19.
Alfredo ascoltò, piluccando appena la pastasciutta. Era fin troppo evidente, dal modo in cui arrotolava gli spaghetti sulla forchetta, dalla lentezza con la quale masticava, che ciò che la moglie gli stava raccontando lo metteva a disagio.
Parte di quel disagio però era direttamente imputabile alla stessa Adelaide che, mentre andava enumerando le stranezze della suocera, ne avvertiva l’insita debolezza, quasi l’inconsistenza. Come se le parole perdessero la loro forza.
Un conto era stato pensarle, un altro tradurle in voce adesso, con di fronte suo marito.
«Quindi, secondo te, la mamma…» attaccò Alfredo, lasciando la forchetta nel piatto ancora mezzo pieno, facendo intendere che ne aveva abbastanza.
Della pasta, ma anche delle parole di sua moglie.
“La mamma!” pensò Adelaide con un piccolo moto di irritazione.
Ma perché mai non diceva «mia madre», come probabilmente avrebbe fatto ogni uomo adulto?
Invece «la mamma», come se fosse ancora un bambino, lei tutto il suo universo, il suo unico punto di riferimento.
«… la mamma sta un po’… come dire…»
Alfredo non trovava le parole. Oppure non le voleva pronunciare. Oppure di fronte a una realtà che stava cambiando preferiva chiudere gli occhi e non vederla.
Fu Adelaide che gli corse in aiuto, altrimenti avrebbero fatto notte.
«Non sto dicendo che è impazzita o altro, che sia svanita o incauta», disse.
«E allora?»
«E allora niente. Mi sembrava giusto che tu ne fossi al corrente. In fin dei conti è tua madre, vedi tu.»
L’uomo guardò l’orologio.
Era l’una e un quarto.
«Vado», disse.
Adelaide lo fissò.
«Non bevi neanche il caffè?»
«No», fece lui.
«E dove vai allora?»
«Dalla mamma», rispose Alfredo.
«Dalla mamma», mormorò Adelaide.