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Chiudendo la chiamata, Étienne lascia esplodere il proprio risentimento. Di fronte al commissariato dal quale è appena uscito, si dirige verso la macchina a grandi falcate nervose, facendo risuonare ingiurie liberatrici nel calar della sera. Ci è mancato poco che, in un moto di rabbia, non schiantasse il telefono sul marciapiede. Il pensiero che Mylène possa richiamarlo l’ha bloccato appena in tempo. Fatica a controllare la rabbia verso Camille, quella peste di sua figlia e anche verso il capitano Dupuis.

Nel bel mezzo del lavoro, quando il poliziotto l’ha contattato non ha sentito la suoneria del telefono e ha visto il suo messaggio poco dopo. Gli chiedeva solo di richiamarlo al più presto. Étienne ha represso una certa inquietudine e ci ha messo qualche minuto prima di decidersi a comporre il numero del poliziotto. Il capitano gli ha fatto il punto della situazione. Dupuis era sulla strada del ritorno, non avendo nuove piste da seguire. L’ultimo volo di ricognizione dell’elicottero munito di telecamera termica non aveva rilevato nessuna presenza umana su un vasto perimetro attorno alla radura. Dupuis aveva concluso che fosse inutile continuare a cercare la maestra dove non si trovava.

Non appena avvisato della scomparsa della figlia, Étienne ha tolto il grembiule, affidato a Nathalie la cucina e si è precipitato al commissariato per conoscere i dettagli.

Il colloquio è iniziato piuttosto male. Étienne si è rivolto a Dupuis chiamandolo tenente.

«Capitano, signor Gilmont. Sono capitano» ha precisato il poliziotto risentito.

«Che differenza fa?» è scappato al padre di Mylène.

Evidentemente, Étienne non ha a cuore i rappresentanti dell’ordine costituito. Dupuis non raccoglie la provocazione, ma il disprezzo è chiaramente reciproco.

Dopo aver ascoltato il capitano esporgli la successione degli avvenimenti, Étienne Gilmont ha riassunto a Dupuis lo stato di salute della figlia. Il poliziotto ha restituito a Étienne la borsa della maestra e lo chef ha guardato febbrilmente all’interno per trovare infine la penna d’insulina. Ne ha subito consultato il livello, incerto sul numero di dosi che restavano al mattino.

«Quanto tempo può resistere senza insulina?» si è informato il capitano.

«Quarantotto ore. Non molto di più.»

«E a quando risale l’ultima iniezione?»

«Spero che l’abbia fatta a mezzogiorno» ha cupamente risposto Étienne. «Non ho una buona memoria e stamattina non ho verificato il numero di dosi che restavano. Mylène non è regolare con le iniezioni. Ha una specie di rigetto verso la malattia. Pretende di voler vivere il più normalmente possibile. Cosa che le è valsa brutte esperienze.»

«Se partiamo dall’idea che si è fatta l’iniezione del mezzogiorno, ci rimangono circa quaranta ore» ha sussurrato Dupuis consultando l’orologio. «In caso contrario, ce ne restano meno di trentadue. È poco.»

Étienne ha sentito un nodo formarsi allo stomaco. Le reminiscenze di un passato difficile sono tornate a ossessionarlo, accompagnate da emozioni che si era giurato di non vivere mai più. Non era la prima volta che Mylène scompariva. Un’adolescenza complicata, scontri sempre più violenti, fughe a non finire… Aspettare per giorni e notti che riapparisse, farsi mille domande, attendere il peggio. Un inferno che credeva definitivamente alle sue spalle.

Durante il colloquio con Dupuis, stava quasi per riferire dei precedenti della figlia. Le parole gli si sono bloccate in gola. Étienne non è il tipo d’uomo che fa sfoggio della propria vita privata, a maggior ragione a un poliziotto. La sua fiducia nel sistema giudiziario in generale e nelle forze dell’ordine in particolare è pressoché nulla. Per dirla tutta, detesta gli sbirri. Anche quando Mylène scompariva per diversi giorni senza dare notizie, non ha mai fatto appello a loro. Si sarebbe tagliato una gamba piuttosto che affidarsi alla polizia per ritrovare la sua bambina.

Seduto davanti a Dupuis, in commissariato, Étienne è dovuto restare a denti stretti. Tra angoscia e rancore, si è trattenuto con tutte le sue forze per non ribaltare il tavolo che lo separava dal capitano. Nel corso del confronto, è stato assalito dai dubbi e da domande senza risposta, mentre le certezze svanivano non appena abbozzate. Come se la storia fosse condannata a ripetersi senza fine.

E cosa fare ora? Dupuis aveva ordinato un’inchiesta sulla cerchia dei conoscenti diretti della maestra, ma bisognava arrendersi all’evidenza: la ragazza viveva piuttosto isolata. A parte i colleghi che frequentava tutti i giorni in un contesto puramente professionale, aveva solo due o tre amiche che vedeva di tanto in tanto, tutte madri di famiglia e poco disponibili alle uscite regolari. Per scrupolo di coscienza, il poliziotto aveva interrogato Étienne su cosa aveva fatto a partire dalle sedici e trenta.

Lui aveva risposto che era arrivato alla brasserie all’incirca alle diciotto, direttamente da casa.

«A che ora ha lasciato il domicilio?» gli ha chiesto Dupuis.

«Saranno state le diciassette e cinquanta… Abito a poche vie dalla brasserie.»

«Qualcuno può confermare che si trovava a casa tra le sedici e trenta e le diciassette e cinquanta?»

La domanda, sebbene posta in tono neutro, aveva irritato Étienne.

«Perché me lo chiede?»

«Risponda, signor Gilmont. Qualcuno può confermare che si trovava a casa sua tra le sedici e trenta e le diciassette e cinquanta?»

«No. Vivo da solo.»

Mentre Dupuis trascriveva la conversazione al computer, Étienne aveva cominciato a preoccuparsi. Quando uno sbirro comincia a fare domande su come si è passato il tempo, i guai sono dietro l’angolo.

«Che cosa vuole sapere esattamente?» aveva chiesto al capitano senza dissimulare l’esasperazione.

«Niente di particolare. Attuo la procedura. Qualcuno l’ha vista uscire di casa alle diciassette e cinquanta?»

I loro sguardi si erano incrociati. Mentre quello di Dupuis non esprimeva niente di particolare, Étienne padroneggiava difficilmente la sua contrarietà.

«Non mi piacciono le sue insinuazioni, capitano!»

Il capitano aveva manifestato stupore.

«Non insinuo niente, signor Gilmont. Provo ad accertare i fatti e a comprendere quello che è successo.»

«Anche io, si figuri!» si era innervosito Étienne. «Nessuno sa dirmi dov’è mia figlia e, tra qualche ora, sarà in crisi iperglicemica. Quindi se può orientare le ricerche sulle ultime persone che sono state in contatto con lei, sarebbe forse un po’ più utile!»

L’allusione alla mancanza di efficienza non era piaciuta a Dupuis. Sebbene fino a quel momento non aveva considerato il caso dal punto di vista criminale, l’aggressività fuori luogo di Étienne gli aveva fatto considerare la situazione da una nuova prospettiva. Essendo Mylène maggiorenne, la sua assenza non poteva essere ancora considerata come preoccupante agli occhi delle autorità giudiziarie. Se una ragazza di ventisei anni una sera non rientra a casa, non si può subito farne un dramma. Se non fosse che la sua condizione di diabetica complicava alquanto la questione. Tuttavia, Dupuis non scartava l’eventualità che la maestra si fosse volatilizzata nel nulla di propria iniziativa, forse consecutivamente alla scomparsa di Emma, o per qualsiasi altra ragione di cui ignorava la causa.

A ogni modo, tutto era da prendere in considerazione, il che era una seccatura.

«Mi vuole insegnare il mestiere, signor Gilmont?»

«Voglio solo che ritrovi mia figlia, porca puttana! Perché non interroga la ragazzina che è tornata dal giretto nella foresta con il foulard di Mylène al braccio?»

«L’abbiamo interrogata, signor Gilmont, e non è saltato fuori niente. Adesso, la pregherei di calmarsi e adottare un tono più rispettoso.»

«Chi è, poi, questa ragazzina?»

«Non sono autorizzato a comunicarle la sua identità.»

Capendo che stava aggravando le cose, Étienne si era accigliato. Ora non vedeva l’ora di uscire e provare a saperne di più. Il resto dell’interrogatorio si era svolto rapidamente, una successione di domanda-risposta che non era stata utile né al poliziotto né allo chef. 

Non appena uscito dal commissariato, Étienne si era impossessato del telefono per contattare Camille. Se qualcuno poteva informarla dell’identità della bambina responsabile della scomparsa di sua figlia, era lei. Senza dubbio, sapeva del dramma fin dall’inizio, e il fatto che non avesse provato a contattarlo per metterlo al corrente della situazione aveva inasprito ancora di più il rancore. Dopo aver scritto un sms il cui contenuto non lasciava nessuno dubbio sulla sua determinazione, pregandola di richiamare seduta stante, ben lungi dai messaggi equivoci e altri biglietti dolci che le inviava di solito, aveva aspettato. La risposta non era stata quella che si aspettava.

Impossibile! Ti chiamo domani.

Étienne non aveva certo indossato i guanti per mettere i puntini sulle i.

Chiamami adesso o piombo da te!

Questa volta, la reazione non si era fatta attendere. Qualche secondo appena dopo l’invio del messaggio, la donna lo aveva richiamato. Étienne, senza nemmeno salutarla, era entrato nel vivo della questione. 

«Camille, devo sapere cos’è successo oggi pomeriggio. Adesso!»

«Mia figlia non sa niente, Étienne!» aveva sussurrato con voce agitata. «Quando è stata ritrovata in mezzo al bosco era in stato di shock. Ha dimenticato tutto!»

La sorpresa era stata tale che Étienne era restato muto per qualche secondo. Non aveva considerato la possibilità che la bambina in questione potesse essere la figlia dell’amante. La prima immagine che si era impressa nella mente era stata quella di Emma, gocciolante, sui gradini delle scale, avvolta in un grande asciugamano. Si era ricordato dell’espressione grave che sfoggiava la bimbetta mentre lo considerava con diffidenza e sospetto. Si era ricordato del modo in cui lei lo aveva affrontato, con lo sguardo carico di sfida.

«Étienne?» si era preoccupata Camille. «Io… Volevo avvertirti io stessa ma non ho avuto modo.»

Questa scusa era stata per lui l’onda che aveva spazzato via quanto restava della sua indulgenza. L’ansia, il rancore e la collera avevano annientato qualsiasi riflessione, lasciandogli solo il desiderio cieco di tirarsi fuori da quell’incubo a occhi aperti. Soprattutto, l’impotenza che lo strangolava l’aveva reso pazzo: come i cornuti, era l’ultimo a essere messo al corrente di una situazione tragica che lo riguardava intimamente.

«Mi prendi per il culo?» aveva urlato al telefono.

Dall’altro capo, Camille aveva ceduto al panico. La povera donna si era messa a gemere, poi a singhiozzare, supplicandolo di non venire fino a casa sua e di aspettare l’indomani che sua figlia si svegliasse.

Come se Mylène avesse il tempo di aspettare fino ad allora.

Parlando con lei, Étienne aveva preso coscienza del divario che lo separava da Camille. Che razza di donna era capace di chiedere a un padre di aspettare il giorno dopo senza fare niente per ritrovare la propria figlia?

Sbalordito dalla reazione di Camille, Étienne aveva ringoiato il furore. Aveva appena capito di essere solo. Nessuno l’avrebbe aiutato a salvare sua figlia. Cosa poteva fare, del resto? Piombare in casa di Camille, afferrare la ragazzina e metterla al muro? Sapeva bene che sarebbe stato ridicolo!

«Tuo marito sospetta qualcosa?» aveva chiesto, senza sapere che differenza potesse fare.

Camille aveva risposto negativamente. Continuava a scusarsi, usando assurde giustificazioni alle quali aveva a malapena prestato attenzione.

Poi lui aveva interrotto la comunicazione.