17

Seduta al tavolo di cucina, Gabrielle guardava Landon, di fronte a lei, che la fissava a sua volta.

Un'ora prima Tucker era andato a svegliarlo per spiegargli che doveva allontanarsi per un po' e il ragazzino non era affatto contento di vedersi mollato lì. Al punto che, a quanto pareva, aveva stabilito di non aprir bocca né con lei né con Allie.

Il suo silenzio non turbava Allie, che continuava a depositare davanti a lui i suoi giocattoli dandogli allegre pacche alle gambe, entusiasta della sua presenza.

Gabrielle non era altrettanto felice. Come avrebbe fatto a sostenere per tutta una giornata quella muta ostilità?

Il piatto di Landon era quasi intatto: incoraggiarlo a mangiare? No, non era il caso. Visto l'atteggiamento, si sarebbe rifiutato per puntiglio. Ma se avesse pensato che lei non desiderava che mangiasse...

«Hai finito?» chiese in tono gaio. «Perché, se a te non interessa, prenderei volentieri io quell'uovo.»

Quegli occhi azzurri così simili a quelli del padre la fissarono quasi con sfida. Landon non allontanò il piatto: con la forchetta fece a brandelli l'uovo.

Lei si limitò a depositare il piatto vicino all'acquaio.

«Quando torna papà?» chiese lui, ripetendo le uniche parole che era disposto a pronunciare.

«Non lo so» rispose lei sinceramente. «Ma noi due dobbiamo definire un paio di cosette. Ci passiamo una giornataccia finché tuo padre non ricompare, oppure la prendiamo con filosofia e vediamo di godercela?»

«Ma lui torna, vero?»

Ah, parole diverse. Era già un progresso. Ma Gabrielle non poteva rispondere con sicurezza neppure a questo interrogativo. «So che per te sarebbe disposto a passare attraverso il fuoco. Ti basta?»

Landon non rispose ma la sua espressione diffidente la intenerì. Quel povero piccolo ne aveva passate di brutte. A sei anni aveva perso entrambi i genitori e probabilmente da allora cercava di raccapezzarsi...

«Tu e quella stupida bamboccia cosa siete per il mio papà?»

Be', forse la scena muta non era poi così male. «Allie non è una stupida bamboccia» replicò. «E ti sarò grata se ti rammenterai le buone maniere, finché sei qui. Tuo padre e io siamo amici.»

«Sei la sua nuova moglie?»

Gabrielle finì di riempire d'acqua calda il lavello. «No.»

«E allora perché sono qui?»

«Perché tuo padre aveva bisogno di affidarti a qualcuno per qualche ora, e io mi sono offerta. Ma tu non stai rendendo facile la cosa.»

«Non mi piace questo posto.»

«Questo è evidente.»

«Voglio andare a casa.»

Lei si voltò a guardarlo. «Dov'è la tua casa, Landon?»

Lui si oscurò in volto e diede qualche calcetto alla gamba della sedia. «Dove c'è papà...» borbottò infine.

«Allora sei nel posto giusto perché è qui che papà tornerà da te.»

Lui si chiuse di nuovo in un ostinato silenzio, e ancora una volta Gabrielle si commosse vedendo che stava lottando per respingere le lacrime.

«Non c'è niente di male a piangere, Landon. Capita a tutti. So che sei triste e tuo padre ti manca molto, ma...»

«Io non piango! Solo le femminucce piangono!» sbottò lui. E si precipitò di corsa nella stanza dove aveva dormito.

Gabrielle si sentì del tutto impotente. Come poteva aiutarlo? Somigliava tanto a suo padre: caparbio e orgoglioso.

Lo sbattere della porta spaventò Allie che guardò sua madre, sbigottita, e scoppiò in singhiozzi. Anche Gabrielle era prossima alle lacrime. E proprio in quel momento il telefono cominciò a suonare. Lei diede un'occhiata apprensiva all'apparecchio: avrebbe voluto evitare di rispondere ma poteva essere Felicia. La ragazza stava ancora dormendo quando aveva telefonato per avvertirla che quel giorno non aveva bisogno di lei, e aveva lasciato la comunicazione alla madre.

Sollevò il ricevitore.

«Gabby, sei tu?»

«Sì» rispose prendendo in braccio Allie per tranquillizzarla, in modo da riuscire a sentire.

«Sono... sono Naomi. Ho parlato con Lindy e... be', ci chiedevamo se potevi venire a cena da noi, domani sera. Forse ci sarà anche mio figlio Conrad. Ha degli impegni ma sta cercando di liberarsi.»

Sua madre stava parlando troppo in fretta, come se temesse che lei potesse rifiutare. Gabrielle sapeva che in effetti avrebbe dovuto dire di no: c'erano troppe cose in ballo, al momento, e quasi tutte illegali. Ospitava un ragazzino rapito da un detenuto evaso che dormiva a casa sua. Ma colse la nota speranzosa nella voce di Naomi e non se la sentì di deluderla. Soprattutto visto che moriva dalla voglia di conoscere i suoi fratelli. «D'accordo. Cosa posso portare?»

«Nulla a parte te stessa e un certo appetito. Hal conta di fare bistecche sulla brace e io preparerò delle insalate. Non sei vegetariana, vero?»

«No.»

«Allora il menu funziona. Ti va bene verso le sei?»

«Sì, certo.»

«Magnifico.»

Intervenne il segnale di chiamata in arrivo e Gabrielle provò di nuovo un senso di disagio. Chi poteva essere, ora? David? Hansen? «Ci vediamo domani...» restò incerta, non sapendo bene come chiamare Naomi, ma sua madre risolse la cosa.

«Hal e io non vediamo l'ora» assicurò.

Si salutarono e Gabrielle riprese la linea. «Pronto?»

«Gabrielle?»

Tucker. Provò un brivido di apprensione. Gli era successo qualcosa? La chiamava per avvertirla che era nei guai? «Tutto bene?»

«Sì, tutto bene.» C'era rumore di traffico in sottofondo, evidentemente chiamava da un telefono pubblico. «Come va Landon?»

«Sta...» Non voleva dare altri pensieri a Tucker. Avrebbe trovato il modo di rasserenarlo e distrarlo. «Sta benissimo. Stavo pensando di portare lui e Allie in piscina, a Chandler.»

«Come mai a Chandler?»

«Perché mi sono data malata e preferisco non farmi vedere in giro per Florence.»

«Già, non è il caso.»

«Vuoi parlare con Landon?»

«No, visto che se la sta cavando bene.»

Gabrielle attese che spiegasse il motivo della telefonata ma Tucker non aggiunse altro.

«Eri in pensiero per lui?»

«No.»

«E allora come mai hai chiamato?»

Una lunga pausa. «Volevo solo dirti che ti penso.»

Gabrielle trattenne il fiato. «Cosa...?»

Ma lui aveva già riappeso.

Tucker si allontanò tenendo il volto girato dall'altra parte quando la donna messicana sopraggiunta mentre lui parlava con Gabrielle si serviva del telefono. Dubitava che potesse riconoscerlo, o che in tal caso avvertisse la polizia, ma era meglio non correre rischi.

Si appoggiò alla fiancata della sua auto mentre quella parlava in un rapido spagnolo e si domandò cosa gli era venuto in mente di chiamare Gabrielle. Doveva prendere le distanze da lei, concentrarsi sul salvare quel che restava della sua vita invece di logorare le sue capacità di resistenza.

La messicana concluse la conversazione e si allontanò dalla stazione di servizio senza neppure guardarlo. Tucker tornò nella cabina. Non era ancora riuscito a parlare con suo fratello, Tom. Stando a una tizia che si era dichiarata la governante, si trovava in crociera ai Caraibi e sarebbe dovuto rientrare il giorno prima. Sperava di potergli parlare quella mattina. Da più di un anno suo fratello non scriveva né gli faceva visita, ma Tucker era convinto che sarebbe stato pronto a dargli una mano.

Fin dai tempi delle superiori lui si era occupato del fratello aiutandolo a cavarsi dai guai con la legge, facendolo partecipare a compravendite di immobili che avevano fruttato a entrambi. Gli aveva offerto inoltre un'ottima occasione, quella di cui si stava occupando prima di finire in carcere, con l'intesa che Tom avrebbe collaborato con Robert, socio di Tucker, per concludere l'affare, e avrebbe diviso il guadagno con lui.

Non aveva ancora visto un soldo, ma trasformare degli acri di terreno in una zona residenziale spesso richiedeva alcuni anni. Non prevedeva di incassare qualcosa prima di un anno o giù di lì. Ma le cose dovevano andare bene a suo fratello se adesso aveva una casa abbastanza grande da richiedere una domestica fissa.

Il segnale all'altro capo della linea si protraeva parecchio. E dai! Sbrigatevi a rispondere!

Era ancora abbastanza presto ma il sole picchiava forte. Sarebbe stata un'altra giornata torrida. Peccato che la sua piccola auto non fosse dotata di climatizzatore.

Stava per riappendere quando sentì la medesima voce femminile.

«Casa Tucker» annunciò con un forte accento spagnolo.

«Vorrei parlare con Tom Tucker.»

«Mi spiace, sta ancora dormendo. I signori sono rientrati tardi, ieri notte.»

I signori? Suo fratello si era sposato e non gliel'aveva fatto sapere?

«Vuole lasciare un messaggio?» aggiunse la governante.

«No, ho bisogno di parlare con Tom. Gli dica che c'è suo fratello al telefono.»

«Un momento, prego» sospirò lei dopo una breve pausa.

Attese, sulle spine. Muoviti, Tom. Sono io.

Dopo un minuto e passa la donna tornò. «Mi spiace. Il signor Tucker ha detto che la richiama. Vuole lasciarmi il numero?»

Ebbe la sensazione di aver ricevuto un calcio allo stomaco. Mi richiama? «No, non è possibile. Ho assoluto bisogno di parlargli, è molto urgente. Glielo dica.»

«Mi scusi ma ho ricevuto ordini precisi: lui e la signora non vogliono essere disturbati. Buongiorno.» La comunicazione venne interrotta.

Incredulo e furibondo, Tucker fece due passi verso l'auto, poi si passò una mano tra i capelli e tornò indietro. Doveva esserci stato un malinteso. Forse la cameriera non si era spiegata bene, oppure Tom non aveva capito la situazione. Forse era stato via tanto a lungo da non essere al corrente dell'accaduto.

Infilò nell'apparecchio altre monete e rifece il numero ma la governante ripeté ciò che aveva detto prima e riappese.

Tucker si passò una mano sul volto chiedendosi cosa poteva fare adesso. Aveva una piccola somma depositata presso una banca che aveva una filiale anche lì ma non osava fare un prelievo in quanto la polizia avrebbe potuto, in base all'operazione bancaria, scoprire dove si trovava. Aveva bisogno di quattrini e aveva bisogno di un posto dove nascondersi. E subito.

Formò un altro numero. Da quando era iniziata la sua fuga non si era messo in contatto con i suoi genitori. Deliberatamente: non intendeva metterli in difficoltà. Sapeva che dovevano essere preoccupati, ma non voleva offrire alla polizia motivo per tormentarli. Però il comportamento di Tom non gli lasciava altra scelta. Doveva scoprire come stavano le cose prima che la fortuna l'abbandonasse del tutto.

«Pronto.»

In prigione aveva diritto a due telefonate di cinque minuti alla settimana e di solito le riservava a Landon. Solo poche volte aveva comunicato con sua madre, e la sua voce adesso gli parve più vecchia e tremula di come la ricordava.

«Mamma, sono io.»

«Randall! Stai bene? Siamo stati così in ansia.»

«Sto bene, considerata la situazione.»

«E Landon?»

«È con me.»

«Non avresti dovuto portarlo via, Randall. Devi consegnarti alla giustizia. I poliziotti si presentano qui di continuo a chiedere se ti sei fatto vivo. Dicono cose terribili... che rischi la pena di morte.» La voce si incrinò e Tucker provò un senso di gelo terribile. «Devi costituirti subito, non lasciare che le cose vadano oltre. Non resisterei se...»

Tucker chiuse gli occhi. «Non posso, mamma» la interruppe. «È troppo tardi.»

«E allora cosa conti di fare? Cosa puoi fare?»

«Voglio trovare il modo di riprendermi la mia vita.»

«Come?»

«Non lo so, ma la verità è da qualche parte e voglio trovarla. Bisognerebbe ricostruire tutti i movimenti di Andie durante i suoi ultimi giorni. La polizia ha impiegato tutte le sue risorse unicamente per accollare a me l'omicidio. Non ha mai cercato altri possibili colpevoli. Magari assumerò un investigatore privato.»

«Hai già tentato quella strada.»

«Posso riprovare. Deve esserci qualcuno che può aiutarmi ad arrivare alla verità.»

«E come farai a sottrarti alle ricerche?»

«Speravo in Tom, per questo. Pensavo che forse poteva trovare qualcuno disposto ad affittarmi un alloggio. Ma stamattina, quando gli ho telefonato, non ha voluto parlarmi. Tu hai idea del perché?»

«Tom...» Bee Tucker sospirò. «Tra quel che è successo a te e il comportamento di tuo fratello, non so più cosa pensare.»

«Cosa vuoi dire?»

«Certe volte ho l'impressione che non crescerà mai. Stava andando bene con quel tuo progetto, quello su cui lavoravi quando ti hanno arrestato, ricordi?»

«Sì, perfettamente.»

«Be', è rimasto con le mani in mano dopo che si è ritirato da quell'affare.»

Tucker ebbe un brivido. «Si è ritirato? E perché?»

«Credo che il tuo socio non avesse voglia di continuare a lavorare con lui. Per quanto vogliamo bene a Ton, bisogna dire che non è come te. Non ha il tuo impegno, la tua etica professionale. Un anno fa Robert si è offerto di rilevare la sua parte.»

«Perché non me ne hai mai scritto?»

I suoi genitori non erano al corrente dei particolari del loro accordo e quindi non si erano resi conto che Tom l'aveva truffato. Però il fatto che suo fratello avesse incassato una somma ragguardevole era una notizia importante visto che fino ad allora aveva combinato ben poco.

«Sapevo che ci saresti rimasto molto male nel saper sprecato tutto il tuo lavoro. Tenevi molto a quel progetto e Robert ha versato a Tom una cifra molto inferiore a quella che avrebbe avuto a opera ultimata.»

Tucker aveva conosciuto Robert all'università, quando entrambi stavano laureandosi in scienze economiche. Anche se troppo diversi per stringere un'amicizia profonda, si intendevano molto bene nel campo degli affari. All'ultimo anno avevano cominciato ad acquistare degli appartamentini che affittavano ad altri studenti. Li avevano poi venduti quando il valore di mercato era salito per investire il ricavato in altri fabbricati, sempre più grandi, sino ad aver messo in piedi una delle più affermate società immobiliari di Tempe.

Robert, solido uomo d'affari, era stato un socio leale. Quando Tucker era stato arrestato, lui aveva anticipato migliaia di dollari per la difesa e si era dato un gran daffare per vendere nel modo migliore certe proprietà in comune in modo che lui potesse continuare a essere assistito. Inoltre si era accollato tutto il lavoro durante i mesi prima del processo. Naturalmente, all'epoca, entrambi erano stati fermamente convinti che Tucker sarebbe stato prosciolto e avrebbero ripreso insieme la loro attività. Tucker invece era stato condannato e Robert aveva fatto l'unica cosa possibile: aveva continuato da solo. Una volta era andato a fargli visita e Tucker gli aveva telefonato, ma dopo un paio di mesi avevano comunicato solo di rado. Non avevano niente da dirsi. A ogni modo Robert gli aveva prestato il denaro per l'auto e Tucker poteva essere certo che non avrebbe informato la polizia.

«Così Tom si è preso i quattrini e ha spiccato il volo» mormorò adesso Tucker. Nessuna meraviglia che si fosse negato al telefono: non gli aveva versato la sua parte, e si era ben guardato dal fargli sapere che aveva ritirato il capitale investito.

«Come dici?» chiese sua madre.

«No, niente. Ha ancora la palestra di karatè?»

«Sì, ma è troppo impegnato a comperarsi belle case, auto di lusso e andare in crociera per occuparsene. L'ha affidata a un gerente ma non credo che ci guadagni gran che. Sono passata a dare un'occhiata, poco tempo fa, e c'erano solo tre allievi.»

Il tradimento di suo fratello lo feriva profondamente. Lui aveva destinato quel denaro a Landon, perché in seguito potesse andare all'università. In tutti quei due anni aveva pensato che fosse l'unica cosa che poteva dare a suo figlio.

«A quanto pare si è sposato.»

«Di questo ti ho scritto, ma è cosa così recente che probabilmente non hai ricevuto la lettera. Sono andati a Las Vegas un paio di settimane fa. Non credo che si conoscessero da più di un mese quando hanno deciso di sposarsi. Lei è una spogliarellista e le piace spendere e spandere. Non durerà.»

Tucker sentì in sottofondo la voce di suo padre che chiedeva chi c'era al telefono e poi aggiungeva che voleva parlargli.

«Ti passo tuo padre, Randall.»

«Come stai, figliolo?»

«Tengo duro. Tu?»

«Al solito. E continuo a cercare la strada per tirarti fuori da questa storia maledetta. Neanch'io mollo, lo sai.»

Lo sapeva. Fino a quel momento i tentativi di suo padre non avevano dato risultati, ma era bello sapere che l'aveva sempre dalla sua. «Non puoi far niente, papà. Stai vicino alla mamma. Cosa mi dici di lei?»

«Ha i suoi brutti momenti, ma resiste.»

Ci fu una pausa. Tucker sentì che suo padre pregava la mamma di poter parlare in privato con lui e si domandò cos'avesse da dirgli di così personale.

«Che c'è?» chiese.

«Ho trovato qualcosa, la settimana scorsa.»

«Di che si tratta?»

«Ero in solaio a piazzare delle trappole per topi e ho trovato una scatola da scarpe nascosta dietro una trave.»

«E dentro cosa c'era?»

«Un vecchio mandato di comparizione per Tom... c'era di mezzo una multa non pagata... e delle lettere che mi sono parse senza importanza. Ma poi ho trovato una busta con alcune foto che secondo me dovresti vedere. Non potremmo incontrarci da qualche parte?»

«Meglio di no. Può darsi che ti tengano d'occhio. Mettile in una busta indirizzata a John Adams e lasciala al Nordstrom, il centro commerciale, spiegando che il destinatario passerà a prenderla.»

«Mi farebbe piacere vederti.»

«Anche a me, ma non è consigliabile. Per il momento.»

«Okay.»

«Di che foto si tratta, papà?»

«Preferirei non parlarne, adesso. Tom è stato via, così non ho potuto chiedergli da dove arrivano, ma gli telefono subito. Preparati... non sono piacevoli.»