche nel suo lavoro di contabile.
Ma Andie poteva far affiorare il peggio in un uomo.
Quel gran silenzio gli fece uno strano effetto quando, dalla stradina sul retro, entrò nel giardinetto posteriore di Sean e si fermò a guardare, al di là della recinzione, la casa che era stata sua. Solo poco più di due anni prima, le piccole Marshall sguazzavano con Landon in quella piscina mentre Sydney e Andie, sulle sdraio, li tenevano d'occhio. Tornando a casa, Tucker spesso le trovava lì a bere tè freddo e a chiacchierare. Le prendeva in giro dicendo che si affaticavano troppo e loro gli rispondevano di restarsene qualche giorno a casa e vedere cosa significava fare le madri. Poi lui entrava a cambiarsi mentre loro asciugavano i bambini. A volte Sydney e le bambine si trattenevano a cena da loro e Sean si univa al gruppo. Tucker si occupava delle bistecche alla brace, le donne preparavano le insalate... Bei tempi, quelli.
Preso da quei ricordi, Tucker chiuse gli occhi. Poteva quasi risentire la risata di Andie. Piena, calda, contagiosa. Era sempre molto brillante, l'anima delle feste, ma verso la fine non mostrava più grande interesse per gli amici di sempre, e rideva poco.
Ciò che un tempo avevano diviso come marito e moglie era ormai estraneo a quel posto stranamente silenzioso che pareva sempre lo stesso eppure era così diverso.
Tucker tirò un sospiro e osservò il prato che solo qualche anno prima falciava una volta la settimana. Venduto diciotto mesi prima, insieme alla casa, quando lui era in attesa del processo. Non aveva voluto far tornare Landon nel luogo dove sua madre era morta, lui stesso non aveva voluto rivederlo. Eppure adesso aveva un fascino morboso, probabilmente perché la vita era continuata senza di lui. Dopo la tragedia, altra gente aveva occupato la loro casa. Sconosciuti che conducevano le loro esistenze, per i quali la sua perdita non significava nulla. Qualcuno ancora potava i cespugli, falciava il prato. Casa e giardino erano in ordine come quando loro abitavano lì.
Tucker si voltò: non poteva dire la stessa cosa per la proprietà di Sean. Le erbacce avevano invaso il giardino soffocandone i fiori di un tempo. Il patio era disseminato di rifiuti, soprattutto lattine e mozziconi di sigarette anche se, per quanto risultava a lui, Sean non aveva mai fumato. I Marshall avevano un grosso cane, ma adesso non c'era traccia di Jasper. Solo una piscinetta di gomma, sgonfia e sudicia, rammentava le bambine che un tempo giocavano con suo figlio. Se non fosse stato per la guida telefonica che ancora segnalava Sean a quell'indirizzo, avrebbe potuto pensare che fosse andato ad abitare altrove.
Raggiunse la finestra della cucina e accostò la faccia al vetro: l'interno non era in migliori condizioni. Disordine, piatti sporchi ammonticchiati. Da lì si intravedeva anche il soggiorno: i mobili scelti con tanta cura da Sydney erano perlopiù spariti. La casa appariva vuota, squallida, molto più vecchia di quanto ricordasse. Al posto del bel divano rivestito di pelle c'era adesso un sofà beige, probabilmente acquistato di seconda mano, e una poltroncina da poco. Dell'arredamento originale restava solo la poltrona allungabile di Sean e il televisore.
Evidentemente l'amico di un tempo non aveva perso solo la moglie e le figlie, ma anche tutto il suo stile di vita.
Tucker rimase a osservare quella desolazione per un paio di minuti ma tutto era immobile e silenzioso. Chiaro che Sean non era in casa. Era il momento ideale per entrare e dare un'occhiata attorno, ma la porta posteriore era chiusa. Se Sean aveva conservato le vecchie abitudini, doveva esserci una chiave di riserva nella fioriera accanto al portico anteriore, ma Tucker non voleva farsi vedere dai vicini. Considerò la possibilità di rompere un vetro ma poi la scartò e percorse il vialetto lungo il fianco della casa. In quel pomeriggio sonnolento, era difficile imbattersi in qualcuno.
Il giardino anteriore si presentava un po' meglio. L'erba era stata sommariamente falciata ma alcune chiazze giallastre denunciavano un grave guasto all'impianto di irrigazione, e le piante da fiore erano tutte morte: ne restavano solo avanzi rinsecchiti, altre testimonianze di tempi migliori.
Tucker frugò tra gli steli aridi nella fioriera e quasi subito trovò la chiave.
«Forse certe cose non sono cambiate» mormorò tra sé, ricordando le numerose volte in cui l'aveva usata per innaffiare le piante o ritirare la posta quando i Marshall erano via.
Mentre apriva la porta ed entrava gli venne in mente che stava compiendo un atto illegale. Un altro. Ma non gliene importava nulla. Voleva fare tutto il possibile per scagionarsi e non dover tornare in carcere. Anche a costo di compiere dei reati, rifletté ironicamente.
In casa regnava una mescolanza di odori stantii, ma l'aria condizionata era un vero sollievo dopo la calura esterna e Tucker respirò più facilmente al pensiero che adesso era al riparo, dove non poteva essere notato.
Richiuse a chiave e, d'impulso, si mise la chiave in tasca. Trascurò la cucina e il soggiorno dirigendosi alle camere da letto. Non sapeva cosa cercava. La polizia non aveva mai trovato il corpo di Andie. Tucker era certo che il suo cadavere avrebbe offerto elementi che all'epoca potevano discolparlo ma adesso, a distanza di due anni, c'erano ben poche possibilità che venisse scoperto... o che in tal caso potesse offrire indizi concreti.
Comunque non l'avrebbe trovato in casa di Sean. Sperava piuttosto di trovare una lettera, altre foto, o un indumento che potesse collegare Sean alla sera del delitto. Era come cercare il proverbiale ago nel pagliaio, ma da qualche parte doveva pur cominciare.
Delle quattro stanze da letto, le prime due erano vuote. Quella accanto alla camera matrimoniale era stata trasformata in una specie di ufficio: c'era una vecchia scrivania di legno sepolta sotto un mare di fogli e attorniata da scatoloni di incartamenti; la cabina armadio accoglieva risme di carta, cartucce d'inchiostro per stampante, guide telefoniche, etichette postali e contenitori di dischi per computer. Nulla di promettente.
Passò nell'ultima e cominciò a esaminare il contenuto del comò. Nel primo cassetto c'erano varie cianfrusaglie: chiavi, stringhe nuove, una scatola da cucito, bottoni, un piccolo cacciavite, vecchie bollette, ricevute e delle lettere spiegazzate. Le lisciò ma nessuna mostrava la grafia di Andie. Solo una era firmata, e a giudicare dal contenuto erano tutte di Sydney.
Caro Sean,
perché non mi richiami quando ti lascio un messaggio sulla segreteria? Sono pur sempre la madre delle tue figlie. Non pensi a loro? Mi chiedono continuamente di te, vogliono il loro papà. Ho spiegato che hai un gran daffare, che devi risolvere alcune cose, ma dovresti proprio venire a trovarle più spesso. So che attribuisci a me la colpa di tutto, ma in realtà la colpa è tua, e lo sai bene. Comunque io sono disposta a perdonare. Possiamo ancora appianare le cose. Dobbiamo solo dimenticare il passato e riprendere la nostra vita. Tutti e due abbiamo agito in modo assurdo, ma vale la pena di metterci una pietra sopra. Non credi? Telefonami.
Sydney
Caro Sean,
ieri sera ti ho aspettato ma non sei comparso. Come mai non riesci neanche a mantenere un impegno per una cena con tua moglie? Ho bisogno di te, tesoro. E Courtney e Darci non capiscono come mai il loro mondo si è improvvisamente sgretolato. E io non posso rimetterlo insieme. Non da sola. Non importa. Non parliamo più di ieri sera. Sono pronta a ricominciare daccapo. Sabato è il nostro anniversario. Potremmo andare a cena al Point, come un tempo. Ricordi come ci piaceva? Lasciamoci il passato alle spalle, Sean, ti prego.
Niente firma.
Sean,
per quanto ancora manterrai questo silenzio? Non merito di essere trattata così. Ho agito sconsideratamente, ma per gelosia. Non riesci a capirlo? Dobbiamo tornare insieme. Sarai stanco di vivere da solo. O forse non sei più solo? È questo il fatto?
Di nuovo, niente firma.
Tucker, accigliato, rimise le lettere nel cassetto. Aveva immaginato che Sydney avesse scoperto l'infedeltà del marito e l'avesse lasciato, ma da quelle lettere pareva piuttosto che fosse stato Sean a rompere quell'unione. E adesso non intendeva tornare indietro. Come mai preferiva la sua vita di oggi a quella di allora, quando sembrava così felice?
Forse non era poi tanto felice, concluse Tucker. Ma durante un divorzio accadevano tante cose incomprensibili, i sentimenti mutavano e proprio la persona che aveva voluto il divorzio era sovente quella che proponeva la riconciliazione. L'unico modo per sapere cos'era successo era chiederlo a Sean, ed era esattamente ciò che si proponeva di fare.
Impiegò altri quaranta minuti a ispezionare la casa, senza il minimo successo. Salvo qualche barattolo di minestra, gli armadietti di cucina erano vuoti. Nella lavanderia c'era un cumulo di indumenti sporchi. Il frigorifero ospitava solo sei lattine di birra e una bottiglia di salsa. Quasi in ogni stanza, un portacenere traboccante.
Nessuna traccia di presenze femminili. Né messaggi annotati su foglietti o rimasti sulla segreteria telefonica. Nessuna lettera tranne quelle di Sydney. Solo qualche foto di Sean insieme alle bambine. A quanto pareva quell'uomo stava conducendo un'esistenza molto solitaria e vuota. E nevrotica, a giudicare dai mozziconi di sigarette. Come mai? Che ne era stato dell'individuo pacioso che aveva conosciuto?
Forse era stato tanto sciocco da innamorarsi di Andie e ancora la piangeva.
Rifletté su quell'ipotesi e l'escluse. Li conosceva bene, nessuno dei due poteva aver provato qualcosa di più di un'effimera attrazione sessuale. L'episodio dello chalet era nato da lussuria e gusto del rischio, non da amore. Altrimenti lui se ne sarebbe accorto.
Aprì l'uscio che dava nel garage ma d'un tratto la porta automatica prese a muoversi e Tucker fece un balzo indietro. Sean era tornato a casa. Forse adesso avrebbe avuto le risposte che cercava. O magari Sean avrebbe cercato di telefonare alla polizia. Non aveva idea di come avrebbe reagito l'amico di un tempo trovandolo lì, ma sarebbe stato interessante appurarlo.
Attese nel soggiorno, riguardando le foto trovate da suo padre.
Sean comparve. Aveva un colorito grigiastro, malsano; si era appesantito e la stempiatura si era parecchio accentuata.
«Ciao, Sean» disse Tucker.
L'altro alzò lo sguardo dal documento che stava esaminando e arrossì. «Co... cosa ci fai qui, Randy? Credevo...» deglutì, «... voglio dire, ho saputo della tua fuga ma non avrei mai pensato che potessi comparire da queste parti.»
«Perché no? Siamo amici, mi pare. O, almeno, ho sempre creduto che lo fossimo.» Tucker riprese a passare in rassegna le foto fermandosi su quella più compromettente per Sean. «Sono venuto perché avrei qualche domanda da farti. Hai qualche minuto per me?»
La fronte di Sean cominciò a imperlarsi di sudore e il suo sguardo si mosse verso il pacchetto di sigarette sul ripiano, accanto al telefono. «Veramente... avrei un impegno. Perché? Cosa vuoi? Cosa sono quelle?»
«Non ricordi?»
«Ricordo cosa?» replicò con voce più acuta.
«Sono le foto di quando siamo andati tutti insieme a passare il Natale allo chalet.» Gli mostrò la polaroid. «Questo sei tu, no?»
Sean cambiò faccia, raggiunse il pacchetto di sigarette e ne accese una.
«Non ricordavo che fumassi» osservò Tucker.
«Infatti.»
«Che c'è di cambiato?»
«Tutto.»
«Ti farai venire un cancro ai polmoni.»
«Prima è meglio è.»
«Sapevo che Andie aveva i suoi giri, ma non avrei mai immaginato che se la facesse con te.»
Sean, impacciato e a disagio, soffiò una boccata di fumo. «Già, be', scattare quelle foto è stata una stupidaggine. Ma sai com'era lei, si impuntava, le piaceva sfidare il pericolo. Credo che le volesse per ricattarmi. O forse come prova per te.»
«Per me?»
Sean guardò la sigaretta corrugando la fronte. «Non sopportava che tu fossi tanto indifferente, che tenessi a Landon più che a lei. Credo che si comportasse come faceva per farti saltare i nervi. Voleva umiliarti. Come tutti noialtri, era stufa di sentirsi inferiore a te.»
Quelle parole esplicite sorpresero Tucker. Non si era mai curato di vincere concorsi di simpatia, era stato troppo preso dal suo lavoro per coltivare rapporti sociali al di fuori dell'immediata cerchia dei conoscenti, ma aveva sempre considerato amici Sean e gli altri vicini di casa. Non aveva mai pensato che si sentissero inferiori.
«Vuoi spiegarti?»
«Tu eri quello che aveva tutto... la casa più elegante, la moglie più bella, l'auto più veloce, un'attività molto ben avviata, frequentavi i bei ristoranti. Noi al confronto eravamo robetta. E oltretutto eri generoso. Se i ragazzi della zona organizzavano una vendita di beneficenza, tu subito comperavi una montagna dei dolcini fatti da loro, o quel che c'era, come se cinquanta dollari per te equivalessero a tre per noi. Certe volte i comuni mortali si risentono di certe cose. Non è tanto difficile da capire.»
«Comperavo troppi dolcini? Per questo ti sentivi autorizzato ad andare a letto con mia moglie?» domandò Tucker.
«No. È una cosa di cui mi pento amaramente, se vuoi saperlo. Se non fosse stato per quello... Oh, be'...» Sean agitò una mano come per disperdere le parole. «Ma c'è stato un momento in cui mi sono creduto innamorato di Andie. Era così bella... Una volta le ho persino detto che l'amavo.»
«E lei ricambiava?»
Sean ebbe una mezza risata autoironica. «Scherzi? Mi ha preso in giro chiedendomi come facevo a credere di poter essere alla tua altezza. Ha detto che avrebbe amato sempre e solo te.»
«Me fortunato» commentò Tucker.
Sean lo scrutò per un momento. «Già, te fortunato.»
Tucker aprì a ventaglio, sul tavolo, le foto. «Perché non hai eliminato questa roba?»
«Non sapevo cosa ne avesse fatto. E nemmeno dove cercarle.»
«E non ti è mai venuto in mente di vuotare il sacco, dire come stavano le cose?»
«E perché? Non ti sarebbe certo servito. La polizia era convinta che l'avessi uccisa in un attacco di furibonda gelosia. Avrei solo aggravato la tua posizione.»
«Solo che io non l'ho uccisa, né in un attacco di gelosia né altrimenti.»
«Lo so.»
Questa risposta stupì Tucker che attese, aspettando spiegazioni, ma non ne vennero.
«Come fai a saperlo?»
«Semplicemente ti credo. Tutto qui. Ti credo.» Sean evitò di incontrare il suo sguardo. Si affaccendò per trovare un portacenere e ripiegò su una ciotola.
«Tu sai qualcosa della morte di Andie» affermò Tucker.
«Scemenze.» Sean era ancor più agitato. «Cosa dovrei sapere?»
«L'hai vista, quella sera? Hai sentito niente?»
«L'ho già detto alla polizia, sono tornato tardi dall'ufficio.»
«Non sei mai rientrato tardi. Hai sempre piantato lì il lavoro alle cinque, tutti i giorni. Da mamma e papà hai ereditato abbastanza da non doverti più preoccupare del mutuo, e non sei abbastanza ambizioso per continuare a lavorare oltre l'orario.»
Sean fece cadere altra cenere nella ciotola. «Grazie del complimento, ma questo non cambia nulla. Quella sera non ero qui, ma avrei dovuto esserci.»
«Perché?»
«Magari mi sarei accorto di qualcosa. Sarei potuto intervenire.»
«Forse sei stato tu.»
Sean scosse il capo. «Oh, non sognartelo nemmeno. Perché mai avrei dovuto uccidere Andie?»
«Dimmelo tu. Ha minacciato di raccontare tutto a Sydney? Ti ha ingelosito andando con un altro? Ha ferito il tuo amor proprio?»
«Ti sbagli in pieno» replicò Sean scrollando di nuovo la testa. «A Sydney l'ho detto io.»
«Quando?»
Sean si strinse nelle spalle e spense la sigaretta. «Non ricordo esattamente.»
«Prima o dopo la morte di Andie?»
«Prima.»
«Per questo tua moglie ti ha lasciato? Per via della vostra relazione?»
«Senz'altro quella è stata la prima causa.»
«E dov'è adesso Sydney?»
«Si è presa le bambine e il cane, adesso stanno a Gilbert.»
«Perché il divorzio?» Tucker raccolse le foto e Sean seguì il gesto come se volesse strappargliele di mano e farle a pezzi, ma non si mosse. «Cos'è successo tra voi due?»
L'altro non rispose. Guardò il giardino posteriore, al di là della finestra. «Ricordi che avevamo progettato di farci una piscina, come quella tua e di Andie?» chiese. «Tutti e quattro a discuterne: chi la voleva con l'idromassaggio, chi con una cascatella, chi immersa nel verde. Sydney e le bambine erano così entusiaste all'idea di quella maledetta piscina...»
«Cos'è successo tra te e Sydney?» insistette Tucker.
Sean incontrò il suo sguardo, con espressione abbattuta e infelice. «Avrei dovuto farla costruire» rispose.