13

Per il resto del tragitto Gabrielle dormì. Dormì per il resto della giornata. Dormì fino a notte inoltrata. Poi si alzò e andò nella stanza di Allie a guardare la sua piccola immersa nel sonno. Vederla rannicchiata tranquilla nel suo lettino le diede una grande serenità, le fece smettere di arrovellarsi su Tucker, di chiedersi dov'era e come se la sarebbe cavata con solo una trentina di dollari. Di sicuro aveva amici e parenti che l'avrebbero aiutato. Di sicuro avrebbe raggiunto il figlio a cui era tanto legato...

«Come mai in piedi?» mormorò una voce.

David era sulla soglia, con addosso solo i pantaloni del pigiama.

«Mi sono svegliata e avevo una gran voglia di vedere Allie. È magnifico essere di nuovo qui, al sicuro, e sapere che anche lei è al sicuro. Grazie per esserti occupato di lei.»

David sorrise. «Be', è anche mia figlia, no?»

Certo, lo sapeva molto bene. Ed era proprio questo che la faceva sentire colpevole per non riuscire ad amarlo come avrebbe dovuto. Come avrebbe voluto.

«Vorresti parlare un poco? Ti sei ripresa abbastanza?»

Lei deglutì a fatica. Non voleva parlare di quel che le era accaduto. Voleva archiviare quei pensieri ed emozioni in un angolo della sua mente sotto la dicitura: Attrazione Inesplicabile. Ma sapeva di dover dare ancora molte spiegazioni. A David. Alle autorità.

«Certo.» Si baciò un dito e lo premette sulla guancia di Allie, poi uscì nel corridoio.

Nel soggiorno si sedette sul divano ripiegando le gambe sotto di sé mentre David prendeva posto nella poltrona più vicina.

«Ho telefonato al penitenziario per avvertirli che sei di nuovo a casa, come mi avevi chiesto.»

Lei annuì. Non se l'era sentita di fare lei quella telefonata ma sapeva che poteva perdere il posto se non dava notizie. «Grazie. Erano seccati perché non ho chiamato io?»

«No, date le circostanze. Ho spiegato che stavi poco bene. Poco dopo ha richiamato un certo sergente Hansen. Lui e il direttore verranno qui domattina alle nove.»

Gabrielle ebbe un sospiro rassegnato. Adesso cominciava il tormento, e lei non aveva mai saputo mentire con disinvoltura. Avrebbero capito che nascondeva qualcosa? E David l'aveva già intuito? Il giorno prima, in auto, mentre loro due accompagnavano Tucker, la tensione era stata quasi palpabile.

«Domani è solo giovedì» osservò. «Si potrebbe rimandare questo incontro... non mi sono ancora ripresa del tutto.»

Lui aggrottò la fronte. «Stai scherzando, vero?»

«No. Perché dovrei scherzare?»

«Devono catturare quell'uomo, Gabby! È un individuo pericoloso. Desiderano solo parlarti per pochi minuti per sapere dove l'hai visto l'ultima volta, dove può essersi diretto secondo te, cose del genere. Non dovrebbe essere una faccenda lunga o estenuante.»

«D'accordo.» Gli sarebbe parso strano se lei si fosse impuntata. Ma era difficile tenere presente che tutti consideravano Tucker una minaccia per la società.

«Ti senti tranquilla?» chiese lui dandole un colpetto al ginocchio.

«Certo.»

Nel silenzio si udì un'auto che si avvicinava. Gabrielle osservò il raggio dei fari che tagliava l'oscurità: probabilmente un'altra guardia carceraria che rientrava dopo il turno di notte.

Il campo di case mobili era di fronte alla strada del penitenziario, e i residenti perlopiù lavoravano a Florence, al Complesso Eyman o all'istituto federale poco più avanti.

David si schiarì la voce. «Quest'esperienza è bastata a convincerti?»

«Convincermi di che?»

«Che questo non è il posto per te.»

«Il carcere, intendi?»

«Florence.»

Lei non disse nulla ma questo non impedì a David di continuare.

«Desidero riportarti a casa con me, Gabby. È ora che torniamo insieme. Ho avuto pazienza, ti ho lasciato spazio, ma...»

Lei si passò una mano tra i capelli. «David, non me la sento di discuterne ora.»

«Mi rendo conto che hai passato dei brutti momenti e non intendo cavarti il fiato, ma desidero che tra noi le cose si sistemino. Noi ci amiamo, Gabby... sì, lo so, vorresti precisare che i nostri sono sentimenti diversi. Ma dobbiamo pensare ad Allie. E al nostro futuro. Puoi sempre metterti in contatto con tua madre anche stando a Phoenix, non è necessario che tu resti qui.»

Gabrielle rammentò quel che si era ripromessa nel deserto, dopo che Tucker l'aveva legata. Aveva deciso di risposare David e renderlo felice. E allora perché tutto il suo essere si ribellava alla sola idea di andare di nuovo a letto con lui?

«David, ti prego. Non adesso.»

«E allora quando, Gabby? Quando sarai pronta?»

«Non lo so. Ti ho pur detto di frequentare altre ragazze...»

Lui si alzò di scatto. «Io non voglio frequentare delle altre! Tu sei la madre di mia figlia. Tu sei quella che amo!»

Gabrielle chiuse gli occhi. «David, scusami...»

Lui si strinse tra due dita la radice del naso, controllando l'impazienza. «Non voglio le tue scuse. Ti chiedo solo di riflettere sulla possibilità di tornare a casa. Lasciamoci alle spalle tutto quanto. Potremmo concederci una seconda luna di miele...»

«Non ci penso neanche a lasciare Allie per più di qualche ora, dopo...»

«E allora la portiamo con noi. Saremo noi tre. Com'è giusto che sia. Okay?»

Lei annuì, ma le lacrime già le bruciavano gli occhi. «Tu meriti più di quanto possa darti io, David.»

«Non voglio di più. Voglio te.» Si chinò a baciarle la fronte. Per un attimo Gabrielle temette che cercasse di baciarla sulla bocca e sapeva che non l'avrebbe sopportato, dopo aver baciato Tucker. Ma lui si limitò a farle alzare il volto. «Andrà tutto bene» le promise con un sorriso stanco. «Farò tutto il possibile per renderti felice, lo sai.»

Per la prima volta da quando avevano dato una nuova impostazione al loro rapporto, dopo il divorzio, Gabrielle non gradiva la presenza di David. L'osservava di continuo, la scrutava, la faceva sentire assediata, e lei aveva già troppe cose per la mente: era faticosissimo far finta che niente fosse cambiato.

Ma lui aveva deciso di trattenersi lì fino a che non si fosse rimessa del tutto, e dati i discorsi fatti circa il rimettersi insieme, Gabrielle sospettava che non avesse intenzione di tornare a Phoenix senza di lei. Aspettava che le conseguenze della fuga di Tucker si risolvessero e inoltre pensava di riuscire a farle cancellare tutte le idee e le sensazioni che l'avevano spinta al divorzio.

Guardava la propria immagine nello specchio del bagno mentre si asciugava i capelli sentendosi piacevolmente isolata e protetta dal mondo esterno, racchiusa nel bozzolo del ronzio del phon che le concedeva qualche momento di requie per raccogliere le idee prima della comparsa del direttore Crumb e del sergente Hansen. Sarebbero stati lì a minuti e lei ancora non sapeva ancora cosa raccontare. Come sarebbe riuscita a reggere e continuare con i suoi superiori le menzogne iniziate al ranch? E sotto gli occhi di David, che la conosceva così bene?

Ma ormai non c'era modo di tornare indietro.

Due colpetti alla porta del bagno. «Gabby, sono arrivati» l'avvertì David.

Gabrielle spense il phon. «Vengo subito.»

Sentì i passi che si allontanavano e poi dal soggiorno giunsero delle voci: non poteva più starsene chiusa lì dentro.

Lasciò i capelli sciolti, abbottonò la camicia bianca appena stirata e diede qualche colpetto ai calzoni nocciola. Si fece forza e uscì.

«Gradite del caffè?» sentì chiedere da David mentre avanzava lungo il corridoio.

«Ecco la nostra nuova recluta» disse Hansen quando lei comparve, ma la falsità del sorriso bastò a rammentare a Gabrielle quanto fosse odioso.

«Buongiorno, sergente Hansen» rispose lei tendendogli la mano.

«Lieto di rivederti sana e salva.»

«Grazie.» Si rivolse al direttore. «Signor Crumb.»

Questi le strinse la mano prima di accettare il caffè che David gli stava offrendo, quindi si accomodò a un'estremità del divano, e Hansen si sedette all'altra. Gabrielle prese posto sulla poltrona di fronte e subito attirò l'attenzione di Allie che, presso il tavolino, osservava con occhi sgranati i due sconosciuti che erano comparsi nel suo mondo. Si mosse verso di lei e David accennò a prenderla in braccio ma Gabrielle lo fermò.

«Lasciamela pure...» mormorò passando un braccio attorno alla piccola. David esitò solo un momento prima di appoggiarsi allo stipite della cucina, presenza discreta ma solidale.

«Come si sente, agente Hadley?» chiese il direttore.

Lei rammentò il loro colloquio nel suo ufficio, l'abilità con cui aveva nascosto i suoi veri pensieri mostrando tanta formale cortesia. «Meglio, adesso che mi sono riposata un po'.»

«Ha vissuto una brutta avventura.»

«Certo non sono state giornate facili. Come sta l'agente Eckland?»

«Bene. Ha una gamba ingessata, si intende» rispose Crumb. «Ma andrà a posto.»

«Mi fa piacere. E gli altri? Le persone a bordo del furgone?»

«Benissimo anche loro.»

«Meno male.»

Il direttore a quel punto tossicchiò, poi depose la tazza sul tavolino e si protese in avanti. «Dunque, Gabrielle... posso chiamarla Gabrielle, vero?»

A lei non dispiaceva che la chiamasse per nome: era il tono condiscendente che le dava ai nervi. «Prego» rispose.

«Ottimo.» Lui si sfregò le mani. «Vede, ci rendiamo conto che lei è con noi da poco, e con l'attuale carenza di personale sa il cielo quanto abbiamo bisogno di elementi capaci.» Questa volta elargì un sorriso benevolo a David, poi tornò serio. «Ma l'agente Eckland ci ha riferito cose che francamente troviamo preoccupanti.»

Gabrielle era così presa dal pensiero delle domande che le avrebbero inevitabilmente fatto a proposito di Tucker, che quel discorso la colse di sorpresa. «Quali cose?»

Crumb e Hansen si scambiarono un'occhiata.

«Ha detto che è stata lei a causare l'incidente. Che ha dato uno strattone al volante per costringerlo ad accostare quando lui si è rifiutato di fermarsi per togliere le manette a Randall Tucker» le spiegò Crumb.

«Io? Io non ho neppure toccato il volante!» protestò lei.

«Però ha tolto le manette al prigioniero.»

«Sì, ma dopo l'incidente. Temevo che potesse subire ulteriori lesioni. Aveva la mano fratturata quando Eckland gli ha messo le manette, se ben ricorda.»

«A me risulta che lei riteneva che ci fosse una frattura.» Crumb si concesse una breve pausa, poi le domandò: «Cos'è accaduto dopo che l'ha liberato dalle manette?».

L'incredibile. Tutto il suo mondo era cambiato. Ma non poteva certo dirlo, così si attenne alla versione fornita a David. Si era addentrata nel deserto ma si era persa prima di riuscire a trovare Tucker, e si era imbattuta in lui solo quando era arrivata al ranch. Dichiarò che lui l'aveva legata ma fece risalire la cosa a dodici ore prima di quanto fosse avvenuto in realtà, sperando che quell'elemento alterato li fuorviasse abbastanza da dare a Tucker un piccolo margine di vantaggio.

«Quindi hai incrociato Tucker nella notte tra il martedì e il mercoledì?» domandò Hansen inserendosi nella conversazione.

«Sì.»

«Verso che ora?»

«Non lo so. Ero riuscita a procurarmi un poco d'acqua costruendo una specie di distillatoio da deserto, ma il caldo mi stremava. Ero molto confusa, disorientata.»

«Tre giorni nel deserto, con poca acqua e senza cibo disorienterebbero chiunque» osservò David.

«Naturalmente» convenne il direttore. Il tono amabile fece capire a Gabrielle che aveva colto la nota ostile nella voce di David e si preparava a una contromossa.

«In realtà un poco di cibo l'avevo» tenne a precisare lei. «Quello che mi ero preparata per il pranzo, il giorno del trasferimento. E martedì sera ho sparato a una lepre e l'ho arrostita.»

«Sul serio?» domandò Hansen.

Gabrielle annuì.

«In gamba davvero. E come hai acceso il fuoco?»

«Avevo una bustina di fiammiferi nella borsa.»

«Se avevi dei fiammiferi perché non hai acceso un falò per segnalare la tua presenza?» chiese Hansen. «Avrebbe potuto aiutarci a individuarti.»

Per un attimo lei restò senza fiato. Perché aveva fornito più particolari del necessario? Che idiozia... «Io... ecco, non ci ho pensato... Mi muovevo di notte e durante il giorno cercavo un riparo dal sole, di modo che non stavo mai ferma in un punto. Non mi è venuto in mente di accendere un falò e non muovermi.»

«Neanche quando dormivi?»

«Vi ha appena spiegato che aveva le idee confuse» intervenne David.

«Ho sentito» replicò Hansen senza distogliere lo sguardo da Gabrielle. «Immagino sia per questo che, quando hai trovato Tucker al ranch, non gli hai sparato.»

Lei accavallò le gambe riunendo le mani in grembo. «Ormai avevo il caricatore vuoto, sergente Hansen.»

«Per via delle lepri?»

«Tra l'altro. Ma avevo anche cercato di spaccare un cactus sperando di poter ricavare del liquido dall'interno. Cercavo tutte le soluzioni possibili. Forse non ho agito in modo molto sensato.»

«Forse è stato un bene che non avesse un'arma carica quando ha trovato Tucker» osservò il direttore. «Se fosse riuscito a sottrargliela lei oggi potrebbe non trovarsi qui.»

Nella sua mente comparve l'immagine di Tucker, in controluce, mentre si chinava su di lei, abbandonata a terra, per farla bere. Se quegli uomini avessero saputo quanto era in conflitto con se stessa... Già la consideravano troppo tenera nei confronti di Tucker perché aveva cercato di evitargli delle sofferenze. A me risulta che lei riteneva che ci fosse una frattura...

«Secondo te come ha fatto Tucker a sopravvivere?» volle sapere Hansen. «Non aveva acqua, né armi, né cibo.»

«Anche lui avrà escogitato un sistema per procurarsi dell'acqua, visto che ha piovuto...» borbottò lei.

Se l'erano procurata insieme. Avevano mangiato insieme. Avevano dormito insieme. Per poco non avevano fatto l'amore... La verità sembrò vibrare in Gabrielle, arrossandole le guance, e questo accrebbe ancor più il suo disagio perché Hansen pareva non lasciarsi sfuggire nulla.

Il sergente riunì la punta delle dita appoggiandovi il mento e contrasse le labbra. «Non vedo come. In che cosa avrebbe potuto raccoglierla?»

«Non lo so. Non ho idea di quel che ha fatto. Come ho già detto, mi sono imbattuta in lui solo quando sono arrivata al ranch.»

«Dove ti ha legata. E sei rimasta lì per tutta la notte. Giusto?»

«Fino a che sono riuscita a liberarmi dal bavaglio e gridare per chiudere aiuto. Dei braccianti messicani mi hanno sentita, la mattina, e sono venuti a vedere cosa stava succedendo.» Per la prima volta si rese conto di quello che intendeva Tucker dicendo che legandola le faceva un favore. L'aveva protetta, le aveva fornito una prova concreta della sua estraneità alla fuga di lui.

«E questo è accaduto mercoledì mattina?»

«Appunto.»

«È perché non hai avvertito il penitenziario non appena ti hanno liberata?»

«L'ho fatto. Ho chiesto a David di telefonare quando siamo arrivati a casa.»

«Potevi chiamare tu dal ranch.»

«Ero appena uscita da tre giorni passati nel deserto, mezzo morta di sete! Non avevo certo la mente lucida. E comunque non avevo niente da comunicare. Non avevo la minima idea di dove fosse Tucker.»

«Sei stata l'ultima a vederlo.»

«Erano già passate almeno quindici ore. Poteva essere chissà dove, poteva aver trovato un qualche aiuto. Non avevo nulla di utile da dirvi e stavo molto male, come potete facilmente immaginare.»

«Non vi ha lasciati all'oscuro di tutto» sottolineò David. «Mi ha pregato di avvertirvi subito.»

L'aiuto di David le diede più rimorso che sollievo. Anche lui restava invischiato in quella storia. E lei non voleva. Non voleva che magari ci andasse di mezzo.

L'orologio a muro pareva ticchettare più sonoramente del solito mentre il direttore sorseggiava l'ultimo goccio di caffè.

«Secondo lei dove potrebbe essersi diretto?» chiese ora questi.

Da suo figlio, sicuramente, pensò Gabrielle. Dovunque fosse. Ma lei in teoria non sapeva nemmeno che Tucker avesse un figlio, e comunque non l'avrebbe mai detto. «Direi che qualsiasi evaso cercherebbe di passare il confine, non crede?»

Crumb si strinse nelle spalle. «Può darsi. Ma Tucker non mi sembra un detenuto qualsiasi.»

No, non era affatto un uomo qualsiasi... quanto meno non era la sola a rendersene conto. «In che senso?» domandò.

«È un presuntuoso. Crede di essere più furbo di noi, ma le garantisco che lo agguanteremo. E allora...» sorrise, «... si pentirà di averci dato tutte queste grane.»

Un brivido le corse giù per la schiena. Era appunto quello che più temeva per Tucker: la vendetta di Crumb e Hansen.

«Ti viene in mente altro che possa esserci utile?» chiese il sergente.

Gabrielle scosse il capo. «È stata una cosa di pochi momenti. Mi ha sorpresa alle spalle, immobilizzandomi, e poi mi ha legata all'albero perché non potessi dare l'allarme a quelli che ranch. Cercava di guadagnare tempo, immagino.»

«Non è che...» Hansen la percorse con lo sguardo, «... abbia approfittato di te, sessualmente?»

Gabrielle ebbe la sensazione che il sergente sperasse molto in una risposta affermativa. Le sarebbe stato bene. Così avrebbe imparato a prendere le parti di un prigioniero.

«No, sergente Hansen. Non mi ha violentata. Non mi ha fatto nulla di male.»

«Piantarla lì nel deserto, a morire, non è stato un atto di cortesia» osservò Crumb.

«Non ho detto che è stato cortese, direttore.»

«È vero. Ma non noto molto rancore in te» replicò Hansen.

«Mi sembra un commento inopportuno» interloquì David. «Come fa a stabilire quello che prova?»

Hansen gli lanciò un'occhiata ma non si degnò di rispondere. Era chiarissimo che David, a suo parere, non aveva alcun diritto di intromettersi in quel colloquio.

«Non ho motivo di portargli rancore» fece notare Gabrielle. «Stavo scortando un detenuto che poi è riuscito a fuggire. L'ho inseguito...»

«E così facendo hai rischiato di lasciarci la vita» sottolineò David.

«... e non sono riuscita a catturarlo» proseguì lei. «Non c'era niente di personale in questo.»

«Non ti turba minimamente il fatto che adesso ci sia un criminale a piede libero che potrebbe uccidere un'altra persona innocente solo perché tu temevi che le manette gli stringessero troppo i polsi?»

«Non ho provocato io l'incidente» ribatté Gabrielle. «È stato Eckland.»

«Non sarebbe successo nulla se...»

«Adesso basta» sbottò David. «Direi che questa conversazione è conclusa. Gabby vi ha riferito tutto quel che sa e ne ha già passate anche troppe.»

«Sono d'accordo, Hansen» mormorò Crumb. «Quel che è stato è stato. Lasciamoci il passato alle spalle e pensiamo al futuro, sarà meglio per tutti.» Rivolse un sorriso rassicurante a David prima di tornare a Gabrielle. «Ha intenzione di riprendere il suo lavoro, agente Hadley?»

Gabrielle pensò al penitenziario, al trovarsi di nuovo di fronte a Eckland, con la sua gamba fratturata e gli occhi astiosi. Ripensò all'agente Bell che la vedeva con antipatia perché aveva assunto una posizione che lei non osava condividere. Ad Hansen, che conteneva a malapena il suo risentimento. Ai commenti offensivi dei detenuti.

Poi pensò alla possibilità di tornare a Phoenix per cercare di ricostruirsi una vita là. E probabilmente rimettersi con David. Le sarebbe stato difficile tenerlo a bada, soprattutto sapendo che un suo rifiuto l'avrebbe fatto soffrire.

«Non ho ancora deciso.»

«Be', noi ne saremmo lieti, se decidesse in tal senso» disse il direttore. «Abbiamo avuto un inizio difficile, ne convengo, ma credo che più che altro si sia trattato di un malinteso. Non pare anche a lei?»

Un malinteso il fatto che a Tucker non venissero concesse le cure mediche di cui aveva bisogno? Che Hansen non si fosse sognato di intervenire nel pestaggio, neppure quando i Fratelli Messicani avevano ormai atterrato Tucker? Cosa c'era da fraintendere in simili fatti?

Gabrielle non aprì bocca ma Crumb continuò ugualmente.

«Considerando quanto è accaduto, direi che se lei decide di tornare è consigliabile una diversa soluzione. La trasferirei al Complesso Eyman. Avrebbe nuovi colleghi e la struttura è modernissima. Di rado si verificano incidenti gravi, quindi non dovrebbero insorgere problemi.»

Certo: perché il Complesso Eyman, che si trovava a tre chilometri dal suo attuale posto di lavoro, ospitava detenuti di quinto livello che restavano chiusi nelle celle ventiquattro ore al giorno, sette giorni su sette, con la possibilità di uscirne tre volte la settimana per fare la doccia e un po' di moto. E quest'ultimo consisteva nel trascorrere un'ora, da soli, in una stanza di cemento grande quanto un campo da squash, con una palla a disposizione se la gradivano. Quelli che si dimostravano molto turbolenti, quando dovevano spostarsi nel complesso per incontri con gli avvocati o per visite mediche, venivano legati su appositi carrelli.

Ma anche in un ambiente così restrittivo i prigionieri riuscivano a fabbricarsi lame e corde. Gabrielle aveva sentito dire che uno era addirittura riuscito a costruire una fune abbastanza robusta utilizzando carta igienica, e vari oggetti acuminati.

Ma il complesso era moderno, come aveva dichiarato il direttore, e disponeva di impianti di sicurezza elettronici con cui il vecchio penitenziario non poteva competere. Era più fresco d'estate e più caldo in inverno.

E non ci sarebbe stato Hansen.

«Non mi dispiacerebbe affatto» annuì Gabrielle. Forse sarebbe riuscita a rimettere in carreggiata la sua esistenza, dopotutto.

Ma David non era contento di quella risposta. «Sta ancora riprendendosi. Le lasci qualche giorno per decidere.»

Il direttore posò la tazza, poi si alzò. «Mi rendo conto. Non dovrà presentarsi al lavoro prima di mercoledì prossimo, ma mi avverta se per qualche motivo non le sarà possibile.»

Lei assentì.

«E se per caso le viene in mente qualcosa che possa aiutarci a rintracciare Randall Tucker me lo faccia sapere.»

«Senz'altro.»

I due si diressero alla porta e Gabrielle li accompagnò.

«Cerchi di riposare» consigliò Crumb.

«Sempre che tu riesca a prendere sonno, la notte» borbottò Hansen mentre le passava davanti.

Crumb doveva avere sentito perché aggrottò la fronte, ma Hansen non si mostrò affatto contrito quando le rivolse un sorrisetto di congedo. «Sentiremo la tua mancanza.»

«Sapete, ora che ci penso, c'è un elemento che potrebbe aiutarvi a ritrovare Tucker» disse Gabrielle.

Entrambi si voltarono.

«Di che si tratta?» domandò Crumb.

«Mentre mi legava continuava a imprecare per via della mano che gli faceva un male cane, dicendo nel frattempo che era tutta colpa del sergente Hansen e che gliel'avrebbe fatta pagare cara. Ma...» aggrottò la fronte, «... Tucker non sa dove abiti, no?»

Hansen si fece pallido. Evidentemente ricordava benissimo come Tucker sapeva battersi, e immaginava quel che avrebbe potuto fargli in condizioni di parità. E doveva sapere anche quanto sarebbe stato facile per Tucker trovarlo.

«Non avrebbe mai il coraggio di affrontarmi» replicò in tono baldanzoso.

«Hai ragione.» Gabrielle alzò le spalle. «Probabilmente ha paura di te.» Sorrise, tanto per la forma, ma entrambi sapevano bene che Tucker non aveva alcuna paura del sergente: lo disprezzava soltanto.

Hansen scrutò la strada prima di mettersi al volante della giardinetta del direttore e quel segno di apprensione la tirò su di morale. Ma fu un piacere che si cancellò quando David la raggiunse sulla soglia.

«Ti sembra opportuno provocarlo in quel modo?» le chiese. «Si sono mostrati comprensivi riguardo all'incidente. Avrebbero potuto crearti parecchie noie, magari anche metterti sotto accusa. So che non è stata colpa tua, ma si tratta della tua parola contro quella di Eckland.»

Gabrielle si voltò a guardarlo. «Non intendevano mostrarsi comprensivi.»

«Come fai a dirlo?»

«Perché era una proposta di accordo. Non li hai sentiti?»

«Mi pare che tu individui intenzioni inesistenti. Io non ho colto nessuna proposta.»

«Ah, no? Mi hanno informata che avevano in mano una versione diversa della dinamica dell'incidente, poi si sono offerti di spazzare la faccenda sotto il tappeto, insieme a tutto il resto... a patto che io tenessi la bocca chiusa circa quel che è successo a Tucker. Mi conservano il posto tanto per indorare la pillola e per impedire che qualcuno faccia domande circa le ragioni di un mio licenziamento.»

David si sfregò il collo, come se cominciasse a risentire della tensione. «Ma via, Gabby, non hanno neppure accennato a quanto è accaduto al penitenziario prima del trasferimento di Tucker.»

«Sì, invece. Il direttore ha parlato di un grosso malinteso, ricordi?»

«Sei sicura che intendesse quello che pensi tu?»

Lei guardò la scia di polvere che seguiva la giardinetta e tirò un sospiro. «No, non sono sicura. Forse hai ragione tu.»

«Comunque sia, perché non te li scrolli di dosso? Vieni a Phoenix con me. Non avrai bisogno di lavorare, a quel punto.»

Gabrielle richiuse la porta e vi si appoggiò stancamente, intrecciando le braccia. «David, ti rendi conto di quello che mi stai chiedendo?»

Lui la fissò per alcuni secondi. «Io so solo che desidero che mi ami quanto io amo te» disse a mezza voce.

«E se non mi fosse possibile?»

Sulla guancia di David ci fu il guizzo di un muscolo. «Ti ha violentata, vero?»

Gabrielle sbatté le palpebre. «Come?»

«Nel deserto le cose sono andate diversamente da quello che dici. Non hai il coraggio di confessarmelo perché sono sempre stato contrario alla tua decisione di venire qui?»

«No, niente del genere!»

«Allora?»

Lei scosse il capo. «Non mi ha violentata.»

Ma le aveva fatto qualcosa di altrettanto determinante. Le aveva preso il cuore e l'anima, cancellando per lei David e qualsiasi altro uomo.