f035-1
Nel Medioevo, si credeva che i pellicani si lacerassero il petto con il becco per trarne il sangue con cui nutrire i piccoli. Questo mitico atto di sacrificio, descritto in latino con il verbo «vulnerare», era usato come metafora per il sacrificio di Cristo.
Sulla terra del pastore anche l’edredone si rende vulnerabile per i suoi pulcini, anche se sono piume, e non sangue, che cadono dal suo petto. Con queste piume costruisce un nido per le uova; la sua pelle nuda, appena scoperta, le copre di calore. Cova per 28 giorni, durante i quali può perdere fino a un terzo del suo peso corporeo; alcune madri possono anche morire di fame.
Dopo l’incubazione, le uova si schiudono, le madri ritornano verso il mare con i piccoli e il pastore raccoglie le loro piume, la sua parcella per la protezione offerta. «Non raccolgo mai le piume prima che se ne siano andati» dice. «Alcuni produttori dicono che preferiscono prenderne un po’ già prima. A me piace invece lasciarle in pace, non disturbarle in nessun modo. Se le spaventi, saltano su e si mettono a cacare su tutto il nido.»
La scena descritta dal pastore è stata uno spettacolo diffuso in Islanda per secoli. Da queste parti le piume sono state raccolte fin dall’arrivo dei coloni scandinavi nel Nono secolo. La vista di migliaia di edredoni addomesticati vicino agli insediamenti umani sorprendeva i primi viaggiatori europei. C. W. Shepherd, un inglese che visitò l’isola di Vigur nei Fiordi Occidentali nel 1862, descrisse una fattoria assediata dagli edredoni: «Le anatre occupavano le mura di argilla che le giravano intorno e le feritoie delle finestre. Per terra, anatre circondavano la casa. Sul tetto di torba inclinato vedevamo anatre, e un’anatra era appollaiata sul raschietto per stivali. Un mulino a vento era infestato, e lo erano anche gli edifici annessi, i cumuli di terra, le rocce e le fessure. Le anatre erano dappertutto.»