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“A Montecarlo, tutta la terrazza sembra una fiera pazza d’ombrellini” la poetica del Govoni esplode luminosa, come un fuoco d’artifizio… Artifizio? Natalia solleva il mento, crollato un attimo prima sul bavero del piumino blu. «Ma come parla questo?» Crede di averlo solo pensato e invece no. Magari l’ha appena farfugliato ma qualcuno ha sentito. La signora che le siede accanto non riesce a trattenere una risatina di consenso, le stringerebbe la mano se ne avesse il coraggio. Un vecchio dalla pelle maculata, l’apparecchio acustico piantato nell’orecchio, si volta stizzito: «Se non le interessa se ne può anche andare». Per fortuna il resto dei presenti (Cinquanta? Sessanta? Natalia prova a contarli) è collassato in un torpore mansueto, da cui si riprenderà, è probabile, solo per applaudire alla fine. Hanno ceduto uno dopo l’altro, come per una narcolessia epidemica. Giacinto Turchetti prosegue il suo excursus di critica letteraria nel completo disinteresse degli astanti.

Se non le interessa se ne può anche andare, ha ragione il vecchio. Una stilettata di freddo la colpisce alla nuca. Spiffero assassino, da dove arrivi maledetto? Natalia raccoglie la sciarpa caduta a terra e se la avvolge intorno al collo come se dovesse ingessarlo. Dato che c’è si infila anche i guanti. «All’entrata avrebbero dovuto distribuire dei plaid» ironizza la vicina mentre si sfrega le mani per riscaldarsi.

Che scena fantozziana, mi metterei anche a ridere se la osservassi da fuori, ma dato che ci sono finita dentro… già, come ci sono finita? Tè bollente, cioccolata calda… Per non cedere all’ipotermia (si ricorda che può fare strani scherzi, tipo che non ti ricordi più dove sei, chi sei e a che ora parte il treno) elenca mentalmente bevande che le darebbero conforto. Un grappino, un Vov, lo fanno più il Vov? Oh povero povero povero Corrado Govoni, finito nel dimenticatoio dei poeti minori e riesumato pretestuosamente per questo convegno asfittico. Sale con fatica sulla pedana un attore della Casa di Riposo di Forlì, amico, così almeno lo presentano, del poeta, che a Ferrara “visse gli anni della formazione”. Ha le spalle rigide, incassate dall’artrosi, le mani volteggiano come artigli mentre declama: «Sole e baci, baci e sole, è tempo di viole». All’improvviso il ricordo del padre: da bambina quando metteva il muso, forse per un lieve torto subìto o per un capriccio insoddisfatto, suo padre cadeva in ginocchio, spalancava le braccia: sole e baci, baci e sole… e lei correva da lui per farsi stropicciare di tenerezze. Il capriccio era dimenticato, la piccola trillava come un uccellino, così le ricordava il padre da vecchio: trillavi come un uccellino, papà il campanello trilla, l’uccellino cinguetta. Quanto eri simpatica da piccola! Sottaceva il resto della frase: peccato che ora non lo sei più! La madre invece non faceva che ripeterglielo: perché ti sei così indurita Lia? Non chiamarmi Lia, mamma per favore, nessuno mi chiama Lia da quarant’anni. Ecco, vedi come sei intollerante, una zarina. Ricordi che si incuneano senza ragione, approfittano del tedio, una matassa di parole dette, sentite, ripetute e il desiderio di un Vov caldo.

Sarà che dopo pranzo non si può parlare di poesia, che ore sono? Già le quattro? Sarà che l’età media dei partecipanti è superiore alla più benevola delle casistiche sulla quarta età, in prevalenza femmine, come al solito, sarà che Palazzo Paradiso è troppo sontuoso, troppo regale per un’occasione così male organizzata, sarà… Natalia si alza di scatto mentre Giacinto Turchetti riprende la parola. Permesso, mi scusi permesso… mai sedersi nei posti centrali, in mezzo alla fila, sempre da un lato, dovesse esserci un’evacuazione improvvisa, un incendio, un commando di pazzi armati che spara sul pubblico, una semplice crisi di panico, mai in mezzo, vicino all’uscita di sicurezza, sempre, e possibilmente dove nessuno ti possa notare se ti alzi all’improvviso per andare a fare la pipì. La sua ansia, assidua compagna di viaggio, glielo ripete con puntualità ossessiva, ma lei qualche volta si dimentica e ci casca, per la voglia di seguire al meglio, scrupolosa, disciplinata, né troppo avanti né troppo indietro, posto centrale.

Permesso… scusi… ginocchia e ombrelli, piedi lenti a reagire, borsette ingombranti, è un percorso a ostacoli che risveglia l’interesse del pubblico addormentato.

Via, via, vieni via di qui! Le canta Paolo Conte. Niente più ti lega a questi luoghi, neanche questo tempo grigio. Natalia si precipita al guardaroba, dove ha lasciato il minitrolley e corre all’uscita. Pensare che non ho neanche visitato la Biblioteca Ariostea. Che spreco di tempo.