Brunella Schisa
Tutto in una notte
00.07. Gloria sorrise divertita. Certamente non era un caso che avesse spento la luce nel momento in cui l’orologio-sveglia proiettava sul soffitto quei tre magici numeri in rosso. James Bond le stava dando la buona notte. Aveva proprio bisogno di un viatico. Dal primo pomeriggio, per riempire il vuoto pneumatico di quella giornata, seguiva The Hunter. Dieci puntate senza soluzione di continuità. Ecco a cosa costringeva il Covid-19, a fare maratone insensate di serie tv. Avrebbe sognato nazisti cattivissimi ed ebrei vendicativi tutta la notte. Colpa di Al Pacino. Per lui era disposta a seguire anche serie violente che non le piacevano.
Si era data coraggio sgranocchiando cracker e formaggi. A ogni nazista ammazzato, un rimbocchino di vino rosso. Adesso crollava dal sonno. Peccato che le briciole le pizzicassero schiena e sedere. Accese la luce, scese dal letto per ripulire l’immondo giaciglio e affondò i piedi in una pozza d’acqua.
«Oddio!»
Guadò la camera da letto, pattinò nel corridoio con l’acqua alle caviglie. Si muoveva al buio correndo verso lo spaventoso rumore proveniente dal bagno. «Possibile che abbia lasciato il rubinetto aperto?» Non ebbe il tempo di rispondersi. Si ritrovò stesa per terra con la schiena e la testa a mollo. Era scivolata sul marmo prendendo un’insaccata bestiale. Adesso non riusciva a muoversi. Le doleva tutto, schiena, collo, osso sacro.
«Devi alzarti e accendere la luce!» urlò a se stessa per darsi coraggio. Si aggrappò al bidet, ma il polso destro le faceva un male cane. Si mise in ginocchio e poi con fatica si alzò. Accese la luce. La cascata proveniva dal mobile a incasso del lavandino. Aprì lo sportello alla ricerca della chiave dell’acqua. Non c’era.
«Aiuto!» gridò alla casa vuota. «Aiuto!»
L’acqua scorreva implacabile. Con cautela andò in cucina a prendere una bacinella di plastica per metterla sotto la cascata e svuotare il contenuto nella vasca da bagno mentre prendeva tempo per ragionare. Con somma angoscia scoprì che la bacinella si riempiva troppo velocemente. Avrebbe fatto la fine di Topolino, apprendista stregone.
Zoppicando tornò in camera e afferrò il telefono. Chi chiamare? La città era sigillata. Nessuno poteva soccorrerla nel cuore della notte. Suo figlio viveva a Berlino. Sua sorella si era rifugiata in campagna col marito.
«I pompieri!» urlò. Avrebbe cercato il numero su Google pensò andando a recuperare il cellulare sul comodino. La mano le doleva ed era così bagnata che per un po’ non riuscì a sbloccarlo. Dovette asciugare la sinistra sul lenzuolo. Digitò il 115.
«Vigili del fuoco» rispose una voce asettica.
«Ho bisogno di aiuto, sono…» esitò. Al diavolo la civetteria! «Sono anziana e si è rotto un tubo dell’acqua. Mi si sta allagando la casa».
«Signora deve chiudere l’acqua».
«Il problema è che non trovo la chiave»
«Lei mi sta dicendo che non sa dove è la manopola dell’acqua?»
«Scusi che fa mi rimprovera? Sono nei guai, si sta allagando tutta la casa e non so chi chiamare».
«Spiacente, ma noi non possiamo fare nulla. Su questo tipo di emergenze non interveniamo.»
Gloria mise giù furibonda. Guardava desolata l’acqua coprire il parquet, entrare negli angoli, insinuarsi sotto le porte.
«Fra un po’ gocciolerà anche nella casa dell’odioso pizzettaro! Proprio lui dovevo avere al piano di sotto».
Senza pensarci due volte, indossò delle scarpe con la para, aprì la porta di casa e scese le scale. Fece un profondo respiro e suonò il campanello.
Silenzio. Ci riprovò altre due volte e sentì distintamente lo squillo risuonare nell’appartamento. Nulla. Tutto taceva.
«Forse il pizzettaro è fuori. Sarà scappato dalla città infetta. Vigliacco!»
Con la coda dell’occhio vide un rivolo d’acqua cominciare a scendere gli scalini, uno dopo l’altro. Plin… Plin… Plin… Il terrore vinse le sue ultime remore. Si attaccò al campanello e vi rimase incollata anche quando la porta si aprì. Il suo vicino in un pigiama stazzonato e i pochi capelli dritti in testa la accolse con il volto deformato dalla rabbia.
Degli inquilini del palazzo, Sandro Fiumi era il più antipatico. L’appellativo di “pizzettaro” glielo aveva affibbiato l’avvocato Bonetti dell’ultimo piano, perché Fiumi possedeva un ristorante in periferia, ed era certamente sprovvisto di laurea, cosa che per Bonetti era una macchia sulla fedina penale. Gloria non condivideva la sua spocchia, ma certamente il signor Fiumi non le era simpatico. Alle riunioni di condominio spaccava il capello in quattro e creava tensione fra i cinque gatti che abitavano nel palazzo. Aveva un forte accento meridionale ma era sprovvisto della simpatia delle genti del Sud. Insomma, per i piani alti del condominio era considerato un paria. Un arricchito. Un cafone fatto e finito.
«Mi si sta allagando la casa e non so dove si chiude l’acqua» gemette Gloria.
Il pizzettaro riuscì a ricomporre il volto ma non fu in grado di nascondere la sorpresa di vedersi apparire nel cuore della notte la vicina di casa con i capelli attaccati al volto come Carrie lo sguardo di Satana e la camicia da notte bagnata.
«Credo che i nostri appartamenti siano uguali. Lei sa dove si trova la manopola dell’acqua?» chiese Gloria fuori di sé dall’angoscia.
Il pizzettaro lanciò uno sguardo preoccupato al rivolo d’acqua che scendeva dalle scale.
«Ho paura che presto filtrerà sul suo soffitto. Dobbiamo fermala» aggiunse lei per smuoverlo.
«Arrivo subito» rispose l’uomo. Scomparve per pochi secondi che a Gloria sembrarono un’eternità. Riapparve con un’orripilante vestaglia a scacchi, delle pantofole di pelo e le chiavi in mano.
Salì due a due gli scalini attento a non scivolare. Gloria aveva lasciato la porta di casa spalancata e lui entrò sicuro come se conoscesse l’appartamento. In realtà erano tutti uguali e a parte le modifiche personali dei proprietari, i bagni e la cucina erano rimasti dove li aveva disposti il costruttore.
Il pizzettaro attraversò l’appartamento come Mosè tra le acque del Mar Rosso e si diresse spedito in cucina. Si inginocchiò inzaccherandosi il pigiama e infilò la testa sotto il lavello. Riapparve paonazzo per lo sforzo. Era scuro di carnagione e gli pulsavano le vene sul collo magro.
«Fatto» disse.
Gloria si era accasciata su una sedia, stringendosi la mano destra. Il polso le faceva un male cane. Cominciò a piangere desolata. Difficile dire se per il parquet rovinato o per il dolore. Adesso come faceva ad asciugare?
«Temo di essermi slogata il polso» disse muovendolo debolmente sotto il naso del vicino. «Sono scivolata nel bagno e ho preso una botta terribile. Forse ho sbattuto anche la testa.» Mentì per impietosirlo. Aveva bisogno di lui. Pazienza se era antipatico.
Una ruga attraversò la fronte del pizzettaro, il suo volto era una maschera preoccupata.
«Starà pensando ai danni che ho procurato al suo appartamento. Adesso mi chiederà se sono assicurata.» Gloria si mise istintivamente sulla difensiva e sentì una contrazione allo stomaco. Ma l’uomo la stupì.
«Mi dica dove sono gli stracci e la ramazza. Dobbiamo eliminare tutta l’acqua».
La ramazza? Ma come parla? Non siamo mica in caserma, pensò.
«Non ce l’ho la ramazza» disse senza riuscire a nascondere il fastidio di sentirsi in colpa per la propria inadeguatezza e per il suo snobismo.
«Avrà una scopa. Meglio sarebbe di saggina».
«Quella non ce l’ho di sicuro. Ho una scopa normale».
«Va bene tutto. Basta che ci sbrighiamo».
«Sono sul balcone». Gloria si alzò di scatto e provò ad aprire la portafinestra ma lanciò un urlo. La mano pulsava ed era inutilizzabile.
«Faccio io» disse il pizzettaro.
Lei lo guardò inebetita muoversi con sicurezza nell’appartamento. Per mezz’ora strigliò il pavimento disperdendo l’acqua per le scale e sul balcone. Sudava, nonostante non facesse per nulla caldo e si muoveva come se non avesse fatto altro nella vita che lavare e asciugare pavimenti. Gloria lo seguiva come un automa, il più delle volte intralciandolo. Era sotto shock.
Quando il grosso dell’acqua sembrò eliminato, il pizzettaro cominciò a passare gli stracci.
«Ha degli asciugamani?» chiese.
«Sì, nel cassettone. Venga con me e mi aiuti ad aprirlo».
Lui la seguì nella camera da letto.
«Prenda tutto». Gloria cominciò a tirare fuori con la mano sinistra il suo corredo.
«Lasci perdere il lino. Serve la spugna».
«Faccia lei».
Per un’altra mezz’ora il pizzettaro asciugò l’appartamento.
«Per fortuna l’acqua è andata in una sola direzione e ha risparmiato il salotto. Il parchettista non ha fatto un buon lavoro, ma è stata una fortuna per lei.» Forse per la stanchezza non riusciva a controllare le inflessioni meridionali che adesso si accanivano sulle vocali aperte e chiuse a sproposito.
Gloria lo scrutò. Le ciabatte zuppe, la vestaglia slacciata. Aveva arrotolato il pigiama ai polpacci mostrando delle gambette da poliomielitico. Lo sguardo le cadde sul buco nero della patta e inorridì. Lui colse lo sguardo e si chiuse velocemente la vestaglia.
Tacquero imbarazzati.
«Adesso bisogna pensare al suo polso» disse il vicino con un tono sorprendentemente amichevole.
«Temo sia rotto».
«La accompagno al pronto soccorso».
«Per carità! Per una frattura non vado a chiedere aiuto e a sprecare energie di persone che lottano per la vita di malati molto più seri.»
«In effetti rischia di passare tutta la notte in attesa e infettarsi.»
«Non è per questo. Non solo per questo. Mi vergognerei del mio banale incidente domestico. Domani andrò a fare una radiografia.»
«Mi faccia vedere.»
Gloria gli porse il braccio e lui lo maneggiò come se fosse una porcellana di Sèvres.
«Bisogna steccarlo. Ha delle fasce e dei cerotti?»
«Non lo so. Mi segua.»
Nell’anticucina gli mostrò un armadio a scomparsa.
«Lo apra. Dentro c’è una scatola bianca con scritto Pronto Soccorso, non prenda quella identica con la scritta Medicine.»
Lui ubbidì e portò la scatola in cucina. Rovistò scontento tra garze, cerotti, ovatta, alcol e acqua ossigenata senza trovare alcuna fascia.
«Vado a prendere l’occorrente. Torno subito» annunciò.
Gloria annuì stremata. Per la prima volta il decisionismo del pizzettaro, la sua arroganza le tornavano utili. Appoggiò la testa sulle braccia adagiate sul tavolo. Le lacrime cominciarono a scorrerle sulle guance, poi sul collo. Non aveva la forza di fermarle. Si sentiva un’idiota. Come le era venuto in mente alla sua età di correre scalza al buio? Avrebbe potuto sbattere la testa, rompersi il femore in piena emergenza sanitaria. Che incosciente sesquipedale! Complimenti Gloria, adesso però smettila di frignare. Cerca di pensare in positivo. Non osare lamentarti. Potresti trovarti intubata in terapia intensiva, invece sei ancora a casa tua e se non fai altre idiozie potrai restarci.
Sentì i passi del vicino e drizzò la schiena. Sandro Fiumi era certamente un uomo abituato a comandare, a decidere, ecco perché alle riunioni di condominio contestava l’amministratore cavillando su ogni voce di spesa. Per questo Gloria lo detestava, per quell’aria saputella e arrogante di buzzurro senza uso di mondo. Ma forse era proprio il suo carattere decisionista a renderlo affidabile. Vederlo apparire munito di un piccolo cestino di vimini fu per Gloria un sollievo.
«Innanzi tutto dobbiamo disinfettare» disse lui aprendo una bottiglietta gialla con cui impregnò dell’ovatta tingendola di un liquido scurissimo.
Il braccio di Gloria divenne arancione con tendenza al viola.
Lui tirò fuori dal cestino due stecche di legno e le misurò sul polso di lei.
«Ne ho fatte un paio per scegliere la più adatta.»
Gloria guardò il suo arto ingiuriato, poi le mani. Erano quelle di una vecchia. Ebbe l’impulso di ritirare il braccio ma lui la teneva con presa salda.
«Meglio la più piccola. Lei ha il polso sottile.»
«Dove ha preso queste stecche? Possiede una sanitaria?»
«Le ho fatte io adesso. A casa ho una discreta attrezzatura e mi piace il bricolage.» Poi la guardò pensieroso e la ruga sulla fronte si fece più profonda. «C’è un piccolo problema» disse esitante.
«Quale?»
«Il suo polso è fuori asse, devo raddrizzarglielo.»
«Raddrizzarmelo?»
«La farò molto male, ma è necessario.»
«E lei come lo sa?»
«Non lo so. Me lo dice l’istinto.»
Gloria alzò lo sguardo all’orologio al muro. Segnava le 2.07.
James Bond aveva lasciato il posto a Bruce Wayne. Doveva fidarsi di Batman.
«D’accordo, lo faccia.»
«Aspetti, prenda questo tovagliolo e lo stringa forte… E urli pure quanto vuole.»
Gloria con lo straccio di cucina in bocca, gli occhi pieni di lacrime annuì. Era terrorizzata.
Una lama affilata le tagliò il corpo in due scaricando il dolore al cervello. O forse fu il contrario.
Svenne e non seppe mai se avesse urlato o no.
Quando riprese i sensi era distesa a terra con un cuscino sotto la testa e il polso fasciato.
«Non ce l’ho fatta a portarla in braccio sul divano. Mi spiace» le disse Sandro Fiumi. Le luci fredde della cucina gli allungavano il volto scavandogli le rughe. Quanto anni aveva? Sessantacinque? Settanta? Più o meno erano coetanei.
«Sto bene qui. Non credo di avere la forza di alzarmi» disse Gloria per prendere tempo. Avrebbe passato la notte sul pavimento pur di non fare altri sforzi. Il dolore le martellava in testa, arrivava al braccio che si stava gonfiando.
«L’aiuto io. Dovrebbe cambiarsi. È ancora bagnata. Non penserà di andare a dormire in queste condizioni?»
«A dormire? Il dolore non mi farà chiudere occhio.»
«Le ho portato un antidolorifico. Dovrà però mettere prima qualcosa nello stomaco. Non può essere preso a digiuno» disse tendendole le braccia per aiutarla ad alzarsi.
Gloria accettò e si rimise in piedi. «Grazie, ora posso fare da sola. Lei mi aspetti in cucina così faremo insieme una tisana. Ma non mi chieda di mangiare più di un biscotto, ho lo stomaco contratto.»
«Metta subito una fascia al collo. Deve tenere il braccio in alto, mi raccomando» lo sentì dire mentre entrava in camera.
Gloria avrebbe voluto accasciarsi sul letto e chiudere gli occhi, ma sapeva che il dolore le avrebbe negato il sonno. Aprì l’armadio e passò in rassegna le camicie da notte. Tutte o troppo scollate o troppo penitenti. Scelse la più comoda. Larga, lunga fino ai polpacci. Mortificante. Muovendosi come sulle uova andò in bagno. Il marmo adesso era perfettamente asciutto. Solo negli angoli rimaneva qualche residuo d’acqua. Si può odiare un bagno? Quanto le sarebbe costato rifare il parquet? L’assicurazione certamente non avrebbe coperto tutto il danno.
Afferrò la vestaglia e raggiunse il vicino in cucina. Solo in quel momento si rese conto che anche lui si era cambiato. Indossava un pigiama stirato e al posto della vestaglia fradicia aveva messo un lungo maglione blu di cotone che gli arrivava a metà coscia. Sembrava un marinaio in pensione. Mentre costruiva stecche, prendeva disinfettante e fasce, Sandro Fiumi aveva avuto il tempo di cambiarsi. Ai piedi calzava dei mocassini scamosciati blu.
«Mi sono permesso di accendere il bollitore.»
«Ma non aveva chiuso l’acqua?»
«Sì, mentre asciugavo il bagno ho visto il danno: si è rotto un flessibile. Le sarà difficile trovare un idraulico disposto a venire a sostituirlo. Intanto ho chiuso l’acqua nel suo bagno ma potrà usare il secondo e la cucina.»
«Ho solo una tisana al Bergamotto» disse Gloria per cambiare argomento. Non aveva voglia di pensare all’accaduto.
Lui le sorrise. «Dove tiene i biscotti?»
«Nel pensile di fronte a lei troverà delle fette biscottate.»
«Vuole che ci metta un velo di marmellata?»
«Magari! La marmellata d’arancia è nel frigorifero, in alto a destra. Mangerò soltanto una fetta, di più non ce la faccio.»
Quindi ammutolì, vergognandosi del tono da zarina dell’ultima frase. Si comportava come se le fosse tutto dovuto. Osservò in silenzio il vicino muoversi con gesti parsimoniosi e giurò a se stessa di non chiamarlo mai più pizzettaro.
«Sandro, io non so come ringraziarla. Senza di lei sarei stata perduta. Avrei allagato il palazzo. Forse sarei annegata.»
«Non esageri.»
«La prego, prenda qualcosa anche lei.»
«Farei volentieri un caffè.»
Gloria lanciò uno sguardo all’orologio: 3.07. «Ma così non dormirà.»
«No, infatti, ma non è un problema. Sono abituato a svegliarmi prestissimo.»
«Per scelta?»
«Per abitudine. Ho lavorato sodo tutta la vita. Mio padre era un pescatore e io ho cominciato vendendo il pesce. Poi ho aperto un bistrot e da lì una catena di ristoranti. Ne ho uno a Roma, uno a Gaeta e uno nel Cilento. Adesso ho deciso di tirare i remi in barca. Sono in trattativa con un ristoratore interessato a comprarli tutti e tre.»
«E andrà in pensione?»
«Aprirò una pizzeria al taglio in centro, una piccola cosa.»
«Pizza al taglio?» chiese incredula Gloria. L’avvocato Bonetti era un veggente?
«Sì, un piccolo investimento. Non ho bisogno di molti soldi. I miei figli non sono interessati alla mia attività. Hanno scelto altre strade. Il primo vive a Ginevra, la seconda a Utrecht.» Intanto aveva preparato la fetta biscottata, trovato moka e caffè e si apprestava ad accendere il fuoco. «La sera dovrebbe chiudere il gas… Sa dov’è la chiavetta, vero?» le chiese preoccupato.
«Certo, è lì!» rispose Gloria indicando col mento un pomello a destra dei fuochi. «In genere lo faccio, ma qualche volta me lo dimentico.»
«Dove tiene le tazzine?»
«Mi scusi. Sono lì, in alto a destra.»
Lui aspettò in piedi che salisse il caffè. Era dritto come un fuso. Di una magrezza spettrale. Sembrava fatto con il filo di ferro.
«Adesso i suoi ristoranti sono chiusi?»
«Sì. Il paese è sigillato. Usciamo con la giustificazione in tasca e ci teniamo a un metro di distanza dagli altri.»
Gloria sussultò. «Già… e noi stanotte ci siamo scambiati sudore e lacrime.»
«Pensa che potremmo esserci infettati?»
«Non lo so, spero di no.»
Il caffè era uscito. Sandro Fiumi andò a sedere di fronte a Gloria. Si guardarono a lungo, senza disagio. Lui aveva il volto distrutto dal mancato sonno e dalla fatica. Forse anche dalla responsabilità. Aveva soccorso una donna sola in un momento di grande difficoltà. Per questo meritava che lei fosse sincera.
«Sandro, perché è stato così scostante in questi anni?»
«Perché sono antipatico, pignolo e ossessivo.»
«Quindi lo ammette?»
«Sì, senza difficoltà. E lei Gloria? Si ritiene una persona simpatica?»
«Certamente non lo sono stata con lei e le chiedo scusa.»
«Me lo sarò meritato. Quando usciremo da questo incubo, saremo tutte persone migliori. Sia io che lei. Avremo scoperto di non essere onnipotenti.» L’ultima frase la accompagnò con un sorriso mesto. Fissava la tazzina senza decidersi a bere il caffè.
Gloria invece aveva mangiato con gusto la fetta biscottata. «Cambierà la nostra idea del mondo» disse soffiando sulla tisana. «Cambieranno le nostre relazioni. Molti matrimoni si romperanno. Altri si rinsalderanno.»
Lui scosse il capo. «Certe volte non capisco la natura umana. Ora che possiamo ordinare la spesa e il mondo intero dal nostro divano, patiamo la clausura.»
«Io credevo di non patirla. Non ho mai avuto paura della solitudine. Nemmeno in questo frangente.»
Bevve un sorso e arricciò il naso. La tisana era ancora troppo calda. Sospirò. «Fino a stasera, quando mi sono sentita perduta. Non so se il virus potrà farmi più paura di questa avventura.»
Sandro Fiumi sorbì in silenzio il caffè. Poi le sorrise. «Dove tiene i cucchiaini? Devo darle l’antidolorifico.»
Gloria cercò di nascondere il suo turbamento. Da quanto tempo un uomo non si occupava di lei? «Sono nel primo cassetto. Grazie.»
Lo osservò attenta mentre contava a bassa voce le gocce che versava da una boccetta. La mano sottile era ferma, sicura.
«È Toradol. Le calmerà il dolore e potrà riposare qualche ora.»
Sto vivendo insieme al mio vicino ex antipatico un momento epocale, pensò Gloria mentre lo inghiottiva. Era amaro. Fece una smorfia. Poi scrollò il capo. «Usciranno libri, film, serie tv. Magari c’è già qualcuno che sta scrivendo un nuovo Decamerone. La grande epidemia scandirà il tempo» disse come parlando a se stessa.
«Se qualcuno fra qualche anno dovesse chiederle: “Cosa ricorda della pandemia?”, lei cosa risponderebbe?»
«Che non ho mai avuto tanta paura nella vita, ma anche tanta fortuna.»
Gli sorrise e guardò l’orologio. 4.07
Si alzarono insieme e lei lo accompagnò alla porta. Non aveva più parole. Rimase in silenzio.
«Domani se vuole l’accompagno a fare la radiografia» le disse lui giocherellando con le chiavi.
Lei gli sorrise e si ravviò i capelli. Doveva sembrargli una strega.
«Non ho nemmeno il suo numero di telefono.»
«Non importa. Salgo da lei domani alle dieci.»
«La aspetto.»
«Faremo la quarantena assieme.»