9 gennaio, ore 8.00
Casa mia è ai margini di Borgo Marino, tra la ferrovia che taglia tutta la riviera e il mare. È una tipica villetta dei primi del Novecento, era dei miei genitori, e sono riuscita a conservarla attraverso gli alti e i bassi della mia vita. Ha un piccolo giardino, e dal terrazzino si vede il mare. Ci sto bene, non vorrei abitare da nessun’altra parte, non ho mai desiderato avventure o sorprese. Se Marcello fosse rimasto con me e Bea e ci avesse voluto bene, io sarei stata una donna perfettamente felice. Casa, lavoro, famiglia. Libri della biblioteca, Sky, qualche gita in città per andare a teatro e ai concerti, due viaggi all’anno in grandi capitali europee per vedere musei e monumenti. Tutto lì. E ogni giorno il mare: liscio a tavola blu o tempestoso, freddo o torrido, increspato o affannato, il mare è il mio metronomo, e dà il ritmo alla mia vita. Qui, senza Marcello, prima sola e poi con Daniele, sono stata “abbastanza” felice. Quasi uguale, ma non proprio. No.
Va be’. Inutile pensarci, in questa gelida mattina di gennaio; un freddo insolito per una cittadina di mare, eppure è così, gelida. Lo capisco guardando dalla finestra della cucina: è tutto brinato, e gli uccellini grati si strafogano delle briciole di pandoro vecchio che ho messo fuori ieri sera. Mi faccio il caffè, tiro fuori i biscotti pain croûte e la marmellata, e intanto tengo d’occhio la strada, perché so che fra poco passerà qui davanti. Lui. Il dottor Giacomo Fulgenzi, primario di ortopedia nel Complesso Ospedaliero Santa Anastasia che si trova appena fuori da Borgo Marino, ma serve tutta la provincia. Ogni mattina, tranne che nei giorni di festa o quando partecipa a convegni in Italia o in Europa, il dottor Fulgenzi va al lavoro in bicicletta e passa davanti a casa mia. Dritto, elegante, a occhio e croce dovrebbe essere in pensione, ma forse i primari derogano, e lui continua a fare il bello e il cattivo tempo fra le ossa rotte che arrivano al Santa Anastasia. E anche fra infermiere, colleghe e pazienti, a quanto si dice in giro. Nonostante l’avanzare degli anni, non molla, e continua a incassare il tributo delle adoranti specializzande, nonché di varie altre signore e signorine che transitano in ospedale. Io ho avuto a che fare con lui molto di sfuggita quando mi è caduto un grosso pezzo di legno su una mano (caricare la stufa non è affatto uno scherzo) e mi sono spezzata un paio di dita. Non mi ha operata lui, ci mancherebbe, ma è passato a controllare un paio di volte. Feeling zero. È molto seducente, ma risultando io per lui invisibile, come qualunque donna sopra i quarantacinque, non si è preoccupato di sedurmi. Quindi cortese indifferenza e via, incontro senza scintille. Suo figlio, invece, me lo ricordo da ragazzino. È parecchio più grande di Bea, e quindi non si sono mai frequentati molto, ma capitava che si trovassero alle stesse feste in spiaggia, che avessero amici in comune, insomma, Borgo Marino fa 4951 abitanti, difficile che le strade di chiunque, prima o poi, non si incrocino con quelle di chiunque altro. Un bel ragazzo, completamente scemo, se non ricordo male. So che dopo aver mollato gli studi senza averli conclusi adesso fa l’attore, con scarsissimo successo: ha ottenuto soltanto una particina irrisoria in una serie della RAI.
Come, come ha potuto la bella, brillante, esperta Federica Teodori fidanzarsi con lui? «Fidanzarsi»! Già solo la parola, non ha senso. Fidanzarsi con uno di trentun anni. E dài, Fede!
«Credevo che fosse soltanto una botta di vita.»
Ripenso alle sue parole, al tono ardente con cui le ha pronunciate ieri sera, guardando con rimpianto la mia fetta di torta Foresta Nera. L’ultima volta che Federica ha mangiato una fetta di torta, invece di guardarla con rimpianto, è stato un paio di mesi prima della menopausa. Dopo, i dolci per lei sono diventati scaglie di inferno da cui tenersi lontana.
«E invece cos’era? Il grande amore?» le ho chiesto, anche se so che il sarcasmo non è alla mia portata.
«È la macchina del tempo, Ari. Mi ha tolto trent’anni dal groppone. Sto con lui e sono di nuovo quella che faceva innamorare tutti. Dài, a te non piacerebbe?»
«Io non ho mai fatto innamorare tutti. Alcuni, al massimo.»
«Be’, adesso neanche più quelli. Ti sembra giusto?»
«Che ne sai? C’è un cliente che viene ogni venerdì a comprare sei fazzoletti. Non credo che ne consumi sei alla settimana…»
«Anni?»
«Non so… un’ottantina…»
Sciacquo la tazza mentre ripenso alla risatina beffarda di Federica, e ai conseguenti sproloqui su quanto Emanuele sia “fresco” (è un modo carino per dire “scemo”) e su quanto i suoi genitori siano orribili e detestabili.
«Lo trattano come un cretino. Stravedono per quella perfettina di sua sorella, e non gli riconoscono niente, Ari, niente. Si è rifiutato di fare il medico come il babbo, il nonno, il bisnonno e via via fino al dottore di Carlo Magno, tipo. E dopo essersi iscritto a un’altra facoltà, ha mollato pure quella. Orrore! Tragedia! Pensa che i suoi non hanno visto neanche una puntata di Polizia canaglia.
«E perché avrebbero dovuto? Fa un agente che compare trenta secondi quando porta il caffè al commissario…»
«Nella prima serie! Ora girano la seconda e avrà una storia con una cleptomane.»
Insomma, pare che questi genitori Fulgenzi siano devastati perché Emanuele non ha tenuto minimamente nascosta la sua relazione con la mia amica, e anzi l’ha invitata a una cena a casa loro presentandola a tutti come “la mia ragazza”.
«Ti rendi conto?»
Ieri sera Federica sfavillava di orgoglio mentre mi riaccompagnava verso casa. Lei abita a Palazzo Teodori, a picco sul mare, quando non è a Londra, a New York, a Dubai o alle isole Turks & Caicos, la sua ultima passione. «C’era un sacco di gente, parecchi colleghi di suo padre, le signore del Soroptimist, tutti a guardare con gli occhi fuori dalla testa. Che coraggio ha avuto. Dovevi vedere la faccia di quella sardina secca di sua madre!»
«Coraggio o semplice dabbenaggine?»
«E basta, falla finita. Guarda che lo amo davvero.»
Su questo ero stata zitta. Sono abbastanza grande da sapere che un giorno con Federica rideremo parecchio di questa storia, ma mi ricordo, mi pare di ricordare, com’è quando ci si innamora. Si perde il senso del ridicolo, dell’onesto, dell’adatto, del benefico. Si perde tutto, tranne quel mulinello al centro dello stomaco.
«Pensa che quella sciroccata di Valentina il giorno dopo mi ha telefonato intimandomi di “lasciare stare suo figlio se no mi manda gli avvocati”. Le ho riso in faccia, cioè, le ho riso al cellulare. Gli avvocati… e per cosa?»
«Circonvenzione di incapace?»
«Arianna! Ti proibisco!»
«Va be’, dài, Fede, goditela finché dura.»
«Durerà, durerà» aveva affermato con la sicurezza della donna che è sempre stata bella, e io non ho ribattuto, perché a che serviva tirare fuori un repertorio di banalità?
E così, guardo passare il dottor Fulgenzi, che pedala veloce e indossa un elegante K-way nero, e poi non ci penso più, e vado ad aprire Il Filo di Arianna. Oggi viene il grossista della Liabel, urge concentrarsi.
...continua in libreria!