SEGNI PREMONITORI

Da qualche anno sono sempre più incuriosito da una particolare catena di steakhouse londinesi (due catene, a dire il vero, tra loro collegate). Situate in vasti locali, quasi a ogni angolo di strada, nei quartieri più importanti di Londra, dove gli immobili sono più cari, sembrano delle pubblicità di tutto-ciò-che-non-vuoi-in-unristorante, delle dimostrazioni volgari, perfino sprezzanti di quanto-possano-essere-orribili-le-cose. La catena numero uno (la chiameremo Chuck Wagon) è spesso situata dirimpetto alla sua gemella, la steakhouse numero due (che chiameremo The Feed Bag), e alle otto e mezzo di un sabato sera sono entrambe, provocatoriamente, perfino bizzarramente, vuote. Ce ne sono dappertutto in centro a Londra, inspiegabilmente ancora aperte ogni volta che ci torno, con le grosse lettere al neon rosse CH K W GON e EED AG accese, e la vista sulle spaziose vetrine, che rivela dei séparé di velluto sgualciti ad arte e inesorabilmente vuoti, un’orribile carta da parati ruvida, e un unico, misero cameriere con lo sguardo fisso nel vuoto.

“Come fanno questi posti a rimanere aperti?” mi sono sempre chiesto ad alta voce, e poiché la mia curiosità stava diventando un’ossessione, un mio amico giornalista mi portò a cena in uno di questi locali per consentirmi di osservare da vicino le oscure manovre che avvenivano al suo interno. Ciò che trovai quella sera fu un affascinante esempio vivente di tutte le cose che non vorreste mai vedere quando andate a cena in un ristorante, una serie d’immagini reali, a grandezza naturale, rappresentanti l’Inferno dei Ristoranti, un padiglione della vergogna in cui un’intera catena di ristoranti decide di gettare denaro nel gabinetto, sera dopo sera, in maniera che noi, avventori casuali, possiamo conoscere le varie sfumature di mostruosità, i segni premonitori di quella che sarà sicuramente una cena terribile, per applicare poi altrove questa nuova conoscenza. Il Chuck Wagon sottoponeva alla nostra attenzione i seguenti, classici crimini da ristorante; tutti stanno a indicare che niente-di-buono-ne-verrà-fuori.

1) Un locale enorme, iperilluminato, parte di una catena... che reclamizza i suoi PREZZI BASSI. Come fa una bistecca che costa poco a essere buona, specialmente quando il locale è completamente vuoto?

2) Un locale enorme, iperilluminato, parte di una catena... proprio dirimpetto a un locale ugualmente squallido. Sembra quasi che il posto fosse stato progettato, in origine, per accogliere interi branchi di stupidi e incompetenti avventori. Il fatto che i proprietari non si curino di cambiare le lampadine fulminate delle insegne non depone a favore di quello che accade al suo interno.

3) Camerieri seduti in séparé vuoti, dallo sguardo spento, annoiato, deluso e sconfitto. Questa, da sola, sarebbe una valida ragione per scappare via di corsa. Il cameriere sa, meglio di chiunque altro, quanto vadano male le cose. Durante quella cena, appena il mio amico giornalista e io ci accomodammo, e un fotografo ci scattò una foto dall’esterno del locale, il cameriere si avvicinò per chiedere le nostre credenziali – e l’intento del fotografo – e poi fece di nascosto una telefonata a bassa voce. (La cattiva coscienza e un piano d’azione che mostri eccessivo interesse non sono mai una cosa buona.) Facevano da accompagnatori al cameriere un commis (che fungeva anche da barman), un lavapiatti e un cuoco. Ora, è lecito chiedersi: come può un unico cuoco preparare tutti i piatti di un menu assurdamente, pericolosamente esteso? E da quanto tempo quell’anatra all’arancia sgambettava nella tranquilla cucina, in attesa del sottoscritto?

4) Segni occulti di riduzione della qualità e taglio dei costi. Un desolante carrello dei dessert, composto prevalentemente da frutta soda, poco deteriorabile (niente che si ossidi o si sciupi troppo in fretta, probabilmente perché sarà usata l’indomani, e il giorno dopo ancora) è situato proprio accanto all’ingresso, bloccando strategicamente l’accesso al piano superiore, e a quella che era probabilmente un tempo un’altra sala da pranzo. Cosa vogliono nascondere alla nostra vista? Chiaramente un pannello con la scritta REPARTO CHIUSO non sarebbe bastato. È stato necessario isolare completamente le scale, impedendo perfino a un eventuale turista ubriaco, alla ricerca del bagno, d’imbattersi in chissà quali orrori nascosti in agguato al piano superiore.

5) Il menu truccato. Wow! Certo che sembra interminabile! Ma, un attimo! Ci saranno dieci o dodici antipasti... e la metà contiene gamberi! Questa strategia permette all’unico cuoco di sfornare in men che non si dica una varietà di delizie da un’unica confezione di gamberi congelati. E pare anche che ci siano un sacco di bocconcini impanati e fritti... Fisso il pollo cordon-bleu con la stessa diffidenza che nutro per le polpettine di gamberi impanati; probabilmente provengono entrambi dallo stesso, remoto, congelatore industriale.

6) Il DING! del microonde che la dice lunga. Sarà solo per caso che ho sentito il suo sinistro rintocco un attimo prima che arrivasse in tavola la mia anatra molliccia, acquosa, grigiastra, assolutamente non caramellata? Penso di no.

7) L’esposizione a tenda che offre allegri cocktail con l’ombrellino dentro. Non so voi, ma quando mi siedo in un ristorante vuoto – a Londra o in qualsiasi altra parte del mondo – una piña colada, un grasshopper o un Singapore sling non sono i primi cocktail che mi vengono in mente. La loro presenza è la testimonianza di una mente distorta, come se qualche sconosciuta tribù d’indigeni dei mari del Sud, a bordo di un cargo alla deriva, avesse trovato per caso il menu di un diner americano degli anni cinquanta, e dopo aver vinto la lotteria ed essersi trasferiti in Inghilterra, avessero deciso di ricrearlo a memoria. “Oh, certo! Gli americani adorano i drink che somigliano a un ammorbidente per lavatrice, purché ci siano dentro ciliegine e ombrellini!”

8) La metafora mista. Il matrimonio forzato tra New York/Chicago/Virginia City Gay Nineties/Cathouse e le stampe in cornice delle Highlands scozzesi, sembra a dir poco... inappropriato, così come il mélange di California Burger (perfino i californiani non lo riconoscerebbero come cibo), cocktail di gamberi, anatra all’arancia, pollo cordon-bleu, e bistecca e patatine. Penso di aver visto perfino un Hawaiian Burger nel menu: questo da solo era un segnale d’avviso. Possono essere buoni tutti questi piatti? Risposta? Assolutamente no.

9) La guarnizione universale. Quando su ogni piatto spunta la stessa insalata ingiallita e cotta, e la stessa fettina di pomodoro tristemente acerbo, è un segno più che evidente che in cucina non c’è un Robuchon in erba.

10) Il fattore del “Perché Questo Posto è Proprio Qui?”. Facciamo un po’ di conti. Il locale è vuoto. È sempre vuoto. Anche se fanno un pienone al giorno per pranzo (ma non lo fanno), il posto era stato chiaramente progettato per un alto volume d’affari... e non è possibile che facciano abbastanza soldi per pagare l’affitto, per non parlare dell’elettricità, del gas, delle paghe e così via. E allora come fanno a stare aperti? E perché? Che cosa fanno veramente al piano superiore? Combattimenti di galli? Giochi d’azzardo? Importazione illegale di serpenti e uccelli esotici? Sacrifici umani? Non posso fare a meno di pensare a tutto questo mentre mastico svogliatamente una bistecca dura, secca e insapore, senza neppure l’aiuto di un coltello affilato (il segreto di ogni steakhouse di successo) per mitigare i miasmi dell’orrore.

Invito i lettori a entrare, anche una sola volta, in uno di questi luminosi esempi d’Inferno della Ristorazione. Accomodatevi in uno degli enormi séparé, fate un respiro profondo, calatevi nell’atmosfera, guardate fisso negli occhi del cameriere. Prendete nota di tutti i dettagli. Studiate con cura il menu, un vero e proprio manuale da campo del submediocre. Quasi tutto quello che volete evitare in un ristorante lo trovate lì, davanti ai vostri occhi. Ma mi raccomando: non ordinate l’anatra.