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Quello che non mi uccide, mi rende più forte.
Sembra che alla fine della sua vita Sigmund Freud abbia pronunciato queste celebri parole: «Sono grato alla vita perché niente per me è stato facile». Seppur piena di difficoltà, l’esistenza del padre della psicoanalisi non è stata tuttavia più drammatica di altre. Pensiamo per esempio a personalità come Boris Cyrulnik, che da bambino sopravvisse al campo di concentramento dove morì tutta la sua famiglia. Nel suo I brutti anatroccoli, Cyrulnik racconta il processo che lo ha portato a non cedere e a rafforzarsi anche nella più estrema delle condizioni. Questo fenomeno è conosciuto come «resilienza» e l’autore ne offre la seguente definizione: «La resilienza è l’arte di navigare sui torrenti. Un trauma sconvolge il soggetto trascinandolo in una direzione che non avrebbe seguito. Ma una volta risucchiato dai gorghi del torrente che lo portano verso una cascata, il soggetto resiliente deve ricorrere alle risorse interne impresse nella sua memoria, deve lottare contro le rapide che lo sballottano incessantemente. A un certo punto potrà trovare una mano tesa che gli offrirà una risorsa esterna, una relazione affettiva, un’istituzione sociale o culturale che gli permetteranno di salvarsi».
Questo significa che se la corrente non ci uccide, essere in grado di domarla ci arricchirà di un’esperienza fondamentale per salvare noi stessi e gli altri quando ci troveremo di nuovo in difficoltà. Proprio come ci ricorda Nietzsche.