FOLLIA A CRESCENT CITY

Le tre del mattino e sono seduto (o sono in piedi?) col personale di cucina del Lee Circle Restaurant, nello Snake and Jake’s Christmas Club Lounge, uno dei ritrovi preferiti del sottobosco culinario di New Orleans. È una baracca buia, cadente e infetta, dov’è sempre Natale. Lucine colorate strizzano l’occhio da dietro il bar, attraverso il denso fumo delle sigarette, mentre una bionda extralarge avvolta in una stretta e lucida guêpière mi spinge davanti quello che dev’essere il mio sesto Jägermeister. Non che lo abbia scelto io, ma il proprietario dello Snake and Jake’s, Tony “Mister Ospitalità” Tocco – che assomiglia a un comico del cinema muto – è insistente, e mi guarda accigliato attraverso i capelli dritti e unti. “Allo Snake and Jake’s l’ospite è sacro” mi assicura per la quinta volta. La prova? La gente nuda beve gratis. Qualche settimana prima, più di quaranta tra i migliori chef di New Orleans e il loro seguito si erano presentati all’ingresso del locale e si erano spogliati completamente. Meno male che me la sono persa!

Durante la mia ricerca sull’“autentica” cucina locale di New Orleans, ho evitato puntualmente il quartiere francese. Niente tette, niente perline,1 niente Bourbon Street. Niente nuvole di frittura, orde sciamanti di turisti, niente uova Benedict, né ostriche Bienville nelle famose arene di Galatoire’s, Brennan’s o Commander’s Palace. Va bene, lo ammetto, mi sono intrufolato nel quartiere per mangiarmi al volo una dozzina di ostriche da Acme; e ho chiamato dalla stanza del mio albergo il leggendario Verdi Mart, dove la gente del quartiere può ordinare da casa fino a notte inoltrata bourbon e sigarette, e i famosi, enormi sandwich “muffuletta”. Ma, a parte questo, sono riuscito a stare lontano dai soliti sospetti. Ciò detto, ogni volta che la gente del posto mi chiede dove ho mangiato, c’è sempre qualcosa che non va. “Perché non hai provato...?”, oppure: “Dovresti provare...” è la reazione abituale.

Ma penso di aver scelto bene. Ho fatto una prima colazione favolosamente abbondante al tetro e fatiscente Hummingbird Hotel and Grill. Ho bevuto delle granite sublimi al leggendario Hansen’s Sno-Bliz Sweet Shop, dove il ghiaccio viene ancora grattugiato a mano con una macchinetta vecchia di cent’anni, aromatizzato in varie fasi, versato in un bicchiere e ricoperto di latte condensato dolce. Ho mangiato il pasticcio d’astice, le pralines, e il jambalaya da Tee-Eva’s; il Feed Me con salsa rossa da Tony Angello; i classici rivisitati, le variazioni di gumbo e il miglior pollo fritto del mondo da Jacques-Imo’s; il prosciutto di maiale con cavoli verdi e mais all’Harbour. Prima di affrontare la distruzione finale allo Snake and Jake’s, ho mangiato fagioli rossi con riso e birra locale, ascoltando jazz e blues da Vaughn’s, un vecchio bar nella Ninth Ward, e quando il trombettista ha fatto la pausa tra due pezzi per arrostire salsicce di coniglio e spuntature di maiale su un barbecue all’aperto sistemato su un pick-up, mentre gli altri clienti continuavano a bere per strada, ho incontrato Tony, col suo ghigno maligno sotto la luce di un lampione. Alcuni dei cuochi che erano con me scossero la testa. Sapevano cosa li aspettava.

Che città meravigliosa! I bar sono aperti ventiquattr’ore su ventiquattro. Quasi tutti vanno giù pesante col bere (quando dici che sei di New Orleans, si racconta, salti la fila al centro recupero alcolisti Betty Ford), e in alcuni bar, come il Checkpoint Charlie’s, puoi toglierti le macchie dei bagordi della sera prima dai vestiti nella comoda laundrette situata nel retro del locale, mentre inizi una nuova giornata nel bar sul davanti. La pastella fritta è un classico. E, per finire, tutti cucinano o mangiano abbondantemente, o sono comunque interessati a entrambe le cose.

Mi sto gustando il bicchierino di Jägermeister. Ho bisogno di ripulirmi il cervello. Due giorni prima ero stato ospite di un tipo chiamato Wild Bill, di Zam’s Swamp Tours, ed ero seduto nella sua angusta house boat ancorata lungo il fiume, mentre lui friggeva polpette di alligatore. Suo nipote, un mattacchione con una strana zazzera bionda, mi allungava continuamente il muso di un baby alligatore accanto al viso, facendogli schioccare le ganasce sul mio naso. Le zanzare mi entravano nel naso e nelle orecchie, e quasi offuscavano la luce delle nude lampadine, mentre assaggiavo alligatore in salsa piccante e spiedini di alligatore alla griglia, e tendevo l’orecchio per cogliere le prime note dei banjo che gareggiavano tra loro. L’odore di alligatore fritto ancora m’intasa i pori.

Ma le mie ipotesi su come divertirsi in una città nuova e sconosciuta sono state confermate. Regola numero uno: scappa dall’albergo quanto più lontano e velocemente possibile. Regola numero due: evita qualsiasi posto dove si accalcano le persone come te (nel senso di turisti e forestieri). Regola numero tre: quando vedi un bar fetente, gremito di gente del posto, che si sta divertendo, entra, siediti e incomincia a bere. Non dimenticarti di offrire qualche bicchierino a chi ti sta intorno. Quando vedi che è il momento giusto, chiedi qual è il posto migliore per mangiare, ricordandoti di sottolineare il tuo criterio di scelta: niente posti per turisti. “Tu dove mangi?” è un buon punto di partenza. Se senti due volte lo stesso nome, prendi nota.

Regola numero quattro: se sei a New Orleans, chiama il centro Hazelden in anticipo, e prenota un posto. Ne avrai bisogno.

1 L’autore si riferisce alla tradizionale gara di esibizione dei seni da parte delle ragazze, in cambio di perline, durante il mardi gras [N.d.T.].