46.
Niente radio, quella mattina, in casa di Benvenuta.
Tosse, piuttosto.
Un colpo via l’altro.
A tratti accessi veri e propri che toglievano il respiro anche a lei, alla Tirelli, che s’era abbioccata verso le quattro del mattino e si era svegliata alle sette al suono di quella musica bronchiale.
O, piuttosto, si disse Carolina, bronchitica.
Ma per forza!, giudicò.
A furia di uscire con quel freddo, sfidando le fredde breve pomeridiane!
E ci volevamo mettere anche l’influenza che aveva già steso a letto mezzo paese?
Da un paio di giorni in effetti Benvenuta era inseguita da una tosse che era andata via via aumentando e che, con fatica, aveva cercato di controllare davanti a Adelaide e durante le telefonate.
Guai, infatti, se suo figlio e la moglie si fossero messi in testa che fosse ammalata. La sfogava poi, quand’era sola in casa, senza immaginare che, dall’altra parte del pianerottolo, c’era chi ne seguiva attentamente ritmi, frequenze e durata.
In più, quel sabato mattina s’era svegliata sentendosi un po’ calda.
Che avesse qualche linea di febbre?
Non se l’era provata, proprio perché non voleva saperlo.
Era sabato. L’ultimo giorno della settimana utile per l’appuntamento. Prima del prossimo c’era di mezzo un’inutile domenica.
Un’aspirina, pensò, l’avrebbe rimessa in sesto.
Ma ce n’era in casa, lei che non aveva mai preso un farmaco in vita sua?
Dopo aver frugato dappertutto, si arrese all’idea.
Non c’era umiliazione che tenesse di fronte alla prospettiva dell’appuntamento.
Poco prima che scoccasse mezzogiorno, per la prima volta da che erano vicine di casa, suonò alla porta di Carolina Tirelli.
«Un’aspirina?» fece quella. «Ma certo. Ne tengo sempre in casa, per ogni evenienza.»
Un accesso di tosse spezzettò il ringraziamento di Benvenuta. La Tirelli si affrettò a chiedere se per caso non volesse il dottore.
«No grazie», rispose Benvenuta. «Per intanto mi prendo l’aspirina, una bella tazza di camomilla e mi rimetto a letto. Vedremo, magari lunedì.»
«Si riguardi», disse la Tirelli. «E comunque, per ogni bisogno…»
Ma Benvenuta le aveva già girato la schiena e, con le spalle scosse da colpi di tosse trattenuti, rientrò in casa.
La Tirelli si sentì meritevole di un posto nel calendario di Frate Indovino se non come santa, almeno come beata, per la grazia e la gentilezza con cui aveva trattato la sua ispida vicina.
Le aveva dato una lezione di bon ton e soprattutto la certezza che per quel giorno le avrebbe risparmiato di pedinarla, cosa che aveva già messo in programma.
Pranzò con appetito e senza opporre resistenza si arrese al magnifico torpore che l’assalì subito dopo, spingendola sul divano. Le orecchie sempre all’erta, naturalmente. Ma via via che il silenzio durava, il sonno che non aveva goduto durante la notte reclamò il suo diritto e Carolina, senza accorgersene, cadde nelle sue braccia, distendendosi lunga quant’era sul divano.
Dormì, beata e senza mosche per la testa, finché il rumore del portone la risvegliò. Ancora intorpidita filò alla finestra del tinello per guardare in strada quando la pendola batté le quattro.
Le quattro?
Ma allora…
D’un subito fu alla finestrella di cucina, giusto in tempo per vedere la schiena della sua vicina che rientrava in casa.
Allora era uscita lo stesso, con quella tosse, magari con la febbre, mentre lei dormiva, russando, sul divano.
Cose da pazzi!, commentò.
Aveva ragione.
Sentendosi particolarmente calda quella sera, Benvenuta cedette al responso del termometro.
Trentotto e qualche linea.