14
Quella notte piovve. Gabrielle, a letto, ascoltava le grosse gocce grevi che risuonavano come monete sul tetto metallico della sua casa mobile, ma pensava a un altro scroscio, quello nel deserto, quando si era svegliata e c'era Tucker a dormire accanto a lei, nella caverna.
Ricordò la paura provata al pensiero di essere sola in quella situazione, il sollievo nel sentirsi vicina a un altro essere umano, il senso di protezione e di calore avuto da Tucker quando gli si era rannicchiata contro. Lui istintivamente l'aveva attirata a sé e quel contatto aveva allontanato timori e scomodità. Almeno per un poco.
Scostò le lenzuola e scese dal letto con l'idea di andare da Allie, poi rinunciò. David dormiva nella stanza accanto e il pavimento scricchiolava. Non voleva svegliarlo, come la volta precedente; non voleva affrontare altre domande, dubbi, occhiate indagatrici. Considerando poi che l'indomani mattina sarebbe partito. Prima di andare a coricarsi le aveva annunciato che aveva bisogno di tornare in città per occuparsi di certe questioni di lavoro, ma sperava di poter tornare a Florence il weekend successivo. Tuttavia lei non sapeva se voleva rivederlo così presto. Era prontissima a riconoscere che era un ottimo padre per la loro bimba, ma al momento lei si sentiva frastornata, aveva bisogno di stare da sola, di riflettere su quanto era accaduto.
Scostò le veneziane per guardare fuori nella notte temporalesca e appoggiò la fronte al vetro. C'era ben poco lì a Florence. Una strada principale con un modesto supermercato vecchiotto, un piccolo ufficio postale, la sede del municipio, che aveva un gran bisogno di essere rimessa in sesto, diversi negozi che avevano cessato l'attività e restavano lì, negletti; alcune costruzioni che risalivano al tempo in cui le miniere d'argento erano attive e adesso avevano ingressi e finestre sbarrati con assi in attesa dei fondi che li potessero salvare dando loro la dignità di reliquie del passato. Florence poteva vantare una tavola calda ma non un ospedale, di certo non un centro commerciale, né un albergo degno di tale nome. Eppure in quel modestissimo centro c'era qualcosa di cui lei aveva bisogno. Sua madre; la possibilità di mantenere se stessa e Allie; lo spazio psicologico per capire cosa voleva dalla vita. Tornare a Phoenix equivaleva ad arrendersi, rinunciare. E lei non se la sentiva. Ma come poteva continuare a far soffrire David?
Un lampo squarciò il buio illuminando un'auto ferma sull'altro lato della strada e strappando Gabrielle alle sue meditazioni.
Probabilmente non ci avrebbe fatto caso se non fosse stata posteggiata contromano, e guardando con maggior attenzione intravide la testa e le spalle di qualcuno seduto al posto di guida. Inoltre, chiunque fosse, stava osservando la sua casa. Anzi, guardava dritto verso di lei!
Si ritrasse di scatto dalla finestra portandosi una mano al petto come per placare il martellio del cuore. Di chi si trattava? Cercò di convincersi che era il suo vicino di ritorno dal lavoro, ma un'occhiata alla sveglia digitale sul comodino le confermò che il turno di notte sarebbe terminato solo tra un paio d'ore. E poi lui non aveva un'auto bianca.
Poteva essere Tucker?
Provò una strana sensazione in cui si mescolavano timore, per lui e per sé, e un improvviso doloroso desiderio. Quante volte si era chiesta se lui stava bene? Se l'avrebbe mai rivisto?
Sbirciò dal bordo della finestra ma la pioggia, spinta dal vento, colpiva il vetro scorrendo giù in rapidi rivoli che alteravano le immagini. Il lampione, con la sua luce spettrale, era a quasi duecento metri.
Doveva essere Tucker, concluse. Florence era una comunità di agenti di custodia e altri dipendenti delle carceri, la criminalità era bassissima, quindi escludeva che si trattasse di un ladro che studiava la zona.
Tucker aveva bisogno di lei. Ma come aiutarlo? David non avrebbe capito né approvato. Le avrebbe detto di lasciare che se ne occupassero le autorità, che i problemi di Tucker non la riguardavano.
Per certi versi concordava con lui, ma teneva troppo a Tucker per scaricarsi di ogni responsabilità.
Doveva avvertirlo che David si trovava lì, dirgli di allontanarsi.
In maglietta e calzoncini uscì dalla stanza e in punta di piedi raggiunse il soggiorno. Aprì con cautela la porta d'ingresso trattenendola con forza perché il vento non la facesse sbattere contro la parete esterna della casa mobile.
Di fuori l'aria era fresca ma non fredda malgrado la pioggia e il vento: la strada asfaltata e il marciapiedi in cemento emanavano ancora il calore residuo dei quarantatré gradi del giorno.
Ma lo scroscio l'infradiciò subito quando lasciò il riparo della tenda sopra l'ingresso per attraversare la strada.
Aveva quasi raggiunto la macchina bianca quando rallentò il passo rammaricandosi della sua decisione impulsiva. La persona a bordo non si era mossa. Se fosse stato Tucker...
I fari si accesero e nel riverbero luminoso scorse un viso noto.
Quello di Hansen.
Gabrielle stava quasi per tornare indietro alla svelta, invece si costrinse a passare sull'altro lato dell'auto. Non poteva filarsela perché non era ciò che avrebbe fatto se quanto aveva detto al sergente e a Crumb fosse stato vero: avrebbe invece picchiato contro la portiera per chiedergli che ci faceva lì, davanti a casa sua.
Aveva ormai i capelli incollati alla testa e alle spalle, piena di brividi, quando lui abbassò il finestrino.
«Simpatico completino» osservò lui posando lo sguardo sulla maglietta che le si era incollata al seno.
A Gabrielle giunse una zaffata d'alcol.
«Ti sei presentata a Tucker così abbigliata, nel deserto?» continuò Hansen. «O ti sei tolta tutto offrendogli lo spettacolo completo e un giro gratis?»
«Hai bevuto.»
«Ne ho ogni diritto. Non sono in servizio.»
Gabrielle pensò che avrebbe potuto denunciarlo per guida in stato di ubriachezza, ma ora aveva altre cose per la mente. «Che ci fai qui?»
«È un luogo pubblico.»
«Non è una risposta.»
«Vuoi una risposta?» Lui appoggiò un braccio sul volante e si protese verso di lei. «Sono stato a chiedermi cos'hai di sballato.»
«Come sarebbe a dire?»
«Come mai un tipino sexy come te preferisce un avanzo di galera a un vero uomo?»
«E saresti tu questo campione?»
Lo sguardo di lui si fece duro. «Ci puoi giurare, Hadley. Se mai dovessi f...»
«Vai per la tua strada» lo interruppe lei facendo un passo indietro.
«Non prima che tu mi abbia detto alcune cosette.»
Gabrielle diede un'occhiata alla sua casa, rammaricandosi di esserne uscita così silenziosamente. La comparsa di David sarebbe stata provvidenziale. «Per esempio?»
«Come ha fatto Tucker a sopravvivere nel deserto abbastanza a lungo da legarti nei pressi di quel ranch?»
«Non ne ho idea.»
«E come mai il direttore del ranch ha trovato una tuta arancione in un incubatoio rimasto ermeticamente chiuso dalle cinque del pomeriggio fino alle otto del mattino in cui ti hanno scoperta?» Di fronte al silenzio di Gabrielle, aggiunse: «Ti ho chiamata, nel pomeriggio. Tuo marito, David...».
«Il mio ex-marito.»
«... è stato molto gentile. Mi ha spiegato esattamente la strada.»
«L'avrei fatto anch'io.»
Hansen ebbe una risatina scettica. «Oh, sicuro. Chissà dove mi avresti fatto arrivare.»
«Così oggi sei stato là?» Gabrielle si domandò cos'altro gli aveva detto Griffin.
«Già, ho dato un'occhiata attorno.»
«Molto diligente, non c'è che dire...» si limitò a borbottare lei.
«Sono deciso a mettere le mani su Tucker, fosse l'ultima cosa che faccio. Lo sistemo io, quel bastardo.»
Secondo Gabrielle quell'uomo era un idiota, ma anche abbastanza fanatico da essere pericoloso e lei non intendeva provocarlo oltre. «Magari sprechi il tuo tempo. Forse Tucker ha ripreso la via del deserto cercando di passare il confine e non ce l'ha fatta. Ormai potrebbe essere già morto e tu sei qui ad arrovellarti.»
«Ti piacerebbe convincermi, eh? Così lascerei perdere.»
«Perché dovrebbe importarmene qualcosa?»
Le lanciò un'occhiata penetrante. «Non lo so. Però è così.»
«Fa freddo. Io rientro.»
Si avviò per girare attorno all'auto, ma con una rapidità di cui non l'avrebbe ritenuto capace nelle sue attuali condizioni lui la raggiunse afferrandole un polso prima che avesse oltrepassato il cofano.
«Griffin mi ha raccontato che, lo stesso giorno in cui hanno trovato te, alcuni suoi uomini hanno scoperto un uomo nascosto nel magazzino.»
Gabrielle si sentì attanagliare dalla paura. «E con ciò?» riuscì a chiedere.
«Mi ha detto che sei andata a dargli un'occhiata e hai dichiarato che non era Tucker.»
«Infatti. Era un escursionista che aveva perso l'orientamento e aveva esaurito la scorta d'acqua.»
«Ma corrispondeva alla descrizione.»
«Vuoi che non sappia riconoscere Tucker?»
«Secondo me non vuoi che lo prendiamo.»
«E perché?» Gabrielle si liberò con uno strattone e si allontanò dal viso i capelli gocciolanti. «Mi sono spinta nel deserto per riportarlo indietro.»
«È questo che non mi è chiaro. Se hai causato l'incidente per permettergli di scappare, perché gli sei andata dietro in quel maledetto deserto? Avevate in mente di sparire insieme?»
«Abbandonando mia figlia? Ma tu sei matto! La colpa dell'incidente è stata di Eckland, non mia. Io l'ho inseguito perché ritenevo che fosse mio dovere.»
«Può darsi» ribatté lui. «O forse cercavi solo di mascherare le tue vere intenzioni.»
«Io a momenti ci crepavo, figlio di...» Si interruppe aspirando a fondo. Non era il caso di esasperare Hansen.
«A volte le cose vanno storte» osservò lui, senza neanche considerare quel che lei aveva passato. «Ma ti dico una cosa: se ci sei dentro, se hai avuto una parte in questa storia, io ti inchiodo. Chiaro?»
«Secondo me hai visto troppi film di Clint Eastwood.»
«Staremo a vedere.»
Gabrielle non rispose. Con il cuore in gola lo vide risalire a bordo e partire.
Erano passati nove giorni, ed era sabato. David era stato via tutta la settimana; i media avevano dato grande risalto alla vicenda di Tucker; il mercoledì Gabrielle si era presentata al Complesso Eyman, secondo le istruzioni di Crumb, e là aveva già fatto tre turni. Aveva previsto di detestare quel posto, di avere difficoltà a rientrare nello stesso tipo di ambiente tetro da cui era uscita il giorno in cui avrebbe dovuto scortare Tucker a Yuma. Invece era stata un'esperienza molto diversa: una struttura moderna, molto più tranquilla del vecchio penitenziario; il direttore sembrava una persona retta e imparziale e gli agenti di custodia che dipendevano da lui erano molto coscienziosi.
Il primo giorno aveva avvertito un certo riserbo nei colleghi e si era chiesta se Hansen aveva fatto circolare la voce che era una piantagrane, ma alla fine del terzo turno erano tutti più disinvolti e cordiali. Un gruppetto, uomini e donne, le aveva anche proposto di andare a bere qualcosa tutti insieme, quella sera. Lei aveva dovuto rifiutare perché quella sera Felicia era impegnata e non poteva fare da babysitter, e David aveva telefonato per avvertirla che sarebbe arrivato solo domenica, altrimenti avrebbe accettato ben volentieri.
Adesso che si era fisicamente ripresa non aveva più voglia di starsene chiusa in casa. Il tempo pareva non passare mai e aveva sempre l'angoscia di venire a sapere, accendendo la televisione, che Tucker era stato preso. E la presenza di Hansen davanti a casa sua, qualche giorno prima, di certo non aveva alleggerito il suo stato d'animo. Il solo ricordo le faceva accapponare la pelle, soprattutto rammentando come l'aveva guardata chiedendole come mai preferiva un avanzo di galera a un vero uomo.
Rabbrividì a quel pensiero e si sforzò di scacciarlo mentre aspettava, al distributore di benzina, che le dessero il resto, ma era difficile concentrarsi su qualcosa che non si imperniasse sugli avvenimenti di quelle ultime settimane. Unico conforto: Tucker era ancora libero. Forse non l'avrebbero mai catturato, si disse, lasciandosi prendere dall'ottimismo. Forse avrebbe potuto ricostruirsi una vita in Messico...
In quel momento lo sguardo le cadde sull'espositore dei giornali. In prima pagina spiccava la faccia di Tucker. Era stata pubblicata più volte in quegli ultimi giorni, quasi sempre la stessa foto, quindi non si stupì. Ma leggendo il titolo restò senza fiato: L'evaso di Florence sospettato di rapimento del figlio.
Santi numi, ce l'aveva fatta!
«Signora...»
Guardò l'inserviente. «Prendo anche quel giornale» disse, frastornata, restituendo parte del resto.
Lo lasciò cadere sul sedile del passeggero e mise in moto la macchina fermandosi poco più avanti, nel posteggio. Lesse febbrilmente il primo paragrafo.
Phoenix, Arizona - Nella notte di mercoledì il piccolo Landon Tucker è stato portato via dalla sua abitazione, a Chandler, mentre i genitori d'affido, Maureen e William Boyer, dormivano. La polizia ritiene che il responsabile sia il padre, Randall Tucker, detenuto evaso dall'Arizona State Prison di Florence. Tucker, che stava scontando una condanna all'ergastolo per l'uccisione della moglie, è riuscito a fuggire qualche giorno fa nel corso di un normale trasferimento al penitenziario di Yuma facendo perdere le sue tracce nel deserto di Sonora...
Gabrielle tralasciò le parti che aveva già letto almeno una decina di volte e andò all'ultimo paragrafo.
Gli investigatori dichiarano che Tucker si è servito, come leva, di un'asta metallica per aprire una finestra, su cui sono state rilevate le impronte digitali dell'evaso, che forse non era perfettamente chiusa. Nessuno quella notte ha visto o sentito qualcosa di insolito. Nulla sta a indicare con quale mezzo si sposti Tucker né dove potrebbe condurre il figlio. Non è stato possibile comunicare con il fratello, proprietario di una palestra di karatè, a Tempe. Le persone che possono fornire informazioni utili al ritrovamento di Randall o Landon Tucker sono invitate a mettersi al più presto in contatto con la polizia.
Gabrielle mise da parte il giornale e ripartì. Doveva tornare a casa, Felicia doveva essere sulle spine. Ma era difficile rientrare come se fosse una serata qualsiasi. Tucker era arrivato fino a Landon! Chissà com'era felice nell'avere di nuovo accanto il figlio, dopo due lunghi anni... Ce l'aveva fatta, nonostante tutto!
Prese una decisione. Se Tucker era riuscito a ottenere ciò che più desiderava, anche lei doveva averne la forza.
Questa volta non ebbe esitazioni quando fermò l'auto davanti alla casa di sua madre. Scese e, con Allie in braccio, si diresse alla porta, pronta ad affrontare le conseguenze, quali che fossero. Ma ugualmente il cuore le batteva forte: di lì a pochi momenti si sarebbe trovata di fronte a sua madre, la donna che aveva sognato per più di vent'anni.
L'auto di Naomi Cutter era ferma al solito posto e Gabrielle si spostò di lato per oltrepassarla. Le tende erano chiuse e non poteva vedere cosa stessero facendo sua madre e l'uomo che viveva con lei, ma era quasi ora di cena e probabilmente si trovavano in cucina per gli ultimi preparativi se già non erano seduti a tavola.
Arrivata presso la soglia, raddrizzò bene le spalle e diede un'occhiata ad Allie che le sorrise. «Ci siamo, bimba.» E bussò.
«Puoi andare tu, Hal?» Una voce femminile. «Io ho le mani bagnate.»
Gabrielle radunò le forze. Avrebbe voluto far cessare quel tremito interiore.
La porta si aprì e comparve l'uomo che aveva visto un paio di volte attraverso la finestra, ma questa volta indossava una camicia e i capelli argentei erano ben ravviati.
«Sì?»
Dovette fare uno sforzo per trovare la voce. «Sono Gabrielle Hadley...» tossicchiò. «Potrei parlare con la signora Naomi Cutter?»
Lui, evidentemente perplesso, guardò prima lei e poi la bambina. «Un momento» si limitò a dire.
I secondi che seguirono parvero durare un'eternità. Solo il pensiero di Tucker che si intrufolava di soppiatto in casa d'altri, nel cuore della notte, per riprendersi suo figlio la tenne dov'era. Non si sarebbe tirata indietro. Lo doveva a se stessa. Non era tutto facile e liscio, a questo mondo. A volte bisognava, lottare, affrontare dei rischi...
«Sì?»
Sua madre era comparsa sulla soglia: il volto era ancora bello, i capelli castani avevano qualche filo grigio, gli occhi scuri solo leggermente truccati l'osservavano incuriositi. Gabrielle non poté fare a meno di chiedersi se altri, vedendole insieme, avrebbero detto: «Mia cara, tua figlia ha proprio i tuoi occhi». Per anni aveva sentito gli amici e i conoscenti dei Patterson fare commenti sulla somiglianza tra Penny e le due gemelle. Quando qualche incauto non informato si avventurava a includere anche lei, Gabrielle era costretta, con grande disagio, a spiegare che non era di famiglia.
Quella, sì, era sua madre. Ed era anche una sconosciuta.
«Sono Gabrielle Hadley» ripeté. «Spesso mi chiamano Gabby.» Anche tu, un tempo, ricordi? Io sì. Avevo solo tre anni eppure non ho mai dimenticato la tua espressione quando mi hai lasciata all'asilo nido dicendo: «Addio, Gabby. Mi dispiace, piccola. Perdonami. Ti voglio bene».
A quell'epoca Naomi diceva molto spesso che le dispiaceva, così lei non ci aveva badato molto. Lei aveva fatto ciao con la manina, aveva sorriso e, nell'innocenza dell'infanzia, aveva lasciato che la mamma se ne andasse. Ma, quella sera, la mamma non era tornata a prenderla.
I nuovi adulti comparsi nella sua vita, del tutto sconosciuti, parlavano in toni sommessi mentre la sballottavano da un posto all'altro. A poco a poco aveva compreso cosa significavano quelle parole, e con quella scoperta erano venuti il rancore e la rabbia.
Era il rancore che adesso minacciava di soffocarla. Come poteva una madre fare ciò che aveva fatto Naomi?
Mentre Allie agitava le gambette Gabrielle si domandò come mai aveva sentito così imperiosa la necessità di avvicinare questa persona che l'aveva tradita in modo tanto brutale. Adesso lei era una persona adulta, con una figlia. Avrebbe dovuto semplicemente dimenticare, proseguire per la sua strada...
«Mi scusi» disse. «Credo... devo avere sbagliato indirizzo.» Si girò in fretta, desiderosa solo di allontanarsi, ma il suo nome pronunciato da sua madre la fermò.
«Gabby? La mia Gabby?»
Chiuse gli occhi mentre qualcosa di doloroso le si ritorceva dentro. «No. Ho sbagliato indirizzo» borbottò, senza voltarsi. Non ce la faceva a guardare di nuovo quel volto, non riusciva a controllare le emozioni e i ricordi che le si rovesciavano addosso come una valanga d'acqua da una diga squarciata e che minacciavano di trascinarla via in un vortice di acredine.
«Gabby, non andartene» disse sua madre, seguendola quando lei mosse ancora qualche passo. «Ti prego. Ora che sei qui, il meno che possiamo fare è parlare, no?»
Parlare? Adesso? Troppo tardi.
«Ti prego» ripeté sua madre in un bisbiglio.
Gabrielle si voltò lentamente dicendosi che avrebbe chiesto le risposte per le domande che si faceva da sempre e poi se ne sarebbe andata. Capitolo chiuso. Ma quando si trovò davanti a sua madre non si sentì più una persona adulta. Era una ragazzina che aveva aspettato accanto alla finestra, notte dopo notte, rifiutandosi di credere che proprio la persona che più avrebbe dovuto volerle bene l'avesse abbandonata. E pareva una ferita recente, appena aperta, così dolorosa che Gabrielle non poté trattenere le lacrime che le salirono agli occhi traboccando, irrefrenabili.
«Come hai potuto?» mormorò.
Naomi rimase immobile, senza parole. Sbatté rapidamente le palpebre, deglutì e infine ritrovò la voce. «Se ti spiegassi ciò che stava succedendo nella mia vita, allora, sembrerebbe un tentativo di giustificarmi. E già so che non ci sono scusanti per ciò che ho fatto. Non ne posso offrire né a me né a te.»
«Voglio ugualmente saperlo.»
L'uomo che le aveva aperto la porta le osservava, fermo sulla soglia. Pareva che volesse dire qualcosa, ma non aprì bocca.
«Vieni in casa» mormorò Naomi.
Gabrielle esitò.
«Solo per pochi minuti.»
Allie, stanca di essere tenuta in braccio, cominciò a scalciare per essere depositata a terra, ma Gabrielle la tenne ancora più stretta. Il passato non può più ferirmi. È superato, si disse passandosi una mano sulle guance umide. Ma sapeva che in realtà non era affatto superato, altrimenti lei non sarebbe stata lì, adesso.
Seguì Naomi nella casa in stile spagnolo che aveva osservato dall'esterno in più occasioni e si accomodò sull'accogliente divano marrone del soggiorno. L'uomo le seguì e subito prese il telecomando per spegnere il televisore che stava trasmettendo uno schiamazzante spot pubblicitario.
«Mio marito, Hal» lo presentò Naomi.
Gabrielle gli rivolse un cenno educato chiedendosi se la ragazza che aveva visto lì l'ultima volta era figlia di Hal e di Naomi.
«Posso offrirti qualcosa da bere?»
Gabrielle scosse il capo. «No, grazie.»
Lo sguardo di Naomi passò alla bambina. «È tua figlia?»
«Sì. Si chiama Allie.»
«Puoi metterla giù. Non c'è niente con cui possa farsi male.»
Gabrielle la depose sul pavimento e la piccola gattonò verso Naomi e ne afferrò l'orlo del vestito per cercare di tirarsi in piedi.
«Buona, Allie» mormorò Gabrielle, recuperandola.
«Diglielo, Naomi» intervenne Hal a quel punto, parlando per la prima volta.
«È inutile... non c'è modo di rimediare, di cancellare...»
«Diglielo ugualmente.» Il tono era ruvido e al tempo stesso tenero.
Gabrielle provò uno strano brivido. Cosa poteva raccontarle sua madre? Che più di vent'anni prima si era trovata senza lavoro e non aveva modo di mantenere una bambina? Che non era in grado di affrontare gli impegni psicologici della maternità? Cosa?
«Mi dispiace, Gabby. Ero disorientata, frastornata e ho commesso un'azione imperdonabile. E in seguito... quanto avrei voluto poter tornare indietro...» Si interruppe per riprendere l'autocontrollo e Gabrielle si rese conto che Naomi stava cercando di contenere le emozioni esattamente come lei. «Non ho giustificazioni da offrirti, nessuna ragione valida e accettabile. Ma sto scontando il mio errore, l'ho scontato in ogni giorno della mia vita da quando...» la voce le tremò, «... da quando mi sono allontanata da quell'asilo nido. A volte è una coltellata improvvisa. Magari vedo una bambina più o meno dell'età che avevi tu l'ultima... l'ultima volta che ti ho vista... ed è un dolore terribile...»
«Ma perché l'hai fatto?» chiese Gabrielle. «Ero una bambina così difficile?»
Naomi si afferrò allo schienale di una poltrona come se le mancassero le forze. «No, niente affatto, Gabby. Eri una bravissima bimba, e molto bella. Era solo che, ecco, tuo padre ci aveva lasciate... non sapevo neppure dove fosse finito... e io non riuscivo neanche a pagare regolarmente l'affitto. Mia madre, l'unica parente che avessi, era morta poco dopo la tua nascita così non c'era nessuno che potesse aiutarmi. Io facevo la segretaria in una scuola elementare, ce la mettevo tutta, ma tu non eri abbastanza grande per andare a scuola e l'asilo nido costava molto. Il mio stipendio non bastava, ero sempre più in difficoltà... Poi ho incontrato un uomo, un insegnante, che...» ebbe un sospiro, «mi è parso l'uomo dei miei sogni. Ma non voleva saperne di te. All'inizio ho pensato che avrebbe cambiato idea, ma l'unica volta che l'ho fatto venire a casa nostra, lui non ti ha nemmeno guardata. Te ne ricordi?»
«No...»
«Poi ha cominciato a interessarsi a un'altra insegnante della scuola dove io lavoravo. Libera, senza figli e più giovane di me. E mi ha preso il panico, sentivo che stavo perdendolo. Avevo una terribile paura di ritrovarmi sola, a combattere una battaglia che non potevo vincere. Ma poco dopo lui...»
Le lacrime cominciarono a rigarle le guance e Hal si accostò passandole un braccio attorno alle spalle.
«Lui mi ha chiesto di sposarlo.»
«E hai accettato?» chiese Gabrielle, ma sapeva già la risposta.
Adesso Naomi pareva invecchiata rispetto a pochi minuti prima. «Sì. Ma il prezzo dell'amore è stato troppo alto.»
«Allora non è stata colpa mia» mormorò Gabrielle.
«No, tu non avevi nessuna colpa. Solo io.»
«Le ho consigliato di cercarla, signora» intervenne Hal, «ma non si sentiva degna neppure di chiedere il suo perdono. Non so dirle quante volte ha parlato di lei, quante volte ha pianto, la notte. Il passato è una ferita sempre aperta e sapevo che non poteva rimarginarsi fino a quando non le avesse parlato. Non so se potrà perdonarla, e non intendo dire che dovrebbe farlo. Nessuno ne ha il diritto perché solo lei sa quanto ha patito e cosa le consente il suo cuore. Ma sono contento che sia venuta. Naomi ha commesso degli errori ed è vero che non c'è giustificazione per quanto ha fatto. Ma ha anche pagato il suo gesto con rimorsi feroci. Quando sono andato a insegnare in quella stessa scuola lei era una moglie infelice, maltrattata... credo che rimanesse con quell'uomo per punirsi ma a me non pareva una cosa tollerabile. L'ho aiutata a uscire da quella situazione. Poi ho cambiato scuola ma pochi anni dopo ci siamo incontrati di nuovo, casualmente. Abbiamo cominciato a frequentarci e ci siamo innamorati. È stato dodici anni fa.»
Mentre ascoltava Hal, Gabrielle capì di essersi fatta un'idea sbagliata di quell'uomo. In base al suo aspetto aveva concluso che se ne stesse in casa a non far niente e a bere birra tutto il giorno. Ora invece si rendeva conto che non era un fannullone sciatto, e che voleva molto bene a Naomi.
«Allora non avete avuto figli, insieme?» chiese, pensando alla ragazza snella che sua madre aveva chiamato tesoro.
«No» rispose Hal. «Io sono vedovo e ho avuto cinque figli dal primo matrimonio. Naomi ne ha avuti due da suo marito... una ragazza che ha circa cinque anni meno di lei e un maschio che va all'università dell'Arizona.»
Dunque aveva un fratello oltre a una sorella. Le ci volle qualche momento per assimilare la cosa.
«Lei è sposata?» domandò Hal.
«Divorziata.»
«Vive da sola con la bambina?»
Gabrielle strinse a sé Allie. «Sì. Noi due sole. Ma il mio ex-marito sta a Phoenix e viene spesso a trovarci. È un carissimo ragazzo.»
«Dove abiti?» chiese Naomi.
Gabrielle si costrinse a riportare lo sguardo su di lei anche se era difficile guardarla senza provare un residuo del risentimento e del dolore che l'avevano accompagnata per tanti anni. «Vicino al penitenziario.»
«Qui? A Florence?»
«Faccio l'agente di custodia all'Eyman.»
«Allora stai in zona! Vorrei tanto che conoscessi Lindy... sarà felicissima. Immagino quel che provi nei miei confronti, Gabby, e ti capisco.» Si asciugò gli occhi. La voce era più ferma adesso che erano passati a un altro argomento. «Ma Lindy ti piacerà molto. E sarà una cosa reciproca. Tornerai, vero? Sei disposta a lasciarmi il tuo numero di telefono?»
C'erano ancora tante cose da perdonare. Gabrielle non sapeva se ci sarebbe riuscita, ma il terribile peso dei ricordi già sembrava più leggero. Sì, voleva tentare.
«Certo» disse, e il sorriso di Hal le promise che lui avrebbe fatto il possibile per renderle tutto più facile. Sebbene non fosse certa di poter costruire un buon rapporto con sua madre, adesso cominciava a pensare che forse aveva trovato un amico in Hal.