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L’Anecdote è una piccola brasserie come se ne vedono tante, con all’ingresso un largo bancone di stagno e panche in legno che danno un tocco caloroso e pittoresco. Pavimento in mattonelle, perlinato al muro, separé di vetro lavorato e soffitti verniciati conferiscono al posto l’illusione di essere a Parigi, in uno di quei locali dove la clientela apprezza il servizio rapido, l’accoglienza e la convivialità. Situata in una viuzza del centro, mostra un fascino tipicamente francese, tra i suoi tavolini bar da un lato, che ricevono i clienti per tutta la giornata, mentre i tavolini ristorante, già apparecchiati per il servizio della sera, sono imbanditi di tovaglie bianche.
Sono le diciotto e quindici.
In cucina, Étienne inforna gli ultimi gratin dauphinois prima di passare alle insalate. Consulta l’orologio con un’occhiata rapida, poi batte le mani per stimolare i suoi: due aiuti cuoco, un rosticciere che fa anche da salsiere e cambusiere, e un secondo di cucina, o meglio, una seconda di cucina, Nathalie, quarantenne dinamica e testarda.
«Ci muoviamo! Dai, dai, dai!»
«Sistemate le sdraio, ragazzi!» ironizza Nathalie senza levare il naso dal proprio lavoro.
Si sborbotta davanti ai fornelli. Di fatto, ciascuno svolge la propria mansione senza perdere tempo, anche se nel tardo pomeriggio la squadra funziona ancora al rallentatore. La preparazione è praticamente conclusa. Ai quattro angoli della cucina, si taglia, si trita, si pela, si mescola o si frusta. Nathalie termina la preparazione delle salse mentre Cyril, uno dei due aiuti, sorveglia la cottura del pot-au-feu di manzo, affisso come piatto del giorno. I rituali s’intrecciano in un balletto perfettamente coordinato di andate e ritorni tra i fornelli e i frigoriferi, lavandini e piani di lavoro.
Dopo essersi assicurato che tutto sia in ordine, Étienne seleziona diverse lattughe che passa sotto il rubinetto. I gesti si concatenano, rapidi e precisi. Strizza, divide le foglie nelle insalatiere, dispone le bottiglie dei condimenti al loro posto, pronte all’uso.
Verso le diciotto e trenta, Émilie, la cameriera responsabile del turno serale, infila la testa attraverso il passavivande e saluta la squadra. Ognuno le risponde dal proprio posto. Si informa allora da Étienne sulla composizione del piatto del giorno e sulle proposte dello chef, così come sui rispettivi accompagnamenti. Trasmetterà il messaggio alle altre cameriere perché ciascuna possa rispondere alle eventuali domande dei clienti. Gli altri piatti sono alla carta e non hanno più segreti per loro. Anche in sala ci si prepara per il prossimo servizio.
«Chi c’è stasera al bar?» le chiede Étienne.
«Fabrice e Saïd.»
«Dovrebbe andare bene. Mi porti un caffè?»
«Una birra per me!» esclama Nathalie dal frigo delle carni.
«Corro!»
Il volto della ragazza sparisce dalla finestrella. Étienne butta di nuovo uno sguardo all’orologio. Diciotto e trentasette. Tuffa la mano nella tasca del grembiule, un vecchio Nokia che riesce solo a fare chiamate, inviare sms e riceverne. L’unico telefono che sa usare.
Sblocca lo schermo e consulta il registro chiamate. Nessuna chiamata né messaggi. Nessuna novità. Inquieto, rimette il telefono al suo posto.
«Tutto bene?»
Dall’altro lato del piano in acciaio, Nathalie l’osserva con curiosità.
«Tu non devi preparare le cipolle?» brontola rigirandosi.
La seconda abbozza un sorriso e annuisce in segno d’intesa.
«Mi faccio i cavoli miei…»
«Buona idea!»
Lo chef non è dell’umore giusto, stasera. Nathalie inizia a conoscerlo, è da qualche anno che lavorano insieme. Non che d’abitudine sia il più gioviale degli uomini, ma sente che c’è sotto qualcosa. È ancora più silenzioso del solito ed è la terza volta dal suo arrivo che guarda il telefono, il che non è da lui.
Quando Émilie, riappare da dietro il passavivande, ci appoggia sopra una tazzina di caffè e un bicchiere di birra.
«Étienne, c’è già un tavolo da due al ristorante. Chiedono se possono ordinare.»
Étienne guarda meccanicamente l’orologio. Ufficialmente, la cucina apre solo alle diciannove. Nonostante sia tutto pronto, è lui a decidere se accettare di servirli.
«Non possono aspettare venti minuti?»
«Hanno fretta.»
Étienne esita un attimo prima di brontolare, con grande sorpresa di Nathalie: «Via alle danze».
Émilie gli rivolge un sorriso riconoscente e scompare.
«La bontà sarà la tua rovina!» ridacchia la seconda prendendo il bicchiere di birra.
«È più vero di quanto credi.» Poi, rivolgendosi a tutti: «Arriva la prima comanda, vediamo di non spaccarci il culo! Vi avverto, non ho molta pazienza questa sera! Quindi diamoci una mossa e seguiamo il ritmo. Compris?».
«Capito, chef!» rispondono gli altri quattro.
«Non c’è nessuno ai fuochi, non è normale!» s’infuria Étienne.
«Eccomi, chef!» annuncia Simon, raggiungendo i fornelli in un balzo.
«Restate concentrati, ragazzi. È venerdì, saremo nella merda fino a tardi!»
Alla finestra del passavivande, Émilie annuncia il primo ordine: «Mi fate un filetto e una costata. La costata a cottura media, e per il filetto una porzione di purè al posto delle fritte».
«Il purè non è pronto, le patate stanno ancora cuocendo.»
«Bene, aspetta, vado a sentire cosa vuole prendere la tizia invece del purè.»
«Non chiedi proprio niente! Le servo le patatine fritte, punto e basta.»
Émilie alza gli occhi al cielo. Sta per ribattere ma Étienne non gliene lascia il tempo.
«Se non vuole le patatine, vorrà il riso. Non servo il riso con il filetto, non ha senso.»
«Cosa ti cambia?» gli chiede Nathalie.
«Questione di principio!»
«Cominciamo bene» mugugna Émilie scomparendo di nuovo.
«Una costata media e un filetto!» annuncia Étienne alla squadra.
Simon e Nathalie si attivano immediatamente. Prendendo pentole e casseruole, viveri e condimenti, volteggiano da un punto all’altro della cucina mentre Étienne termina i gratin dauphinois passandoli sotto il grill.
Poco dopo Émilie si riaffaccia al passavivande.
«Non vuole le patatine. Preferisce aspettare che sia pronto il purè.»
«Pensavo avessero fretta!»
«Anche io lo pensavo» ribatte la cameriera sospirando.
Étienne la fissa un momento senza dire niente, con il volto impenetrabile. È arrabbiato per essersi fatto prendere per i fondelli da stronzetti che non avevano la decenza di aspettare che la cucina aprisse. Detesta i clienti che credono che tutto gli sia permesso, senza nessun riguardo né rispetto, persone che si relazionano con gli altri secondo idee medievali.
L’irritazione gli si legge in volto e, attorno a lui, tutti trattengono il respiro. Poi, la sorpresa generale, Étienne capitola.
«Okay» dichiara. «Andrò io stesso a portarle il piatto.»
«Cos’hai intenzione di combinare?» gli chiede Émilie, sospettosa.
«Niente. Voglio solo vedere che aspetto ha questa signora.»
La cameriera l’osserva per un attimo. Poi alza le spalle con indifferenza.
«Come vuoi.»
Quindici minuti dopo gli ordini sono pronti. Étienne afferra i due piatti cocenti proteggendosi le mani con spessi torcioni bianchi.
«Fate largo!» urla dirigendosi verso la porta della cucina, che dà direttamente accesso alla sala.
Non ha alcuna difficoltà a individuare il tavolo che deve servire, è l’unico occupato nella parte ristorante. Si presenta davanti ai clienti con deferenza esagerata.
«La costata?» chiede con simulata deferenza. È già tanto che non sbatta i tacchi.
Come si aspettava, l’uomo gli fa un cenno con la testa. Étienne appoggia il piatto davanti a lui, poi, secondo logica, si gira verso la persona di fronte.
Ma invece di mettere il piatto ancora caldissimo sul tavolo, lo allunga alla donna che, senza sospettare nulla, lo prende con le due mani.
La reazione non si fa attendere. Appena le dita entrano in contatto con la ceramica ardente, lei caccia un urlo e lascia brutalmente la presa. Il risultato è una catastrofe: il filetto si riversa integralmente sulle sue ginocchia, trascinando con sé salsa e purè.
Étienne finge prima sorpresa, dopo costernazione, infine desolazione.
«Mio Dio! Sono proprio desolato! Non si muova, le porto qualcosa per asciugarsi.»
La cliente si è alzata di colpo e sta per inveire. Ma di fronte allo zelo di Étienne, non può che frenare la collera. Infatti, lui è già di ritorno e si dà da fare attorno a lei per limitare i danni sulla gonna.
«Va bene!» si spazientisce irritata. «Dia a me!»
Gli strappa il fazzoletto dalle mani e tenta a sua volta di attenuare i danni.
«Sono davvero spiacente!» assicura Étienne in tono disperato. «Il purè è una vera calamità, è finito dappertutto. Avrebbe dovuto prendere le patatine, sarebbero state più facili da pulire!»