24
APRILE 1917
In una tiepida giornata d"inizio primavera, Walter passeggiava con Monika von der Helbard nel giardino della residenza dei genitori di lei a Berlino, un edificio grandioso circondato da un vasto parco con campo da tennis e spogliatoio, un prato per le bocce, un maneggio per allenare i cavalli e un"area per bambini attrezzata con altalene e scivolo. Walter si ricordò quando da piccolo andava lì e pensava di essere in paradiso. Ora quel parco giochi non era più così idilliaco: i cavalli, tranne i più vecchi, erano andati tutti all"esercito; sul lastricato dell"ampio terrazzo razzolavano galline e nello spogliatoio del tennis la madre di Monika teneva all"ingrasso un maiale. Nel prato delle bocce pascolavano le capre, e si diceva che a mungerle fosse la contessa in persona. Comunque dagli alberi secolari spuntavano le prime foglie, il sole splendeva e Walter se ne stava in panciotto e maniche di camicia con la giacca buttata sulla spalla, un abbigliamento informale che rischiava di essere disapprovato da sua madre, in quel momento tutta presa a spettegolare in casa con la contessa.
Greta, la sorella di Walter, che faceva loro da chaperon, aveva trovato una scusa per lasciarli soli: altra cosa deplorevole per la madre, almeno in teoria.
Monika aveva un cane, Pierre, un grazioso barboncino di taglia media con le zampe lunghe, il pelo riccio color ruggine e gli occhi nocciola. Walter non poté fare a meno di trovare una vaga somiglianza con la padrona, malgrado lei fosse molto bella.
Gli piaceva l"atteggiamento di Monika con il cane: non lo viziava, non gli dava da mangiare piccole leccornie né gli si
rivolgeva con la vocina come facevano altre ragazze. Lo lasciava camminare al suo fianco e di tanto in tanto gli lanciava una vecchia palla da tennis.
«Che delusione i russi.»
Walter annuì. Il governo del principe L"vov aveva annunciato l"intenzione di non ritirarsi dal conflitto. La Germania non avrebbe potuto spostare le truppe dal fronte orientale per inviare rinforzi in Francia e la guerra si sarebbe trascinata stancamente.
«La nostra unica speranza è che L"vov cada e che al governo subentri la fazione favorevole alla pace.»
«C"è qualche probabilità?»
«Difficile dirlo. I rivoluzionari di sinistra stanno ancora invocando pane, pace e terra. Il governo ha promesso elezioni democratiche per formare un"assemblea costituente… Ma chi vincerà?» Raccolse un legnetto e lo lanciò a Pierre, che lo inseguì saltellando e lo riportò indietro orgoglioso. Walter gli diede qualche carezza sulla testa e, quando si rialzò, si accorse che Monika si era molto avvicinata a lui.
«Mi piaci, Walter» disse fissandolo con i suoi occhi color ambra. «Mi sembra che noi avremmo sempre qualcosa di cui parlare.»
Walter aveva la stessa sensazione e sapeva che, se avesse cercato di baciarla, lei non si sarebbe opposta. Si scostò. «Anche tu mi piaci. E mi piace anche il tuo cane.»
Rise per sottolineare la battuta. Capì tuttavia di averla ferita.
Lei si morse il labbro e gli voltò le spalle. Per essere una ragazza di buona famiglia si era comportata in modo piuttosto audace, e oltretutto lui l"aveva respinta.
Continuarono la passeggiata e rimasero a lungo in silenzio. «Mi chiedo quale sia il tuo segreto» disse infine Monika.
“Che perspicacia” pensò lui. «Non ho segreti» mentì. «E tu?»
«Niente che meriti di essere raccontato.» Allungò la mano sulla spalla di lui e gli spolverò via qualcosa. «Un"ape» disse.
«Non è ancora stagione di api.»
«Forse avremo un"estate precoce.»
«Non fa poi tanto caldo.»
Lei finse di rabbrividire. «Hai ragione, si gela. Mi prenderesti uno scialle? Se vai in cucina e lo chiedi a una cameriera, lei ne troverà uno.»
«Certo.» Non faceva freddo, ma un gentiluomo non si tirava mai indietro davanti a richieste del genere, per quanto capricciose. Era chiaro che desiderava stare un momento da sola. Walter si avviò verso la casa. Doveva respingere le sue avance, ma gli dispiaceva ferirla. In effetti lui e Monika erano ben assortiti – le loro madri avevano ragione – e ovviamente lei non comprendeva il suo comportamento.
In casa, scese la scala di servizio che portava al seminterrato; trovò un"anziana cameriera in divisa nera e cuffia di pizzo che andò a cercare uno scialle.
Walter attese nell"atrio. La residenza era arredata nel moderno Jugendstil, lo stile che aveva soppiantato i pesanti ornamenti rococò amati dai suoi genitori. Colori delicati davano luce alle stanze; l"atrio a colonne era di pregiato marmo grigio con un tappeto marrone chiaro.
Gli sembrava che Maud fosse su un altro pianeta, a un milione di chilometri di distanza. In un certo senso lo era, perché il mondo di prima della guerra non sarebbe più tornato. Walter non vedeva né sentiva la moglie da quasi tre anni e forse non l"avrebbe incontrata mai più. Benché non fosse svanita dalla sua mente – mai avrebbe dimenticato la passione che li aveva travolti -, si rendeva conto con grande angoscia di non ricordare i particolari dei momenti trascorsi insieme: cosa indossava lei o dov"erano quando si baciavano e si tenevano per mano; cosa mangiavano, bevevano o dicevano a quei ricevimenti di Londra, tutti simili e interminabili. A volte nella sua testa si insinuava il pensiero che la guerra li avesse in un certo senso fatti divorziare.
Allora lo scacciava prontamente vergognandosi della propria slealtà.
La cameriera gli portò uno scialle di cashmere giallo, e Walter tornò da Monika, seduta su un ceppo con Pierre ai suoi piedi. Glielo porse e lei se lo avvolse attorno alle spalle. Il colore le donava; le ravvivava gli occhi e rischiarava il viso.
«Dev"esserti caduto dalla giacca» fece Monika con una strana espressione in volto mentre gli porgeva il portafoglio.
«Ah, grazie.» Walter lo infilò nella tasca interna della giacca che gli pendeva ancora dalla spalla.
«Rientriamo.»
«Come preferisci.»
L"umore di Monika era cambiato; forse aveva semplicemente deciso di rinunciare a lui. O era successo qualcos"altro?
Lo colpì un pensiero spaventoso: il portafoglio era davvero caduto oppure lei glielo aveva sottratto furtivamente mentre gli spolverava dalla spalla quell"improbabile ape?
«Monika» disse mentre si fermava per guardarla in viso. «Hai guardato nel mio portafoglio?»
Lei avvampò. «Hai detto che non avevi segreti.»
Doveva aver visto il ritaglio di giornale: “Lady Maud Fitzherbert è sempre vestita all"ultima moda”. «Hai fatto una cosa scorretta» commentò lui irritato. Ma era soprattutto in collera con se stesso; non avrebbe dovuto portarsi dietro quella prova incriminante. Se Monika poteva comprenderne il significato, chiunque altro era in grado di farlo: lui sarebbe caduto in disgrazia, e con l"accusa di tradimento l"avrebbero cacciato dall"esercito e messo in prigione, se non addirittura fucilato.
Era stato uno sciocco, tuttavia non avrebbe mai potuto separarsi dalla foto di Maud. Di lei non gli restava altro.
Monika gli posò una mano sul braccio. «Non ho mai fatto una cosa del genere in vita mia, e me ne vergogno. Ma devi capire la mia disperazione. Oh, Walter, potrei innamorarmi di te facilmente, e sono sicura che anche tu potresti… Lo vedo dai tuoi occhi, da come mi sorridi quando mi guardi. Invece tu non hai mai detto niente!»
Scoppiò a piangere. «E questo mi faceva impazzire.»
«Mi dispiace.» Walter non era più indignato. Monika gli aveva aperto il cuore senza rispettare le convenienze. Si sentiva terribilmente triste per lei. Per entrambi.
«Dovevo immaginare perché continuavi a respingermi. E adesso lo capisco, certo.
Lei è bellissima; mi somiglia persino un po".» Asciugò le lacrime. «Ti ha trovato prima di me, tutto qui.» Lo fissò con i suoi occhi ambrati e penetranti. «Immagino siate fidanzati.»
Walter non poteva mentire a una persona che era stata tanto sincera con lui. Non sapeva cosa dire.
Lei indovinò il motivo della sua esitazione. «Oh, mio Dio! Siete sposati, vero?»
Che disastro. «Se si venisse a sapere, mi troverei in guai seri.»
«Lo so.»
«Posso confidare sul fatto che manterrai il segreto?»
«Non chiederlo neppure. Sei l"uomo migliore che io abbia mai conosciuto: non farei nulla per danneggiarti. Dalla mia bocca non uscirà una parola.»
«Grazie. So che manterrai la promessa.»
Monika distolse lo sguardo nel tentativo di ricacciare indietro le lacrime.
«Torniamo in casa.» Nell"atrio gli disse: «Vai avanti tu, io devo lavarmi la faccia».
«D"accordo.»
«Spero…» La voce le si spezzò in un singhiozzo. «Spero che lei si renda conto della sua fortuna» mormorò. Poi si voltò per infilarsi in una saletta vicina.
Walter indossò la giacca e si ricompose, quindi salì lo scalone di marmo. Il salotto era arredato nello stesso stile sobrio, con mobili di legno chiaro e tende di un pallido turchese. I genitori di Monika avevano più gusto dei suoi, constatò.
Con una sola occhiata, la madre capì che qualcosa non andava. «Dov"è Monika?»
domandò brusca.
Walter la guardò sollevando un sopracciglio: non era da lei fare domande la cui risposta rischiava di essere: “In bagno”. Era visibilmente tesa. «Ci raggiungerà tra un minuto» rispose tranquillo.
«Guarda qua» fece il padre agitando un foglio. «Me l"hanno mandato dall"ufficio di Zimmermann per avere il mio parere. Quei rivoluzionari russi vogliono attraversare la Germania. Che fegato!» Aveva bevuto un paio di schnapps ed era di ottimo umore.
«Di quali rivoluzionari stai parlando, padre?» domandò Walter in tono gentile.
Benché non fosse particolarmente interessato, era sollevato di avere un argomento di conversazione.
«Quelli di Zurigo! Martov, Lenin, tutta quella gente. Ora che lo zar è stato deposto, dovrebbe esserci libertà d"espressione, e vogliono tornare in patria. Ma non possono!»
Il padre di Monika, Konrad von der Helbard, disse pensoso: «Immagino non ci sia modo di arrivare in Russia dalla Svizzera senza attraversare la Germania, e ogni altro passaggio via terra comporta l"attraversamento delle linee di combattimento. Però ci sono piroscafi che dall"Inghilterra vanno in Svezia attraverso il Mare del Nord, no?».
«Sì, ma sarebbe rischioso passare dalla Gran Bretagna» fece notare Walter. «I britannici hanno arrestato Trockij e Bucharin. E Francia e Italia farebbero di peggio.»
«Quindi sono bloccati!» esclamò Otto trionfante.
«Cosa consiglierai al ministro degli Esteri Zimmermann, padre?»
«Di rifiutare, ovvio. Non vogliamo che quella pestilenza contamini la nostra gente.
Quei demoni potrebbero provocare un sacco di guai in Germania.»
«Lenin e Martov» rifletté Walter. «Martov è menscevico, Lenin bolscevico.» Il Servizio informazioni tedesco era molto interessato ai rivoluzionari russi.
«Bolscevichi, menscevichi, socialisti, rivoluzionari, non c"è differenza» fece Otto.
«Invece sì. I bolscevichi sono i più duri» ribatté Walter.
«Una ragione in più per tenerli fuori dal nostro paese!» esclamò infervorata la madre di Monika.
Walter la ignorò. «Considerate che all"estero i bolscevichi tendono a essere più estremisti che in patria. I bolscevichi di Pietrogrado sostengono il governo provvisorio del principe L"vov, contrariamente ai loro compagni di Zurigo.»
«Come fai a sapere cose del genere?» domandò sua sorella Greta.
Walter aveva letto le relazioni delle spie tedesche in Svizzera che intercettavano la posta dei rivoluzionari; tuttavia rispose: «In un discorso tenuto qualche giorno fa a Zurigo, Lenin ha ripudiato il governo provvisorio».
Otto fece un verso sprezzante, invece Konrad von der Helbard si sporse dalla poltrona e chiese: «Cos"ha in mente, giovanotto?».
«Se neghiamo ai rivoluzionari il permesso di attraversare la Germania, proteggiamo la Russia dalle loro idee sovversive» rispose Walter.
La madre parve sbalordita. «Spiegati, per favore.»
«A mio avviso, noi dobbiamo aiutare questi uomini pericolosi a raggiungere il loro paese. Una volta là, cercheranno di minare l"azione del governo e così indeboliranno la sua capacità di continuare la guerra, oppure, in alternativa, prenderanno il potere e si ritireranno dal conflitto. In entrambi i casi, la Germania ci guadagnerà.»
Seguì un momento di silenzio in cui tutti rimuginarono sulle sue parole.
Poi Otto scoppiò in una risata e batté le mani. «Proprio il figlio di suo padre!
Dopotutto in lui c"è qualcosa del vecchio von Ulrich!»
II
“Mia adorata, Zurigo è una fredda città sul lago” scrisse Walter “ma il sole brilla sull"acqua, sulle verdi colline tutt"intorno e sulle Alpi in lontananza. La disposizione delle strade è a reticolo e non ci sono curve: gli svizzeri sono ancora più ordinati dei tedeschi! Mia carissima amica, vorrei tanto che tu fossi qui con me: qui e in qualsiasi altro posto io mi trovi!!!”
I punti esclamativi avevano lo scopo di dare alla censura postale l"impressione che lo scrivente fosse una ragazza molto emotiva. Benché Walter si trovasse nella Svizzera neutrale, continuava a fare in modo che dalla lettera non si riconoscessero né il mittente né il destinatario.
“Mi chiedo se sei sottoposta all"imbarazzo di ricevere attenzioni non desiderate da scapoli appetibili. Considerati il tuo fascino e la tua bellezza, sarà sicuramente così.
Io ho lo stesso problema. Non sono bella e affascinante, certo, ciò nonostante ricevo delle avance. Mia madre ha scelto per me un potenziale marito, un amico di mia sorella, che conosco da una vita e ho sempre avuto in simpatia. È stato difficile e alla fine temo lui abbia scoperto che ho un"amicizia che preclude il matrimonio.
Comunque sono convinta che il nostro segreto sia al sicuro.” Se la censura si fosse presa la briga di spingersi a leggere fino a quel punto, avrebbe dedotto che quella era la lettera di una lesbica alla sua amante. Chiunque in Inghilterra sarebbe arrivato alla medesima conclusione. Ma poco importava, perché Maud, in quanto femminista e ancora nubile a ventisei anni, era senza dubbio già sospettata di tendenze saffiche.
“Tra qualche giorno sarò a Stoccolma, un"altra città fredda sull"acqua, e tu potrai scrivermi al Grand Hotel.”
La Svezia, come la Svizzera, era un paese neutrale e il servizio postale con l"Inghilterra era operativo.
“Sarei felicissima di avere tue notizie!!! Fino a quel giorno, mio meraviglioso tesoro, non dimenticare la tua adorata Waltraud.”
III
Gli Stati Uniti dichiararono guerra alla Germania il 6 aprile 1917, un venerdì.
Walter se l"aspettava, ciò nonostante fu un duro colpo. L"America era ricca, forte, democratica; non ci si poteva immaginare un nemico peggiore. L"unica speranza era il crollo della Russia, che avrebbe dato alla Germania l"opportunità di vincere sul fronte occidentale prima che gli americani fossero pronti a intervenire.
Tre giorni più tardi, all"hotel Zähringerhof di Zurigo, si radunarono trentadue rivoluzionari russi esiliati: uomini, donne e un bambino di quattro anni di nome Robert. Da lì raggiunsero a piedi l"arco barocco della stazione ferroviaria per prendere il treno che li avrebbe riportati a casa.
Walter aveva temuto che non sarebbero partiti. Martov, il capo dei menscevichi, aveva rifiutato di muoversi senza l"autorizzazione del governo provvisorio di Pietrogrado; un atteggiamento stranamente riguardoso per un rivoluzionario. Il permesso non fu concesso, ma Lenin e i bolscevichi decisero di partire comunque.
Walter si preoccupò che non vi fossero intralci al viaggio; li accompagnò alla stazione sul fiume e salì con loro sul treno.
“Questa è l"arma segreta della Germania” pensò. “Trentadue persone scontente e sradicate che vogliono far cadere il governo in Russia. Che Dio ci aiuti.” Vladimir Il"ič Ul"janov, noto come Lenin, quarantasei anni, dalla corporatura bassa e tozza, indossava abiti in ordine ma privi di eleganza. Non aveva tempo da perdere con lo stile. Un tempo rossi, i suoi capelli si erano presto diradati riducendosi a una chierica attorno a una cupola lucente; i baffi e il pizzetto rossicci e ben curati rivelavano qualche stiratura grigia. All"inizio Walter lo trovò insignificante, brutto e privo di fascino.
Walter si faceva passare per un anonimo funzionario del ministero degli Esteri a cui era stato affidato l"incarico di occuparsi di ogni aspetto pratico del viaggio dei bolscevichi attraverso la Germania. Lenin, dopo averlo scrutato con occhio severo e indagatore, aveva di sicuro compreso di trovarsi davanti a una sorta di agente segreto.
Una volta raggiunta Sciaffusa, sul confine, si trasferirono su un treno tedesco.
Poiché avevano soggiornato in un cantone della Svizzera tedesca, tutti conoscevano un po" quella lingua. Lenin la parlava bene. Walter apprese che era un notevole poliglotta: il suo francese era ottimo e l"inglese passabile. Leggeva Aristotele in greco antico. Per Lenin, rilassarsi voleva dire trascorrere un paio d"ore con il dizionario di una lingua straniera.
A Gottmadingen cambiarono di nuovo e salirono su un vagone piombato per l"occasione, come se fossero portatori di una malattia infettiva. Tre delle quattro porte erano bloccate; la quarta si trovava vicino allo scompartimento in cui dormiva Walter. Era stato fatto per placare l"ansia eccessiva delle autorità tedesche, ma si rivelò superfluo perché i russi non desideravano fuggire: volevano solo tornare a casa.
Lenin e la moglie Nadja avevano uno scompartimento riservato, mentre tutti gli altri ne dividevano uno in quattro. Alla faccia dell"uguaglianza, pensò cinicamente Walter.
Mentre il treno attraversava la Germania da sud a nord, Walter cominciò a percepire la forza di carattere di Lenin sotto quel suo aspetto scialbo. Lui non era interessato al cibo, all"alcol, alle comodità e alla ricchezza. Le sue giornate erano totalmente assorbite dalla politica: parlava di politica, scriveva di politica, pensava alla politica e prendeva appunti. Walter notò che in ogni discussione sembrava sempre più preparato dei compagni e dava l"impressione di avere riflettuto più a lungo e intensamente di loro… a meno che l"argomento non esulasse dalla Russia o dalla politica, nel qual caso era piuttosto male informato.
Era un vero guastafeste. La prima sera il giovane occhialuto Karl Radek raccontava barzellette nello scompartimento accanto al suo. «Un tizio viene arrestato per aver detto: “Nicola è un deficiente”. Allora lui ribatte al poliziotto: “Intendevo un altro Nicola, non il nostro amatissimo zar”. Il poliziotto risponde: “Bugiardo! Se dici
deficiente non puoi che riferirti allo zar!”.» I compagni di Radek scoppiarono a ridere. Lenin uscì dallo scompartimento scuro in volto e ordinò loro di tacere.
A Lenin non piaceva fumare. Aveva smesso da trent"anni su insistenza della madre. Per riguardo nei suoi confronti, gli altri andavano a farlo nel bagno in fondo al vagone e, siccome c"era solo quello per trentadue persone, si creavano code e battibecchi. Lenin volse il suo finissimo intelletto alla ricerca di una soluzione. Tagliò dei fogli in piccoli rettangoli e fornì a tutti biglietti di due tipi: alcuni per l"uso appropriato del bagno e altri, in numero inferiore, per andare a fumare. In quel modo ridusse le code e pose fine a ogni diverbio. Walter era divertito. Funzionava, e tutti erano contenti, ma non discutevano, non tentavano di prendere decisioni collegiali. In quel gruppo, Lenin era un dittatore benevolo. Se avesse raggiunto il vero potere, avrebbe governato l"impero russo alla stessa maniera?
Ma avrebbe vinto, poi? Perché, in caso contrario, Walter stava solo perdendo tempo.
C"era un unico modo per dargli qualche chance in più di successo, e Walter decise di mettere in pratica la sua idea.
Scese dal treno a Berlino, dopo avere detto ai russi che sarebbe tornato per accompagnarli nell"ultima tratta.
«Non faccia tardi» si raccomandò uno di loro. «Ripartiamo tra un"ora.»
«Sarò veloce.» Si sarebbero messi in viaggio solo su comando di Walter, ma i russi lo ignoravano.
Il treno era alla stazione di Potsdamer Platz, su un binario morto, e lui impiegò solo pochi minuti per raggiungere a piedi il ministero degli Esteri nel cuore della città, al numero 76 di Wilhelmstrasse. L"ufficio spazioso del padre aveva una pesante scrivania di mogano, un ritratto del Kaiser e una vetrinetta in cui era esposta la sua collezione di ceramiche, compresa la fruttiera color crema del Settecento, acquistata nell"ultimo viaggio a Londra. Come aveva sperato, Walter trovò Otto alla sua scrivania.
«Le idee di Lenin sono chiarissime» disse al padre sorseggiando un caffè.
«Sostiene che in Russia si sono disfatti del simbolo dell"oppressione, lo zar, senza cambiare la società. Gli operai non sono riusciti a prendere il controllo, e così la borghesia continua a governare. In aggiunta a questo, Lenin, per qualche ragione personale, odia Kerenskij.»
«Ma è in grado di rovesciare il governo provvisorio?»
Walter allargò le braccia in un gesto di impotenza. «È particolarmente intelligente e determinato: un leader naturale, e non fa altro che lavorare. Ma quello dei bolscevichi è solo uno dei piccoli partiti, poco più di una decina, che si contendono il potere, e non c"è modo di capire chi la spunterà.»
«Quindi tutto questo sforzo potrebbe essere stato inutile.»
«A meno che non facciamo qualcosa perché vincano i bolscevichi.»
«Tipo?»
Walter inspirò a fondo. «Finanziarli.»
«Cosa?» Otto era indignato. «Il governo tedesco che dà soldi ai rivoluzionari socialisti?»
«Io suggerirei centomila rubli, per cominciare» continuò Walter impassibile.
«Preferibilmente in monete d"oro da dieci rubli, se riesci a procurartele.»
«Il Kaiser non acconsentirà mai.»
«Deve proprio saperlo? Potrebbe approvarlo Zimmermann: ne ha la facoltà.»
«Non farebbe mai una cosa del genere.»
«Sei sicuro?»
Otto rifletté fissandolo a lungo, in silenzio.
«Glielo chiederò» rispose infine.
IV
Dopo tre giorni trascorsi sul treno, i russi lasciarono la Germania. A Sassnitz, sulla costa settentrionale, comprarono i biglietti per il Queen Victoria, il traghetto con cui avrebbero attraversato il Baltico fino all"estremità meridionale della Svezia. Walter andò con loro. La traversata fu dura e tutti vomitarono tranne Lenin, Radek e Zinov"ev che, presi da un"accesa discussione politica sul ponte, non si accorsero dei marosi.
Salirono su un treno notturno per Stoccolma, dove la mattina seguente furono accolti con una bella colazione dal sindaco socialista, il borgmä stare. Al Grand Hotel Walter controllò se ci fosse una lettera da parte di Maud. Non trovò nulla. Era così deluso che si sarebbe buttato nelle gelide acque della baia. Quella era stata la seconda possibilità di comunicare con la moglie in quasi tre anni: qualcosa era andato storto.
Forse lei non aveva neppure ricevuto la sua lettera. Era tormentato da pensieri tristi.
Chissà se lo amava ancora. Lo aveva dimenticato? Magari c"era un altro uomo nella sua vita. Brancolava nel buio.
Radek e gli eleganti socialisti svedesi in qualche modo condussero Lenin – contro la sua volontà – al reparto di abbigliamento maschile dei grandi magazzini PUB. I suoi scarponi chiodati da montagna scomparvero. Comprò un cappotto con il colletto di velluto e un cappello. Ora, disse Radek, almeno era vestito da persona degna di stare alla testa del suo popolo.
Quando si fece notte, i russi andarono a prendere un altro treno per la Finlandia.
Walter si sarebbe congedato da loro a quel punto, ma li accompagnò comunque alla stazione. Prima della partenza del treno ebbe un incontro privato con Lenin.
Si sedettero in uno scompartimento illuminato da una fioca luce elettrica, che faceva brillare la testa calva di Lenin. Walter era teso. Doveva andare dritto al punto: era sicuro che con quell"uomo non si ottenesse alcun risultato con accorate suppliche né tanto meno facendo la voce grossa. Lo avrebbe persuaso solo con la fredda logica.
Si era preparato il discorso. «L"aiuto che il governo tedesco sta fornendo per il suo rientro in patria non è, come lei può ben immaginare, in nome dell"amicizia.»
Lenin lo interruppe con il suo buon tedesco. «Intende dire che andrà a scapito della Russia?» sbottò.
Walter non lo contraddisse. «Tuttavia lei ha accettato il nostro aiuto.»
«In nome della rivoluzione, l"unica discriminante fra il bene e il male!»
«Mi aspettavo una risposta del genere.» Walter reggeva una pesante valigia e la lasciò cadere per terra con un tonfo. «Nel doppio fondo di questa valigia troverà centomila rubli in banconote e monete.»
«Cosa?» L"imperturbabile Lenin per un attimo apparve sbalordito. «A che scopo?»
«Sono per lei.»
«Cerca di corrompermi?» chiese Lenin, offeso e indignato.
«No, certo. Non abbiamo bisogno di corromperla perché condividiamo gli stessi obiettivi. Lei vuole rovesciare il governo provvisorio e porre fine alla guerra.»
«E allora a cosa servono?» «Per la propaganda. Per aiutarla a diffondere il suo messaggio, lo stesso che vorremmo trasmettere anche noi: pace tra la Germania e la Russia.»
«Così potrete vincere la guerra imperial-capitalista contro la Francia!»
«Come le ho detto, non la stiamo aiutando per spirito di amicizia né lei se lo aspetterebbe. È solo pragmatismo politico, tutto qui. Al momento i suoi interessi coincidono con i nostri.»
Lenin lo guardò come aveva fatto con Radek quando insisteva per comprargli abiti nuovi: odiava l"idea, ma non poteva negare la sensatezza del suo discorso.
«Vi daremo la stessa somma ogni mese, sempre che, ovviamente, lei continui a battersi efficacemente per la pace.»
Seguì un lungo silenzio.
«Lei dice che il successo della rivoluzione è l"unica discriminante fra il bene e il male» continuò Walter. «Se è così, dovrebbe prendere questo denaro.»
Dal marciapiede risuonò il fischio del capotreno.
Walter si alzò. «Ora la devo lasciare. Arrivederci e buona fortuna.»
Lenin fissò la valigia sul pavimento del vagone senza restituirgli il saluto.
Sul marciapiede, Walter si voltò a guardare il finestrino dello scompartimento, quasi si aspettasse di veder volare fuori la valigia.
Risuonò un secondo segnale, seguito dal fischio del treno. I vagoni si mossero con uno scossone e, sbuffando, il convoglio con a bordo Lenin, gli altri esuli russi e il denaro uscì lentamente dalla stazione.
Walter prese il fazzoletto dal taschino e se lo passò sulla fronte. Malgrado il freddo, stava sudando.
V
Walter raggiunse a piedi il Grand Hotel percorrendo il lungomare. Era buio e dal Baltico soffiava il vento freddo dell"Est. Avrebbe dovuto sentirsi soddisfatto: era riuscito a corrompere Lenin! Invece provava un senso di delusione. Era soprattutto il silenzio di Maud ad avvilirlo. Poteva non avergli scritto per almeno una decina di ragioni. Non era il caso di pensare al peggio, eppure lui stesso era stato sul punto di innamorarsi di Monika: perché non sarebbe potuto accadere a Maud? Non riusciva a non pensare che forse lei lo aveva dimenticato.
Decise che quella sera si sarebbe preso una sbornia.
Al banco della reception gli consegnarono un biglietto scritto a macchina: “È
pregato di passare dalla suite 201. Qualcuno ha un messaggio per lei”. Immaginò che si trattasse di una comunicazione del ministero degli Esteri. Forse avevano cambiato idea sul finanziamento a Lenin. In quel caso era troppo tardi.
Salì le scale e bussò alla porta numero 201.
Dall"interno, una voce sommessa disse in tedesco: «Sì?».
«Walter von Ulrich.»
«Avanti, è aperto.»
Mosse un passo all"interno e chiuse la porta. La suite era illuminata da candele.
«C"è un messaggio per me?» chiese scrutando nell"oscurità. Una sagoma si alzò da una poltrona. Era una donna, di spalle, ma qualcosa in lei lo fece sussultare. La donna si voltò.
Maud.
Lui rimase a bocca aperta, impietrito.
«Ciao, Walter.»
Poi lei non riuscì più a controllarsi e si buttò fra le sue braccia.
Gli riempì le narici con il suo profumo di sempre. Walter le baciò i capelli e le accarezzò la schiena senza parlare, per timore di piangere. La strinse forte a sé, quasi incredulo che fosse veramente lei. Invece la stava proprio toccando: un momento per il quale si struggeva da quasi tre anni. Maud alzò gli occhi pieni di lacrime, e lui la fissò in volto, in adorazione. Era sempre la stessa, anche se più magra e con qualche sottilissima ruga intorno agli occhi, eppure aveva mantenuto quel suo sguardo vivo e penetrante.
«“Cominciò a scrutarmi il viso come se avesse voluto disegnarlo”» recitò Maud.
Lui sorrise. «Noi non siamo Amleto e Ofelia, quindi per favore non andare in convento.»
«Dio mio, quanto mi sei mancato.»
«Anche tu. Speravo in una lettera… e invece! Come hai fatto?»
«Ho detto all"ufficio passaporti che avevo in programma di intervistare alcuni politici scandinavi sul suffragio femminile. Poi a un ricevimento ho incontrato il ministro degli Interni e gli ho sussurrato due paroline all"orecchio.»
«Come sei arrivata qui?»
«Ci sono ancora navi passeggeri.»
«Ma è pericolosissimo… I nostri sommergibili stanno affondando tutto.»
«Lo so. Ho corso il rischio… ero disperata.» Cominciò a singhiozzare.
«Vieni.» Walter la guidò verso il divano tenendole il braccio attorno alla vita.
«No» fece lei quando stavano per sedersi. «Abbiamo aspettato troppo prima della guerra.» Lo prese per mano e da una porta comunicante lo accompagnò in camera.
Nel caminetto crepitava un ceppo. «Non perdiamo altro tempo. Vieni a letto.»
VI
Grigorij e Konstantin facevano parte della delegazione del soviet di Pietrogrado che lunedì 16 aprile a tarda sera accolse Lenin alla stazione Finlandia.
La maggior parte di loro non aveva mai visto Lenin, in esilio da quasi diciassette anni. Quando era partito, Grigorij aveva undici anni; ciò nonostante lo conosceva di fama, come del resto, a quanto pareva, le migliaia di altre persone che si erano riunite alla stazione per accoglierlo. “Come mai così tante?” si chiese Grigorij. Forse erano insoddisfatte anche loro del governo provvisorio, diffidenti nei confronti dei ministri borghesi e deluse che la guerra non fosse finita.
La stazione Finlandia si trovava nel distretto di Vyborg, in prossimità degli stabilimenti tessili e della caserma del 1° reggimento mitraglieri. Il piazzale era gremito. Grigorij non si aspettava attentati, ma aveva detto a Isaac di portare un paio di plotoni e parecchie autoblindo per sicurezza. Sul tetto della stazione c"era un riflettore che qualcuno manovrava sulla gente ammassata in attesa nel buio.
All"interno, la stazione era piena di operai e soldati con bandiere e striscioni Una banda militare suonava. Venti minuti prima di mezzanotte due plotoni di marinai composero la guardia d"onore sul marciapiede. La delegazione del soviet attendeva nella grandiosa sala d"aspetto riservata un tempo allo zar e alla famiglia reale, ma Grigorij uscì tra la gente sulla banchina.
Era circa mezzanotte quando Konstantin indicò i binari; Grigorij seguì il suo dito e vide in lontananza le luci del treno. Dalla folla carica di aspettativa si alzò un brusio.
Il convoglio entrò in stazione tra sbuffi di fumo e si fermò con un sibilo. Sul muso della locomotiva era dipinto il numero 293.
Poco dopo un uomo basso e tarchiato scese dal treno con un cappotto di lana doppiopetto e la lobbia. Non poteva essere Lenin, pensò Grigorij: di certo non avrebbe indossato abiti come quelli dei padroni. Una giovane si avvicinò per porgergli un mazzo di fiori, che lui accettò con un cipiglio scontroso. Era Lenin.
Alle sue spalle c"era Lev Kamenev, del comitato centrale bolscevico, che era andato ad attenderlo al confine in caso fossero insorti problemi; a Lenin, comunque, era stato consentito l"ingresso nel paese senza intoppi. Kamenev gli indicò la sala d"aspetto reale dove erano attesi.
Lenin molto sgarbatamente lo ignorò e si rivolse ai marinai. «Compagni!» gridò.
«Siete stati ingannati! Avete fatto una rivoluzione… e i suoi frutti vi sono stati sottratti dai traditori del governo provvisorio!»
Kamenev sbiancò. La linea di quasi tutta la sinistra era sostenere il governo provvisorio, almeno per il momento.
Grigorij, comunque, era deliziato: non credeva nella democrazia borghese. Il parlamento concesso dallo zar nel 1905 era stato un imbroglio, svuotato di ogni potere una volta che erano cessati i disordini e tutti erano tornati al lavoro. E adesso il governo provvisorio andava nella stessa direzione.
Finalmente qualcuno aveva il fegato di dirlo.
Grigorij e Konstantin seguirono Lenin e Kamenev nella sala d"attesa; la folla si accalcò e la invase completamente. Il presidente del soviet di Pietrogrado, Nikolaj Ckeidze – faccia di topo e calvizie incipiente -, andò incontro a Lenin per stringergli la mano. «A nome del soviet di Pietrogrado e della rivoluzione, noi salutiamo con gioia il tuo arrivo in Russia, ma…»
Grigorij guardò Konstantin sollevando un sopracciglio. Quel “ma” appariva leggermente fuori luogo in un discorso di benvenuto. Konstantin si strinse nelle spalle ossute.
«Ma noi crediamo che ora il compito principale della democrazia rivoluzionaria sia difendere la rivoluzione contro tutti gli attacchi…» Ckeidze fece una pausa, poi aggiunse con enfasi: «… interni o esterni che siano».
«Questo non è un benvenuto, bensì un avvertimento» mormorò Konstantin.
«Noi crediamo che a tale scopo sia necessaria da parte di tutti i rivoluzionari non la divisione, bensì l"unità. Ci auguriamo che concordi con noi per raggiungere questi obiettivi.»
Seguì un applauso di cortesia da parte di qualche delegato.
Lenin non rispose subito. Osservò i volti attorno a sé e il soffitto dalle decorazioni sfarzose. Poi, con un gesto che parve volutamente offensivo, girò le spalle a Ckeidze per rivolgersi alla folla.
«Compagni, soldati, marinai, operai!» esordì escludendo di proposito i parlamentari borghesi. «Saluto in voi l"avanguardia dell"esercito proletario mondiale… Da un momento all"altro potremo assistere al crollo di tutto l"imperialismo europeo… La rivoluzione che voi avete compiuto non è che l"inizio e ha posto le fondamenta di una nuova epoca. Viva la rivoluzione socialista mondiale!»
Si levarono applausi e grida di gioia. Grigorij era sbalordito; avevano fatto la rivoluzione solo a Pietrogrado… e gli esiti erano ancora incerti. Come si poteva pensare a una rivoluzione mondiale? Ciò nonostante l"idea lo entusiasmava. Lenin aveva ragione: tutti avrebbero dovuto ribellarsi ai capi che mandavano a morire tanti uomini in un conflitto mondiale privo di senso.
Lenin si allontanò a passo spedito dalla delegazione e uscì nel piazzale. Dalla folla in attesa si alzò un boato. I soldati di Isaac lo issarono sul tetto rinforzato di un"autoblindo. Il riflettore era puntato su di lui. Lenin si tolse il cappello.
La sua voce sembrava un latrato monotono, ma le parole erano esaltanti. «Il governo provvisorio ha tradito la rivoluzione!» gridò.
Acclamazioni. Grigorij era sorpreso: non aveva percepito che in tanti la pensassero come lui.
«Non vogliamo partecipare a questa vergognosa guerra di rapina imperialista. Con il crollo del capitalismo possiamo giungere a una pace democratica!»
Questo strappò un boato ancora più forte.
«Noi respingiamo le menzogne e gli imbrogli di un parlamento borghese! L"unica forma di governo possibile è il soviet dei delegati dei lavoratori. Tutte le banche devono essere espropriate e poste sotto il controllo del soviet. Tutte le terre private devono essere confiscate. E tutti gli ufficiali dell"esercito devono essere eletti!»
Era esattamente ciò che pensava Grigorij, che lo acclamò agitando le braccia insieme a tutti gli altri nella folla.
«Viva la rivoluzione!»
La folla andò in delirio.
Lenin scese dal tetto dell"autoblindo ed entrò nel veicolo, che si avviò a passo d"uomo. La folla gli si strinse intorno e lo seguì agitando bandiere. La banda militare attaccò una marcia.
«Questo è l"uomo per me!» esclamò Grigorij.
«Anche per me» fece Konstantin.
Si unirono al corteo.