Nel Medioevo, si credeva
che i pellicani si lacerassero il petto con il becco per trarne il
sangue con cui nutrire i piccoli. Questo mitico atto di sacrificio,
descritto in latino con il verbo «vulnerare», era usato come
metafora per il sacrificio di Cristo.
Sulla terra del pastore
anche l’edredone si rende vulnerabile per i suoi pulcini, anche se
sono piume, e non sangue, che cadono dal suo petto. Con queste
piume costruisce un nido per le uova; la sua pelle nuda, appena
scoperta, le copre di calore. Cova per 28 giorni, durante i quali
può perdere fino a un terzo del suo peso corporeo; alcune madri
possono anche morire di fame.
Dopo l’incubazione, le
uova si schiudono, le madri ritornano verso il mare con i piccoli e
il pastore raccoglie le loro piume, la sua parcella per la
protezione offerta. «Non raccolgo mai le piume prima che se ne
siano andati» dice. «Alcuni produttori dicono che preferiscono
prenderne un po’ già prima. A me piace invece lasciarle in pace,
non disturbarle in nessun modo. Se le spaventi, saltano su e si
mettono a cacare su tutto il nido.»
La scena descritta dal
pastore è stata uno spettacolo diffuso in Islanda per secoli. Da
queste parti le piume sono state raccolte fin dall’arrivo dei
coloni scandinavi nel Nono secolo. La vista di migliaia di edredoni
addomesticati vicino agli insediamenti umani sorprendeva i primi
viaggiatori europei. C. W. Shepherd, un inglese che visitò l’isola
di Vigur nei Fiordi Occidentali nel 1862, descrisse una fattoria
assediata dagli edredoni: «Le anatre occupavano le mura di argilla
che le giravano intorno e le feritoie delle finestre. Per terra,
anatre circondavano la casa. Sul tetto di torba inclinato vedevamo
anatre, e un’anatra era appollaiata sul raschietto per stivali. Un
mulino a vento era infestato, e lo erano anche gli edifici annessi,
i cumuli di terra, le rocce e le fessure. Le anatre erano
dappertutto.»