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Tucker si spostò per farle posto, temendo la sua vicinanza. Non voleva essere torturato dal ricordo di ciò che si provava tra le braccia di una donna, dal pensiero di come poteva essere perdersi tra le braccia di quella donna. Ma la smania delle cose che si imponeva di non volere incontrò la barriera del suo autocontrollo. Non poteva certo rifiutarle un posto accanto a sé.

Lei si sedette lasciando tra loro quanto più spazio possibile in quella breve ombra, ma era ancora troppo vicina perché Tucker potesse rilassarsi. La tensione anzi aumentava, e con essa l'irritabilità. Era stato un errore cedere a quella voce morbida. Avrebbe dovuto mandarla via, in modo da riuscire a dormire.

«Cosa non darei per poter fare un bagno e cambiarmi» mormorò la Hadley.

Anche così era bellissima. Gli piaceva il modo in cui sorrideva, in cui a volte lo sbirciava attraverso le lunghe ciglia come se volesse studiarlo senza che lui se ne accorgesse. Le occhiate più sexy che avesse mai visto. Ed era appunto quello il guaio.

«Per fortuna abbiamo tutti e due maniche e pantaloni lunghi, altrimenti andremmo arrosto» continuò lei, un po' nervosamente.

Tucker vide che si scostava il davanti della camicia per soffiare all'interno e d'un tratto gli sorse un'idea che di sicuro le avrebbe fatto fare un salto indietro. «Non è che siano necessari, all'ombra.»

«Be', non si può aver tutto.»

«Perché no? Se l'uniforme ti dà fastidio, toglitela...» borbottò lui.

Lei lo fissò sbarrando gli occhi.

Tucker trattenne a stento un sorrisetto. «Avrai pure la biancheria addosso, no?»

«Naturale.»

«E allora liberati dall'uniforme, o almeno dalla camicia. Abbiamo bisogno di rinfrescarci altrimenti andremo incontro a seri problemi di disidratazione.» Per dare maggior credibilità alle sue parole aprì la cerniera della tuta da carcerato, ne sfilò le braccia, poi si tolse la maglietta e la buttò da parte. Tornò a sdraiarsi riflettendo che era stata una buona idea, che il giochetto per spaventare la Hadley funzionasse o no. Quel che aveva detto circa la disidratazione era verissimo, purtroppo, e già lui si sentiva meglio.

Dopo qualche momento guardò la Hadley, aspettandosi di vederle un'espressione oltraggiata dipinta in viso, ma lei non si era minimamente scomposta. Aveva l'aria di riflettere su quel suggerimento.

No, non lo farà mai.

«Tu sei un uomo» osservò, accigliata. «Puoi tranquillamente toglierti la camicia in pubblico.»

«In pubblico? Siamo nel posto più isolato del mondo... a dirla tutta vorrei che lo fosse molto meno. Ma per te non è una questione di privacy. Temi ancora che sia un tipo pericoloso, che la vista della tua pelle mi faccia perdere la testa al punto da volerti stuprare o cose del genere.»

«No, non è questo. Il fatto che tu sia stato condannato per omicidio non fa automaticamente di te uno stupratore.» Si mordicchiò il labbro inferiore. «D'altra parte non voglio fare una sciocchezza. In carcere si possono subire delle orribili violenze sessuali che possono... cambiare una persona.»

Lui fece una smorfia. «Se intendi quel che penso io, rassicurati. Non tutti, in galera, vengono sodomizzati o diventano bisessuali.» Mostrò la mano ferita. «Perché credi che mi sia trovato in tante zuffe?»

«Quei tipi hanno cercato di usarti violenza?» gli domandò lei.

«Hanno cercato di farmi parecchie cose. A ogni modo due anni di astinenza non hanno fatto di me un predatore.»

Lo sguardo di lei gli sfiorò brevemente il torace e le braccia.

Tra cinque secondi infila l'uscita, pensò Tucker, intuisce troppo bene quel che provo per non tagliare la corda.

«E va bene...» mormorò lei a quel punto alzando le spalle.

Tucker ebbe l'impressione di aver ricevuto un pugno allo stomaco.

«Come hai detto?»

«Sono disposta a fidarmi di chiunque pur di avere un po' di sollievo.» Si mise sulle ginocchia, posò di lato la pistola, sfilò la camicia dai pantaloni e cominciò a sbottonarla. Adesso che aveva preso la decisione non aveva ripensamenti. «Un corpo è solo un corpo. Immagino che ne avrai già visti.»

Sì, verissimo. Ma erano due anni che non vedeva un corpo femminile... i due anni più lunghi della sua vita... e non aveva mai visto quello di lei. Tucker riprese la maglietta, la ripiegò per poggiarci la testa e si voltò verso il muro. Non aveva alcuna intenzione di guardare la Hadley. Se già gli aveva tolto la pace prima, figurarsi che effetto gli avrebbe fatto adesso.

Ma colse il suo sospiro di sollievo, la sentì muoversi ancora, e non poté trattenersi dal darle una sbirciata. Guardare non era toccare. Un'occhiata non faceva male a nessuno.

Un attimo dopo comprese di avere commesso un grave errore. Si era aspettato che usasse biancheria molto pratica e funzionale, invece portava un reggiseno di pizzo nero che lasciava ben poco all'immaginazione. La sua astuta trovata per spaventarla si era ritorta contro di lui. Lo capì dall'immediata reazione del suo corpo.

Si girò di nuovo voltandole la schiena, imprecando mentalmente. Ma era troppo tardi. Aveva già scorto le areole scure di quei bei seni... davvero bellissimi, né troppo grandi né troppo piccoli...

Per qualche momento lei non disse niente. Forse stava meditando sulla saggezza di quella mossa. Magari si sarebbe rimessa la camicia. O se ne sarebbe andata. Lei non fece nessuna delle due cose. Si distese mezzo metro più in là e non si mosse più.

Per alcuni minuti Tucker rimase a fissare il muro, battagliando con il desiderio di voltarsi. L'aveva già vista. Quell'immagine gli era rimasta impressa nella mente, indelebile. Che differenza avrebbe fatto guardarla di nuovo?

Si rigirò ma evidentemente lei aveva previsto una simile iniziativa e lo aspettava al varco con un ti ho beccato dipinto in volto.

«Tu e la tua somma, distaccata indifferenza... razza di tanghero!»

«Ti ho detto che non ho ucciso mia moglie, non che sono un santo.»

«Mmh...»

Vicinissimi, ma senza toccarsi, si fissarono per un'eternità. O almeno parve. Fu Tucker a rompere il silenzio. «Porti abitualmente questo genere di reggiseni? O avevi in programma qualcosa di speciale per David?»

«Da quando abbiamo divorziato non sono più andata a letto con David. Se l'avessi amato in modo completo sarei rimasta con lui. Uso della biancheria carina perché mi fa sentire meglio.»

«Ti fa sentire meglio sapere che potresti scatenare un tumulto nel penitenziario?»

Lei sorrise. «Mi aiuta a ricordarmi che sono ancora una donna e a contatto con cose belle e piacevoli.»

«Questo è innegabile.» La percorse con lo sguardo. «Credo di non avere mai visto niente di più bello in vita mia.»

Non avrebbe voluto dirlo, e di certo non con tanto desiderio. In tutte quelle ore era riuscito a ignorarla, si era quasi convinto di potersi mantenere indifferente. Adesso aveva tradito la sua sete emotiva ed era imbarazzato. Ma lei era lì distesa, tranquilla e fiduciosa, senza accennare a coprirsi o a fuggire. E quella fiducia era una cosa straordinaria, lo restituiva a se stesso.

«Cosa c'è?» mormorò lei.

Tucker scrollò il capo respingendo tutti i pensieri che d'un tratto avevano cominciato a turbinargli nella mente. Troppe emozioni riaffioravano, soffocandolo. «Nulla. Meglio che riposiamo.»

Chiuse gli occhi aspettando che il cuore riprendesse un battito normale, che il sonno venisse a cancellare quella struggente mescolanza di desiderio e rimpianto, speranza e sconforto.

Ma la Hadley non gli permise di addormentarsi. «Cos'hai? Stai soffrendo per qualcosa, vero?»

Non rispose. Accidenti a lei, perché non lo lasciava in pace?

«Tucker? Se ti tocco, non lo interpreterai come un'avance, vero?»

«Non toccarmi!»

Qualsiasi altra donna si sarebbe arresa, ma non la Hadley.

«Potremmo morire, in questo posto» mormorò lei. «Tante cose non contano più quando si pensa che forse non ci sarà un domani.»

Cosa poteva rispondere?

Lei si fece più vicina e gli passò un dito lungo la guancia.

Ma cosa stava facendo? Cosa diamine cercava di dimostrare? Si ordinò di scostarsi, di farle capire che non aveva bisogno della sua pietà, del suo conforto. Ma non ci riuscì. Quel morbido contatto con il suo corpo lo paralizzava.

Dopo essere rimasta immobile per alcuni minuti, lei gli attirò la testa contro la propria spalla e lo baciò sulla fronte. Non disse nulla ma gli passò le dita tra i capelli e quel gesto delicato cominciò a incrinare le sue difese.

Si irrigidì, cercò di sottrarsi, ma lei lo trattenne. «Va tutto bene» mormorò.

Per quanto avesse una gran paura di ciò che stava accadendo, Tucker aveva bisogno di quanto lei gli offriva. Un bisogno estremo. Le lacrime gli offuscarono la vista. Era stato ingiustamente accusato e condannato; aveva perso la moglie e il figlio, doveva lottare quotidianamente per poter sopravvivere, eppure lui non aveva mai ceduto. Almeno fino a quel momento.

Cercò disperatamente di controllarsi, di ricacciare il pianto. Detestava la debolezza e si era giurato di resistere a tutto per amore di Landon. Se si fosse trattato di battersi con cinque avversari, forse avrebbe potuto farcela.

Ma di fronte alla tenerezza della Hadley lui era completamente disarmato.

Le lacrime di Tucker le cadevano sulla spalla ed era come se le arrivassero al cuore. Gabrielle non aveva mai visto piangere un uomo così orgoglioso, non avrebbe mai creduto che Randall Tucker fosse capace di un'emozione così intensa. Aveva resistito al dolore, alla sete, alla fatica, senza un gemito. Era andato in suo soccorso, l'aveva salvata dall'uragano, le aveva dato sicurezza e calore. Era l'uomo più forte e resistente che mai avesse conosciuto. Eppure...

Fissò l'ampio squarcio nel tetto continuando a passare le dita tra i capelli di Tucker. Era come se fossero le uniche due persone sulla terra. Tutto così precario, senza alcuna certezza. Solo loro due.

Infine il respiro di lui si fece regolare e Gabrielle capì che si era addormentato. A poco a poco anche lei scivolò nel sopore ma un pensiero restava ancora nitido nella sua mente: adesso era convinta dell'innocenza di quell'uomo.

Tucker si svegliò sentendo contro il volto qualcosa di tiepido e meravigliosamente morbido. Come...

Si scostò un poco e si rese conto che nel sonno si era premuto contro il seno della Hadley.

Si allontanò, lentamente. Ricordando. Quanto era accaduto lo imbarazzava ma non era un pensiero sgradevole. Lei non gli aveva fatto domande, lo aveva solo tenuto vicino a sé, accarezzandolo.

Non è cambiato nulla, si disse. Come la polizia l'avesse preso, lui sarebbe tornato in carcere e la Hadley non avrebbe mosso un dito. Tutte le prove lo indicavano come l'assassino di Andie. Che altro poteva fare?

Si rimise in piedi, indossò la maglietta e uscì per andare a controllare il distillatoio: aveva funzionato meglio di quanto avesse sperato. Gli spiaceva smontarlo ma stava morendo di sete.

E adesso bisognava pensare a riempire lo stomaco, decise. Tornò nella chiesa a prendere la rivoltella che la Hadley aveva messo da parte. Non gli era mai piaciuto andare a caccia ma adesso le vite più preziose erano la sua e quella della Hadley, e doveva fare il necessario per salvarle.

Era sola! Gabrielle si guardò attorno sperando di vedere Tucker da qualche parte, o di sentirlo muoversi di fuori. Me le giunse solo il fruscio di qualche lucertola tra le erbacce e i detriti.

Si sollevò a sedere di scatto. Lui era sparito. E così la sua pistola.

«Tucker? Dove sei?» gridò.

Unica risposta fu il riecheggiare della sua voce tra quelle mura secolari.

Si alzò annodandosi la camicia attorno alla vita... era pomeriggio inoltrato ma faceva ancora troppo caldo per infilarla... e si diresse alla porta. Forse lui non poteva sentirla in quanto si era allontanato per necessità fisiologiche, si disse. E decise di approfittare dell'occasione per imitarlo.

Poi tornò indietro in fretta e scrutò in tutte le direzioni: nulla.

Le venne in mente l'alambicco e raggiunse il punto in cui Tucker aveva scavato e le speranze svanirono. La tanica non c'era più.

E adesso?, si domandò lei a quel punto. Si era portato via tutto, anche il portafogli con le foto di Allie.

Il suo primo impulso fu di inseguirlo, ma l'orologio le disse che aveva dormito per più di tre ore. Non sapeva quando lui se ne fosse andato né che direzione avesse preso. Ormai poteva essere chissà dove.

Il sole stava calando: un'enorme palla infuocata che pareva affondare nell'orizzonte. Tra poco sarebbe calato il buio, la temperatura si sarebbe abbassata, e la luna avrebbe illuminato il suo cammino. Avrebbe avuto circa dodici ore a disposizione per trovare aiuto o...

Risuonarono degli spari e Gabrielle si immobilizzò. Uno... due... tre... una pausa... poi alcuni altri. Si girò verso la direzione da cui provenivano e guardò in lontananza tendendo l'orecchio. Tucker! Si mise a correre provando un tale sollievo che quasi avrebbe pianto, e poco dopo scorse Tucker che avanzava.

«Abbiamo la cena!» gridò lui, sollevando qualcosa.

Gabrielle si infilò in fretta la camicia e l'allacciò mentre osservava la lepre uccisa. «Come sei riuscito a colpirla, con la sinistra?»

«Credo proprio di dover ringraziare il karatè che mi ha addestrato a usare entrambe le mani. A ogni modo ho dovuto tentare più volte... ma alla fine l'ho presa.»

«Come facciamo a scuoiarla?» Lei stava letteralmente morendo di fame, ma non aveva mai neppure spennato un pollo, e quell'animale le faceva un po' impressione.

«Con una pietra tagliente e le tue chiavi, penso. Non è che abbia pratica.»

«E poi?»

«Accendiamo un fuoco.»

«Già... solo che non abbiamo fiammiferi, e tanto meno una lente d'ingrandimento.»

«I fiammiferi li abbiamo. Sono nella tua borsa» la contraddisse lui.

«Ma no...» cominciò lei, ma si interruppe. «Oh, è vero. Ecco dove li avevo dimenticati.»

«Per nostra fortuna. Potresti raccogliere un po' di legna mentre io mi occupo della lepre.»

Lei si guardò attorno, dubbiosa. «Non è che ci troviamo esattamente in una zona boschiva.»

«Vero, ma anche se a te non sembra c'è parecchia legna qui attorno. Se non riesci a trovarne abbastanza tra le macerie della chiesa, possiamo sempre ricorrere al mesquite, ottimo da ardere, che brucia lentamente e senza fumo.» Staccò qualcosa da un cespuglio vicino. «E se vogliamo anche un contorno ci sono questi.»

«Cosa sono?»

«I frutti del mesquite. Tempo fa gli abitanti del posto li mangiavano abitualmente, ne ricavavano una bevanda dolce oltre che farina. Molto simili alle carrube.»

«Lepre arrosto e frutti di mesquite. Una cena da leccarsi i baffi.»

«Si fa tutto il possibile» rispose lui sorridendo.

Gabrielle lo fissò per qualche momento. «Ti devo delle scuse.»

«Per che cosa?»

«Avevo pensato che mi avessi piantata in asso» gli confessò lei.

Tucker la guardò a sua volta poi sospirò e scosse il capo. «Potendo, l'avrei già fatto, credi.»

Anche lei sorrise. «Avere un cuore può essere un intralcio, vero?»

«Tu non mi conosci...»

Lei sollevò una mano, interrompendolo. «E non devo dare niente per scontato. Mi hai già avvertita.»

«Ho passato due anni in prigione, Hadley...»

«Gabrielle.»

«Come?»

«Mi chiamo Gabrielle.»

«Come stavo dicendo, Hadley, non si esce di galera carichi d'affetto e di dolcezza. Cerca di ricordarlo, per il tuo bene. Adesso pensa a raccogliere la legna, si sta facendo tardi.»