39.
Il Ciffoletti, per navigare sottocosta e al buio, dovette spremere all’inverosimile la sua memoria per anticipare rive, rientranze, scogli, fondali bassi e pregare la Madonna di Lezzeno che non ci fosse in giro qualche tronco contro il quale andare a sbattere o qualche roccia che aveva dimenticato.
Nonostante il freddo, sudava come un dannato.
L’ordine dell’Insoliti gli giunse come una voce dall’oltretomba.
«Spegni! Immediatamente!»
«Perché?» chiese.
«Perché ha spento anche lui. Non hai sentito?»
«Un fantasma non sente», rispose il guardiano: erano ormai nei pressi della riva di Gittana, una rivetta molto frequentata dai bagnanti d’estate ma disertata, ovviamente, in quella stagione, anche dai pescatori, e buia.
«Tuttavia si avvicina», aggiunse generosamente il Ciffoletti.
Chiaro come il sole che volesse approdare alla riva di Gittana.
Salvatore cominciò a sentire pure lui il rumore, quasi musicale, dei remi che affondavano nell’acqua con pacifica lentezza. Gattonando raggiunse il Ciffoletti a poppa.
«Avviciniamoci anche noi», disse.
«D’accordo», disse questi, sputandosi nelle mani e dando così a vedere di voler dare di remi.
«No!» strozzò nella gola il carabiniere.
«Come no?»
«Non dobbiamo fare alcun rumore, niente che possa insospettirlo.»
«E allora come facciamo?» chiese il fantasma.
«Con le mani», chiarì Salvatore.
«Ma l’acqua è gelida», obiettò il Ciffoletti.
«I fantasmi non vedono, non sentono, non parlano e nemmeno temono il freddo», sentenziò il carabiniere.
«E un’altra cosa», aggiunse Salvatore.
A pochi metri dalla riva, quando ormai si poteva toccare il fondo, dovevano fermarsi.
«Scendo solo io, tu resti lì, ben nascosto dal buio.»
Il Ciffoletti replicò.
«Si bagnerà maresciallo.»
«Questo lo immagino», rispose Salvatore. «E adesso via, forza con le mani!»
“Pure l’anatra mi tocca fare”, pensò il Ciffoletti, rabbrividendo al contatto con l’acqua gelida e rimpiangendo il caldo e il sudore di poco prima.
Fu nel momento in cui il carabiniere Insoliti era già sceso dalla barca con l’acqua poco sotto il ginocchio che dalla statale 36, che lambiva la riva, giunse un rumore di macchina. Due colpi di abbaglianti illuminarono per un istante una fetta di lago. L’Insoliti, con le gambe che si stavano indurendo per il freddo, si immobilizzò. Pochi istanti dopo il Taglia rispose con due colpi di torcia che permisero al carabiniere di identificarne la posizione. Stava anche lui con le gambe in acqua, tirava la barca per trascinarla a riva.
L’Insoliti decise di entrare in azione. Il rumore della macchina, che teneva il motore acceso, e quello che il Taglia faceva per tirare a riva la barca avrebbero coperto quello che lui avrebbe inevitabilmente prodotto.
Una volta sistemata la barca, il Taglia diede un altro colpo di pila.
Fu sufficiente a Salvatore per individuarlo e avvicinarsi senza farsi sentire.
L’Ernesto addirittura fischiettava, fregandosi una mano nell’altra.
Non lo vide, ma lo sentì dire:
«Carabinieri».
L’Ernesto si guardò in giro per vedere da dove provenisse la voce.
«Tu?» esclamò quando vide l’Insoliti.
«Fatta buona pesca?» chiese questi.
Ma anziché rispondere, il Taglia tentò di fuggire.
All’Insoliti non restò altro da fare. Estrasse la pistola.
«Fermo, carabinieri!»
E sparò un colpo in aria.
Il Taglia si bloccò. Conosceva bene la procedura. Un colpo in aria prima e poi ad altezza d’uomo. Tra l’altro, se faceva conto di raggiungere la macchina sulla strada e fuggire con quella, poteva mettere via l’idea. Al colpo sparato in aria da Salvatore quella era partita sgommando.
Il Taglia tornò sui suoi passi.
«Va bene», disse solamente.
«Andiamo in caserma», disse Salvatore.
«E come, a piedi?»
«No», fece il carabiniere, «in barca. Con la tua. Tu ti metti al motore e io ti sto vicino vicino così non ti viene la nostalgia. Sei d’accordo?»
Il Ciffoletti li vide partire e attese ancora un poco prima di riprendere anche lui la via di casa.
Un fantasma non vede, non sente e non parla.
Sin lì era d’accordo con il carabiniere.
Circa il freddo, aveva qualcosa da obiettare.