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«Signora! Signora! Le sono caduti quando si è alzata. Signora!» La vicina di fila la raggiunge affannata, brandendo i suoi occhiali da presbite. Ora si ricorda, li ha tirati fuori per leggere la brochure. Occhiali di farmacia, rossi per cercare di non perderli.
La benefattrice ha anche un marito, compare da dietro, a sorpresa. Di scatto l’uomo si toglie un simil Borsalino di panno grigio e denuda il cranio lucido. Quasi si inchina, le tende la mano: Arturo Feliciangeli, piacere, siamo scappati anche noi. La moglie aggiunge qualcosa. Via, via, vieni via di qui, Natalia ha in testa Paolo Conte, che canta solo per lei. Non li ascolta ma cerca di simulare interesse o almeno ci prova, per cortesia, mai stata brava in queste cose. La moglie annuisce: «Che delusione. Va be’ che è stata anche una scusa per tornare a Ferrara, con il fatto che siamo vicini, finisce che non ci si va mai». Parlano una sopra l’altro, non si capisce chi inizia e chi termina la frase. Affiatamento di coppia? Osmosi? In fondo sono stati gentili. «Da dove venite?» chiede. «Da Bologna. Saranno neanche quaranta chilometri, vero amore?» Bello sentir pronunciare la parola amore tra coniugi di una certa età, con quel suono morbido e caldo del bolognese che… non sarà magari un secondo matrimonio? Anche se fosse avranno almeno venti, ma forse anche quarant’anni di vita fianco a fianco. Bravi però, che coraggio. Cerca di ricordarsi quand’è l’ultima volta che ha pronunciato la parola amore a voce alta, gatto escluso. Sembrano coetanei, sulla settantina. Ma perché si parlano addosso?
«Abbiamo lasciato la macchina al parcheggio.»
«E ora mia moglie non trova il tagliando» Lui alza di un’ottava il tono della voce.
«Ma sei sicuro che l’hai dato a me e non l’hai lasciato in macchina?»
«La signora è venuta con il treno? Ha bisogno di un passaggio?»
«Se vuole l’accompagniamo noi alla stazione, fa così freddo.»
«A piedi saranno almeno venti minuti, in macchina neanche cinque.»
«Ma prendile il trolley Arturo per favore!»
«Amore hai trovato il tagliando?»
«Il trolley della signora, Arturo! Lo vuoi prendere? Oh, cavolo, che ti ci vuole?!»
Succede tutto in un secondo, Natalia si ritrova, non sa come, seduta accanto al guidatore, su una Panda cross color canarino. Che è cross gliel’ha spiegato Feliciangeli, che è color canarino se ne sarebbe accorto anche un cieco.
«Sa perché abbiamo scelto questo colore? Perché così di notte, con la nebbia, non ci vengono addosso.»
Natalia ha perso il senso dell’orientamento, non capisce dove stanno andando, è stordita.
«Sa che le dico, ce la portiamo noi a Bologna, a che ora ce l’ha il treno?»
«Ma no grazie, grazie davvero, siete stati già così gentili.»
«In venti minuti siamo arrivati, guardi, noi alla stazione ci passiamo davanti, abitiamo in via Montebello, due passi.»
«Davvero, non vorrei disturbare…» è in difficoltà ma la signora bolognese la rassicura.
«Io qui dietro sto anche più comoda, mi metto di traverso e allungo le gambe.»
«Ma lei è venuta da Roma per sentire le poesie di Corrado Govoni?»
Vorrebbe rispondere con una formula che non lasci spazio ad altre domande, altrimenti le tocca raccontare che Govoni piaceva a suo padre, che lo recitava a memoria. Si dimentica intanto la domanda, cosa le ha chiesto la signora?
«Signora! Si sente bene? Vuole che facciamo entrare un po’ d’aria?»
Si accorge di non aver risposto. Nell’abitacolo, con il riscaldamento al massimo, si è fatto un improvviso silenzio d’imbarazzo.
«Scusatemi, no, sono capitata per caso, volevo visitare la Biblioteca di Palazzo Paradiso, ho visto che c’era il convegno, in realtà sono partita ieri, per andare al Meis.»
«Al cosa?»
«Il museo dell’ebraismo, della storia dell’ebraismo e della…»
Feliciangeli la interrompe: «Ah perché lei è ebrea?».
«No, ma mi interessa, hanno riqualificato un vecchio carcere e…»
Feliciangeli la interrompe di nuovo: «Eh ma che tristezza!».
«Falla finire di parlare.»
La moglie ha un tono sinceramente seccato.
«Un carcere che diventa un museo della Shoah… più tristezza di così.»
«Vuoi star zitto?»
Natalia si vorrebbe buttare dalla macchina in corsa.
Sì, mamma, ovunque tu sia, lo ammetto: sono intollerante, mi irritano quelli che vogliono fare a tutti i costi gli spiritosi, quelli che parlano delle cose che non conoscono, quelli che si chiamano Amore ma non si sopportano da anni. Sì, mamma, rivendico il mio essere zarina anche se non ho mai capito bene cosa volesse dire. Forse siamo tutti un po’ cretini, ma ci sono alcuni cretini che lo sono più degli altri e a quelli non mi adatto. Avrei preferito prendere la coincidenza ed arrivare a Bologna con il treno.