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NOVEMBRE-DICEMBRE 1918

La mattina dopo la firma dell"armistizio Ethel si svegliò presto. Mentre rabbrividiva nella cucina dal pavimento in pietra, in attesa che bollisse l"acqua nella teiera sul vecchio fornello, prese la decisione di essere felice. C"erano molti motivi per esserlo. La guerra era finita e lei stava per avere un bambino. Aveva un marito fedele che l"adorava. Le cose non erano andate esattamente come aveva desiderato, ma non avrebbe permesso che quel pensiero la rattristasse. Decise che avrebbe ridipinto le pareti della cucina di un giallo allegro. I colori vivaci in cucina erano l"ultima moda.

Ma prima doveva cercare di aggiustare il suo matrimonio. Bernie si era un po"

ammorbidito dopo la sua resa, ma lei aveva continuato a sentirsi amareggiata e in casa l"atmosfera restava avvelenata. Ethel era arrabbiata, tuttavia non voleva che la rottura diventasse permanente. Si chiese se sarebbe riuscita a fare la pace.

Portò due tazze di tè in camera e si stese sul letto. Lloyd stava ancora dormendo nel suo lettino nell"angolo. «Come stai?» domandò a Bernie, che si mise a sedere e inforcò gli occhiali.

«Meglio, mi pare.»

«Resta a riposo un altro giorno, assicurati di essere guarito del tutto.»

«Magari sì.» Il tono di Bernie era neutro, né cordiale né ostile.

Ethel bevve un sorso di tè bollente. «Tu cosa vorresti, un maschio o una femmina?»

Bernie rimase in silenzio ed Ethel pensò che non avesse intenzione di risponderle, ma in realtà stava solo riflettendo, come faceva spesso prima di esprimere il suo parere su un argomento. «Be", abbiamo già un maschio, perciò sarebbe bello che fosse una femmina» disse infine.

Ethel sentì un"ondata di affetto nei confronti del marito. Bernie parlava sempre come se Lloyd fosse stato suo figlio. «Dobbiamo fare in modo che questo sia un bel posto per i nostri figli. Un paese dove possano avere una buona istruzione, un lavoro e una casa decente nella quale crescere i loro bambini. E niente più guerre.»

«Lloyd George indirà elezioni a sorpresa.»

«Tu credi?»

«Lui è l"uomo che ha vinto la guerra. Vorrà sicuramente farsi rieleggere prima che la fama si dissolva.»

«Io credo che il Partito laburista se la caverà comunque bene.»

«In posti come Aldgate abbiamo buone possibilità.»

Ethel esitò. «Ti farebbe piacere se gestissi io la tua campagna elettorale?»

Bernie sembrò dubbioso. «Ho già chiesto a Jock Reid di farmi da direttore della campagna.»

«Jock può occuparsi dei documenti legali e delle finanze» disse Ethel. «Io organizzerò le riunioni e altre attività del genere. So farlo molto meglio di lui.»

All"improvviso ebbe la sensazione che in gioco ci fosse il loro matrimonio, non solo la campagna elettorale.

«Sei sicura di volerlo fare?»

«Sì. Jock si limiterebbe semplicemente a mandarti in giro a fare comizi. Dovrai farlo, certo, ma non è quello il tuo punto di forza. Tu dai il meglio quando te ne stai seduto a bere una tazza di tè con poche persone. Ti farò andare in fabbriche e magazzini dove potrai parlare con la gente in modo informale.»

«Hai sicuramente ragione» disse Bernie.

Ethel finì di bere il tè e posò la tazza e il piattino sul pavimento accanto al letto. «E

così ti senti meglio?» domandò.

«Sì.»

Ethel prese la tazza e il piattino del marito, posò a terra anche quelli e poi si sfilò la camicia da notte dalla testa. Il seno non era più così alto come prima della nascita di Lloyd, ma era ancora sodo e rotondo. «Quanto meglio?»

Bernie la fissava. «Molto meglio.»

Non avevano più fatto l"amore dalla sera in cui Jayne McCulley aveva proposto Ethel come candidata. Il sesso le mancava moltissimo. Si prese i seni tra le mani.

L"aria fredda nella stanza le induriva i capezzoli. «Lo sai cosa sono questi?»

«Credo che siano i tuoi seni.»

«C"è chi li chiama tette.»

«Sono belle.» La voce di Bernie era un po" roca.

«Ti piacerebbe giocarci?»

«Per tutto il giorno.»

«Be", non credo che si possa» replicò Ethel. «Ma intanto cominciamo e vediamo come va.»

«D"accordo.»

Ethel sospirò soddisfatta. Gli uomini erano così semplici.

Un"ora più tardi uscì per andare al lavoro, lasciando Lloyd con Bernie. Non c"era molta gente in strada: Londra quella mattina era afflitta dal doposbornia.

Raggiunse l"ufficio del Sindacato nazionale dei lavoratori dell"abbigliamento e si sedette alla scrivania. La pace avrebbe portato nuovi problemi nell"industria, si disse riflettendo sulla giornata di lavoro che l"aspettava. Milioni di uomini congedati dall"esercito si sarebbero messi alla ricerca di un impiego e avrebbero preteso di scacciare a gomitate le donne che per quattro anni avevano occupato i loro posti. Ma quelle donne avevano bisogno di un salario. Non tutte avevano un uomo che tornava a casa dalla Francia: moltissimi mariti erano sepolti laggiù. Quelle donne avevano bisogno del sindacato, e avevano bisogno di Ethel.

In qualsiasi momento fossero state indette le elezioni, il sindacato naturalmente avrebbe appoggiato il Partito laburista. Ethel passò quasi tutto il giorno a pianificare riunioni.

I giornali della sera riportavano notizie sorprendenti sulle elezioni.

Lloyd George aveva deciso di proseguire con il governo di coalizione anche in tempo di pace, di conseguenza non si sarebbe presentato in campagna elettorale in veste di leader dei liberali, ma quale capo della coalizione. Quella mattina, a Downing Street, aveva tenuto un discorso a duecento deputati liberali guadagnandosi il loro sostegno. Contemporaneamente

Bonar Law aveva persuaso i deputati conservatori ad appoggiare l"iniziativa.

Ethel era perplessa. Per cosa si supponeva che dovesse votare la gente?

Quando rientrò a casa, trovò Bernie furioso. «Questa non è un"elezione: è una maledetta incoronazione. Re David Lloyd George. Che traditore. Ha la possibilità di creare un governo di sinistra radicale e cosa fa? Resta in combutta con i suoi amici conservatori! È un maledetto voltagabbana.»

«Non diamoci ancora per vinti» disse Ethel.

Due giorni dopo il Partito laburista si ritirò dalla coalizione e annunciò che avrebbe fatto una campagna contro Lloyd George. Quattro laburisti, ministri del governo, si rifiutarono di rassegnare le dimissioni e vennero prontamente espulsi dal partito. La data delle elezioni venne fissata per il 14 dicembre. Considerato il tempo necessario per il ritorno in patria delle schede dei soldati in Francia e il relativo spoglio, i risultati sarebbero stati annunciati solo dopo Natale.

Ethel cominciò a pianificare la campagna elettorale di Bernie.

II

Il giorno dopo l"armistizio Maud scrisse a Walter sulla carta da lettere con lo stemma di suo fratello e imbucò la busta nella cassetta postale rossa all"angolo della strada.

Non aveva idea di quanto tempo ci sarebbe voluto perché venisse ripristinato un normale servizio di posta, ma, quando fosse successo, voleva che la sua lettera fosse in cima alla pila. Aveva formulato il messaggio con grande attenzione, nel caso in cui la censura fosse stata ancora in vigore: non c"era alcun riferimento al matrimonio e si diceva semplicemente che Maud sperava di riallacciare la vecchia amicizia, ora che i rispettivi paesi erano in pace. Forse quella lettera rappresentava comunque un rischio, ma lei voleva disperatamente sapere se Walter fosse ancora vivo e, se lo era, rivederlo.

Temeva che gli alleati vincitori avrebbero punito il popolo tedesco, ma il discorso che proprio quel giorno Lloyd George aveva tenuto ai deputati liberali era rassicurante. Secondo i giornali della sera, Lloyd George aveva dichiarato che il trattato di pace con la Germania doveva essere equilibrato e giusto. “Non dobbiamo permettere a un senso di vendetta, a uno spirito di avidità o a un desiderio di cupidigia di avere la meglio sui principi fondamentali di equità.” Il governo si sarebbe opposto a ciò che Lloyd George definiva “una vile, sordida, squallida idea di vendetta e avidità”. Maud si sentiva sollevata. Per i tedeschi la vita sarebbe già stata comunque abbastanza dura.

Tuttavia la mattina seguente rimase sconvolta quando, a colazione, aprì il “Daily Mail”. L"articolo principale era intitolato: Gli unni devono pagare. Il quotidiano sosteneva che era sì necessario inviare aiuti alimentari in Germania, ma solo perché

“se la Germania dovesse morire di fame, non sarebbe in grado di pagare il suo debito”. L"articolo aggiungeva che il Kaiser doveva essere processato per crimini di guerra. Il quotidiano soffiava inoltre sul fuoco della vendetta, pubblicando in cima alla sua rubrica della posta dei lettori una diatriba della viscontessa Templetown dal titolo: Teniamo lontani gli unni.

«Per quanto tempo ancora dovremo continuare a odiarci?» domandò Maud a zia Herm. «Un anno? Dieci anni? Per sempre?»

Maud, però, non avrebbe dovuto sorprendersi. All"inizio della guerra il “Mail” aveva promosso una campagna d"odio contro i trentamila tedeschi che vivevano in Gran Bretagna, molti dei quali vi risiedevano da moltissimo tempo e consideravano l"Inghilterra la loro patria. Come conseguenza, parecchie famiglie erano state divise e migliaia di persone innocenti avevano trascorso anni in campi di concentramento britannici. Erano cose stupide, ma la gente aveva bisogno di qualcuno da odiare, e i giornali erano sempre pronti a soddisfare quella necessità.

Maud conosceva il proprietario del “Mail”, Lord Northcliffe. Come tutti i grossi editori, credeva veramente nelle sciocchezze che pubblicava. Il suo talento consisteva nell"esprimere i pregiudizi più stupidi e ignoranti dei suoi lettori come se avessero senso, tanto da far sembrare rispettabili idee vergognose. Era la ragione per cui quella gente comprava il suo giornale.

Sapeva anche che di recente Lloyd George aveva snobbato Northcliffe. Il presuntuoso signorotto della stampa si era proposto quale membro della delegazione britannica all"imminente conferenza di pace e si era molto offeso quando il primo ministro aveva opposto un rifiuto.

Maud era preoccupata. In politica a volte era necessario assecondare persone spregevoli, ma Lloyd George sembrava essersene dimenticato. Si chiedeva con ansia quali effetti la propaganda malevola del “Mail” avrebbe avuto sulle elezioni.

Qualche giorno dopo lo scoprì.

Andò a una riunione elettorale che si teneva in una sala municipale nell"East End londinese. Eth Leckwith sedeva tra il pubblico e suo marito Bernie era sul palco.

Maud non si era rappacificata con Ethel dopo la lite, nonostante fossero state amiche e colleghe per anni. Anzi, lei tremava ancora di rabbia quando pensava al modo in cui Ethel e le altre avevano incoraggiato il parlamento ad approvare una legge che, in materia di voto, manteneva le donne in una posizione di svantaggio rispetto agli uomini. Tuttavia le mancavano il buonumore e il sorriso sempre pronto di Ethel.

Il pubblico ascoltò irrequieto le varie presentazioni. Gli spettatori erano per lo più uomini, anche se adesso alcune donne potevano votare. Maud riteneva che la maggior parte delle donne non si fosse ancora abituata all"idea di nutrire interesse per la politica, ma era anche convinta che sarebbero rimaste scoraggiate dal tono generale di riunioni politiche in cui un uomo blaterava in piedi sul palco, mentre il pubblico applaudiva o protestava rumorosamente.

Il primo a intervenire fu Bernie. Non era un oratore, Maud se ne rese conto immediatamente.

Leckwith parlò del nuovo statuto del Partito laburista e in particolare della clausola quattro, che invocava la proprietà pubblica dei mezzi di produzione. A Maud l"idea sembrò interessante perché tracciava una chiara linea di demarcazione tra i laburisti e i liberali filoimprenditori. Ma si rese conto subito di essere in minoranza.

L"uomo seduto accanto a lei si fece sempre più irrequieto e alla fine gridò:

«Sbatterai i tedeschi fuori da questo paese?».

Bernie fu colto di sorpresa. Rifletté per qualche istante, poi disse: «Io farò qualsiasi cosa possa giovare ai lavoratori».

Maud si chiese come mai non venissero citate anche le lavoratrici e immaginò che Ethel pensasse la stessa cosa.

«E non considero una priorità» proseguì Bernie «un"azione del genere contro i tedeschi in Gran Bretagna.»

La risposta non venne digerita bene e suscitò anzi qualche buuu sparso.

Bernie riprese a parlare. «Ma per tornare a temi più importanti…»

Dal lato opposto della sala qualcun altro gridò: «E il Kaiser?».

Leckwith commise l"errore di rispondere al disturbatore con una domanda. «Il Kaiser cosa? Ha abdicato.»

«Deve essere processato?»

«Non ti rendi conto che un processo significherebbe dargli il diritto di difendersi?»

ribatté Bernie esasperato. «Vuoi davvero dare all"imperatore tedesco un palcoscenico dal quale proclamare la sua innocenza al mondo?»

Era un"argomentazione convincente, pensò Maud, ma non era quello che i presenti volevano sentire. I fischi di dissenso si fecero più forti e ci furono grida di:

«Impiccate il Kaiser!».

Gli elettori britannici diventavano cattivi quando si arrabbiavano, rifletté Maud.

Per lo meno gli uomini. Poche donne avrebbero mai avuto voglia di partecipare a riunioni come quella.

«Se impiccassimo i nemici sconfitti saremmo dei barbari» disse Bernie.

L"uomo seduto accanto a Maud urlò di nuovo: «Costringerai gli unni a pagare?».

Fu la domanda che scatenò la reazione maggiore. Molti presero a urlare: «Fate pagare gli unni!».

«Entro limiti ragionevoli…» cominciò a dire Bernie, ma non poté proseguire.

«Fate pagare gli unni!» Il grido diventò generale e, nel giro di un minuto, tutti stavano intonando all"unisono: «Fate pagare gli unni! Fate pagare gli unni!».

Maud si alzò in piedi e se ne andò.

III

Woodrow Wilson fu il primo presidente americano a recarsi all"estero durante il suo mandato.

Salpò da New York il 4 dicembre. Nove giorni dopo Gus

lo stava aspettando sul molo di Brest, sulla punta occidentale della penisola bretone. A mezzogiorno la foschia si dissolse e, per la prima volta da giorni, spuntò il sole. Nella baia, navi da guerra francesi, inglesi e americane formavano una guardia d"onore attraverso la quale passò la George Washington, la nave da trasporto della marina militare statunitense su cui viaggiava Wilson. I cannoni tuonarono nel saluto al presidente e la banda attaccò The Star-Spangled Banner, l"inno nazionale degli Stati Uniti.

Per Gus quello era un momento solenne. Wilson era andato in Europa per assicurarsi che non ci sarebbe mai più stata un"altra guerra come quella che si era appena conclusa. Le sue proposte relative ai Quattordici punti e alla Società delle Nazioni avevano lo scopo di cambiare per sempre il modo in cui gli Stati risolvevano i loro conflitti. Era un progetto di un"ambizione esagerata. Nella storia della civiltà umana, nessun politico aveva mai puntato così in alto. Se Wilson avesse avuto successo, sarebbe nato un mondo nuovo.

Alle tre del pomeriggio la first lady, Edith Wilson, scese lungo la passerella al braccio del generale Pershing, seguita dal presidente, in cappello a cilindro.

La città di Brest accolse Wilson come un eroe conquistatore. VIVE WILSON, dicevano gli striscioni, DEFENSEUR DU DROIT DES PEUPLES. In ogni edificio garriva la bandiera a stelle e strisce e la folla si ammassava lungo i marciapiedi. Molte donne indossavano il tradizionale, alto copricapo bretone di pizzo. La musica delle cornamuse risuonava ovunque. Delle cornamuse Gus avrebbe fatto volentieri a meno.

Il ministro degli Esteri francese pronunciò un discorso di benvenuto. Gus ascoltava in piedi tra i giornalisti americani. Notò una donna piccola con un voluminoso cappello di pelliccia. Quando lei si voltò, Gus vide che il viso grazioso era deturpato da un occhio chiuso. Sorrise contento: era Rosa Hellman. Avrebbe ascoltato con piacere le sue opinioni sulla conferenza di pace.

Dopo i discorsi di rito, tutto il corteo presidenziale salì a bordo del treno della notte per il viaggio di oltre seicento chilometri fino a Parigi. Il presidente strinse la mano a Gus, dicendo: «Sono contento di riaverti in squadra».

Wilson voleva collaboratori fidati intorno a sé alla Conferenza di pace di Parigi. Il suo consigliere principale sarebbe stato il colonnello House, il pallido texano che per anni gli aveva fatto ufficiosamente da consulente in politica estera. Gus sarebbe stato l"assistente giovane della squadra.

Wilson, che sembrava stanco, si ritirò con Edith nella carrozza a loro riservata. Gus era preoccupato. Aveva sentito voci secondo le quali il presidente non era in buona salute. Nel 1906 gli era scoppiato un vaso sanguigno dietro l"occhio sinistro, provocandogli una temporanea cecità. I medici avevano formulato una diagnosi di ipertensione e gli avevano consigliato di ritirarsi. Wilson aveva allegramente ignorato le raccomandazioni e aveva continuato come sempre, fino a farsi eleggere presidente.

Ma negli ultimi tempi soffriva di mal di testa che potevano essere un nuovo sintomo del medesimo problema di ipertensione. La conferenza di pace sarebbe stata molto faticosa. Gus sperava che Wilson fosse in grado di affrontarla.

Sul treno c"era anche Rosa. Gus si sedette di fronte a lei sul sedile dalla tappezzeria di broccato nella carrozza ristorante.

«Mi chiedevo se avrei avuto occasione di vederti» disse la giovane. Sembrava contenta dell"incontro.

«Sono stato distaccato dall"esercito» la informò Gus, che indossava ancora l"uniforme di capitano.

«In patria Wilson è stato massacrato per la sua scelta dei collaboratori. Non parlo di te, naturalmente.»

«Io sono un pesce piccolo.»

«Ma c"è chi dice che non avrebbe dovuto portare sua moglie.»

Gus si strinse nelle spalle. Gli sembrava una questione irrilevante. Dopo le esperienze sul campo di battaglia aveva qualche difficoltà a considerare seriamente alcuni particolari dei quali la gente si preoccupava in tempo di pace.

«Aspetto ancora più importante» riprese Rosa «non ha portato nessun repubblicano.»

«Il presidente vuole alleati nella sua squadra, non nemici» ribatté indignato Gus.

«Ma ha bisogno anche di alleati a casa. Wilson ha perso il Congresso.»

Rosa aveva ragione, e ciò ricordò a Gus quanto quella donna fosse brillante. Le elezioni di medio termine erano state un disastro per Wilson. I repubblicani avevano ottenuto il controllo sia del Senato sia della Camera. «Com"è successo?» domandò.

«Sono rimasto un po" tagliato fuori.»

«La gente comune non ne può più del razionamento e dei prezzi alti, e la fine della guerra è arrivata un po" troppo tardi per essere di aiuto. Inoltre i liberali contestano la legge contro lo spionaggio che consentiva a Wilson di mandare in prigione chiunque non fosse d"accordo con la guerra. E lui l"ha usata: Eugene Debs è stato condannato a dieci anni.» Debs era stato il candidato presidenziale dei socialisti. Rosa sembrò arrabbiata quando aggiunse: «Non puoi mandare i tuoi avversari in galera e continuare a fingere di credere nella libertà».

Gus pensò quanto gli fossero sempre piaciuti i botta e risposta delle discussioni con Rosa. «In tempo di guerra, a volte la libertà deve scendere a compromessi.»

«Evidentemente gli elettori americani non la pensano così. E c"è un"altra cosa: Wilson applica la segregazione razziale nei suoi uffici di Washington.»

Gus non sapeva se i negri avrebbero mai potuto elevarsi al livello dei bianchi ma, come la maggior parte dei liberal americani, pensava che l"unico modo per scoprirlo consistesse nell"offrire loro migliori possibilità nella vita e stare a vedere cosa succedeva.

Wilson e la moglie, però, erano del Sud e la pensavano diversamente. «Edith non ha voluto portare la sua cameriera a Londra per paura che la ragazza si viziasse»

disse. «Sostiene che gli inglesi sono troppo educati con i negri.»

«Woodrow Wilson non è più il cocco della sinistra americana» commentò Rosa.

«Questo significa che avrà bisogno dell"appoggio repubblicano per la sua Società delle Nazioni.»

«Immagino che Henry Cabot Lodge si senta snobbato.» Lodge era un repubblicano di estrema destra.

«Sai come sono i politici» disse Rosa. «Permalosi come scolarette e anche più vendicativi. Lodge è il presidente della commissione Affari esteri del Senato. Wilson avrebbe dovuto portarlo con sé a Parigi.»

«Lodge è contrario all"idea di una Società delle Nazioni!» protestò Gus.

«La capacità di ascoltare persone intelligenti che non sono d"accordo con te è un talento raro… che però un presidente dovrebbe possedere. E se Wilson avesse portato Lodge a Parigi, lo avrebbe neutralizzato: quale membro della squadra, non avrebbe potuto tornarsene a casa e opporsi a quanto verrà concordato a Parigi, di qualunque cosa si tratti.»

Gus immaginò che Rosa avesse ragione. Ma Wilson era un idealista, convinto che la forza della ragione potesse superare ogni ostacolo. Sottovalutava la necessità di lusingare, blandire e sedurre.

Il cibo era ottimo, in onore del presidente. Venne servita sogliola dell"Atlantico al burro. Gus non aveva più assaggiato qualcosa di così buono da prima della guerra. Lo divertì vedere Rosa mangiare con grande appetito. Era molto minuta: dove la metteva tutta quella roba?

Al termine della cena, venne servito caffè forte in piccole tazze. Gus si accorse di non avere voglia di lasciare Rosa per ritirarsi nel suo scompartimento letto. Era troppo interessante parlare con lei. «Comunque, a Parigi Wilson sarà in una posizione di forza.»

Rosa sembrò scettica. «E come mai?»

«Be", prima di tutto abbiamo vinto la guerra per loro.»

Lei annuì. «Wilson ha dichiarato: “A Chàteau-Thierry abbiamo salvato il mondo”.»

«Io e Chuck Dixon abbiamo combattuto in quella battaglia.»

«È là che è morto Chuck?»

«Colpito in pieno da una granata. Il primo caduto in battaglia che ho visto. Ma non l"ultimo, purtroppo.»

«Mi dispiace moltissimo, specialmente per sua moglie. Conosco Doris da anni: avevamo la stessa insegnante di piano.»

«Non so se siamo stati noi a salvare il mondo» riprese Gus. «Ci sono stati molti più caduti francesi, inglesi e russi che americani. Però noi abbiamo fatto pendere la bilancia. Questo dovrebbe significare qualcosa.»

Rosa scosse la testa facendo ondeggiare i riccioli scuri. «Non sono d"accordo. La guerra è finita e gli europei non hanno più bisogno di noi.»

«Persone come Lloyd George ritengono che la potenza militare americana non possa essere ignorata.»

«Si sbagliano» ribatté Rosa.

Sentire una donna parlare con tanta determinazione di un argomento del genere sorprendeva e affascinava Gus.

«Supponi che francesi e inglesi semplicemente si rifiutino di allinearsi sulle posizioni di Wilson» riprese lei. «Il presidente si servirebbe dell"esercito per imporre le proprie idee? No. Anche se volesse farlo, il Congresso repubblicano non glielo permetterebbe.»

«Noi abbiamo anche un potere economico e finanziario.»

«Gli alleati hanno debiti enormi nei nostri confronti, questo è sicuramente vero, ma non so bene quanto potere effettivo ci dia questo fatto. C"è un vecchio detto: “Se hai un debito di cento dollari, la banca ti tiene in suo potere, ma se hai un debito di un milione di dollari sei tu che tieni in tuo potere la banca”.»

Gus cominciava a rendersi conto che il compito di Wilson poteva essere più difficile di quanto avesse immaginato. «Ma cosa mi dici dell"opinione pubblica? Hai visto anche tu l"accoglienza che Wilson ha ricevuto a Brest. In tutta Europa la gente guarda a lui per la creazione di un mondo di pace.»

«È la sua carta più forte. La gente ha la nausea dei massacri. “Mai più” è la parola d"ordine. Spero solo che Wilson riesca a concretizzare quello che la gente vuole.»

Tornarono ai rispettivi scompartimenti e si augurarono la buonanotte. Gus rimase sveglio a lungo, pensando a Rosa e a quello che aveva detto. La giornalista era veramente la donna più intelligente che lui avesse mai conosciuto. Era anche bella.

Per qualche ragione, ci si dimenticava in fretta del suo occhio. All"inizio sembrava un"orrenda deformità, ma dopo un po" Gus aveva smesso di farci caso.

Rosa però si era detta pessimista per quanto riguardava l"esito della conferenza. E

tutte le sue argomentazioni erano valide. Wilson aveva una battaglia davanti a sé, Gus adesso se ne rendeva conto. Era felicissimo di appartenere alla squadra e deciso a fare tutto il possibile per trasformare gli ideali del presidente in realtà.

Nel cuore della notte, mentre il treno attraversava la Francia puntando verso est, guardò fuori dal finestrino. Passando da una città, fu sorpreso di vedere moltissima gente sui marciapiedi della stazione e lungo la strada parallela ai binari. Era buio, ma la folla era chiaramente visibile alla luce dei lampioni. Erano migliaia: uomini, donne e bambini. Non ci furono applausi o grida; tutti rimasero in silenzio. Gus vide però gli uomini e i ragazzi togliersi il cappello, e quel gesto di rispetto lo commosse fin quasi alle lacrime. Quella gente aveva aspettato per metà della notte solo per veder passare il treno sul quale viaggiava la speranza del mondo.