10
Tucker aspirò a fondo per godersi il profumo della lepre arrosto e del mesquite che bruciava. Mai conosciuto un profumo così delizioso. Dopo tutta una giornata senza mangiare un boccone, e con i crampi allo stomaco, il pensiero del cibo gli faceva venire l'acquolina in bocca e gli dava un piacevole senso di aspettativa. Scomparse le sbarre, il puzzo, il rumore ossessivo, le facce ostili del penitenziario. Una meravigliosa pace, lì.
La Hadley, di fronte a lui, fissava le braci reggendo l'altra estremità del ramo secco usato come spiedo. Non avevano quasi scambiato parola da quando avevano iniziato a cucinare la lepre. Il rassicurante crepitio della legna che ardeva, l'aroma della carne, l'incredibile luminosità delle stelle creavano un'atmosfera serena e distensiva, ma per Tucker la magia della notte era dovuta in gran parte alla Hadley. I lunghi capelli biondi le ricadevano sulle spalle, folti e invitanti malgrado fossero in disordine. Il volto, arrossato dal fuoco, era lucido di traspirazione. Aveva una sensualità primitiva...
Si affrettò ad abbandonare quei pensieri. « Tra poco dovrebbe essere pronto.»
Lei annuì senza rispondere e Tucker si sforzò di trovare un argomento che potesse sfociare in una durevole conversazione. Qualcosa che distraesse entrambi.
«Hai girato parecchio l'Arizona?»
Lei si allontanò i capelli dal viso. «No, le solite località turistiche. Abito qui solo da sei anni e quasi due se li è presi Allie... è troppo piccola per poter viaggiare.»
Tucker ripensò alla bimba vista nelle foto: la Hadley doveva averne molta nostalgia e cercò di distoglierla da quel pensiero. «In effetti è una regione estremamente varia... ci si trova di tutto, dalle montagne incappucciate di neve al deserto.»
«Comincio a chiedermi come mai non abitano tutti nei pressi di quelle montagne incappucciate di neve.»
«Davvero?»
«Non ho visto molta vita da queste parti.»
«Perlopiù gli animali escono solo al tramonto e all'alba, o la notte. Alcuni, nella stagione più calda, vanno in letargo. Altri restano nascosti fino a che non piove.»
«E come fanno? Può passare anche un anno senza che piova.»
«I rospi del deserto rimangono in tane molto profonde, dove il terreno è umido, sino a quando le piogge estive colmano gli stagni. Allora emergono e... si accoppiano.»
«Facevi l'insegnante di biologia?»
Tucker scosse il capo. «No, ho semplicemente avuto parecchio tempo a disposizione.»
«E hai studiato il deserto?»
«Mi è parsa una buona idea visto che mi trovavo ingabbiato nel cuore di uno dei più grandi deserti del Nordamerica.»
«L'hai fatto nell'eventualità di riuscire a evadere?»
«No, per passare il tempo. Ai detenuti vengono concessi cinque libri alla settimana. Però... sì, speravo che quelle nozioni potessero servirmi, un giorno.»
La Hadley non fece commenti e Tucker stava già cercando un altro argomento neutro quando lei ne intavolò uno suo. Tutt'altro che neutro, naturalmente.
«Rimpiangi tua moglie?»
«Ti ho mai parlato dei topi canguro?» chiese lui rigirando lo spiedo con la massima attenzione. «Non bevono acqua neppure quando ce l'hanno a disposizione. La ricavano dai semi di cui si nutrono.»
«È un sì?»
Lui la guardò negli occhi. «E ci sono anche molte piante insolite. Il cactus Canne d'Organo cresce solo in una ristretta area del deserto di Sonora.»
«D'accordo. Se non vuoi parlare con me, risparmiatelo pure.»
«Ma sto parlando con te, se non erro.»
«Nell'ultimo quarto d'ora hai tirato fuori più voce di quanto abbia mai fatto da quando ti conosco. Ma senza dire niente.»
Lui, accigliato, tornò a occuparsi della lepre. «Non c'è nulla di male a parlare di cose che vengono facilmente dimenticate.»
«Che cosa hai paura di ricordare?»
Te. La fissò per un momento, poi imprecò tra i denti. «E va bene. Mia moglie mi manca... ma se devo essere sincero, mi manca molto di più mio figlio. Amavo mia moglie, quando l'ho sposata. Ma non direi che mi piacesse molto la persona che era diventata.»
Lei ci meditò sopra. «Okay. Dov'è tuo figlio?»
«In affidamento.»
«Non avevi genitori o altri parenti che potessero tenerlo con sé?»
«I miei l'avrebbero voluto ma sono troppo anziani, e mia madre ha la sclerosi multipla. Io sono nato tardi. Mio fratello probabilmente sarebbe stato disposto a occuparsene, ma è scapolo e non è molto affidabile. Ha due anni più di me ma sarebbe incapace di seguire un ragazzino.»
«E la famiglia di tua moglie?»
«Andie non ha mai avuto stretti rapporti familiari. I genitori hanno divorziato quando lei era piccola ed entrambi si sono risposati con persone che avevano già dei figli. Adesso il padre sta in California, la madre dopo avere divorziato dal secondo marito è tornata alla costa orientale. Si è offerta di prendere con sé Landon, ma non volevo che andasse così lontano.» Si chinò a esaminare la lepre e fece cenno a Gabrielle di sollevare la sua estremità dello spiedo. «È pronta.»
Si sedettero accanto per poter dividere il cibo e stare vicino al fuoco. Non avevano bisogno di quel calore ma le brevi fiammelle che si alzavano dalle braci avevano un effetto distensivo, quasi ipnotizzante. Il deserto, sotto le vivide stelle, non dava più un senso di sconfinata solitudine.
I frutti di mesquite non erano gran che, ma in compenso la lepre era squisita e tenera. Per un po' mangiarono di gusto, in silenzio.
«David abita a Florence?» chiese poi Tucker mentre ammonticchiava le ossa in disparte, a disposizione dei coyote e altri animali. Sapeva che tra poco avrebbero dovuto mettersi in cammino. Il pensiero di Landon era sempre presente, ma adesso provava una strana calma che attutiva l'ansia di compiere quella missione. Come se dovesse approfittare di quel momento perché forse non se ne sarebbero presentati altri.
«No, sta a Phoenix.»
«Cosa ti ha condotta a Florence, allora? Un altro uomo?»
«No. Non sono più sposata con David, ma...»
« Lasciami indovinare... gli resti fedele.»
«Come fai a saperlo?» A Tucker non sfuggì il lampo di sorpresa negli occhi di lei.
«Buon Dio, quell'uomo dev'essere disperato per ciò che ha perso.»
«David non è per niente disperato. Gli va benissimo così. Gli è passata.»
Ma il tono volutamente spigliato gli fece capire che era una bugia.
«Stai cercando di convincere te stessa o me?»
«Non cerco di convincere nessuno. È la verità.»
«Se lo fosse, saresti andata avanti con la tua vita.»
«Lo farò al momento opportuno. Ma prima... ho da risolvere alcune cose.»
«Per esempio?»
Lei prese qualche sorso d'acqua e gli offrì la tanica, ma lui non ne aveva bisogno. Si sentiva bene, la mano non gli faceva molto male, salvo che cercasse di usarla, e anche il dolore alle costole era diminuito.
«Lo sapevi che certi cactus possono arrivare ai duecento anni?» riprese lei.
Lui si mise a ridere e decise di non sondare oltre. Ma il pensiero di David continuava a roderlo. Lo invidiava. Non poteva essere l'uomo ideale, altrimenti la Hadley non avrebbe divorziato. E anche se lo era, preferiva non saperlo.
«Sì, lo so benissimo» rispose. «In marcia, adesso» aggiunse alzandosi e offrendole la mano.
Lei esitò, come riluttante. Poi lo guardò, sorrise e accettò quell'aiuto.
«Cos'altro sai del deserto?» Gabrielle aveva bisogno di distrarsi dall'idea degli invisibili animaletti che sentiva frusciare tra i cespugli.
«So che per quanto sembri inospitale, per secoli ha offerto cibo alle popolazioni indigene.»
«Cibo? Non certo attraverso l'agricoltura.»
«Be', qualcosa coltivavano... prima che noi costruissimo dighe e deviassimo i corsi d'acqua. Ma si cibavano anche dei prodotti spontanei. Circa un quinto delle piante del deserto sono commestibili» le spiegò lui.
«Come i frutti del mesquite?»
«Non ti hanno favorevolmente colpita, vedo. Be', ce ne sono anche altre. L'agave, a esempio.»
«L'agave?»
«Sicuro. Gli indiani ne ricavavano moltissime cose: cibo, bevande, sapone, farmaci e fibre che servivano per corde, vestiti, sandali, reti...»
«Una specie di pianta multiuso, eh? Dev'essere squisita. Ho sempre desiderato assaggiare qualcosa con cui si potevano fare sapone e corde.»
Lui si mise a ridere. «Mi spiace darti una delusione, ma ce ne sono di commestibili e non commestibili, e io non so distinguerle.»
In lontananza si udì lo squittio di un gufo subito seguito dal grido lugubre di un coyote, e Gabrielle dovette trattenere l'impulso di afferrare la mano di Tucker. «Con tanta abbondanza, ci sarà pur qualcos'altro che possiamo mangiare.»
«Questo è certo, ma purtroppo è passato del tempo da quando ho letto quel libro e pur sapendo che ci sono moltissime piante commestibili non saprei riconoscerle. C'è una bella differenza tra vedere una fotografia e trovarsi davanti alla pianta.»
«Devo dire che sei uno strano tipo» commentò lei. «Di solito i detenuti leggono tutt'altra roba. E le uniche foto che guardano sono quelle di ragazze più o meno nude.»
Tucker le lanciò un'occhiata. «Di sicuro anche loro sarebbero pronti a dichiarare che ce ne corre tra una foto e il soggetto in carne e ossa.»
«Non lo so. Certi prendono molto sul serio le modelle dei loro calendari.»
«Sono costretti ad accontentarsi.»
«Tu non tieni foto nella tua cella, salvo quella del ragazzino che immagino sia tuo figlio.»
«Non mi lascio più prendere dai sogni.»
«Troppo disincantato?»
«Non mi accontento facilmente.» Scavalcò un saguaro caduto e si voltò per aiutarla. «E neanche tu, direi.»
«Cosa intendi dire?»
«Prova a indovinare.»
«Ti riferisci a David?»
«Appunto.»
«David non sarebbe certo un ripiego per una donna che si mettesse con lui. Ha tutto. È bello, in gamba, generoso...»
«Allora perché l'hai lasciato?»
«È stata colpa mia, non sua. Non riuscivo a sentire, a trovare...» Si interruppe perché non sapeva bene come spiegarsi. Se avesse saputo cosa mancava tra loro avrebbe trovato il modo di risolvere il problema. «... qualcosa» concluse fiaccamente.
Tucker si fermò, voltandosi. La sua sagoma oscurava la luna e le stelle, lei poteva scorgere solo il brillio degli occhi. «Cos'era quel qualcosa?»
Non si era mai sentita così intensamente consapevole della vicinanza fisica di un uomo. Ne era così sopraffatta da non riuscire a dir parola.
Lui sollevò la mano sinistra insinuandola sotto i capelli di lei fino a poggiarla sulla nuca. L'attirò piano a sé, come per farle capire esattamente ciò che stava per fare.
Una parte di lei lo desiderava intensamente. L'altra era troppo confusa per prendere una risoluzione. Annullò ogni pensiero. Le pareva di essere in caduta libera.
Tucker posò la bocca sulla sua e le accarezzò il labbro inferiore con la lingua, lentamente. Ebbe un gemito gutturale a confermarle che traeva da quel bacio lo stesso piacere che dava a lei, un tumulto di sensazioni squisite in cui lei si sentì disperdere.
«Cos'era che non provavi?» chiese lui rialzando il capo e fissandola intensamente.
Questo, avrebbe voluto rispondere, ma la lealtà nei confronti di David non glielo consentì e comunque, ne era quasi certa, Tucker conosceva già la risposta.
«Hai fatto bene a lasciarlo» dichiarò brevemente lui di fronte al suo silenzio, poi riprese il cammino.
Ma Gabrielle seppe che quel bacio sarebbe rimasto indimenticabile.
Erano in marcia da poche ore ma lei si sentiva le gambe pesantissime. Si costrinse a camminare ma non era più certa che procedessero nella direzione giusta. In tal caso a quel punto avrebbero dovuto ormai raggiungere qualcosa... una stazione di servizio, una fattoria, un centro abitato. Forse stavano allontanandosi dalla civiltà, invece che avvicinarsi. E lei moriva dalla voglia di tornare dalla sua bambina.
«Sei sicuro di sapere dove stiamo andando?» chiese infine.
Lui non rispose subito. Non aveva pronunciato una sola parola dopo quel bacio. Pareva in collera, come se fosse stata lei a prendere l'iniziativa e non viceversa. Ma non gliene importava nulla. Questa volta anche lei era arrabbiata: arrabbiata perché lui lo era, per le orribili esperienze che Tucker aveva dovuto attraversare, arrabbiata per sentirsi così attratta da lui pur rendendosi conto che era una cosa assurda e senza sbocco, arrabbiata per essersi cacciata in quella situazione.
«Per quanto mi riguarda, lo so benissimo.»
«E dove?»
«Lascia perdere. Appena possibile ti lascio andare per la tua strada.»
«Non è che tenga poi tanto a restare aggregata a te» replicò lei, ma Tucker non disse niente.
Dopo un'altra mezz'ora di silenzio Gabrielle chiese se potevano fermarsi a riposare.
«No, non possiamo» fu la secca risposta. «Dormiremo domattina.»
«Non ho detto che voglio dormire, ho solo bisogno di un quarto d'ora di sosta. Non ne posso più.»
«Fermati pure.»
«E tu?»
Silenzio.
«Conti di andare avanti senza di me?»
«Puoi sempre cercare di raggiungermi, quando ti sarai riposata. Non posso far altro.»
«Cosa?»
«Non intendo lasciarmi intralciare da te.»
Quelle parole la ferirono, soprattutto dopo la tenerezza di quel bacio. Come faceva a passare di punto in bianco dalla seduzione alla brutalità? «Va bene» mormorò. «Se ce la fai tu posso farcela anch'io.»
Lui non aprì bocca.
«Temi che l'avermi baciata possa compromettere la tua immagine di duro?»
Nessuna risposta.
«Be', non darti pensiero. So benissimo che sei un cialtrone. Quel bacio non significava niente per me. Non ti bacerei di nuovo neppure se fossi l'unico uomo sulla terra.»
Lui continuò a camminare.
«Razza di bastardo!» Raccolse un sasso e glielo tirò. Lui si girò in tempo per scansarsi, e come lei ne prendeva un altro le afferrò il braccio.
«Mollalo» ordinò.
Lei ubbidì, ma la voglia di far breccia in quella scorza coriacea si fece ancora più forte. «Avrei dovuto lasciarti al tuo destino, senza acqua né altro!»
Lui non allentò la stretta: «È esattamente ciò che avresti dovuto fare».
«Lasciarti morire atrocemente!»
«Non ho bisogno del tuo aiuto. Non vorrei neppure averti qui con me.»
Lo fissò con aria di sfida. «Ah, sì? Può anche darsi che tu non mi voglia qui, però mi vuoi, eccome.»
«Non è vero» borbottò lui.
«Sì, invece. Non lo ammetterai mai, però il tuo corpo ti ha tradito, e così il bacio.» Si sollevò in punta di piedi e con la lingua gli accarezzò il labbro, così come aveva fatto lui poco prima, per provocarlo malgrado sapesse che sarebbe stato molto più saggio guardarsi bene dal farlo.
Si era aspettata una reazione ma l'immediatezza del gesto di lui la colse di sorpresa. Tucker la strinse a sé con forza, baciandola in modo completamente diverso. Un bacio duro, famelico, esigente. E appagante.
«Cosa vuoi sentirti dire?» domandò poi lui con voce tesa. «Che non ho mai desiderato di più una donna? Che voglio fare l'amore con te sino allo sfinimento? È questo che vuoi che ti dica?»
«Sì» boccheggiò lei.
Tucker si ritrasse, sbalordito, ma solo per un momento. Poi, come se quella semplice risposta avesse annullato ogni controllo, la baciò di nuovo, avidamente e le sue mani presero a slacciarle i bottoni cercando i seni.
La liberò in fretta di camicia e reggiseno e si scostò per guardarla. «Questo è un sogno in cui posso credere» disse in un bisbiglio roco. Chiuse la bocca su un capezzolo e Gabrielle ebbe un gemito mentre si abbandonava contro di lui, così smarrita in quel momento da non sentire il lontano rumore sordo dei rotori di un elicottero, però si accorse che lui si irrigidiva, allora capì che qualcosa non andava e quel borbottio penetrò nella sua mente. Ma solo quando vide il fascio luminoso che percorreva il terreno, a meno di un chilometro, capì di che si trattava.
«Oddio» disse Tucker. Poi raccolse gli indumenti di lei, l'afferrò per un braccio e iniziò a correre, trascinandola con sé.