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GENNAIO 1914
Il conte Fitzherbert, ventotto anni, noto a parenti e amici come “Fitz”, era il nono uomo più ricco della Gran Bretagna.
Non aveva fatto nulla per guadagnarsi quell"enorme patrimonio: aveva semplicemente ereditato migliaia di ettari di terra in Galles e nello Yorkshire. Le fattorie producevano poco reddito, ma nel sottosuolo c"era il carbone e, con la concessione dei diritti di estrazione, il nonno di Fitz aveva accumulato una vera e propria fortuna.
Chiaramente Dio aveva riservato ai Fitzherbert un ruolo preminente rispetto alla gente comune e un tenore di vita consono, ma Fitz sentiva di non avere fatto molto per giustificare la fiducia che Dio aveva riposto in lui.
Suo padre, il precedente conte, era diverso. Ufficiale di marina, promosso ammiraglio dopo il bombardamento di Alessandria del 1882, era poi divenuto ambasciatore britannico a San Pietroburgo e infine ministro nel governo guidato da Lord Salisbury. I conservatori avevano perso le elezioni politiche del 1906, e il padre di Fitz era morto poche settimane dopo. Fitz era convinto che la sua fine fosse stata accelerata dalla notizia che liberali irresponsabili come David Lloyd George e Winston Churchill stavano per assumere ruoli chiave nel governo di sua maestà.
Fitz gli era subentrato alla Camera dei Lord, la camera alta del parlamento britannico, come pari conservatore. Parlava bene il francese e se la cavava con il russo, e un giorno gli sarebbe piaciuto diventare segretario di Stato per gli Affari esteri.
Purtroppo i liberali avevano continuato a vincere le elezioni, per cui gli era stata preclusa la possibilità di diventare ministro.
La sua carriera militare era stata altrettanto modesta. Aveva frequentato l"accademia per ufficiali a Sandhurst e trascorso tre anni nel reggimento dei Fucilieri del Galles, da cui era uscito con il grado di capitano. Dopo il matrimonio aveva rinunciato al servizio attivo per diventare colonnello onorario della milizia territoriale del Galles meridionale. Purtroppo un colonnello onorario non conquista mai medaglie.
Comunque aveva qualcosa di cui andare fiero, pensò mentre il treno attraversava tra sbuffi di vapore le valli del Galles meridionale: nel giro di due settimane il re gli avrebbe fatto visita. Da giovani, re Giorgio V e il padre di Fitz erano stati imbarcati sulla stessa nave e di recente il sovrano aveva espresso il desiderio di conoscere le idee delle nuove leve. Per dare modo a sua maestà di incontrare alcuni personaggi di rilievo, Fitz si era dunque attivato per organizzare un ricevimento riservato. Insieme alla moglie, Bea, si trovava adesso in viaggio verso la residenza di campagna per i preparativi.
Fitz era molto legato alle tradizioni. Nulla di quanto noto agli esseri umani era superiore al rassicurante ordine di monarchia, aristocrazia, commercianti e contadini.
In quel momento, però, guardando fuori dal finestrino del treno, vide una minaccia allo stile di vita britannico, una minaccia ben più grave di qualsiasi altra fronteggiata dal paese negli ultimi cento anni. I fianchi delle colline, un tempo verdeggianti, erano coperti dalle case a schiera dei minatori, simili a una ruggine nerastra sulle foglie di un rododendro. In quelle tetre catapecchie si parlava di repubblica, ateismo e rivolta.
Era passato poco più di un secolo da quando la nobiltà francese era stata trascinata verso la ghigliottina sui carri, e lo stesso sarebbe accaduto lì se qualcuno di quei muscolosi minatori con la faccia nera fosse riuscito a far passare le sue idee.
Fitz pensò che avrebbe rinunciato volentieri ai proventi del carbone a patto che la Gran Bretagna potesse tornare a un"epoca di maggiore semplicità. La famiglia reale costituiva un forte baluardo contro l"insurrezione, ma quella visita, che pure lo inorgogliva, lo preoccupava molto. Erano tante le cose che potevano andare storte: con i reali una banale svista poteva essere interpretata come un segno di negligenza e, quindi, come una mancanza di rispetto Ogni dettaglio del fine settimana sarebbe stato riportato dai domestici degli ospiti ad altri domestici, e da loro ai datori di lavoro, cosicché ogni signora dell"alta società londinese avrebbe saputo ben presto se al re erano stati dati un cuscino troppo duro, una patata scadente o la marca sbagliata di champagne.
La sua Rolls-Royce Silver Ghost lo aspettava alla stazione di Aberowen. Con la moglie Bea al suo fianco, fu condotto a Ty Gwyn, la residenza di campagna, a un chilometro e mezzo di distanza. Scendeva una pioggerella leggera ma insistente cosa assai frequente in Galles.
In gallese “Ty Gwyn” significa “casa bianca”, ma il nome era diventato motivo di ironia. Come qualsiasi altra cosa in quella parte del mondo, l"edificio era coperto da uno strato di polvere di carbone, e i blocchi di pietra un tempo candidi adesso erano di un grigio scuro e sporcavano gli abiti delle signore che distrattamente sfioravano i muri.
Tuttavia era un edificio grandioso, e Fitz avvertì un moto d"orgoglio mentre l"auto risaliva silenziosa il viale d"ingresso. Ty Gwyn, la più grande dimora privata del Galles, aveva duecento stanze. Una volta, da bambino, insieme alla sorella Maud si era messo a contare le finestre: ne avevano individuate cinquecentoventitré. La casa era stata costruita da suo nonno, e la struttura a tre piani risultava assai armoniosa. Le finestre del pianterreno erano alte e lasciavano entrare molta luce nelle grandi sale di rappresentanza. Al primo piano c"erano decine di camere per gli ospiti e nella mansarda innumerevoli camerette per la servitù, rivelate da lunghe file di abbaini sui tetti aguzzi.
I venti ettari di parco erano il grande vanto di Fitz, che dirigeva personalmente il lavoro dei giardinieri, sceglieva le piante, decideva le potature e cosa invasare. «Una casa degna della visita di un re» disse mentre l"auto si fermava accanto al portico maestoso. Bea non replicò. I viaggi la mettevano di malumore.
Appena sceso, Fitz fu accolto da Gelert, il suo cane dei Pirenei, una creatura grande come un orso che gli leccò la mano e poi si lanciò in una corsa festosa per il giardino.
Nello spogliatoio Fitz si tolse gli indumenti da viaggio per indossare un morbido abito di tweed marrone, quindi aprì la porta comunicante con le stanze della moglie.
La cameriera russa, Nina, stava togliendo gli spilloni dall"elaborato cappello indossato da Bea per il viaggio. Fitz scorse il viso della moglie nello specchio della toeletta e il cuore gli si fermò per un secondo. Fu riportato indietro di quattro anni, nella sala da ballo di San Pietroburgo dove per la prima volta aveva visto quel viso incantevole incorniciato da riccioli biondi impossibili da domare. Già allora Bea esibiva quell"espressione imbronciata che lui trovava particolarmente irresistibile. In un attimo aveva deciso che, fra tante donne, era lei quella che voleva sposare.
Nina, di mezza età, non aveva la mano ferma – anche perché Bea spesso faceva innervosire la servitù – e inavvertitamente le graffiò la testa. Bea lanciò un urlo.
Nina impallidì. «Mi scusi, sua altezza, sono desolata» disse in russo.
Bea prese al volo uno spillone dal piano della toeletta e punse il braccio della cameriera. «Vediamo che impressione ti fa!» gridò.
Nina scoppiò in lacrime e uscì di corsa dalla stanza.
«Lascia che ti aiuti io» disse Fitz alla moglie.
«Faccio da sola.»
Fitz andò alla finestra. Una decina di giardinieri era impegnata a potare siepi, aggiustare le bordure dei prati e rastrellare la ghiaia. Parecchie piante erano in fiore: il viburno rosa, il gelsomino invernale giallo e l"amamelide. Oltre il giardino si stagliava il dolce profilo della montagna.
Doveva pazientare con Bea e ricordare a se stesso che veniva da fuori, che era sola in un paese straniero, lontana dalla famiglia e dalle proprie abitudini. Era stato facile nei primi mesi di matrimonio, quando lui si lasciava inebriare dalla sua bellezza, dal suo odore, dalla sua pelle vellutata. Ora diventava tutto più faticoso. «Perché non ti riposi?» le propose. «Io parlo con Peel e Mrs Jevons per vedere come vanno i preparativi.» Peel era il maggiordomo e Mrs Jevons la governante. Spettava a Bea gestire il personale, ma Fitz era talmente in ansia per la visita del re che trovava ogni possibile scusa per intromettersi. «Verrò a riferirti più tardi, quando ti sarai ripresa.»
Estrasse il portasigari.
«Non fumare qui dentro.»
Fitz lo prese per un sì e si avviò verso la porta. Sulla soglia indugiò un attimo.
«Senti, non è che lo farai davanti ai reali, vero? Alzare le mani sulla servitù, intendo.»
«Non ho alzato le mani! L"ho punta con lo spillone per darle una lezione.»
I russi erano abituati a comportamenti del genere. Quando il padre di Fitz si era lamentato della pigrizia dei camerieri dell"ambasciata britannica di San Pietroburgo, gli amici russi gli avevano detto che non li picchiava abbastanza.
«Imbarazzerebbe il re assistere a una cosa del genere» fece presente lui. «Come ti ho già detto, in Inghilterra non si usa.»
«Da bambina mi fecero assistere all"impiccagione di tre contadini. Mia madre non voleva, ma il nonno insistette. “È per insegnarti a punire i servi” mi disse. “Se non li schiaffeggi e non li frusti per le piccole mancanze come la sbadataggine e la pigrizia, commetteranno peccati peggiori e finiranno sulla forca.” Mi ha insegnato che l"indulgenza verso le classi inferiori alla lunga si rivela una crudeltà.»
Fitz cominciava a irritarsi. Bea aveva trascorso l"infanzia tra agi e ricchezze, circondata da un esercito di servitori e migliaia di docili contadini, vedendo esaudito ogni suo desiderio. Se il suo spietato e abile nonno non fosse morto, quella vita sarebbe continuata, ma la fortuna di famiglia era stata sperperata dal padre di Bea, un ubriacone, e dal fratello Andrej, un debole capace solo di vendere il legname senza ripiantare gli alberi. «I tempi sono cambiati» disse, «Ti chiedo, anzi ti ordino, di non mettermi in imbarazzo davanti al mio re. Spero di essere stato chiaro.» Uscì e si chiuse la porta alle spalle.
Percorse l"ampio corridoio in preda a un"irritazione venata di tristezza. Nei primi tempi dopo le nozze quei battibecchi lo lasciavano disorientato e pieno di rimorsi, ma ormai ci si stava abituando. Si chiese se fosse così in tutti i matrimoni.
Un valletto alto, chino a pulire il pomolo di una porta, scattò sull"attenti con le spalle al muro e gli occhi abbassati, come i domestici di Ty Gwyn erano addestrati a fare al passaggio del conte. In altre grandi dimore il personale doveva rivolgere il viso al muro, ma Fitz la trovava una pratica feudale. Riconobbe l"uomo, che aveva visto giocare a cricket in una partita in cui si erano sfidati la servitù di Gwyn e i minatori di
Aberowen. Era un bravo battitore mancino, e ne ricordava il nome. «Morrison» lo apostrofò «di" a Peel e a Mrs Jevons di venire in biblioteca.»
«Subito, milord.»
Fitz scese l"imponente scalinata. Aveva sposato Bea perché ne era rimasto incantato, ma c"era stata anche una motivazione razionale. Sognava di fondare una grande dinastia anglorussa in grado di governare vasti territori, come la dinastia asburgica governava da secoli mezza Europa.
Tuttavia gli serviva un erede. L"umore di Bea indicava che non l"avrebbe accolto nel suo letto quella sera. Poteva insistere, cosa che certo non gli faceva piacere. Ma erano passate almeno due settimane dall"ultima volta. Non desiderava certo una moglie volgarmente smaniosa, anche se due settimane erano molte.
A ventitré anni, sua sorella Maud era ancora nubile e comunque, se avesse avuto un figlio, probabilmente lo avrebbe fatto diventare un fanatico socialista pronto a sperperare la fortuna di famiglia nella pubblicazione di trattati rivoluzionari.
Fitz era sposato da tre anni e cominciava a preoccuparsi. Bea era rimasta incinta una sola volta, l"anno precedente, ma aveva perso il bambino al terzo mese di gravidanza. Era accaduto subito dopo un litigio: Fitz aveva cancellato un viaggio già programmato a San Pietroburgo e Bea si era agitata terribilmente, mettendosi a urlare che voleva andare a casa. Lui si era intestardito – dopotutto un uomo non può permettere alla moglie di comandarlo a bacchetta -, ma poi, quando Bea aveva abortito, si era sentito in colpa e responsabile dell"accaduto. Se solo fosse rimasta di nuovo incinta, avrebbe fatto di tutto per garantirle la massima tranquillità fino alla nascita del bambino.
Accantonando quei pensieri, entrò in biblioteca e si sedette alla scrivania con il piano in cuoio per stilare un elenco.
Un paio di minuti dopo entrò Peel accompagnato da una cameriera. Il maggiordomo era il figlio minore di un fattore e, con il viso lentigginoso e i capelli sale e pepe, aveva l"aspetto sano di chi vive all"aria aperta, malgrado avesse sempre prestato servizio a Ty Gwyn. «Mrs Jevons c"ha male, milord.» Fitz aveva da un pezzo rinunciato a correggere gli errori grammaticali dei servitori gallesi. «La pancia»
aggiunse Peel in tono lugubre.
«Mi risparmi i dettagli.» Fitz guardò la cameriera, una bella
“Quiggiù” era una tipica espressione locale ridondante, che aveva lo stesso significato di “qui”.
«Fammi vedere» disse Fitz.
La giovane girò intorno alla scrivania e gli posò davanti il taccuino aperto. La servitù aveva l"obbligo di fare il bagno una volta alla settimana, in modo da non puzzare come puzzavano di solito i lavoratori. In effetti il corpo caldo di Ethel emanava addirittura una fragranza di fiori. Forse aveva rubato il sapone profumato di Bea.
Fitz lesse l"elenco. «Bene» disse. «La principessa deciderà quali camere assegnare ai vari ospiti. È probabile che abbia idee precise al riguardo.»
Williams voltò pagina. «Questo è un elenco del personale aggiuntivo che bisogna prendere: sei ragazze in cucina per pulire le verdure e lavare le stoviglie, due uomini con le mani pulite per aiutare a servire in tavola, tre cameriere e tre ragazzi che si occupino delle scarpe e delle candele.»
«Hai idea di dove possiamo trovarli?»
«Oh, sì, milord. Ho appunto una lista di persone del posto che hanno già lavorato qui, e se non bastano chiederemo a loro di raccomandarcene altre.»
«Niente socialisti, bada bene» si premurò di specificare Fitz. «Potrebbero cercare di parlare al re dei mali del capitalismo.» Non si poteva mai sapere con i gallesi.
«Certo, milord.»
«E per le provviste?»
La giovane passò a un"altra pagina. «Abbiamo bisogno di questo, tenuto conto dei precedenti ricevimenti organizzati qui.»
Fitz guardò la lista: cento pagnotte, venti dozzine di uova, cinquanta litri di panna, cinquanta chili di pancetta affumicata, tre quintali di patate… Cominciava ad annoiarsi. «Non potremmo rimandare a dopo che la principessa avrà deciso il menu?»
«Deve arrivare tutto da Cardiff» fece presente Williams. «I negozi di Aberowen non sono attrezzati per ordinazioni di questa entità. E anche i fornitori di Cardiff hanno bisogno di un preavviso per accertarsi di avere quantità sufficienti al momento opportuno.»
Aveva ragione. Lo rallegrò che fosse lei ad avere in mano la situazione perché mostrava la capacità di programmare in anticipo, qualità assai rara, secondo lui. «Mi servirebbe qualcuno come te nel mio reggimento» disse.
«Non posso portare il colore cachi, non si adatta alla mia carnagione» rispose Ethel impertinente.
Il maggiordomo parve indignato. «Insomma, Williams, non essere così sfacciata.»
«Chiedo scusa, Mr Peel.»
Fitz si rese conto che in realtà era stato lui a rivolgersi in maniera scherzosa alla ragazza, e comunque non gli importava se era impudente. Anzi, per la verità gli piaceva parecchio.
«La cuoca ha avanzato qualche suggerimento per il menu, milord» disse Peel porgendo a Fitz un foglio un po" stropicciato, vergato dalla grafia infantile e accurata della cuoca. «Sfortunatamente è troppo presto per l"agnello di primavera, ma possiamo farci mandare una gran quantità di pesce fresco da Cardiff.»
«Ricalca quello che abbiamo offerto per la battuta di caccia a novembre» osservò Fitz. «D"altronde è preferibile evitare esperimenti in questa occasione: meglio usare piatti già collaudati.»
«Giusto, milord.»
«E ora i vini.» Si alzò in piedi. «Andiamo in cantina.»
Peel sembrò sorpreso. Il conte non scendeva spesso ai piani inferiori.
Nella mente di Fitz passò un pensiero su cui non voleva soffermarsi. Esitò un attimo prima di dire: «Williams, vieni anche tu, così prendi appunti».
Il maggiordomo tenne la porta aperta e Fitz uscì dalla biblioteca per scendere la scala sul retro. La cucina e gli alloggi della servitù si trovavano nel seminterrato, dove vigeva una diversa etichetta. Al suo passaggio gli sguatteri e i lustrascarpe si inchinarono o portarono le dita alla fronte.
La cantina era al piano interrato. «Con il suo permesso, le faccio strada» disse Peel aprendo la porta. Fitz annuì. Il maggiordomo accese con un fiammifero un lume a candela sulla parete, poi scese i gradini. In fondo accese un altro lume.
La cantina di Fitz era di modeste dimensioni; conteneva circa dodicimila bottiglie, molte delle quali selezionate dal padre e dal nonno. La parte del leone la facevano champagne, porto e vino bianco tedesco, e in misura minore chiaretto e borgogna bianco. Fitz non era appassionato di vini, ma amava la cantina perché gli ricordava il padre. “Una cantina richiede ordine, lungimiranza e buon gusto” ripeteva spesso il vecchio. “Sono le virtù che hanno reso grande il nostro paese.” Fitz intendeva offrire al re il meglio del meglio, ovvio, e ciò richiedeva un certo discernimento. Lo champagne sarebbe stato Perrier-Jouёt, il più costoso, ma quale annata? Lo champagne maturo, di venti o trent"anni, era meno frizzante e più corposo; invece nelle annate più recenti c"era qualcosa di deliziosamente gradevole.
Ne prese una bottiglia a caso dallo scaffale. Era coperta di polvere e ragnatele. Con il fazzoletto di lino bianco da taschino pulì l"etichetta, tuttavia non riuscì a leggere la data alla luce tenue della candela. Mostrò la bottiglia a Peel, che inforcò gli occhiali.
«È del 1857» disse il maggiordomo.
«Santo cielo, me lo ricordo bene. La prima annata che io abbia mai assaggiato, forse la migliore.» Fitz avvertiva la presenza della cameriera, china al suo fianco e intenta a osservare la bottiglia molto più vecchia di lei. Con sconcerto si accorse che la sua vicinanza gli provocava un leggero affanno.
«Temo che il „57 possa essere un po" passato» osservò Peel. «Posso suggerire il 1892?»
Fitz guardò un"altra bottiglia e, dopo un attimo di incertezza, prese una decisione.
«Non riesco a leggere con questa luce. Peel, mi prende una lente di ingrandimento, per cortesia?»
Peel risalì la scala di pietra.
Fitz guardò Ethel. Sapeva di commettere una stupidaggine, ma non riuscì a trattenersi. «Sei una vera bellezza» le disse.
«Grazie, milord.»
Riccioli bruni le sfuggivano dalla cuffia da cameriera. Fitz glieli sfiorò, consapevole che presto avrebbe rimpianto quel gesto. «Hai mai sentito parlare di
droit du seigneur?» Notò il tono rauco della propria voce.
«Sono gallese, non francese» rispose lei sollevando il mento con quell"impudenza che Fitz cominciava a riconoscere come un suo tratto caratteristico.
Posò la mano sulla nuca della ragazza e la guardò negli occhi. Lei gli restituì lo sguardo con ardita sicurezza: quell"espressione significava che era pronta a spingersi oltre o che stava per fargli una scenata umiliante?
Nell"udire passi pesanti sulla scala della cantina – Peel stava tornando -, Fitz si scostò dalla cameriera.
Lei lo sorprese con una risatina. «Ha un"aria così colpevole che sembra uno scolaretto!» esclamò.
Peel apparve alla fioca luce della candela con un vassoio d"argento su cui era posata una lente di ingrandimento con il manico d"avorio.
Fitz cercò di calmare il respiro. Con la lente prese a esaminare le bottiglie di vino, attento a non incrociare lo sguardo di Ethel.
“Mio Dio” pensò “che ragazza straordinaria.”
II
Ethel Williams si sentiva piena di energie. Non si lasciava scoraggiare, riusciva a gestire ogni problema, ad affrontare ogni intoppo. Quando si guardava allo specchio, vedeva la sua pelle luminosa e gli occhi lucenti. Dopo la funzione nella cappella, la domenica, il padre aveva fatto un commento con l"abituale sarcasmo: “Sei allegra.
Hai ereditato dei soldi?”.
Si ritrovava a correre, anziché camminare, lungo gli interminabili corridoi di Ty Gwyn. Tutti i giorni riempiva altre pagine del taccuino di liste della spesa, orari del personale, programmi per sparecchiare e riapparecchiare e calcoli vari: numero di federe, vasi, tovaglioli, candele, cucchiai…
Era la sua grande chance. Malgrado la giovane età, svolgeva il ruolo di governante in occasione di una visita dei reali. Mrs Jevons non dava segno di potersi alzare dal suo letto di dolore, quindi toccava a Ethel la piena responsabilità di preparare Ty Gwyn per l"evento tanto atteso. Era sempre stata convinta di poter eccellere se ne avesse avuto l"opportunità, ma nella rigida gerarchia all"interno della servitù non capitava spesso l"occasione di mostrare la propria superiorità sugli altri. Adesso che le si era presentata all"improvviso, era determinata a sfruttarla. In seguito, alla cagionevole Mrs Jevons forse sarebbe stato affidato un compito meno gravoso, e lei sarebbe diventata governante, con un salario doppio rispetto a quello percepito al momento, una camera da letto e un salottino tutti per sé nei quartieri della servitù.
Ma non c"era ancora arrivata. Il conte, evidentemente soddisfatto del lavoro che lei svolgeva, aveva deciso di non far venire la governante da Londra, ed Ethel l"aveva preso come un grande complimento; tuttavia temeva che una piccola svista o un errore fatale potesse rovinare tutto: un piatto sporco, la fogna intasata, un topo morto nella vasca da bagno. Allora il conte si sarebbe infuriato.
La mattina del sabato in cui era atteso l"arrivo dei reali fece il giro di tutte le stanze degli ospiti per accertarsi che i camini fossero accesi e i cuscini ben sprimacciati. In ogni camera c"era almeno un vaso di fiori di serra appena recisi; asciugamani, sapone e acqua per lavarsi; sullo scrittoio, la carta da lettere intestata di Ty Gwyn. Al vecchio conte non piacevano i moderni impianti idraulici, per cui Fitz non si era ancora deciso a installare l"acqua corrente in tutte le stanze. In una casa con un centinaio di camere da letto c"erano soltanto tre gabinetti, perciò la maggior parte di esse era dotata di vasi da notte. Per attenuare il cattivo odore veniva usato un potpourri preparato secondo la ricetta segreta di Mrs Jevons.
I sovrani erano attesi per l"ora del tè. Il conte sarebbe andato a prenderli alla stazione ferroviaria di Aberowen, e si prevedeva che in tanti accorressero nella speranza di riuscire a scorgere anche solo per un attimo il re e la regina, che peraltro non avevano intenzione di incontrare la gente in quell"occasione. Fitz li avrebbe accompagnati a casa sulla sua Rolls-Royce, una grande automobile chiusa, mentre Sir Alan Tite, lo scudiero del re, e il resto del seguito con i bagagli sarebbero saliti a bordo di veicoli vari trainati da cavalli. Davanti a Ty Gwyn, ai lati del viale d"ingresso, stava già radunandosi un battaglione di Fucilieri del Galles che doveva costituire la guardia d"onore.
La coppia reale si sarebbe mostrata ai sudditi il lunedì mattina. In programma c"erano un passaggio nei villaggi vicini su una carrozza aperta e una sosta al municipio di Aberowen per incontrare il sindaco e i consiglieri prima di proseguire per la stazione.
Gli altri ospiti cominciarono ad arrivare a mezzogiorno. Peel, nell"atrio, assegnava loro le cameriere perché li accompagnassero nei rispettivi alloggi e i valletti per i bagagli. I primi furono gli zii di Fitz, il duca e la duchessa del Sussex. Il duca, cugino del re, era stato invitato per fare sentire a suo agio il sovrano. La duchessa, come la maggior parte della famiglia, nutriva un profondo interesse per la politica. Il suo salotto londinese era frequentato dai ministri del governo.
Informò Ethel che re Giorgio V aveva una specie di ossessione per gli orologi e detestava che nella stessa casa segnassero ore diverse. Ethel imprecò dentro di sé: Ty Gwyn aveva oltre cento orologi. Prese in prestito da Mrs Jevons quello da tasca e fece il giro per regolarli tutti.
Nella piccola sala da pranzo si imbatté nel conte. Stava alla finestra e appariva angosciato.
Ethel lo studiò per un momento. Era l"uomo più bello che lei avesse mai visto. Il viso pallido illuminato dalla luce tenue del sole invernale pareva scolpito nel marmo bianco. Aveva il mento quadrato, gli zigomi alti e il naso dritto, e poi una combinazione insolita di capelli neri e occhi verdi. Non portava barba, baffi e neppure favoriti. “Con un viso del genere” pensò Ethel “perché coprirlo di peli?” Lui si accorse di essere osservato. «Mi hanno appena detto che al re piace trovare una fruttiera di arance in camera!» disse. «Non c"è neppure un"arancia in questa maledetta casa.»
Ethel aggrottò la fronte. Di certo i negozi di Aberowen non avevano arance: i loro clienti non potevano permettersi lussi del genere. E lo stesso si applicava a qualsiasi altro fornitore del Galles meridionale. «Se mi permette di usare il telefono, potrei parlare con uno o due fruttivendoli di Cardiff» propose. «È possibile che abbiano arance importate in questo periodo.»
«E come facciamo a farle arrivare?»
«Chiederò al negozio di metterne una cesta sul treno.» Guardò l"orologio che poco prima stava regolando. «Con un po" di fortuna le arance arriveranno insieme al re.»
«D"accordo, faremo così.» La guardò negli occhi. «Sei incredibile. Non credo di avere mai incontrato una ragazza come te.»
Lei lo fissò a sua volta. Sovente nelle ultime due settimane lui le aveva parlato in quel modo, con grande familiarità e calore, e la cosa dava a Ethel una strana sensazione, una sorta di imbarazzata euforia, come se stesse per accadere qualcosa di pericolosamente eccitante. Era come nelle favole, quando il principe entra nel castello incantato.
L"incanto fu spezzato dal rumore di ruote sul viale d"ingresso, seguito da una voce familiare. «Peel! Che gioia rivederla!»
Fitz guardò dalla finestra e assunse un"espressione comica. «Oh, no! Mia sorella!»
«Bentornata, Lady Maud» l"accolse Peel. «Anche se non l"aspettavamo.»
«Il conte ha dimenticato di invitarmi, ma io sono venuta lo stesso.»
Ethel represse un sorriso. Fitz voleva molto bene alla sua esuberante sorella, ma la considerava una persona difficile da gestire a causa delle sue opinioni pericolosamente liberali: era una suffragetta, un"attivista del movimento per il voto alle donne. Ethel la trovava meravigliosa, proprio il genere di donna indipendente che avrebbe voluto essere.
Fitz uscì a lunghi passi dalla stanza ed Ethel lo seguì nell"atrio, una maestosa sala decorata nello stile neogotico tanto amato dai vittoriani come il padre di Fitz: boiserie scura, tappezzeria dai motivi marcati, sedie di quercia intagliate come troni medievali.
Maud entrò proprio in quel momento. «Fitz, caro, come stai?» disse.
Era alta come il fratello, e gli assomigliava, ma i tratti scolpiti che facevano sembrare il conte la statua di una divinità non risultavano altrettanto armoniosi su una donna, per cui Maud appariva più vistosa che bella. In contrasto con la sciatteria che si riteneva tipica delle femministe, era vestita alla moda: gonna lunga e aderente, stivaletti con i bottoncini, cappotto blu con una cintura enorme e i polsini a banda alta, cappello con una lunga piuma appuntata sul davanti come una bandiera di reggimento.
Era accompagnata da zia Herm. Lady Hermia era l"altra zia di Fitz. A differenza della sorella, moglie di un ricco duca, Herm aveva sposato un barone spendaccione che era morto giovane e squattrinato. Otto anni prima, quando i genitori di Fitz e Maud erano morti a distanza di pochi mesi, zia Herm si era stabilita in casa loro per fare da madre a Maud, allora quindicenne, e continuava a farle da chaperon, per quanto con scarsa efficacia.
«Che cosa ci fai qui?» chiese Fitz alla sorella.
«Te l"avevo detto che non gli avrebbe fatto piacere» mormorò zia Herm.
«Non potevo non essere presente quando il re viene in visita. Sarebbe stata una mancanza di rispetto» rispose Maud.
Fitz replicò in un tono affettuoso ma esasperato: «Guardati bene dal parlare al re dei diritti delle donne».
Ethel pensò che non avrebbe dovuto preoccuparsi. Malgrado le idee politiche radicali, Maud sapeva lusingare i potenti e civettare con loro, e riusciva a piacere anche agli amici conservatori di Fitz.
«Morrison, prendi il mio cappotto» disse Maud. Lo sbottonò e si voltò in modo che il valletto potesse sfilarglielo. «Ciao, Williams, come va?» chiese a Ethel.
«Benvenuta a casa, milady» la salutò lei. «Le va bene la suite Gardenia?»
«Certo, adoro la vista da quella camera.»
«Vuole pranzare intanto che gliela preparo?»
«Sì, grazie, sto morendo di fame.»
«Oggi serviamo in stile club perché gli ospiti arrivano in momenti diversi.» “In stile club” significava che gli ospiti venivano serviti a mano a mano che entravano in sala, come in un club privato o in un ristorante, anziché tutti contemporaneamente. Il pranzo quel giorno era sobrio: zuppa al curry, carni fredde e pesce affumicato, trota ripiena, medaglioni d"agnello, dolci e formaggi vari.
Ethel tenne la porta aperta, poi seguì Maud e Herm nell"ampia sala da pranzo, dove erano già seduti i cugini von Ulrich. Walter, di poco più giovane, bello e affascinante, sembrava felicissimo di essere a Ty Gwyn. Robert era molto pignolo: aveva raddrizzato il quadro del castello di Cardiff appeso alla parete della sua camera, chiesto altri cuscini e scoperto che il calamaio sullo scrittoio della sua camera era asciutto… Una svista che aveva indotto Ethel a chiedersi con timore cos"altro avesse dimenticato.
I due uomini si alzarono in piedi all"ingresso delle signore. Maud andò subito verso Walter. «Lei è sempre identico a quando aveva diciott"anni!» gli disse. «Si ricorda di me?»
Walter si illuminò in viso. «Certamente, anche se lei invece è cambiata eccome da quando ne aveva tredici.»
Si strinsero la mano, poi Maud lo baciò sulle guance, come se fosse un parente. «A quell"età avevo una straziante cotta adolescenziale per lei» confessò con sbalorditivo candore.
Walter sorrise. «Anche lei mi piaceva.»
«Ma se mi trattava come una peste terribile!»
«Dovevo nascondere i miei sentimenti a Fitz, che la proteggeva come un cane da guardia.»
Zia Herm tossì per indicare la propria disapprovazione per quell"intimità inopportuna. «Zia» disse Maud «questo è Herr Walter von Ulrich, un vecchio compagno di scuola di Fitz che spesso veniva qui durante le vacanze. Ora è un diplomatico presso l"ambasciata tedesca a Londra.»
«Con il vostro permesso, vi presento mio cugino, Graf Robert von Ulrich.»
Ethel sapeva che “Graf significava “conte” in tedesco. «È attaché militare presso l"ambasciata austriaca.»
In realtà erano cugini di secondo grado, come Peel aveva spiegato in tono grave a Ethel: i loro nonni erano fratelli; il più giovane dei due aveva sposato un"ereditiera tedesca e aveva lasciato Vienna per Berlino, il che spiegava come mai Walter fosse tedesco e Robert austriaco. Peel amava molto fare chiarezza su quel genere di cose.
Tutti presero posto. Ethel scostò la sedia per Lady Herm. «Gradisce un po" di zuppa al curry, Lady Hermia?»
«Sì, grazie, Williams.»
Ethel fece cenno a un valletto, che si diresse verso il buffet dove la zuppa era tenuta su uno scaldavivande. Accertatasi che le nuove arrivate fossero a loro agio, Ethel sgusciò via per far sistemare le loro stanze. Mentre la porta si chiudeva alle sue spalle, udì Walter von Ulrich dire: «Ricordo la sua passione per la musica, Lady Maud. Stavamo appunto parlando dei Balletti russi. Che ne pensa di Djagilev?».
Non erano molti gli uomini che chiedevano a una donna la sua opinione: a Maud doveva fare senz"altro piacere. Mentre si affrettava giù per la scala a chiamare un paio di cameriere per rifare le stanze, Ethel pensò che quel tedesco ci sapeva davvero fare.
III
La Sala delle Sculture a Gwyn era l"anticamera dove gli ospiti sostavano prima di entrare in sala da pranzo. Fitz non si interessava molto di arte – era stato il nonno a collezionare i vari pezzi -, ma le statue offrivano spunti di conversazione alle persone in attesa di sedersi a tavola.
Mentre chiacchierava con la zia, la duchessa, Fitz guardava ansioso gli uomini in frac e le signore con i diademi e gli abiti da sera dalla profonda scollatura. Il protocollo richiedeva a tutti gli ospiti di trovarsi nella sala prima dell"arrivo del re e della regina.
Dov"era Maud? Non voleva per caso creare incidenti, vero? No, eccola là, con il vestito di seta viola e i brillanti della madre, tutta presa a parlare con Walter von Ulrich.
Fitz e Maud erano molto uniti fin dall"infanzia. Il padre era sempre apparso loro distante come un eroe, e la madre era la sua infelice accolita. I due figli avevano trovato l"uno nell"altra l"affetto di cui avevano bisogno. Dopo la morte dei genitori, il loro attaccamento era cresciuto nel condividere il dolore della perdita. Fitz, allora ventenne, aveva cercato di proteggere la sorellina dalla crudeltà del mondo, e Maud, di rimando, lo venerava. Da adulta era diventata uno spirito indipendente, benché lui continuasse a credere di avere autorità su di lei, in quanto capofamiglia. In ogni caso, l"affetto che li legava si era dimostrato sufficientemente forte da sopravvivere alla loro diversità di vedute, almeno fino a quel momento.
Maud, a differenza del fratello, si intendeva di arte e ora stava indirizzando l"attenzione di Walter su un Cupido di bronzo. Fitz pregava che intrattenesse gli ospiti tutta la sera su quell"argomento evitando di tirare fuori i diritti delle donne.
Giorgio V odiava i liberali, com"era risaputo. I monarchi erano solitamente conservatori, e gli eventi avevano acuito le antipatie del re, salito al trono nel mezzo di una crisi politica. Il primo ministro liberale H.H. Asquith, fortemente sostenuto dall"opinione pubblica, gli aveva imposto di ridimensionare il potere della Camera dei Lord. Quell"umiliazione gli bruciava ancora. Sua maestà sapeva che Fitz, un pari conservatore alla Camera dei Lord, si era battuto strenuamente contro la cosiddetta
“riforma”. Ciò nonostante non lo avrebbe mai perdonato se quella sera si fosse dovuto sorbire le arringhe di Maud.
Walter era un diplomatico alle prime armi, ma suo padre era uno dei più vecchi amici del Kaiser. Anche Robert vantava conoscenze altolocate: era amico dell"arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono dell"impero austroungarico. Un altro ospite che frequentava una cerchia di personaggi eminenti era il giovane americano alto che in quel momento stava parlando con la duchessa. Si chiamava Gus Dewar, e suo padre, senatore, era stretto collaboratore del presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson. Fitz sentiva di aver scelto bene quel gruppo di giovani uomini, la futura classe dirigente. Sperava che il re ne sarebbe stato soddisfatto.
Gus Dewar era amabile ma impacciato. Camminava curvo come se volesse sembrare più basso e farsi notare di meno. Pareva insicuro, ma era piacevolmente affabile con tutti. «Gli americani sono interessati agli affari interni più che alla politica estera» stava dicendo alla duchessa. «Ma il presidente Wilson è un liberale e, in quanto tale, simpatizzerà certamente per paesi democratici quali la Francia e la Gran Bretagna piuttosto che per le monarchie autoritarie di Austria e Germania.»
A quel punto la porta a due battenti si aprì, calò il silenzio ed entrarono il re e la regina. La principessa Bea fece la riverenza, Fitz l"inchino, e tutti li imitarono. Seguì qualche attimo di silenzio vagamente imbarazzato, perché a nessuno era permesso parlare finché uno dei due sovrani non diceva qualcosa. Finalmente il re si rivolse a Bea. «Sa che sono stato in questa casa vent"anni fa?» Tutti cominciarono a rilassarsi.
Il re era un uomo molto curato, rifletté Fitz mentre insieme alla moglie parlava del più e del meno con la coppia reale. Baffi e barba erano scrupolosamente rifilati; i capelli, anche se radi, erano pettinati con la scriminatura dritta come un righello. Il frac attillato si adattava perfettamente alla sua figura snella: diversamente dal padre Edoardo VII, re Giorgio non era goloso. Si rilassava con passatempi che richiedevano precisione: gli piaceva collezionare francobolli e incollarli meticolosamente sugli album, suscitando l"ironia degli irrispettosi intellettuali londinesi.
La regina era più imponente, con i riccioli grigi e la linea severa della bocca.
Aveva un seno prosperoso, messo in risalto in tutto il suo splendore dalla profonda scollatura de rigueur a quei tempi. Era figlia di un principe tedesco. Inizialmente era stata fidanzata al fratello maggiore di Giorgio, Alberto, che però era morto di polmonite prima del matrimonio. Quando Giorgio era diventato erede al trono, insieme al titolo aveva acquisito anche la fidanzata del fratello, una soluzione considerata da alcuni un po" medievale.
Bea era nel suo elemento. Era seducente nell"abito di seta rosa, con i riccioli biondi sapientemente acconciati in modo da apparire un po" scarmigliati, come se si fosse staccata all"improvviso da un bacio furtivo. Parlava animatamente con il re. Aveva intuito che Giorgio V non si lasciava incantare da chiacchiere futili e gli stava raccontando come Pietro il Grande avesse creato la flotta russa. Lui annuiva interessato.
Peel apparve sulla soglia della sala da pranzo con un"espressione di attesa sul volto lentigginoso. Colse lo sguardo di Fitz e rispose con un cenno del capo. Allora Fitz disse alla regina: «Desidera accomodarsi per il pranzo, maestà?».
Lei gli porse il braccio. Dietro di loro c"era il re, sottobraccio a Bea, poi gli altri invitati, che si misero in fila per due, come concordato in precedenza. Quando furono tutti pronti, entrarono in processione in sala da pranzo.
«Che splendore» mormorò la regina alla vista della tavola.
«Grazie» rispose Fitz tirando un silenzioso sospiro di sollievo. Bea aveva fatto un ottimo lavoro. I bicchieri di cristallo riflettevano la luce diffusa da tre lampadari sopra la tavola. Le posate erano d"oro, come pure le saliere, le pepiere e le piccole scatole di fiammiferi per i fumatori. La tovaglia bianca era disseminata di rose di serra e, ultimo tocco a effetto di Bea, dai lampadari scendevano delicate felci sopra piramidi d"uva su vassoi d"oro.
Tutti presero posto, il vescovo recitò la preghiera di ringraziamento e Fitz si rilassò. Un ricevimento iniziato bene quasi sempre continuava con successo. Il vino e il cibo rendevano le persone meno inclini a trovare difetti.
Il menu si apriva con hors-d"œuvres russes, un richiamo al paese natale di Bea: piccole tartine di caviale e panna e di pesce affumicato, gallette con aringa in salamoia, il tutto accompagnato da Perrier-Jouët del 1892, pieno e squisito come promesso da Peel.
Fitz non perdeva d"occhio il maggiordomo, e questi osservava il re. Non appena sua maestà abbassava le posate, Peel gli toglieva il piatto, e quello era il segnale per i servitori in livrea di fare lo stesso con tutti: se per caso un ospite non aveva ancora finito, doveva rinunciare per deferenza. Seguì un pot-au-feu, una minestra servita con un fine sherry secco odoroso di Sanlùcar de Barrameda. Come pesce furono servite sogliole, accompagnate da un maturo Meursault Charmes che pareva oro liquido. Per i medaglioni di agnello del Galles, Fitz aveva scelto uno Château Lafite del 1875; quello del 1870 non era ancora pronto da bere. Il vino rosso fu abbinato anche al
parfait di fegato d"oca e all"ultima portata di carne: quaglie con uva in crosta.
Nessuno mangiò tutte le pietanze. Gli uomini presero ciò che li attirava e ignorarono il resto. Le signore assaggiarono uno o due piatti. Molte portate tornarono in cucina intatte.
Seguirono insalata, dessert, dolcetti speziati, frutta e petits fours. Infine, la principessa Bea guardò la regina sollevando discretamente un sopracciglio, e lei rispose con un cenno del capo quasi impercettibile. Si alzarono entrambe, imitate da tutti, e le signore uscirono dalla sala.
Gli uomini tornarono a sedersi, i valletti portarono scatole di sigari e Peel posò alla destra del re una bottiglia di cristallo con un Ferreira del 1847. Fitz, soddisfatto, si accese un sigaro: era andato tutto bene. Il re, noto per la sua misantropia, si trovava a suo agio solo con i vecchi compagni di bordo dei giorni felici in marina militare, ma quella sera era stato delizioso, e ogni cosa aveva funzionato al meglio. Erano arrivate persino le arance.
Fitz aveva parlato in precedenza con sir Alan Tite, lo scudiero del re, un ufficiale dell"esercito in pensione con favoriti vecchio stile. Avevano concordato che l"indomani il re avrebbe passato un"ora circa da solo con ciascuno degli uomini seduti a tavola, poiché tutti avevano conoscenza diretta di un qualche governo. Quella sera Fitz aveva il compito di rompere il ghiaccio introducendo un argomento di politica generale. Si schiarì la voce e si rivolse a Walter von Ulrich. «Walter, tu e io siamo amici da quindici anni; eravamo insieme a Eton.» Poi guardò Robert. «E conosco tuo cugino da quando noi tre, da studenti, dividevamo l"appartamento a Vienna.» Robert sorrise e annuì. A Fitz piacevano entrambi: Robert era un tradizionalista come lui; Walter, pur non essendo altrettanto conservatore, era molto intelligente. «Ora tutti parlano di guerra tra i nostri paesi» continuò. «Esiste davvero la possibilità di una simile tragedia?»
Fu Walter a rispondere. «Il fatto che se ne parli fa pensare di sì, e infatti ci stiamo tutti preparando. Ma c"è una ragione reale?
Io non la vedo.»
Gus Dewar alzò esitante la mano. A Fitz Gus piaceva, malgrado le sue posizioni liberali. Dagli americani ci si aspettava spavalderia, invece lui era educato e un po"
timido, oltre che sorprendentemente ben informato. «Gran Bretagna e Germania»
disse Gus «hanno parecchi motivi di contrasto.»
Walter si girò verso di lui. «Può farmi un esempio?»
Gus espirò il fumo del sigaro. «Rivalità navale.»
Walter annuì. «Il mio Kaiser ritiene che nessuna legge divina stabilisca che la flotta tedesca debba rimanere per sempre inferiore a quella britannica.»
Fitz lanciò un"occhiata nervosa al re. Lui adorava la Royal Navy e avrebbe potuto risentirsi. D"altro canto il Kaiser Guglielmo era suo cugino. Il padre di Giorgio e la madre di Guglielmo erano fratello e sorella, entrambi figli della regina Vittoria. Fitz fu sollevato nel vedere sua maestà aprirsi in un sorriso indulgente.
Walter continuò. «Questo ha causato frizioni in passato, ma da due anni abbiamo un accordo informale sulle dimensioni delle rispettive flotte.»
«E riguardo alle rivalità economiche?» chiese Dewar.
«È vero che la Germania sta diventando ogni giorno più prospera e presto sarà al livello della Gran Bretagna e degli Stati Uniti. Ma perché dovrebbe essere un problema? Siamo uno dei migliori clienti della Gran Bretagna. Più abbiamo da spendere, più compriamo. La nostra forza economica è un bene per l"industria britannica!»
Dewar insistette. «Si dice che la Germania aspiri ad aumentare il numero delle proprie colonie.»
Fitz guardò nuovamente il re chiedendosi se la conversazione dominata da quei due potesse infastidirlo, ma sua maestà appariva affascinato.
«Ci sono state guerre per le colonie, in particolare nel suo paese, Mr Dewar»
replicò Walter. «Ma oggigiorno siamo capaci di risolvere dispute del genere senza sparare un colpo. Tre anni fa Germania, Gran Bretagna e Francia si contendevano il Marocco, ma il contrasto si è appianato senza sfociare in una guerra. Più di recente, Gran Bretagna e Germania hanno raggiunto un accordo sul tema spinoso della ferrovia di Baghdad. Se continuiamo di questo passo, non ci sarà alcuna guerra.»
«Mi lascerebbe passare l"espressione “militarismo tedesco”?» domandò Dewar.
Era andato un po" sul pesante, e Fitz sobbalzò. Walter arrossì, ma mantenne un tono pacato. «Apprezzo la sua franchezza. L"impero tedesco è dominato dai prussiani, popolo cui appartengo. Ricopriamo un ruolo simile a quello degli inglesi nel Regno Unito di sua maestà.»
Era azzardato paragonare la Gran Bretagna alla Germania e l"Inghilterra alla Prussia. Walter era al limite di quanto consentito in una conversazione civile, pensò Fitz a disagio.
«Noi prussiani» proseguì Walter «abbiamo una forte tradizione militare, ma non andiamo in guerra senza ragione.»
«Quindi la Germania non è aggressiva» osservò Dewar scettico.
«Per niente. Le posso assicurare che la Germania è l"unica grande potenza dell"Europa continentale a non essere aggressiva.»
Attorno al tavolo serpeggiò un mormorio di sorpresa, e Fitz vide il re sollevare le sopracciglia.
Dewar si lasciò andare contro lo schienale, sbalordito. «Come può sostenere una cosa del genere?»
I modi impeccabili e il tono affabile di Walter smorzarono le sue parole.
«Consideri innanzitutto l"Austria. Robert, il mio cugino viennese, non negherà che l"impero austroungarico vorrebbe allargare i suoi confini verso sudest.»
«Non senza ragione» protestò Robert. «Quell"area del mondo che i britannici chiamano Balcani fa parte dell"impero ottomano da centinaia d"anni; ma il dominio ottomano si è sgretolato e i Balcani sono instabili. L"imperatore austriaco ritiene un dovere sacro instaurare l"ordine e la religione cristiana in quei luoghi.»
«Appunto» commentò Walter. «Ma anche la Russia vuole espandersi nei Balcani.»
Fitz si ritenne in dovere di difendere il governo russo, forse a causa di Bea. «Anche loro hanno buone ragioni. Metà del traffico commerciale russo passa dal Mar Nero e arriva al Mediterraneo attraverso il Bosforo e i Dardanelli. La Russia non può permettere a nessun"altra grande potenza di dominare gli stretti acquisendo territori nei Balcani orientali. Sarebbe come un cappio al collo per l"economia russa.»
«Esatto» fece Walter. «Tornando all"Europa occidentale, la Francia ambirebbe a sottrarre alla Germania l"Alsazia e la Lorena.»
A quel punto Jean-Pierre Charlois, l"ospite francese, si inalberò. «Rubate alla Francia quarantatré anni fa!»
«Non lo metto in discussione» fece Walter in tono pacato. «Diciamo che la regione dell"Alsazia-Lorena è stata annessa all"impero tedesco nel 1871, dopo la sconfitta della Francia nel conflitto franco-prussiano. Rubate o no, Monsieur le Comte riconoscerà che la Francia vuole indietro quelle terre.»
«Naturale.» Il francese si lasciò andare contro lo schienale e sorseggiò il porto.
«Anche l"Italia vorrebbe prendere all"Austria i territori del Trentino…» continuò Walter.
«Dove la maggior parte della gente parla italiano» intervenne il signor Falli.
«… in più, gran parte della costa dalmata…»
«Piena di leoni di Venezia, chiese cattoliche e colonne romane!»
«… e il Tirolo, una provincia con una lunga storia di autogoverno, dove la maggior parte della gente parla tedesco.»
«Necessità strategica.»
«Ovviamente.»
Fitz si rese conto di quanto fosse stato astuto Walter. Non ineducato, ma discretamente provocatorio, aveva spinto i rappresentanti di ogni paese a confermare, in termini più o meno bellicosi, le loro ambizioni territoriali.
«E la Germania quale nuovo territorio reclama?» Walter lanciò uno sguardo attorno alla tavola, ma non vi furono interventi. «Neanche uno!» esclamò trionfante.
«E l"unica altra grande potenza in Europa che può dire lo stesso è la Gran Bretagna.»
Gus Dewar passò il porto. «Probabilmente ha ragione» commentò con la sua pronuncia americana strascicata.
«Quindi, mio vecchio amico Fitz, perché mai dovremmo entrare in guerra?»
concluse Walter.
IV
La domenica mattina, prima di colazione, Lady Maud mandò a chiamare Ethel.
La cameriera dovette soffocare un sospiro irritato. Aveva una grande quantità di cose da fare. Era presto, ma la servitù stava già lavorando sodo. Prima che gli ospiti si alzassero, tutti i camini dovevano essere puliti, i fuochi riaccesi e i secchi riempiti di carbone. Gli ambienti principali – sala da pranzo, soggiorno, biblioteca, sala da fumo e altri salotti – dovevano essere puliti e riordinati. Quando fu convocata, Ethel stava controllando i fiori nella sala del biliardo per sostituire quelli appassiti. Per quanto le piacesse la sorella radicale di Fitz, sperava che Maud non avesse per lei commissioni complicate.
Quando Ethel era andata a lavorare a Ty Gwyn, all"età di tredici anni, la famiglia Fitzherbert e i suoi ospiti erano quasi irreali per lei; sembravano personaggi di fiabe o una strana tribù della Bibbia, forse gli Ittiti, e ne era terrorizzata. Temeva di fare qualcosa di sbagliato e di perdere il posto, ma era anche terribilmente curiosa di vedere da vicino quelle strane creature.
Un giorno una ragazza della cucina l"aveva mandata a prendere il “tantalo” nella sala del biliardo al piano superiore. Troppo agitata per chiedere cosa fosse, raggiunta la stanza si era guardata attorno nella speranza di vedere qualcosa che avesse una palese pertinenza con la cucina, come un vassoio pieno di piatti sporchi, ma non aveva trovato nulla. Quando Maud era entrata, lei stava piangendo calde lacrime.
All"epoca Maud era una quindicenne molto sviluppata, una donna in abiti da bambina, infelice e ribelle. Solo in seguito era riuscita a dare un senso alla vita trasformando la sua frustrazione in una crociata. Ma già a quindici anni provava quella compassione istintiva che la rendeva tanto sensibile all"ingiustizia e all"oppressione.
Aveva chiesto a Ethel cosa fosse successo. Il tantalo era risultato essere il contenitore d"argento delle bottiglie di cristallo contenenti brandy e whisky. Un vero e proprio supplizio di Tantalo – le aveva spiegato Maud – perché il suo meccanismo di chiusura impediva alla servitù di bere sorsate di nascosto. Ethel, emozionata, l"aveva ringraziata. Era stata la prima di tante gentilezze, e nel corso degli anni aveva sviluppato una vera e propria venerazione per quella ragazza più grande.
Ethel salì nella camera di Maud, bussò alla porta ed entrò. La suite Gardenia aveva una tappezzeria a fiori eccessivamente elaborata, un genere passato di moda già all"inizio del secolo. La finestra a bovindo, però, si affacciava sulla parte più incantevole del giardino, la passeggiata ovest, un lungo viottolo dritto fra le aiuole che portava a un chiosco.
Vide con disappunto che Maud si stava infilando gli stivaletti. «Vado a passeggio… devi farmi da chaperon» disse. «Aiutami a mettere il cappello e raccontami qualche pettegolezzo.»
Pur preoccupata perché non aveva molto tempo da dedicarle, Ethel si sentì intrigata. Con chi andava a passeggio Maud? Dov"era il suo solito chaperon, zia Herm, e perché indossava un cappello così elegante solo per due passi in giardino?
C"era un uomo all"orizzonte?
«Stamattina è scoppiato uno scandalo nei quartieri della servitù» disse mentre le fissava il cappello con lo spillone sulla chioma scura. Maud collezionava i pettegolezzi come il re i francobolli. «Morrison non è andato a letto prima delle quattro. E" uno dei valletti… alto, baffi biondi.»
«So chi è. E so anche dove ha passato la notte.» Maud parve esitare.
Ethel attese un momento. «Non ha intenzione di dirmelo?»
«Rimarresti sconvolta.»
«Tanto meglio» replicò Ethel con un sorriso.
«Ha passato la notte con Robert von Ulrich.» Maud le lanciò un"occhiata dallo specchio della toeletta. «Non sei inorridita?»
Era affascinata. «No, assolutamente! Sapevo che Morrison non era molto attratto dalle donne, ma non credevo potesse essere uno di quelli, non so se mi spiego.»
«Be", di sicuro Robert è uno di quelli, e durante la cena l"ho visto incrociare lo sguardo di Morrison parecchie volte.»
«Persino davanti al re! Lei come lo sa di Robert?»
«Me l"ha detto Walter.»
«Che strana cosa da dire a una signora da parte di un gentiluomo! A lei raccontano proprio tutto. Che pettegolezzi circolano a Londra?»
«Si parla solo di Mr Lloyd George.»
David Lloyd George, gallese, era cancelliere dello Scacchiere, responsabile delle finanze del paese e focoso oratore dell"ala sinistra in parlamento. Il padre di Ethel affermava che Lloyd George sarebbe dovuto entrare nel Partito laburista. Durante lo sciopero del carbone del 1912 aveva persino parlato di nazionalizzare le miniere.
«Cosa si dice di lui?» chiese Ethel.
«Ha un"amante.»
«No!» Questa volta Ethel era proprio sbalordita. «Ma è della Chiesa battista!»
Maud rise. «Sarebbe meno vergognoso se fosse anglicano?»
«Sì!» Ethel si trattenne dall"aggiungere “certamente”. «Chi è lei?»
«Frances Stevenson. Ha cominciato come istitutrice della figlia di lui, ma è una donna intelligente e ha una laurea in lettere classiche… Adesso è diventata la sua segretaria personale.»
«Terribile.»
«La chiama “Passerina”.»
Ethel quasi avvampò. Non sapeva cosa dire. Maud si alzò e lei l"aiutò a infilare il cappotto. «E sua moglie, Margaret?» chiese poi.
«Vive qui in Galles con i loro quattro figli. Erano cinque, solo che uno è morto.
Povera donna.»
Maud era pronta. Percorsero il corridoio e scesero la scalinata. Walter von Ulrich aspettava nell"atrio avvolto in un lungo cappotto scuro. Aveva i baffetti e gli occhi nocciola che luccicavano ed era splendido con la sua aria riservata da tedesco: il tipo d"uomo che fa l"inchino, batte i tacchi e poi ti strizza l"occhio, pensò Ethel. Ecco perché Maud non voleva Lady Hermia come chaperon.
«Williams è venuta a lavorare qui quando ero ancora una ragazza» gli disse Maud.
«E da allora siamo amiche.»
Anche se a Ethel Maud piaceva, parlare di amicizia le pareva eccessivo: era gentile e lei l"ammirava, ma continuavano a rimanere padrona e cameriera. Maud intendeva dire che di Ethel ci si poteva fidare.
Walter le si rivolse con la studiata gentilezza che le persone del suo rango usavano nel parlare ai sottoposti. «Sono felice di fare la sua conoscenza, Williams. Molto piacere.»
«Grazie, signore. Vado a prendere il cappotto.»
Corse da basso. Con il re in casa non aveva nessuna voglia di fare una passeggiata
– avrebbe preferito essere a disposizione per controllare la servitù -, ma non poteva rifiutare.
In cucina la cameriera della principessa Bea, Nina, stava preparando il tè alla russa per la sua padrona. Ethel parlò a una ragazza addetta alle stanze. «Herr Walter si è alzato» disse. «Puoi riordinare la camera Grigia.» A mano a mano che scendevano gli ospiti, le ragazze dovevano entrare nelle loro stanze per fare le pulizie e i letti, svuotare i vasi da notte e lavarli per bene. Ethel vide Peel, il maggiordomo, che contava i piatti. «Qualche movimento al piano superiore?»
«Diciannove, venti» fece lui. «Mr Dewar ha bisogno di acqua calda per radersi e il signor Falli ha chiesto un caffè.»
«Lady Maud vuole che io esca con lei.»
«È inopportuno» commentò Peel irritato. «Sei necessaria in casa.»
Ethel lo sapeva. «Cosa dovrei fare, Mr Peel, dirle di andare a tarsi friggere?»
chiese in tono sarcastico.
«Non essere sfacciata. Torna appena puoi.»
Quando salì al pianterreno trovò Gelert, il cane del conte, che ansimava impaziente davanti alla porta di ingresso, avendo fiutato aria di passeggiata. Uscirono tutti e attraversarono il prato est in direzione del bosco.
«Suppongo che Lady Maud l"abbia convertita alla causa delle suffragette» disse Walter a Ethel.
«Esattamente il contrario» intervenne Maud. «Williams è stata la prima persona a farmi conoscere le idee liberali.»
«Ho imparato tutto da mio padre» precisò la ragazza.
Ethel sapeva che in realtà non volevano parlare con lei. L"etichetta non permetteva di stare soli, ma loro desideravano almeno la soluzione che si avvicinasse di più.
Ethel chiamò Gelert, poi corse avanti giocando con lui per consentire l"intimità che probabilmente agognavano. Lanciò un"occhiata dietro di sé e vide che si tenevano per mano.
Maud stava andando troppo in fretta, pensò Ethel. Da quel che aveva detto il giorno prima, non vedeva Walter da dieci anni. Allora c"era stata una tacita attrazione, non una vera e propria storia d"amore. Doveva essere successo qualcosa la sera precedente; forse erano rimasti alzati a chiacchierare fino a tardi.
Maud flirtava con tutti – un modo per carpire informazioni -, ma chiaramente stavolta la cosa era più seria.
Un attimo dopo Ethel udì Walter intonare un motivetto. Maud si unì a lui, poi si fermarono e risero. Maud adorava la musica e suonava il piano piuttosto bene, a differenza di Fitz, stonato come una campana. Anche Walter sembrava portato per la musica. Aveva una piacevole voce da baritono leggero che sarebbe stata molto apprezzata, si disse Ethel, alla Bethesda Chapel.
Il suo pensiero andò al lavoro. Le scarpe fuori dalle porte non erano state ancora lucidate. Doveva scovare i lustrascarpe e far loro premura. Chissà che ora era, si chiese ansiosa. Se si andava troppo per le lunghe, avrebbe dovuto insistere per rientrare.
Lanciò uno sguardo dietro di sé, ma questa volta non vide Walter e Maud. Si erano fermati o avevano preso un"altra direzione? Rimase immobile per un minuto o due, ma non poteva stare ad aspettare là fuori tutta la mattina, così tornò sui suoi passi attraverso gli alberi.
Poi li vide. Erano avvinghiati e si baciavano con passione. Walter aveva le mani posate sul fondoschiena di Maud e la premeva contro di sé. Le bocche erano aperte, Maud gemeva.
Li fissò chiedendosi se sarebbe mai stata baciata in quel modo. Llewellyn il Brufoloso ci aveva provato sulla spiaggia durante una gita della congregazione, ma non con la bocca aperta e i corpi premuti l"uno contro l"altro, e certamente non l"aveva fatta gemere. Il piccolo “Dai Braciola”, il figlio del macellaio, le aveva infilato la mano sotto la gonna al cinema Palace di Cardiff, ma lei l"aveva spinta via qualche secondo dopo. Le era piaciuto moltissimo Llewellyn Davies, il figlio del maestro, che le aveva parlato di governi liberali e detto che i suoi seni erano tiepidi come uccellini in un nido. Tuttavia se n"era andato all"università e non le aveva mai scritto. Con loro si era sentita affascinata e curiosa di spingersi oltre, però non aveva mai provato passione. Invidiò Maud.
Poi Maud aprì gli occhi, scorse Ethel e si staccò dall"abbraccio.
Gelert si mise a guaire all"improvviso, camminando in tondo con la coda tra le zampe. Cosa gli succedeva?
Un attimo dopo Ethel sentì tremare la terra sotto i piedi come se stesse passando un treno… ma la ferrovia era a un chilometro e mezzo di distanza.
Maud corrugò la fronte e aprì la bocca per parlare, poi vi fu uno schianto come lo scoppio di un tuono. «Cosa diavolo è successo?» Ethel capì subito. Lanciò un urlo e si mise a correre.
V
Billy Williams e Tommy Griffiths si stavano prendendo una pausa.
Lavoravano su una vena di carbone chiamata “Quattro piedi”, a soli seicento metri di profondità, non in basso come il Livello principale. La vena era divisa in cinque settori, chiamati tutti con nomi di ippodromi britannici; loro erano all"Ascot, il più vicino al pozzo di ventilazione ascendente. Erano entrambi butty, cioè manovali di minatori anziani. Il cavatore usava un piccone dritto per staccare il carbone dalla superficie della vena e il suo butty lo gettava in un carrello. Avevano cominciato a lavorare alle sei del mattino, come sempre, e adesso, dopo un paio d"ore, si stavano riposando seduti sul terreno umido, con la schiena appoggiata alla parete della galleria. Bevevano tè dolce e tiepido dalla borraccia, mentre l"aria mossa delicatamente dal sistema di ventilazione li rinfrescava.
Erano nati lo stesso giorno del 1898 e presto avrebbero compiuto sedici anni. La differenza nel loro sviluppo fisico, tanto imbarazzante per Billy tredicenne, era svanita. Ora avevano entrambi spalle larghe e braccia forti, e si radevano una volta alla settimana, anche se in realtà non era strettamente necessario. Indossavano solo calzoncini e scarponi, e i loro corpi erano neri di polvere di carbone mescolata a sudore. Alla luce fioca delle lampade brillavano come statue di ebano di divinità pagane. Purtroppo i berretti rovinavano l"effetto.
Il lavoro era duro, ma ci avevano fatto l"abitudine. Non si lamentavano come i più anziani del male alla schiena o alle giunture. Avevano energia da vendere, e nei giorni liberi trovavano cose altrettanto stancanti da fare come giocare a rugby, zappare la terra delle aiuole o anche tirare di boxe a mani nude nel fienile dietro il pub Two Crowns.
Billy non aveva dimenticato la sua iniziazione di tre anni prima e ribolliva di indignazione ogni volta che ci ripensava Allora aveva giurato che non avrebbe mai maltrattato i nuovi arrivati. Proprio quel giorno aveva avvertito il piccolo Bert Morgan: “Non spaventarti se gli uomini ti fanno uno scherzo. Magari ti lasciano al buio per un"ora o scemenze del genere. Le cose meschine attirano le menti meschine”. Gli altri nella gabbia gli avevano lanciato occhiate truci, ma lui aveva sostenuto quegli sguardi: sapeva di aver ragione, e lo sapevano anche loro.
Sua madre si era arrabbiata perfino più di lui. “Dimmi” aveva chiesto al papà piazzandosi in mezzo alla stanza con le mani sui fianchi e gli occhi scuri scintillanti che invocavano giustizia. “Come si fa a servire il Signore torturando i bambini?”
“Non capiresti, sei una donna” aveva replicato il papà: una risposta debole, non certo da lui.
Billy credeva che il mondo in genere e la miniera di Aberowen in particolare sarebbero stati migliori se gli uomini avessero condotto una vita da timorati di Dio.
Tommy, con un padre ateo discepolo di Karl Marx, credeva che il sistema capitalistico si sarebbe presto autodistrutto, con il piccolo contributo della classe operaia rivoluzionaria. Malgrado le discussioni accanite, i due ragazzi continuavano a essere amici per la pelle.
«Non è da te lavorare di domenica» disse Tommy.
Era vero. Per far fronte alla domanda di carbone, la Celtic Minerals aveva aumentato i turni ma, per rispetto alla religione, aveva lasciato che quelli della domenica fossero volontari. Benché credesse nell"osservanza del giorno di riposo, Billy quella domenica lavorava. «Penso che il Signore voglia che io abbia la bicicletta» disse.
Tommy rise, ma l"amico non stava scherzando. La Bethesda Chapel aveva aperto una chiesa gemella in un piccolo villaggio a quindici chilometri di distanza, e Billy –
membro della congregazione di Aberowen – si era offerto di andare di domenica dall"altra parte della montagna per dare una mano alla nuova comunità. Se avesse avuto la bicicletta, avrebbe potuto recarvisi anche la sera dei giorni feriali e contribuire all"avvio di corsi sulla Bibbia o raduni di preghiera. Aveva sottoposto la sua idea agli anziani, che si erano trovati d"accordo: il Signore avrebbe benedetto il suo progetto di lavorare nel giorno di riposo per alcune settimane.
Billy stava per spiegargli tutto questo quando la terra tremò; si sentì uno schianto da giorno del giudizio e una ventata terribile gli strappò di mano la borraccia.
Gli sembrò che il cuore avesse cessato di battere. D"improvviso si ricordò di trovarsi a una profondità di seicento metri nel sottosuolo, con milioni di tonnellate di terra e roccia sopra la testa sostenute solo da qualche puntello di legno.
«Cosa diavolo è stato?» fece Tommy spaventato.
Billy balzò in piedi tremando di paura. Sollevò la lampada e guardò da una parte e dall"altra della galleria. Non vide fiamme o frane, né più polvere del solito. Quando l"eco di quel suono lacerante si spense, non sentì più alcun rumore. «È stata un"esplosione» disse con voce incrinata.
Era quello che i minatori temevano ogni giorno. Il grisù poteva fuoriuscire per l"improvvisa caduta di una roccia o anche solo per una picconata dentro la faglia della vena. Se nessuno aveva badato a quei segnali premonitori, o se semplicemente il grisù si concentrava troppo in fretta, per far scoppiare un incendio bastava una scintilla provocata dallo zoccolo di un pony, dal campanello elettrico di una gabbia o da uno stupido minatore che accendeva la pipa infischiandosene del regolamento.
«Ma dove?» chiese Tommy.
«Dev"essere stato più in basso, al Livello principale… Ecco perché noi l"abbiamo scampata.»
«Gesù, aiutaci.»
«Ci aiuterà» disse Billy, e il terrore cominciò a placarsi. «Specialmente se noi aiutiamo gli altri.» Non c"era traccia dei due cavatori per i quali i ragazzi lavoravano: erano andati a fare l"intervallo nel settore Goodwood. Billy e Tommy dovevano prendere una decisione. «Meglio andare al pozzo.»
Si rivestirono, agganciarono le lampade alla cintura e corsero verso il pozzo di ventilazione, chiamato Piramo. Il caricatore a quel livello era Dai Braciola. «La gabbia non arriva!» disse terrorizzato. «Non faccio altro che suonare e risuonare il campanello!»
La sua paura era contagiosa e Billy dovette reprimere un"ondata di panico. «E il telefono?» domandò poco dopo. Il caricatore
comunicava con il suo collega in superficie per mezzo di segnali con il campanello elettrico, ma di recente su entrambi i livelli erano stati installati telefoni per mezzo dei quali ci si poteva mettere in contatto con l"ufficio del direttore Maldwyn Morgan.
«Non risponde nessuno» disse Dai Braciola.
«Ci riprovo io.» Il telefono era fissato alla parete accanto alla gabbia. Billy alzò la cornetta e girò la manovella. «Forza, forza!»
Rispose una voce tremolante. «Sì?» Era Arthur Llewellyn, l"assistente del direttore.
«Brufoloso, sono Billy Williams» urlò nel microfono. «Dov"è Morgan?»
«Non c"è. Cos"era quello scoppio?»
«Un"esplosione sottoterra, imbecille! Dov"è il capo?»
«È andato a Merthyr» rispose il Brufoloso con voce lamentosa.
«Perché è andato… Non importa, lascia perdere. Ecco quello che devi fare. Ehi, mi stai ascoltando?»
«Sì.» La voce adesso sembrava più vigorosa.
«Prima di tutto manda qualcuno alla cappella metodista e chiedi a Dai Frignone di riunire la squadra di soccorso.»
«Bene.»
«Poi telefona all"ospedale e fai venire un"ambulanza all"imboccatura della miniera.»
«Ci sono feriti?»
«È molto probabile dopo uno scoppio del genere! Terzo, di" a tutti gli uomini addetti alla pulitura del carbone di srotolare subito le manichette antincendio.»
«Incendio?»
«La polvere avrà preso fuoco. Quarto, telefona alla stazione di polizia e avverti Geraint che ci dev"essere stata un"esplosione. Lui chiamerà Cardiff.» Non gli venne in mente altro. «Intesi?»
«Certo, Billy.»
Riagganciò. Non sapeva quanto efficaci sarebbero state le sue istruzioni, ma parlare con il Brufoloso l"aveva aiutato a concentrarsi. «Ci saranno feriti al Livello principale» disse a Dai Braciola e a Tommy. «Dobbiamo scendere giù.»
«Non possiamo: non c"è la gabbia» fece presente Dai Braciola.
«Lungo la parete del pozzo c"è una scala, vero?»
«Bisogna scendere di quasi duecento metri!»
«Be", se fossi una donnicciola non sarei un minatore, no?»
Malgrado le parole coraggiose, Billy era molto spaventato. La scala del pozzo veniva usata raramente e magari non era in buone condizioni. Bastava mettere un piede in fallo o scivolare su un piolo rotto per precipitare e ammazzarsi. Dai Braciola aprì la grata con un rumore di ferraglia. Il pozzo era rivestito di mattoni umidi coperti di muffa; attorno all"alloggiamento della gabbia di legno correva orizzontalmente uno stretto cornicione. La scala di ferro era fissata da staffe cementate nei mattoni, ma 1
corrimano sottili e gli stretti gradini non erano affatto rassicuranti. Billy esitò; all"improvviso si pentì della propria spavalderia, però tirarsi indietro a quel punto sarebbe stato troppo umiliante. Fece un profondo respiro e recitò silenziosamente una preghiera, quindi salì sul cornicione.
Si spostò lentamente fino a raggiungere la scala. Si asciugò la mano sui calzoni e, afferrato il corrimano, mise i piedi sui gradini.
Scese. Il ferro era ruvido al tatto e sulle mani si appiccicavano pezzetti di ruggine.
In alcuni punti le staffe erano lasche e la scala oscillava paurosamente. La lampada agganciata alla cintura era sufficiente a illuminare i gradini appena sotto di lui, ma non il fondo del pozzo. Chissà se era meglio o peggio.
Sfortunatamente durante la discesa ebbe il tempo di riflettere. Ricordò tutti i modi in cui i minatori potevano morire. Rimanere uccisi nell"esplosione era la fine rapida e misericordiosa per i più fortunati. Si poteva soffocare per il biossido di carbonio –
“gas residuo” per i minatori – sprigionato dalla combustione del metano. Molti restavano intrappolati dalle frane e morivano dissanguati prima dell"arrivo dei soccorsi. Altri morivano di sete, mentre i loro compagni a solo qualche metro di distanza cercavano disperatamente di farsi strada fra i detriti.
Ebbe l"improvviso impulso di tornare indietro, di risalire verso la salvezza invece di calarsi nella distruzione e nel caos: ma non poteva con Tommy che lo seguiva, subito sopra di lui.
«Tommy, ci sei?» gridò.
La voce dell"amico gli arrivò proprio da sopra la testa: «Sì».
Rinfrancato, accelerò la discesa: stava ritrovando la fiducia. Vide presto una luce e un attimo dopo udì delle voci. Mentre si avvicinava al Livello principale, sentì odore di fumo.
Ora c"era un chiasso spaventoso: urla e colpi che faticava a identificare e che rischiavano di minare il suo coraggio. Riprese il controllo di sé; doveva pur esserci una spiegazione. Un attimo più tardi capì: erano i pony che, in preda al terrore, nitrivano e scalciavano contro le pareti di legno della stalla nel tentativo di fuggire.
Comprenderne la causa non rese il rumore meno inquietante. Lui si sentiva esattamente come loro.
Raggiunto il Livello principale, fece il giro del pozzo sul cornicione di mattoni, aprì dall"interno la grata e, sentendosi risollevato, mosse un passo sul terreno fangoso. Là sotto la luce già fioca era ulteriormente ridotta da tracce di fumo, però si riuscivano a scorgere le gallerie principali.
Il caricatore sul fondo del pozzo era Patrick O"Connor, un uomo di mezza età che aveva perso una mano nel crollo del cielo di una galleria. Cattolico, era stato inevitabilmente soprannominato “Pat del Papa”. Lo fissò incredulo. «Billy con Gesù!» esclamò. «Da dove diavolo sbuchi?»
«Dalla vena Quattro piedi» rispose Billy. «Abbiamo sentito l"esplosione.»
Tommy lo seguì fuori dal pozzo. «Cos"è successo, Pat?»
«Da quanto posso capire, l"esplosione dev"essere avvenuta a questo livello dalla parte opposta, vicino a Tisbe. Il caposquadra e tutti gli altri sono andati a vedere.»
Parlava con calma, ma lo sguardo era disperato.
Billy raggiunse il telefono e girò la manovella. Un secondo dopo sentì la voce del padre. «Sono Williams, chi parla?»
Billy non perse tempo a pensare come mai un delegato sindacale rispondesse al telefono del direttore: in un"emergenza poteva accadere qualsiasi cosa. «Papà, sono io, Billy.»
«Meno male che stai bene, sia ringraziato Dio misericordioso» disse il padre con voce incrinata; poi ritrovò il suo solito tono severo. «Raccontami cosa sai, ragazzo.»
«Io e Tommy eravamo alla vena Quattro piedi. Siamo scesi giù da Piramo fino al Livello principale. L"esplosione dev"essere stata in fondo, verso Tìsbe. C"è un po" di fumo, non molto, ma la gabbia non funziona.»
«Il meccanismo di avvolgimento è stato danneggiato dallo spostamento d"aria verso l"alto» spiegò il padre in tono pacato. «Ma ci stiamo lavorando e sarà riparato fra pochi minuti. Raduna più uomini che puoi alla base del pozzo, così possiamo cominciare a tirarli su non appena la gabbia è pronta.»
«D"accordo.»
«Tisbe è completamente inagibile, perciò assicurati che nessuno cerchi di scappare da lì: potrebbe rimanere intrappolato dal fuoco.»
«Bene.»
«I respiratori sono fuori dall"ufficio dei capisquadra.»
Billy lo sapeva. Era un"innovazione richiesta dal sindacato e resa obbligatoria dalla Legge sulle miniere di carbone del 1911. «L"aria al momento non è irrespirabile.»
«Magari dove sei tu, ma più in là potrebbe essere peggio.»
«Bene.» Billy riagganciò.
Ripeté a Tommy e a Pat le parole del padre. Pat indicò una fila di armadietti di latta nuovi. «Le chiavi dovrebbero essere in ufficio.»
Billy corse nell"ufficio, ma non vide chiavi. Immaginò che fossero appese alla cintura di qualcuno. Guardò di nuovo la fila di armadietti, ognuno con l"etichetta
RESPIRATORE. «Hai un palanchino, Pat?»
L"uomo, che aveva una borsa dei ferri per piccole riparazioni, gli porse un solido cacciavite. Billy forzò in fretta il primo armadietto.
Vuoto.
Guardò incredulo.
«Ci hanno imbrogliato!» esclamò Pat.
«Bastardi capitalisti!» imprecò Tommy.
Billy ne forzò un altro. Vuoto anche quello.
Li aprì tutti con furia selvaggia; voleva smascherare la disonestà della Celtic Minerals e di Perceval Jones.
«Ce la faremo anche senza» disse Tommy.
Era impaziente di andare, ma Billy si sforzava di ragionare con lucidità. L"occhio gli cadde sul patetico surrogato di macchina antincendio messo a disposizione dalla direzione: un carrello per il carbone riempito d"acqua al quale era stata legata una pompa da azionare manualmente. Non era del tutto inutile: Billy l"aveva visto utilizzare dopo quella che i minatori chiamavano la “vampata”, cioè quando una piccola quantità di grisù appena sotto il cielo della galleria prendeva improvvisamente fuoco e tutti si buttavano a terra. A volte la vampata accendeva la polvere di carbone sulle pareti e quindi
bisognava spruzzarvi sopra dell"acqua. «Portiamoci dietro il carrello antincendio.»
Si trovava già sulle rotaie e loro erano in grado di spingerlo. Billy pensò per un attimo di attaccarlo a un pony, poi decise che l"operazione avrebbe richiesto troppo tempo, soprattutto con gli animali imbizzarriti.
«Mio figlio, Micky, lavora nel settore Marigold» disse Pat del Papa «ma io non posso allontanarmi da qui.» Sul suo viso c"era un gran desiderio di andare a cercarlo, però in caso di emergenza il caricatore era obbligato a rimanere al pozzo: una regola inderogabile.
«Terrò gli occhi aperti» promise Billy.
«Grazie, Billy.»
I due ragazzi spinsero il carrello lungo la galleria principale. I carrelli non avevano freni e per rallentarli il guidatore doveva infilare tra i raggi un grosso pezzo di legno.
Carrelli fuori controllo avevano provocato molti decessi e un"infinità di feriti. «Non troppo veloce» raccomandò Billy.
Avevano percorso circa quattrocento metri quando la temperatura cominciò ad aumentare e il fumo a farsi più denso. Udirono delle voci e ne seguirono la direzione fin dentro una galleria secondaria. In quei giorni si stava lavorando a quella parte di vena. Su entrambi i lati Billy riusciva a vedere, disposti a intervalli regolari, gli ingressi alle postazioni dei minatori, generalmente chiamate “varchi”, ma a volte semplicemente “buchi”. Il rumore aumentava, quindi i ragazzi smisero di spingere per guardare di fronte a loro.
La galleria bruciava. Lingue di fuoco si alzavano dal pavimento e dalle pareti. Una manciata di uomini si teneva ai bordi dell"incendio: sembravano anime di dannati stagliate contro il bagliore dell"inferno. Uno batteva inutilmente una coperta contro una catasta di legno in fiamme. Altri urlavano. In lontananza, appena visibile, c"era un treno di carrelli. Il fumo aveva uno strano odore di carne arrostita, e con un senso di nausea Billy si rese conto che probabilmente proveniva dal pony adibito al traino.
«Cosa succede?» chiese a un minatore.
«Ci sono degli uomini intrappolati nei varchi… ma non riusciamo a raggiungerli.»
Billy lo riconobbe: Rhys Price. Non si stupì che non avessero fatto ancora nulla.
«Abbiamo portato il carrello antincendio.»
Un altro minatore si voltò verso di lui, e Billy fu sollevato nel vedere John Jones del Negozio, una persona più intelligente.
«Bravo ragazzo!» fece Jones. «Buttiamo acqua su questo maledetto fuoco.»
Mentre Tommy collegava la manichetta alla pompa, Billy la srotolò, poi indirizzò il getto contro il cielo della galleria in modo da far scorrere l"acqua lungo le pareti. Di lì a poco si accorse che il sistema di ventilazione della miniera che faceva circolare l"aria verso il basso lungo Tisbe e verso l"alto dentro Piramo stava spingendo fuoco e fumo nella sua direzione. Non appena ne avesse avuto la possibilità, avrebbe detto a quelli in superficie di invertire le ventole. Le ventole reversibili erano ormai obbligatorie, un"altra norma della legge del 1911.
Malgrado le difficoltà, il fuoco cominciò a smorzarsi e Billy fu in grado di avanzare lentamente. Alcuni minuti dopo due minatori uscirono di corsa dal primo varco non più sbarrato dalle fiamme e respirarono affannati l"aria relativamente pulita della galleria. Billy riconobbe i fratelli Ponti, Giuseppe e Giovanni, detti “Joey” e
“Johnny”.
Alcuni uomini si precipitarono dentro il varco. John Jones ne uscì trasportando il corpo inerte di Dai dei Pony, l"addetto ai cavalli. Billy non capiva se era morto o soltanto privo di sensi. «Portatelo a Piramo, non a Tisbe» disse.
«Chi sei tu per venire a dare ordini, Billy con Gesù?» si intromise Price.
Billy non aveva intenzione di perdere tempo a discutere con lui. Si rivolse a Jones.
«Ho parlato al telefono con la superficie: Tisbe è molto danneggiato, ma la gabbia dovrebbe essere presto riattivata in Piramo. Mi hanno detto di mandare tutti là.»
«Bene, faccio circolare la voce.» Jones si allontanò.
Billy e Tommy continuarono a lottare contro il fuoco e a liberare uomini intrappolati in altri varchi: alcuni sanguinanti, altri ustionati, altri ancora feriti dai massi precipitati. Quelli che potevano camminare trasportarono morti e feriti gravi in una triste processione.
L"acqua finì troppo presto. «Andiamo a riempire il carrello allo stagno in fondo al pozzo» disse Billy.
Tornarono indietro di corsa. La gabbia non funzionava ancora; c"era già una decina di minatori tratti in salvo ad attenderla e alcuni corpi a terra: certi gemevano agonizzanti, altri giacevano in un"inquietante immobilità. Mentre Tommy riempiva il carrello di acqua fangosa, Billy sollevò il ricevitore del telefono.
Rispose di nuovo suo padre. «Il dispositivo di avvolgimento sarà in funzione tra cinque minuti» disse. «Come va lì sotto?»
«Abbiamo tirato fuori dai varchi qualche morto e qualche ferito. Appena puoi, mandaci giù dei carrelli pieni d"acqua.»
«Tu come stai?»
«Bene. Ascolta, papà, dovresti invertire la ventilazione: giù da Piramo e su per Tisbe. In questo modo spingeremo il fumo e il grisù lontano dai soccorritori.»
«Non si può» disse il padre.
«Ma lo prevede la legge: la ventilazione del pozzo deve essere reversibile!»
«Perceval Jones ha fatto il pianto greco con gli ispettori e gli hanno dato ancora un anno di tempo per apportare le modifiche.»
Se al telefono ci fosse stato chiunque altro, Billy si sarebbe messo a imprecare. «E
azionare gli spruzzatori? Questo lo potete fare?»
«Sì, questo sì» rispose il padre. «Perché non ci avevo pensato?» Si mise a parlare con qualcun altro.
Billy riagganciò. Si alternò a Tommy per pompare acqua dentro il carrello. A riempirlo si impiegava tanto tempo quanto a svuotarlo. Il flusso di uomini dal settore colpito era rallentato a causa del fuoco che infuriava incontrollato. Finalmente la vasca era piena e i ragazzi ripartirono.
Gli spruzzatori erano stati azionati, ma quando raggiunsero il fuoco Billy e Tommy si accorsero che il getto d"acqua proveniente dallo stretto tubo sopra di loro era troppo debole per aver ragione delle fiamme.
Jones del Negozio aveva comunque organizzato gli uomini. Teneva con sé quelli illesi per le operazioni di salvataggio e spediva al pozzo i feriti in grado di camminare. Non appena Billy e Tommy ebbero collegato la manichetta, lui l"afferrò e ordinò a un uomo di pompare. «Voi due andate a prendere un altro carrello d"acqua! In questo modo possiamo continuare a bagnare.»
«Giusto» disse Billy, ma prima di voltarsi colse qualcosa con lo sguardo. Una sagoma correva nel fuoco verso di loro, come una torcia umana. «Dio, Dio!» gridò inorridito. La sagoma inciampò e cadde sotto i suoi occhi.
«Bagnami!» gridò Billy a Jones.
Senza neppure assicurarsi che avesse capito, si precipitò nella galleria. Sentì un getto d"acqua colpirgli la schiena. Il calore era terribile. Il viso gli doleva e i vestiti bagnati bruciavano lentamente. Afferrò per le ascelle l"uomo prono e lo tirò subito all"indietro. Non poteva vedere il suo volto, ma avrebbe detto che si trattasse di un ragazzo della sua età. Jones teneva la manichetta puntata su di lui, gli inzuppò capelli, schiena e gambe, ma sul davanti Billy era asciutto e sentiva odore di pelle bruciacchiata. Urlava di dolore, però riuscì a mantenere la presa sull"uomo privo di sensi. Un secondo dopo uscì dalle fiamme. Si voltò per farsi bagnare davanti.
L"acqua sul volto fu un sollievo benedetto; gli faceva ancora male, ma ora il dolore era sopportabile. Jones spruzzò l"uomo per terra, poi Billy lo girò: era Michael O"Connor – “Micky del Papa” -, il figlio di Pat. Pat gli aveva chiesto di cercarlo.
«Mio buon Gesù, abbi pietà di Pat» pregò Billy. Si chinò per sollevare Micky tra le braccia. Il corpo era inerte, senza vita. «Lo porto al pozzo.»
«Sì» fece Jones guardandolo con una strana espressione. «Fai pure, Billy.»
Tommy lo seguì. Billy si sentiva stordito, ma riusciva comunque a reggere Micky.
Nella galleria principale incontrarono una squadra di soccorso con un pony che tirava un treno di carrelli pieni d"acqua. Dovevano essere arrivati dalla superficie e questo significava che la gabbia era in funzione e che le operazioni di salvataggio sarebbero state condotte in modo appropriato, pensò Billy stancamente.
Aveva ragione. Mentre raggiungeva il pozzo, la gabbia arrivò di nuovo e scaricò altri soccorritori in tenuta antincendio e altri carrelli d"acqua. I nuovi arrivati scomparvero in direzione delle fiamme, mentre i feriti cominciarono a entrare nella gabbia trasportando i morti e gli svenuti.
Quando Pat del Papa ebbe mandato su la gabbia, Billy gli si avvicinò con Micky tra le braccia.
Pat fissò Billy con occhi terrorizzati scuotendo la testa, come a negare l"evidenza.
«Mi dispiace, Pat.»
Pat non guardava il corpo. «No. Non il mio Micky.»
«L"ho tirato fuori dal fuoco, Pat. Ma sono arrivato troppo tardi, maledizione.» Poi scoppiò a piangere.
VI
La cena era stata un successo sotto ogni aspetto. A Bea, in forma smagliante, sarebbe piaciuto ricevere i regnanti una volta la settimana. Fitz l"aveva raggiunta in camera e, proprio come si aspettava, lei lo aveva accolto a braccia aperte. Si era trattenuto tutta la notte per poi sgusciare via poco prima che Nina arrivasse con il tè.
Fitz aveva temuto che il dibattito fra gli uomini fosse stato troppo animato per una cena reale, ma il suo si era rivelato un timore ingiustificato perché a colazione il re lo aveva ringraziato. “Discussione molto avvincente e illuminante; proprio quello che volevo” gli aveva detto, e lui si era acceso d"orgoglio.
Mentre fumava il solito sigaro dopo colazione, Fitz si rese conto che, a pensarci bene, l"idea di una guerra non lo terrorizzava. D"istinto ne aveva parlato come di una tragedia, ma forse non sarebbe stata un evento del tutto negativo. La guerra avrebbe compattato la nazione contro un nemico comune e spento i focolai di rivolta. Gli scioperi sarebbero cessati e parlare di repubblica sarebbe stato considerato una mancanza di amor patrio. Forse le donne avrebbero accantonato la loro pretesa di votare. Personalmente, scoprì di provare una strana attrazione verso quella prospettiva: la guerra poteva essere l"occasione per rendersi utile, dimostrare il proprio coraggio, servire la nazione, fare qualcosa in cambio della ricchezza e dei privilegi che gli erano stati concessi.
Le notizie arrivate dalla miniera a metà mattina spensero negli ospiti ogni entusiasmo. In realtà, soltanto uno di loro -Gus Dewar, l"americano – si recò ad Aberowen; ciò nonostante tutti provarono l"insolita sensazione di non essere al centro dell"attenzione.
Il pranzo si svolse sottotono e gli intrattenimenti del pomeriggio furono cancellati.
Fitz temeva di avere contrariato il re, pur non essendo minimamente responsabile della gestione della miniera. Non era né il direttore né un socio della Celtic Minerals.
Aveva semplicemente ceduto i diritti alla compagnia e riscuoteva un tanto a tonnellata. Era dunque sicuro che nessuna persona ragionevole potesse incolparlo dell"accaduto. Peraltro, con tutti quegli uomini intrappolati sottoterra, gli aristocratici non potevano certo indulgere in passatempi frivoli, tanto più durante una visita del re e della regina. Ciò significava che le uniche attività ammissibili erano leggere e fumare. Di sicuro la coppia reale si sarebbe annoiata.
Fitz era seccato. La gente moriva ogni momento nello schianto di un treno o nel crollo di un albergo andato a fuoco; i soldati morivano in battaglia, i marinai insieme alla loro nave affondata… Perché, proprio quando lui stava intrattenendo il re, doveva esserci un disastro in miniera?
Poco prima di cena, Perceval Jones – sindaco di Aberowen e presidente della Celtic Minerals – salì a palazzo per ragguagliare il conte, e Fitz chiese a Sir Alan Tite se a sua maestà avrebbe fatto piacere ascoltare il resoconto dell"accaduto. La risposta che arrivò fu affermativa, e lui si sentì sollevato: almeno il re avrebbe avuto qualcosa da fare.
Gli uomini erano riuniti nel piccolo soggiorno, uno spazio informale con morbide poltrone, vasi di palme e un pianoforte. Jones indossava la giacca nera a code che sicuramente aveva messo la mattina per andare in chiesa. Basso e pomposo, nel suo panciotto grigio a doppiopetto pareva un uccello tronfio.
Il re era in abito scuro. «Gentile da parte sua essere venuto» disse in tono vivace.
«Ho avuto l"onore di stringere la mano a sua maestà nel 1911, quando venne a Cardiff per l"investitura del principe di Galles.»
«Sono contento di rinnovare la nostra conoscenza, anche se purtroppo in circostanze tanto dolorose» replicò il re. «Mi racconti cosa è successo in parole semplici, come se dovesse spiegarlo a uno dei suoi direttori davanti a un bicchiere al club.»
Un"idea intelligente; era proprio quello il tono giusto, pensò Fitz, anche se nessuno offrì da bere a Jones e il re non lo invitò a sedere.
«Sua maestà è molto gentile.» Jones aveva l"accento di Cardiff, più aspro di quello musicale delle valli. «Al momento dell"esplosione, in miniera c"erano duecentoventi uomini, meno del solito perché era il turno speciale della domenica.»
«Conosce il numero esatto?» domandò il re.
«Oh, certo, sire: prendiamo nota di ogni persona che scende in miniera.»
«Scusi l"interruzione. La prego, continui.»
«Sono stati danneggiati entrambi i pozzi, ma le squadre antincendio hanno tenuto sotto controllo le fiamme grazie al nostro sistema di spruzzatori e hanno fatto evacuare gli uomini.» Consultò il suo orologio. «Due ore fa ne erano già stati portati in superficie duecentoquindici.»
«Si direbbe che abbiate gestito l"emergenza con grande efficienza, Jones.»
«Molte grazie, maestà.»
«I duecentoquindici sono tutti vivi?»
«No, sire. Ci sono otto morti. Altri cinquanta hanno riportato ferite abbastanza gravi da richiedere l"intervento del medico.»
«Santo cielo, è una cosa molto triste…»
Mentre Jones spiegava quali sarebbero stati gli interventi per localizzare e trarre in salvo gli ultimi cinque minatori, Peel entrò silenziosamente nella stanza e si avvicinò a Fitz. Il maggiordomo era in abito scuro, pronto a servire la cena. «In caso fosse di suo interesse, milord…» disse a bassa voce.
«Sì?» sussurrò Fitz.
«La cameriera Williams è appena tornata dalla miniera. Pare che il fratello si sia comportato come una specie di eroe. Se il re gradisse ascoltare la storia dalle sue stesse labbra…»
Fitz rifletté qualche istante: Williams era sconvolta e c"era il pericolo che dicesse cose inappropriate. D"altra parte il re, con ogni probabilità, avrebbe apprezzato il resoconto di una persona direttamente coinvolta. Decise di rischiare. «Maestà, una delle mie cameriere è appena tornata dalla miniera e potrebbe avere notizie più aggiornate. Suo fratello era sotto durante l"esplosione. Desidera rivolgerle qualche domanda?»
«Sì, certo» rispose il re. «La faccia venire, la prego.»
Alcuni istanti dopo entrò Ethel Williams, con la divisa sporca di polvere di carbone ma il viso lavato, e fece la riverenza.
«Quali sono le ultime notizie?» le chiese il re.
«Maestà, ci sono cinque uomini intrappolati da una frana nel attore Carnation. La squadra di salvataggio sta scavando fra i detriti, ma l"incendio non è ancora domato.»
Fitz notò che con lei il re si comportava in modo leggermente diverso: aveva ascoltato Perceval Jones senza quasi guardarlo, continuando a picchiettare con il dito sul bracciolo della poltrona; ora invece fissava Ethel e pareva più interessato.
«Che cosa dice suo fratello?» domandò in tono più carezzevole.
«L"esplosione del grisù ha incendiato la polvere di carbone, ed è questa che sta bruciando. Il fuoco ha intrappolato molti uomini nelle loro postazioni di lavoro e alcuni sono soffocati. Mio fratello e gli altri non sono riusciti a salvarli perché mancavano i respiratori.»
«Non è così» intervenne Jones.
«Io credo di sì» lo contraddisse Gus Dewar. Come sempre l"americano era un po"
ritroso, ma si sforzò di parlare con decisione. «Ho sentito alcuni minatori all"uscita dai pozzi. Hanno detto che gli armadietti con la scritta “Respiratori” erano vuoti.»
Sembrava stesse reprimendo la rabbia.
«E non hanno potuto domare le fiamme perché le scorte d"acqua sottoterra erano insufficienti» aggiunse Ethel Williams. I suoi occhi che brillavano di collera incantarono Fitz, e il suo cuore mancò un battito.
«C"è la macchina antincendio!» protestò Jones.
Gus Dewar riprese la parola. «Un carrello da carbone pieno d"acqua con una pompa a mano.»
«Avrebbero potuto invertire il flusso d"aria, ma Mr Jones non ha modificato i ventilatori come prescritto dalla legge» continuò Ethel.
Jones assunse un"espressione indignata. «Non era possibile…»
«Va bene, Jones» lo interruppe Fitz. «Questa non è un"inchiesta ufficiale. Sua maestà vuole solo ascoltare le impressioni della gente.»
«Proprio così» disse il re. «Ma c"è una cosa su cui forse lei mi può consigliare, Jones.»
«Ne sarei onorato…»
«Domani mattina pensavo di visitare Aberowen e qualche paese vicino, poi di passare da lei al Palazzo comunale. Tuttavia, date le circostanze, un corteo mi sembra inopportuno.»
Sir Alan, alle spalle del re, scosse la testa e mormorò: «Assolutamente impossibile».
«D"altra parte» riprese il re «non mi sembra giusto andarsene senza mostrare la nostra solidarietà. Daremmo l"impressione di essere indifferenti alla tragedia.»
Fitz pensò che il re e i suoi consiglieri fossero su posizioni antitetiche: il re riteneva necessario un gesto, invece loro avrebbero optato per la soluzione meno rischiosa: annullare il programma.
Mentre Perceval rifletteva sulla questione, calò il silenzio. «È una scelta difficile»
fu la sola cosa che alla fine riuscì a dire.
«Posso dare un suggerimento?» chiese Ethel Williams.
Peel era esterrefatto. «Williams!» sibilò. «Parla solo quando sei interpellata!»
Fitz fu sbalordito dalla sua impertinenza al cospetto del sovrano. Cercò di mantenere salda la voce. «Forse dopo, Williams.»
Ma, con suo sollievo, il re sorrise. Sembrava decisamente interessato. «Vale la pena di sentire cos"ha da proporre questa giovane.»
Ethel non aspettava altro. «Sua maestà e la regina potrebbero far visita alle famiglie delle vittime» disse senza indugio. «Nessun corteo, solo una carrozza trainata da cavalli neri. Questo gesto significherebbe moltissimo e la gente penserebbe che sua maestà è fantastico.» Si morse un labbro e attese in silenzio.
L"ultima frase era un"infrazione all"etichetta, pensò Fitz con ansia; il re non aveva bisogno che la gente lo considerasse fantastico.
Sir Alan era inorridito. «Del tutto fuori luogo» commentò allarmato.
Ma il re pareva interessato. «Far visita alle famiglie delle vittime…» ripeté come tra sé. Si voltò verso il suo scudiero. «Per Giove, penso sia un"ottima idea, Alan.
Partecipare al dolore del mio popolo. Nessun corteo, solo una carrozza.» Si rivolse alla cameriera. «Molto bene, Williams. Grazie per le sua schiettezza.»
Fitz tirò un sospiro di sollievo.
VII
Alla fine vi fu più di una carrozza, ovviamente. Nella prima sedevano il re e la regina con Sir Alan e una dama di compagnia; nella seconda, Fitz, Bea e il vescovo; chiudeva il corteo un calesse con alcuni servitori. Perceval Jones avrebbe voluto far parte del gruppo, ma Fitz aveva scartato l"idea: le famiglie in lutto avrebbero potuto mettergli le mani addosso, come aveva fatto notare Ethel.
Era una giornata ventosa e una pioggia fredda sferzava i cavalli che percorrevano al trotto il lungo viale di Ty Gwyn. Ethel si trovava sul calesse. A causa del mestiere del padre conosceva bene le famiglie di minatori di Aberowen. A Ty Gwyn solo lei sapeva i nomi di tutti i morti e i feriti. Aveva dato indicazioni ai cocchieri e sarebbe stato compito suo indicare allo scudiero chi erano le varie persone. Teneva le dita incrociate: se quella sua idea non avesse funzionato, l"avrebbero biasimata, e molto.
Non appena furono usciti dai grandiosi cancelli di ferro battuto lei rimase colpita, come sempre, dal cambiamento improvviso. Alle sue spalle: ordine, grazia, eleganza; di fronte: la bruttezza del mondo reale. A ridosso della strada c"erano le abitazioni dei braccianti agricoli, una fila di casette minuscole di due stanze con rottami e tavole di legno sul davanti, e bambini sporchi che giocavano nel fossato. Subito oltre cominciavano le case a schiera dei minatori: migliori delle casette dei contadini, ma ancora sgraziate e monotone agli occhi di Ethel, viziati dalle perfette proporzioni delle finestre, delle porte e dei tetti di Gwyn. La gente che vi abitava portava abiti dozzinali che si logoravano e si sformavano in fretta, e i cui colori sbiadivano: così i vestiti degli nomini erano tutti grigiastri e quelli delle donne marroncini. La divisa da cameriera di Ethel faceva invidia per la calda gonna di lana e la camicetta di cotone ben stirata, benché alcune ragazze ci tenessero a ribadire che non si sarebbero mai abbassate a fare le serve. Tuttavia la differenza più vistosa era nelle persone. Là fuori avevano la pelle rovinata, i capelli sporchi e le unghie nere. C ili uomini tossivano, le donne inspiravano rumorosamente e tutti i bambini avevano il moccio al naso. I ricchi camminavano con passo sicuro, i poveri strascicavano i piedi e zoppicavano.
Le carrozze costeggiarono la montagna in direzione di Mafeking Terrace. Quasi tutti gli abitanti attendevano lungo i marciapiedi, ma senza sventolare bandiere né acclamare; quando il corteo si fermò davanti al numero diciannove, la gente si limitò a chinare la testa e a fare la riverenza.
Ethel saltò giù dal calesse e parlò a bassa voce a Sir Alan. «Sian Evans, cinque figli, ha perso il marito David Evans, addetto ai cavalli dentro la miniera.» David Evans, noto come Dai dei Pony, era un anziano della Bethesda Chapel: per questo lei lo conosceva.
Sir Alan annuì e si voltò a sussurrare qualcosa all"orecchio del re, mentre Ethel, intelligentemente, mosse un passo indietro. Incrociò gli occhi di Fitz, e lui le fece un cenno di approvazione che la riempì di gioia.
Il re e la regina si avvicinarono alla porta d"ingresso. La vernice era scrostata, ma il gradino pareva tirato a lucido. “Mai avrei immaginato una cosa del genere” pensò Ethel. “Il re che bussa alla porta di un minatore.” Il sovrano era in tight e cilindro nero; lei si era premurata di avvertire Sir Alan che gli abitanti di Aberowen non avrebbero voluto vedere il loro re con un semplice vestito di tweed, un abbigliamento che essi stessi avrebbero potuto indossare.
Alla porta apparve la vedova con il vestito della domenica, completo di cappello.
Fitz aveva proposto che il re facesse un"improvvisata, ma Ethel si era fermamente opposta e Sir Alan era stato d"accordo con lei. Con una visita a sorpresa a una famiglia sconvolta, la coppia reale correva il rischio di trovarsi di fronte uomini ubriachi, donne mezze nude e bambini che si azzuffavano. Meglio avvertire tutti.
«Buongiorno, sono il re» si annunciò Giorgio V sollevando educatamente il cappello. «Lei è Mrs Evans?»
Per un attimo la donna parve confusa: era abituata a essere chiamata Mrs Dai dei Pony.
«Sono venuto a dirle che mi dispiace molto per suo marito, David.»
Mrs Dai dei Pony, troppo nervosa, sembrava non provare emozioni. «Grazie infinite» rispose, rigida.
Ethel notò che era tutto troppo formale. Il re era a disagio tanto quanto la vedova.
Nessuno dei due riusciva a esprimere le proprie emozioni.
Poi la regina posò la mano sul braccio di Mrs Dai. «Dev"essere molto dura per lei, mia cara.»
«Sì, signora, proprio così» disse la vedova in un sussurro, dopodiché cominciò a piangere.
Ethel si asciugò una lacrima sulla guancia.
Il re era imbarazzato, ma – bisognava dargliene atto – non si tirò indietro e mormorò: «Molto, molto triste».
Mrs Evans scoppiò in un pianto convulso e non tentò neppure di nasconderlo; rimase inchiodata sulla soglia. “Il dolore è brutto da vedere” pensò Ethel: il volto di Mrs Dai era chiazzato di rosso, la bocca aperta rivelava una dentatura dimezzata e i singhiozzi erano rochi e disperati.
«Su, su» fece la regina mentre le premeva un fazzoletto nella mano. «Tenga.»
Mrs Dai non aveva ancora trent"anni, ma le sue grosse mani erano nodose e deformate dall"artrite come quelle di una vecchia. Si asciugò il viso con il fazzoletto della regina. I singhiozzi cessarono. «Era un uomo buono, signora. Non mi ha mai picchiata.»
La regina non sapeva cosa dire a proposito di un uomo la cui principale virtù era quella di non alzare le mani sulla moglie.
«Era gentile anche con i pony» aggiunse Mrs Dai.
«Lo immagino» commentò la regina, nuovamente su un terreno familiare.
Un bambinetto emerse dall"interno della casa e si aggrappò alla gonna della madre.
Il re fece un altro tentativo. «Se non sbaglio, lei ha cinque figli.»
«Oh, sire, cosa faranno senza papà?»
«È molto triste» ripeté il re.
Sir Alan diede un colpetto di tosse e il re aggiunse: «Adesso dobbiamo andare a far visita ad altre persone nella sua stessa situazione».
«Oh, sire, è stato gentile a venire. Non riesco a dirle quanto è importante per me.
Grazie, grazie.»
Il re si allontanò.
«Questa sera pregherò per lei, Mrs Evans» disse la regina, e seguì il consorte.
Mentre salivano in carrozza, Fitz porse una busta a Mrs Dai. Dentro, Ethel lo sapeva, c"erano cinque sovrane d"oro e un cartoncino scritto a mano con lo stemma di Ty Gwyn: “Il conte
Fitzherbert desidera testimoniarle la profonda partecipazione al suo dolore“. Era stata un"altra idea di Ethel.
VIII
Una settimana dopo l"esplosione Billy andò alla cappella con il papà, la mamma e il nonno.
La Bethesda Chapel era una stanza quadrata con le pareti nude imbiancate a calce.
Le sedie erano sistemate in file ordinate ai quattro lati di un tavolo di legno grezzo.
Sul piano, a simboleggiare il pane e il vino, c"erano una pagnotta bianca su un piatto di porcellana Woolworth e un boccale di sherry scadente. La funzione non si chiamava “comunione” o “messa”, ma semplicemente “spartizione del pane”. Non era un rito codificato: gli uomini erano mossi dal volere dello Spirito Santo e improvvisavano una preghiera, intonavano un inno, leggevano un passo della Bibbia o pronunciavano un breve sermone. Le donne, ovviamente, rimanevano in silenzio.
Di fatto, un rituale esisteva: la prima preghiera era sempre recitata da uno degli anziani, che poi spezzava il pane e passava il piatto alla persona di fianco. Ogni membro della congregazione, esclusi i bambini, staccava un pezzetto di pane e lo mangiava. Poi si faceva passare il vino, e tutti bevevano dal boccale: le donne si bagnavano appena le labbra, mentre fra gli uomini c"era chi non si lasciava sfuggire una bella sorsata. Quindi rimanevano tutti seduti in silenzio, finché qualcuno sentiva il bisogno di parlare.
Quando Billy aveva chiesto al padre a che età sarebbe potuto intervenire nella funzione, si era sentito rispondere: “Non c"è una regola. Andiamo dove ci conduce lo Spirito Santo”. Billy lo aveva preso in parola. Se nell"arco di quell"ora gli fosse venuto in mente il primo verso di un inno, lo avrebbe considerato un"esortazione dello Spirito Santo e si sarebbe alzato per annunciarlo. Fare una cosa del genere alla sua età era prematuro, lo sapeva, ma la congregazione lo accettava. La storia di Gesù apparsogli durante l"iniziazione in miniera era stata raccontata in metà delle cappelle del bacino carbonifero del Galles meridionale, e lui veniva considerato speciale.
Alle undici di quella mattina la congregazione di circa cento fedeli era riunita nella cappella, ognuno al suo posto; gli uomini indossavano l"abito della festa e le donne il cappello, mentre i bambini si agitavano e si dimenavano nelle ultime file. Quel giorno tutte le preghiere imploravano conforto per le persone colpite dal lutto, specialmente per Mrs Dai dei Pony, che sedeva in gramaglie accanto al figlio maggiore, con un"espressione desolata. Il padre di Billy chiese a Dio di essere magnanimo e di perdonare i padroni della miniera, che avevano violato le norme sui respiratori e le ventole reversibili. Billy percepì che mancava qualcosa. Troppo semplice limitarsi a una richiesta di pacificazione. Lui voleva essere aiutato a capire come facesse l"esplosione a rientrare nel disegno divino.
Non aveva mai improvvisato una preghiera. Molti uomini usavano espressioni altisonanti e citazioni dalle Scritture, quasi tenessero un sermone. Lui sospettava che in quel modo non si riuscisse a muovere a compassione Dio. Personalmente, si sentiva commosso soprattutto dalle preghiere semplici che sembravano sgorgare dal cuore.
Verso la fine della funzione parole e frasi cominciarono a prendere forma nella sua mente e provò un forte impulso a darvi voce. Ritenendolo un segno dello Spirito Santo, alla fine si alzò.
«Oh, Dio» disse con gli occhi chiusi «questa mattina ti abbiamo chiesto di portare conforto a coloro che hanno perso un marito, un padre, un figlio, specialmente alla nostra sorella nel Signore Mrs Evans, e preghiamo che chi è stato colpito dal lutto apra il suo cuore per ricevere la tua benedizione.»
Questo era già stato detto da altri. Fece una pausa.
«Adesso, Signore» continuò «noi ti chiediamo un altro dono: la tua benedizione per poter capire. Abbiamo bisogno di capire, Signore, perché è avvenuta questa esplosione in miniera, Tutto è in tuo potere: quindi perché hai permesso al grisù di riempire il Livello principale e hai consentito che prendesse fuoco? Come mai, Signore, noi abbiamo dei capi, i direttori della Celtic Minerals, che per avidità non si preoccupano della vita della tua gente? Come possono servire al tuo santo disegno la morte di quelle brave persone e lo strazio dei corpi che tu hai creato?» Altra pausa. Si rendeva conto che era sbagliato rivolgere domande a Dio come se fosse una trattativa con la direzione, perciò aggiunse: «Sappiamo che la sofferenza della gente di Aberowen deve avere un ruolo nel tuo disegno eterno». Pensò che sarebbe stato meglio concludere, ma non poté fare a meno di proseguire. «Però noi non lo comprendiamo; quindi ti prego, Signore, spiegacelo. In nome di nostro Signore Gesù Cristo.»
«Amen» concluse la congregazione.
IX
Quel pomeriggio gli abitanti di Aberowen furono invitati a visitare i giardini di Ty Gwyn, e ciò per Ethel significava un aggravio di lavoro.
L"avviso era stato fatto circolare il sabato sera nei pub e letto il mattino della domenica nelle chiese e nelle cappelle dopo le funzioni. I giardini, malgrado la stagione invernale, erano stati curati in modo particolare per la visita del re e adesso, recitava l"invito, il conte Fitzherbert desiderava condividerne la bellezza con i suoi vicini. Il conte avrebbe indossato la cravatta nera e si augurava che anche i visitatori portassero un segno di lutto. Un ricevimento venne ovviamente ritenuto inopportuno, tuttavia era previsto un rinfresco.
Ethel aveva fatto montare tre tendoni nel prato est. Il primo conteneva una mezza dozzina di botti da cinquecento litri di birra chiara fatta arrivare in treno dal Crown Brewery, il birrificio di Pontyclun. Gli astemi, molto numerosi ad Aberowen, avrebbero trovato sotto il secondo tendone tavoli a cavalletto pieni di enormi teiere e centinaia di tazze e piattini. Nel terzo tendone, più piccolo, veniva offerto sherry al più esiguo ceto medio che comprendeva il vicario anglicano, i due medici e Maldwyn Morgan, il direttore della miniera, a cui ci si riferiva già come “Morgan andato-a-Merthyr”.
Per fortuna era una giornata soleggiata, fredda ma asciutta; alte nel cielo azzurro si scorgevano solo alcune innocue nuvole bianche. Arrivarono quattromila persone –
pressoché l"intera popolazione della città – e quasi tutte indossavano cravatte, fasce o nastri di colore nero. Passeggiarono nel boschetto, sbirciarono dalle finestre dentro la casa e calpestarono i tappeti erbosi.
La principessa Bea rimase nella sua stanza: non era il genere di evento sociale che le si addiceva. Tutti gli aristocratici erano egoisti, Ethel lo aveva sperimentato di persona, ma Bea ne aveva fatto un"arte. La sua energia era focalizzata sul piacere personale e la soddisfazione dei propri desideri. Anche quando dava ricevimenti – e sapeva organizzarli bene -, era spinta soprattutto dal desiderio di fornire una vetrina alla sua affascinante bellezza.
Con l"enorme cane sdraiato ai suoi piedi come un tappeto di pelliccia, Fitz riceveva nello splendore della Great Hall, la sala vittoriana neogotica. Indossava un vestito di tweed marrone che lo faceva apparire più alla mano, malgrado il colletto rigido con la cravatta nera. Era più bello che mai, pensò Ethel. Lei gli presentava i parenti dei morti e dei feriti a gruppi di tre o quattro, in modo che ogni abitante di Aberowen colpito dalla disgrazia potesse ricevere una parola di conforto. Fitz parlava loro con il consueto garbo, tanto che al momento del congedo ognuno aveva la sensazione di essere speciale.
Adesso Ethel era la governante. Dopo la visita del re la principessa Bea aveva insistito perché Mrs Jevons andasse definitivamente in pensione: non aveva tempo da perdere con dipendenti vecchi e stanchi. In Ethel aveva visto una persona capace di accontentarla e l"aveva promossa malgrado la giovane età. Ethel, dunque, aveva raggiunto il proprio ambizioso obiettivo. Preso possesso della piccola stanza che le era stata destinata, separata da quelle della servitù, vi aveva appeso la fotografia dei genitori con i vestiti della domenica, scattata davanti alla Bethesda Chapel il giorno dell"inaugurazione.
Quando Fitz arrivò in fondo all"elenco, lei gli chiese il permesso di passare qualche minuto con la propria famiglia.
«Certamente» disse il conte. «Prenditi tutto il tempo che vuoi. Sei stata davvero meravigliosa. Non so come me la sarei cavata senza di te. Anche il re ha apprezzato il tuo contributo. Come fai a ricordare tutti quei nomi?»
Lei sorrise. Non sapeva perché essere lodata da lui le procurasse tanta euforia. «La maggior parte di queste persone è passata in un momento o nell"altro da casa nostra per interpellare mio padre su varie questioni: il risarcimento per una ferita, una disputa con i sorveglianti o la mancanza di misure di sicurezza giù in miniera.»
«Be", penso che tu sia straordinaria» commentò lui con quel sorriso irresistibile che di tanto in tanto gli appariva sul volto e lo faceva sembrare il ragazzo della porta accanto. «Porgi i miei omaggi a tuo padre.»
Ethel uscì e attraversò il prato di corsa, al culmine della felicità. Trovò il papà, la mamma, Billy e il nonno sotto il tendone dove veniva servito il tè. Il papà era molto distinto con il vestito nero della festa e la camicia bianca dal colletto rigido. Billy aveva una brutta bruciatura sulla guancia. «Come ti senti, fratellino?»
«Non male. È orribile da vedere, ma il medico dice che è meglio non coprirla con la benda.»
«Tutti parlano del tuo coraggio.»
«Non è bastato per salvare Micky del Papa, comunque.»
Non essendoci nulla da ribattere, Ethel gli posò sul braccio una mano in segno di solidarietà.
«Stamattina alla Bethesda Billy ha condotto la preghiera» disse la mamma orgogliosa.
«Bravo, Billy! Mi spiace essermela persa.» Ethel era stata troppo occupata in casa.
«Per cosa hai pregato?»
«Ho chiesto al Signore di aiutarci a capire perché abbia permesso l"esplosione in miniera.» Billy lanciò un"occhiata nervosa al padre, che non sorrise.
«Avrebbe fatto meglio a chiedere a Dio di rafforzare la sua fede» commento severo il papà. «Per poter credere senza capire.»
Era chiaro che ne avevano già discusso. A Ethel non interessavano le dispute teologiche, che alla fine non cambiavano le cose. Cercò allora di alleggerire l"atmosfera. «Il conte Fitzherbert mi ha chiesto di porgerti i suoi omaggi» disse. «Non è carino da parte sua?»
Il papà non si addolcì. «Mi è dispiaciuto vederti partecipare alla farsa di lunedì.»
«Lunedì?» ripeté incredula. «Quando il re ha fatto visita ai parenti in lutto?»
«Ti ho vista sussurrare i nomi all"orecchio di quel lacchè.»
«Era Sir Alan Tite.»
«Non mi importa come si chiama: i leccapiedi li riconosco al volo.»
Ethel era sconvolta. Come poteva rovinarle il suo momento di gloria con quell"atteggiamento sprezzante? Le venne voglia di piangere. «Pensavo fossi orgoglioso di me, per essermi resa utile al re.»
«Come si permette il re di offrire solidarietà alla nostra gente? Cosa ne sa un re di vita grama e pericoli?»
Ethel si sforzò di trattenere le lacrime. «Ma, papà, per quelle famiglie la sua visita ha significato tantissimo!»
«Ha distolto l"attenzione di tutti dal menefreghismo e dagli illeciti della Celtic Minerals.»
«Ma a loro serve conforto.» Come faceva a non capire?
«Il re li ha rammolliti: domenica pomeriggio questa città era pronta alla rivolta, lunedì sera parlava solo del fazzoletto dato dalla regina a Mrs Dai dei Pony.»
Ethel passò presto dal dolore alla rabbia. «Mi dispiace che tu la veda in questo modo» commentò, fredda.
«Non c"è da dispiacersi…»
«Mi dispiace perché hai torto» insistette lei, decisa.
Il papà fu preso alla sprovvista. Raramente qualcuno gli dava torto, figuriamoci una ragazza.
«Insomma, Eth…» cominciò la mamma.
«Le persone hanno sentimenti, papà» continuò lei impavida. «E tu lo dimentichi sempre.»
Il padre rimase senza parole.
«Ora basta!» intervenne la mamma.
Ethel guardò Billy e attraverso un velo di lacrime colse la sua espressione di stupita ammirazione. Si sentì incoraggiata. Tirò su con il naso e si asciugò gli occhi con il dorso della mano. «Tu e il tuo sindacato» disse «e le norme di sicurezza, le Scritture… Lo so che sono importanti, papà, ma non puoi ignorare i sentimenti delle persone. Spero che un giorno il socialismo renda il mondo migliore per i lavoratori, ma nel frattempo loro hanno bisogno di conforto.»
Finalmente il padre ritrovò la voce. «Ti abbiamo ascoltato fin troppo. A stare vicino al re ti sei montata la testa. Sei solo una bambina e non puoi permetterti di dare lezioni a chi è più vecchio di te.»
Ethel era troppo scossa dai singhiozzi per continuare la discussione. «Mi dispiace, papà.» Seguì un pesante silenzio, poi aggiunse: «Meglio che torni al lavoro». Il conte le aveva detto di prendersi tutto il tempo che voleva, ma lei aveva bisogno di stare sola. Voltò le spalle allo sguardo truce del padre e, con gli occhi bassi per nascondere le lacrime, si avviò alla villa.
Non voleva incontrare nessuno e si infilò nella suite Gardenia. Lady Maud era tornata a Londra: la stanza era vuota e il letto disfatto. Ethel si buttò sul materasso e pianse.
Si era sentita così orgogliosa. Come poteva suo padre screditare tutto quello che lei aveva fatto? Voleva che svolgesse male i suoi compiti? Lei lavorava per la nobiltà, e lo facevano anche tutti i minatori di Aberowen. Benché assunti dalla Celtic Minerals, in realtà il carbone che cavavano era del conte, perché per ogni tonnellata lui riceveva la stessa somma che guadagnava un minatore per estrarla dalla terra, un fatto che il padre non si stancava mai di rimarcare. Se andava bene essere un bravo minatore, efficiente e produttivo, cosa c"era di male a essere una brava governante?
Sentì la porta che si apriva e balzò subito in piedi. Era il conte. «Che diavolo succede?» chiese in tono gentile. «Ti ho sentita da dietro la porta.»
«Mi scusi tanto, milord, non sarei dovuta entrare qui.»
«Nessun problema.» Sul suo viso incredibilmente bello si dipinse un"espressione di sincero interesse. «Perché piangi?»
«Ero così orgogliosa di avere aiutato il re» spiegò afflitta. «Ma mio padre sostiene che è stata una farsa per placare la rabbia della gente contro la Celtic Minerals.»
Scoppiò di nuovo in lacrime.
«Che sciocchezza: chiunque può assicurare che la partecipazione del re era sincera.
E anche della regina.» Prese dal taschino della giacca il fazzoletto di lino bianco.
Ethel si aspettava che glielo porgesse, invece fu lui stesso ad asciugarle delicatamente le guance. «Lunedì scorso io mi sono sentito fiero di te, a differenza di tuo padre.»
«Com"è gentile.»
«Su, coraggio» disse e si chinò a baciarla sulle labbra.
Ethel rimase di stucco: era l"ultima cosa al mondo che si sarebbe aspettata. Quando lui alzò la testa, lo guardò sconcertata.
Il conte la fissò a sua volta. «Sei assolutamente incantevole» mormorò e la baciò di nuovo.
Ma lei lo respinse. «Cosa sta facendo, milord?» sussurrò sempre più sconcertata.
«Non lo so.»
«Ma cosa sta pensando?»
«Non sto pensando affatto.»
Lei alzò lo sguardo sul suo viso scolpito. Gli occhi verdi la stavano studiando con attenzione, come a cercare di leggerle nella mente. Si rese conto di adorarlo.
All"improvviso fu travolta dal desiderio e dall"eccitazione.
«Non riesco a trattenermi» fece lui.
Lei sospirò allegra. «Allora baciami di nuovo.»