UN PROBLEMA DI BEVANDE

Ci sono poche cose degne di fede, nella mia distorta visione del mondo, poche cose preziose che ritengo giuste e vere, e sostanzialmente non perfettibili dall’uomo o da Dio. Quella che sto per dirvi è una di queste: una birra versata nel modo corretto – nel mio caso una pinta di Guinness alla spina – in un bicchiere pulito, alla temperatura giusta, è una bevanda divina, una fonte di nutrimento completa, un’opera d’arte da ammirare, una forza che spazza via per qualche momento tutti i malanni del mondo.

La Guinness non va bevuta in un locale asettico. Il contesto è importante. Il posto migliore per apprezzare in pieno lo stato di grazia che deriva dal bere una birra inglese, scozzese o irlandese è, naturalmente, quell’istituzione tanto importante che prende il nome di pub.

E così contemplo beato la schiuma che si deposita nel mio bicchiere, al Festering Ferret, nell’East End londinese, momentaneamente in pace con il mondo, contemplando i misteri della vita e progettando opere buone per il futuro. Fumo, e intanto ammiro i vecchi sedili di pelle consumata, i centenari tappeti rosicchiati dalle tarme, il vecchio barista sdentato. Passo la mano sul tavolo di legno consumato, come se fosse la stele di Rosetta, decifrando con la punta delle dita i messaggi criptati, predruidici, incisi sulla sua superficie – “Steve è uno stronzo”, “Bay City Rollers”, “Jamie è un pezzo di merda spocchioso” – la cui eco risuona attraverso i secoli, mettendomi in comunicazione con poeti e pensatori di un’altra epoca.

Un cameriere si avvicina, attirando la mia attenzione su una lavagnetta appesa al muro. “Vuole mangiare qualcosa, signore? L’ossobuco di branzino cileno è particolarmente buono oggi.” Sollevo lo sguardo con orrore. Là, proprio alla destra di un vecchio bersaglio per freccette, si materializza un prodigio dell’Orrore Vero. Un menu! Lo leggo con crescente apprensione e sgomento, mentre un gelido fremito di paura mi si insinua nelle budella: zuppa di piselli freschi con chiffonade di prosciutto e spuma di zucca; tortino di foie gras con chutney d’albicocca e brioche fatta in casa; noce di maiale biologico con vellutata di piselli e scalogno caramellato.

E non è finita, c’è un’intera sezione vegetariana, relegata nell’angolo sinistro della lavagna. Prima di crollare tremante sul pavimento inzaccherato di birra, riesco a leggere nei dessert: sorbetto di mele verdi con wasabi. Poi tutto si fa buio.

La cosa seguente di cui ho coscienza sono le mie dita estratte a forza dalle pieghe rugose del collo della megera che dirige il pub. Un tipo robusto in giacca e grembiule da chef si sta occupando della questione. Un giovane commis bene ammaestrato gli dà una mano, colpendomi alla testa e al collo con un pentolino. (Di rame, e ben tenuto, devo ammettere.) Tra una pioggia di denti rotti, e gli spruzzi di sangue e saliva, riesco a biascicare: “Cosa? Quando? Come? Perché?” prima di scoppiare in un pianto convulso: “Oh, Dio! Oh, Gesù! È terribile! È la fine! La mia vita è finita!”. Mentre lascio la presa, il tipo aitante, continuando a tenermi un ginocchio sul torace, mi spiega: “Siamo un gastropub ora. Che ne diresti di un po’ di tofu e qualche beignet di funghi selvatici? Sono deliziosi”. È a quel punto, mentre cerco invano di raggiungere il più vicino corpo contundente, che il commis mi assesta un colpo di pentola sulla testa.

Gastropub? Ma che cazzo è? Per quanto mi riguarda, l’idea di cibo raffinato servito in un pub tradizionale è allettante come frasi del tipo: “Maschio caldo con maschio” o “Stasera, Billy Joel dal vivo!” oppure “Esame gratuito della prostata per ogni drink”. Un buon pub non dovrebbe mai avere del cibo raffinato. Cosa c’è che non va in un buon pasticcio di carne? E il sanguinaccio? E le salsicce? La shepherd’s pie è una cosa sublime. Non ci voglio i tartufi dentro! E il menu vegetariano? In un pub? Dei vegetariani in un pub? Per il loro stesso bene, ai vegetariani non si dovrebbe mai permettere di assaggiare una buona birra. Serve solo a renderli agitati e bellicosi, ma poi gli mancano la forza fisica e la natura aggressiva per dare seguito a una qualsiasi affermazione fatta sotto l’effetto dell’alcol.

Il pub inglese è uno degli ultimi baluardi della bontà, della civiltà e della decenza nel mondo. Chi li vuole dei gourmet schizzinosi nel suo pub? Infesteranno il locale. Si moltiplicheranno come scarafaggi. In men che non si dica, prima ancora di portare il bicchiere alle labbra, sentirete, “Hai provato il confit di salmone con la rugiada di pomodoro? È favoloso!” oppure “Per me gelato al basilico, grazie”.

Non si potrà più scappare, né nascondersi da nessuna parte, amici miei. Il nemico potrebbe anche accamparsi nel vostro soggiorno, sodomizzare il vostro cane, mordere la testa al vostro pappagallo e mettere i cd di Kylie a tutto volume. La buona birra e il cibo raffinato dovrebbero essere tenuti separati. Un muro tra loro, come tra stato e chiesa. Quel muro cade, e saremo nel caos più completo.