Farina doppio zero migliori effetti speciali

Pagami ancora, Squalo

«Essendo sul suo libro paga – Sbardella è presidente della società che pubblica questo settimanale – provo a scaldarmelo con citazioni ateniesi. Altro che squalo, dico, era di Aristotele la definizione dell’uomo come animale politico: beh, Sbardella, lei è la documentazione vivente del vero animale politico. Possa nuotare a lungo, con tutti i suoi denti, caro squalo» (Renato Farina rivolto a Vittorio Sbardella, detto Lo Squalo, ex fascista ora leader della corrente andreottiana a Roma, nonché plurinquisito, «Il Sabato», 24.1.1993).

Il Governo Bambinello

«È il tramonto, e Roma dal Colle del Quirinale, quando è maggio, chiede a Silvio di planare su di lei: ed è sua, da baciare... Il Cavaliere aveva detto come un profeta delle sue stesse pene: “Nulla si crea senza dolore”. Che meraviglia scendere su Roma, con il governo-bambinello della seconda Repubblica» («il Giornale», 11.5.1994).

Profumo di lingua

«Il giuramento di ministro ha il potere consacratorio più grande che ci sia, ti innalza a governare i popoli, è una roba mondiale. Una specie di unzione con oli profumati per gente che ha appena studiato il catechismo della notorietà e del far politica» («il Giornale», 12.5.1994).

I love Tonino

«Di Pietro appare come una specie di figlio furbo ma sincero di un’Italia scomoda, i cui valori antichi gli impreziosiscono la vita. Sono capitato in un mondo fuori del mondo dove regna Tonino. O forse è un’Italia che c’è ancora ma è troppo reale perché i giornalisti la vedano. Un’Italia di prima del consumismo, l’Italia dell’età del pane» («il Giornale», 2.8.1996).

Sono apparso a don Giussani

«Un giorno del 1992 mi ritrovai in macchina con don Giussani ed un amico. Bisognava chiedere una grazia. Il mio amico aveva bisogno di un aiuto dal cielo: doveva rimuovere qualche pietra dal cuore, ma da solo non ce la faceva. Andò da don Giussani. Partimmo, noi tre amici, verso il santuario della Madonna di Caravaggio... Quando ho bisogno di ricordare guardo quella teca dove ci sono don Giussani, il mio amico ed io. Ricordare che cosa? Semplicemente ricordare. Ritrovare la memoria: del mondo, di me, di coloro cui voglio bene, il destino, l’amore, tutto. Dio e le stelle. E le facce. L’io e il tu. Tutto insomma: l’ho già scritto. E lì dove c’è tutto, quando il tutto non è la sordità di una massa senza significato, ma l’azzurro dell’istante che si spalanca sull’universo, e si può respirare, e non si ha paura; ecco, lì c’è don Luigi Giussani... Quante volte don Giussani ha insegnato a distinguere tra ricordo e memoria. Il ricordo sfuma. La memoria è il ritrovare qualcosa che è presente. La memoria non annega nel rimpianto. La memoria è ricominciare. Io ricomincio mentre scrivo... Era come se attraverso gli incontri della sua vita... si fosse palesata nel mondo la stessa energia che l’ha creato era la stessa mano, lo stesso alito... In quel reliquiario vedo daccapo e riconosco il nostro (il mio) irripetibile “io” così fragile, traditore, cattivo, eppure amato, amante, persino utile al destino... C’è una misericordia, lo dicono i ragionamenti di don Giussani, che non escono dalla testa o dai sentimenti, ma dagli occhi, nascono dal vedere, sono uno sguardo, due fessure grigie e verdi che scoperchiano l’Infinito Tu...» («il Giornale», 15.10.1997). Lo portano via.

Meglio la Loren o Riina?

«Giulio e il cinema. Andreotti, le attrici e la gelosia». «All’Hotel delle Palme di Palermo, Giulio Andreotti mangia risotto al radicchio nella sala damascata di seta gialla. Oddìo, già che sono qui per il famoso processo, appuntamento alle quattro. Ma la calma siciliana, quella specie di sopore tiepido che avvolge come un manto profumato le cose, trascina il vecchio statista processato per mafia tra i suoi ricordi di belle donne e grandi attori. In fondo, la vita è più forte... Conosce molta gente di spettacolo. Anche attrici?... Più bella la Lollo o Sophia Loren?... Ha conosciuto anche Anna Magnani?... Perché dice purtroppo?... Com’era?... Rossellini non frequentava Ingrid Bergman?... Rossellini era a quel tempo del giro democristiano... Ma lei passava per un censore... E la sua amicizia con Alberto Sordi?... Conobbe Vittorio De Sica?... Che fa, ne imita la voce?... Ma la Magnani... confessi... Sono le tre e mezzo. Alle quattro c’è Badalamenti, l’accusa di mafia, l’anniversario dei cinque anni d’inferno. Dalla commedia al dramma. Si alza un altro sipario. Com’è la vita» (intervista a Giulio Andreotti in una pausa del suo processo per mafia, «il Giornale», 31.3.1998).

Brevi amori a Villa la Certosa

Nell’estate del 2003 Renato Farina, inviato di «Libero», viene proditoriamente sequestrato da Silvio Berlusconi allo stadio San Siro, deportato in Costa Smeralda e ivi tenuto vilmente in ostaggio per ben sei giorni fra i cactus e i menhir di Villa La Certosa, con trattamenti inumani vietati dalla convenzione di Ginevra e dai più elementari principi della pietà umana. Alla fine il malcapitato viene liberato e restituito all’affetto dei suoi cari, pare senza il pagamento di alcun riscatto, se si eccettuano le cronache a puntate della sua prigionia, improntate a una nuova forma di sindrome di Stoccolma, che l’ha fatto perdutamente innamorare del rapitore. Gli specialisti la chiamano «Lingua della Costa Smeralda», a causa di un antipatico effetto collaterale: l’ipersalivazione.

Tre cuori, una capanna

«Gli chiedo se posso passare da lui per un saluto. “Buona idea, organizzo”. Ha organizzato. “Venga allo stadio per Milan-Juve. Poi viene con me in Sardegna”. Ho la poltroncina dietro la sua. Faccio coppia con Fedele Confalonieri. Ci saremo soltanto il presidente di Fininvest ed io, ospiti a Villa Certosa» (Renato Farina, «Libero», 19 e 24.8.2003). Serviva giusto un cameriere.

La salita al Calvario

«Si salta la cena... Si parte con l’aereo di Stato dopo mezzanotte... Si addormenta placido, con un dolore al costato. Gli offro un antidolorifico. “No, grazie, i dolori preferisco sopportarli. So che morirò lavorando. Un ictus, un infarto...”. Confalonieri annuisce. Lo contraddico: ideale è un mese di preparazione alla morte» (ibidem). Servivano pure un infermiere e un portafortuna.

Asterix e Obelix

«Si sale su uno Shuttle con il motore elettrico. È lui al volante. Mostra il parco: sono 700 metri quadri. “Questo territorio l’ho sottratto agli incendi estirpando i rovi... Questa sarà l’agorà”. Ora è brullo, ma già una decina di grandi pietre puntate verso il cielo creano un anfiteatro di misticismo ancestrale. “Sono menhir, alti 8 metri, li ho acquistati da vari proprietari e li ho disposti qui’» (ibidem). Tanto poi arriva il condono edilizio.

Il Domatore della Natura

«Racconta come preveda una sorta di teatro, con tre piazze che si sovrappongono e si distendono dinanzi a questi ulivi... C’è qualcosa di pionieristico in tutto questo. L’uomo che doma la selvatichezza della natura, magari anche un po’ troppo, ma Berlusconi è così. Gli chiedo se ci sono paragoni con qualche parco. Non ce ne sono – dice» (ibidem). Si prega di prendere buona nota.

Il Presidente del Cactus

«Una visione confonde persino Confalonieri. “È il museo delle piante grasse e dei cactus”. C’è una piscina intorno, Berlusconi premendo un bottone illumina soffusamente una foresta incredibile di gonfi rigogli vegetali tra rossastre pietre laviche e bouganvillee addormentate. Sono duemila esemplari di cinquecento specie. “Accarezzi quella pianta sudafricana”. Il dito va giù come su una levigatissima pelle eburnea, un burro perlaceo» (ibidem). Sono momenti delicati: fu così che l’ingenuo Farina, fra il lusco e il brusco, alla tenera età di 50 anni, scoprì il sesso.

Il Presidente Creatore

«Perché ha deciso di impegnarsi in questo immenso cantiere? Non può farne a meno. “Volevo dimostrare a me stesso che non sono del tutto rincoglionito dal governo. Quando non ho intralci, realizzo, umanizzo la realtà al meglio, valorizzo le energie italiane”» (ibidem). La parola d’ordine è una sola, perentoria e imperativa per tutti: realizzare, umanizzare, valorizzare.

Il Presidente Usignolo

«La vista è impareggiabile e stavolta il Cavaliere, vestito di bianco sembra un beduino appena sceso da cavallo. Si abbandona al canto che intona il suo amico Mariano Apicella. Berlusca mette giù i testi (“in due minuti”), l’altro li palpa, li vellica, li musica» (ibidem). Ecco: anche palpare, vellicare, musicare.

Il Presidente Manidiforbice

«Il presidente operaio lavora. Persino la passeggiata la fa con le cesoie in mano. Il telefono nella sinistra, e la forbiciona nella destra. Un passo pota qua, il successivo telefona là. Controlla il ghiaietto, le pale del ventilatore sotto un gazebo azionate da un telecomando, le cinque piscine per la talassoterapia. Visto che siamo gente colta, cito Rimbaud: che ci faccio qui?» (ibidem). Citando Montanelli, invece, si potrebbe dire: gente colta, ma mai sul fatto.

Il Presidente Fecondatore

«Qualcuno si è arrampicato sugli scogli dinanzi alla tenuta. Compare lui in maglietta blu e calzoncini bianchi sul davanzale a picco sul golfo di Marinella. Le signore si coprono il seno. Lui saluta con la mano» (ibidem). Fanno bene, le signore, a coprirsi. L’ultima che non lo fece, appena Lui la salutò con la mano dal davanzale a picco, rimase incinta.

Made in Italy

«La vita, a Villa La Certosa, anche in tempo di ferie, comincia presto. È martedì? Berlusconi guarda gli zampilli che irrorano un prato che sembra di essere in Canada a maggio, e il paragone gli fa venire voglia di camminare per i suoi sentieri insieme frondosi e caraibici che percorrono questo parco di 70 ettari sospeso sul mare» (ibidem). Le discese ardite e le risalite, su nel cielo aperto, e poi giù il deserto. I prati come li fa Lui non li fa nessuno, salvo in Canada. I sentieri come li fa Lui non li fa nessuno, salvo ai Caraibi.

Una lacrima sul viso

«Il Berlusca si commuove per l’amico che ha perso il figlio. Guarda le sperdutezze del mare. “Che cosa devi dire? Le parole non servono. L’uomo è ‘pulvis et umbra o humbra’. Chi è che lo ha scritto, Fedele?”» (ibidem). Sai, Fedele, non leggo un libro da vent’anni. Comunque era Orazio.

Il Presidente Teologo

«A questo punto inizia una vigorosa discussione sull’aldilà, sull’esistenza o meno dell’inferno. Ve la risparmio. E su che cosa sia il peccato. Berlusconi dice: “Ho studiato dai salesiani, ero il loro oratore. Ora le mostro dove farò una chiesa, dove la domenica dir messa”» (ibidem). Non una discussione qualunque: una discussione vigorosa.

Nuovi posti di lavoro

«Si va all’agorà dei menhir, le pietre modellate da uomini primitivi. Ferve il lavoro. In tutto il parco ci lavorano in 50 tra tecnici e muratori. Le guardie del corpo hanno una divisa coloniale, e mentre noi evitiamo con abilità gli zampilli rotanti per l’innaffiatura, loro per lavoro non possono, e si fanno docce ogni due minuti» (ibidem). Potrebbero, ma non si spostano. Lui li vuole tutti così: pirla.

Un uomo, un calzino

«L’uomo pensa a tutto. Ghe pensi mi. Proprio così. Berlusconi guarda i miei piedi e dice: “Mi aspetti. Le do un paio delle mie calze, le sue non vanno bene”. E dire che erano di lusso, marca Gallo. “Provi queste”. Eccomi dunque a passeggiare con le calze di Berlusconi. Le conversazioni, giuro, vengono meglio» (ibidem). Soprattutto per chi parla coi piedi. Da quel giorno, non le ha più lavate.

Un uomo, un toupè

«A un certo punto Berlusconi nota che ho pochi capelli, ma sparati in su: “Faccia come me, li tenga giù. Vendono un prodotto della...”. Non dico la marca, non vorrei che la boicottassero» (ibidem). L’astuto camuffamento gli tornerà presto utile per la sua nuova carriera di agente del Sismi, arruolato da Pio Pompa col nome di battaglia «Betulla».

Un uomo, una scarpa

«Sulle scarpe invece c’è scritto Silvio. Ma si capisce lo stesso che è lui: sta sempre davanti, come nella famosa foto delle Bermude» (ibidem). E poi è l’unico, a parte Veronica, con i tacchi a spillo.

La Giovane Marmotta

«Tremonti, che si aggiungerà a Confalonieri e al sottoscritto il giorno dopo, è arrivato con i calzoni a mezza gamba da esploratore tropicale. Veniva giù dalle Alpi e qui per lui è un po’ Africa» (ibidem). E Farina subito lì pronto con le valigie: «Sì, buana».

Gambe di velluto

«Berlusconi con la maglietta blu e i calzoncini bianchi è del 1936. Ha le gambe che sembrano la réclame del borotalco dei bambini. Non oso chiedergli se si depila» (ibidem). A questo punto, per pudore e discrezione, non resta che il silenzio. Spegniamo le luci, lasciamoli soli.

Soccmel!

«Dovrete sopportarlo finché campate e persino onorarlo come fenomeno non solo del giornalismo, ma della letteratura... Assorbe tutto e gli dà le ali... fino al suo incontro con Gesù» (Renato Farina, ciellino, recensisce l’ultima opera di Antonio Socci, ciellino, «Panorama», 11.9.2003).

Tu lecchi dalle stelle

Li abbiamo lasciati innamorati pazzi, come in un bozzetto di Peynet, fra i cactus di Villa La Certosa. Li ritroviamo ancora soli, mano nella mano, a Villa San Martino in quel di Arcore, per una notte di Natale che più intima non si può. Tristissima, però. Due cuori, una villa. Il premier e il badante. È andata così. La sera del 24 dicembre 2003, comprensibilmente abbandonato dalla moglie e dai figli, Silvio Berlusconi elude il controllo dei consiglieri e degli infermieri e chiama Renato Farina: «Sono appena arrivato da Roma. Lei starà facendo il cenone in famiglia...». Lo sventurato risponde: ma no, si figuri, io non mangio mai, un attimo e sono da lei. Il clima purtroppo non è più quello di agosto, quando il premier ostentava ai giornalisti dello «Spectator» «i capezzoli in trasparenza, attraverso un pigiama bianco alla Marlon Brando» e l’«allegro sorrisetto da scoiattolino e il suo nasino disneyano...»; e mostrava a Farina – un po’ geloso – «le gambe che sembrano la réclame del borotalco dei bambini». Ora, col freddo che fa, copre le splendide pudenda, anzi «si avvoltola freddoloso in un mantello nero orlato di rosso». È il leggendario mantello del Milan che – assicura l’inviato embedded – «ricorda qualcosa dell’infanzia, ecco chi mi ricorda: Zorro! E io mi sento tanto sergente Garcìa». Sfidando la legge sulla privacy, ci intrufoliamo nell’intimità del presepe di Arcore. La mangiatoia sempre in funzione, un nano al posto del bambinello, l’asino e il bue d’ordinanza, poi Farina.

La Betlemme della Brianza

«La villa di Arcore è circondata di luci e di carabinieri. È la notte di Natale... in questa Brianza dalle lievi colline. C’è proprio un cielo fiammeggiante di stelle come non capitava da un sacco di Natali, qui in Lombardia... Le grandi case di Arcore e Macherio, i paesi della Brianza milanese dove il premier ha lavoro e famiglia» («Libero», 28.12.2003). Non una Brianza qualsiasi: la Brianza milanese.

Osama nell’alto dei cieli

«Ho annotato anzitutto le frasi del premier sul terrorismo incombente: “Che giornata terribile è stata questa. La questione vera non è stata il decreto sulle tv, che peraltro ha avuto l’immediato consenso del Quirinale. Ma la notizia precisa, verificata di un attentato su Roma nel giorno di Natale. Un aereo dirottato sul Vaticano. Un attacco dal cielo, chiaro? Ho passato la Vigilia a Roma per fronteggiare la situazione. E ora mi sento tranquillo. Passerà. Lo diceva Eduardo... Se hanno organizzato questo, non ce la faranno”» (ibidem). Ecco: Lui s’è piazzato sul tetto di Palazzo Chigi e, con le nude mani, ha deviato la traiettoria dell’aereo.

L’ultimo metrò

«“A novembre – rivela il Cavaliere – ero stato informato di un possibile attentato devastante che avrebbe colpito un certo giorno le metropolitane di Roma o Milano. C’era chi insisteva perché fossero chiuse le stazioni. Mi sono assunto la responsabilità di evitare certe misure”» (ibidem). Si è steso sui binari contemporaneamente a Roma e a Milano, e ha bloccato i due treni della morte.

Da Milano2 a Vaticano2

«Adesso che scrivo si può tirare il fiato: è andata. La paura resta, ma si attenua. San Pietro e il papa, certo. Ma anche le grandi case di Arcore e Macherio erano bersagli alternativi e plausibili. Che ci sia di mezzo Al Qaeda è ovvio» (ibidem). L’indomani Palazzo Chigi smentirà recisamente tutte le frasi del premier sugli attentati di Al Qaeda a Roma e a Milano: «Sono farina del sacco di Farina».

La fuga in Egitto

«Moglie e figli? All’estero, probabilmente» (ibidem). Avevano saputo che veniva Farina.

Truppe d’appalto

«Berlusconi mi ha confessato: “Quando penso ai diciannove caduti a Nassiriya, mi dico: se invece di essere io al governo ci fosse stato, che so, D’Alema, non li avrebbe mandati in Iraq e sarebbero vivi. Mi sento responsabile, ma lo rifarei”» (ibidem). Meno male che c’è lui: armiamoci e partite.

Alta cultura

«Berlusconi non ha sollevato le cateratte della vanità. Niente, neanche un lamento, ed è una cosa da statista, persino da uomo coraggioso. Mi rendo conto che, se invece del Berlusca ci fosse uno di sinistra, bisognerebbe tirare fuori a questo punto una citazione di Shakespeare sulla maestà e la miseria del potere eccetera. Con Berlusconi l’operazione è per fortuna impossibile» (ibidem). Nessun pericolo che conosca Shakespeare.

L’albero a cui tendevi...

«Mi porta a vedere nel cortiletto l’albero di Natale, “dono di Emilio Fede”, rimpinzato da palle rosse enormi» (ibidem). Che sono la specialità della casa.

Fede, speranza e carità

«Dice: “Tutti i doni arrivati qui li ho quasi tutti fatti distribuire alle suore che curano i poveri... Mi tengo solo quest’albero”» (ibidem). Purtroppo le suore l’hanno rimandato indietro.

Governo Mediaset

«“Qualsiasi ministro del mio governo potrebbe testimoniare che mai, mai in nessun caso, ho curato i miei interessi”» (ibidem). Glieli curano direttamente loro.

L’altro statista

«“Cossiga continua a rimproverarmi. E spinge: ‘Usa il potere!’. Mi invita a spedire la Guardia di finanza: 50 Fiamme gialle qui da Romiti, 50 Fiamme gialle là da Banca Intesa. Mai e poi mai, ho risposto”» (ibidem). Se no gli tocca ricominciare a pagarle, le Fiamme gialle.

La Sacra Famiglia

«Della Chiesa gli piace l’idea di difendere la famiglia» (ibidem). Infatti, per difenderla meglio, ne ha almeno un paio.

La B di Zorro

«È tardi. La segretaria lo chiama, l’agenda preme anche la Vigilia. Forse c’è persino molta solitudine. “Natale lo faccio con mia mamma”, dice avvolto nel mantello da Zorro sotto le stelle della Brianza» (ibidem). E via, a cercare la Madonna. Il tempo stringe: a mezzanotte in punto, come ogni anno, gli tocca nascere.

Quel salame di Farina

«[Con Berlusconi, nda] c’è un rapporto di amicizia. C’è una certa confidenza. Tutti i Natali ci vediamo per farci gli auguri. E io gli porto un microregalo. Due anni fa gli portai un salame della Brianza lungo un metro. E lui mi regalò un Cartier» (intervista rilasciata a Claudio Sabelli Fioretti, «Magazine-Corriere della Sera», 18.8.2005). Uno scambio alla pari.

Dottore, ho un po’ di inchinite

«Feltri dice che soffro di “inchinite” nei confronti di Berlusconi... Premetto una cosa: io voglio bene a Berlusconi...»

«E la visita in Sardegna?»

«Berlusconi mi aveva telefonato per farmi gli auguri a Ferragosto... Lui mi disse: “Andiamo qualche giorno in Sardegna”».

«Ti sgridò perché non avevi portato calze da jogging».

«E anche perché mi ero profumato. Probabilmente era anche un profumo da donna. Berlusconi è veramente eccezionale. La sua forza è che ti fa sentire pari a lui. Non è né arrogante né finto umile» (ibidem).

Rime bacate

«Le bugie sulla Gelmini / fanno ridere i bambini. / Attaccare Maria Stella / a Veltroni porta jella. / Dieci lode in Parlamento / al ministro Maria Stella» (dal discorso in versi tenuto alla Camera da Renato Farina, deputato Pdl, in onore della ministra della Pubblica istruzione Maria Stella Gelmini, 29.9.2008).

Maradonne

«Marchionne ha fatto quello che fanno i grandi personaggi che si avvicendano sulla scena della storia: ha accentrato... Ma guai a copiarlo, certe giocate riescono solo a Maradona» (Renato Farina in «Dossier Piemonte» allegato a «il Giornale», 1.9.2010). Infatti anche Maradona aveva rapporti problematici con il fisco italiano.

Andreotti era bellissimo, e senza gobba

«Il segreto di Andreotti è che non aveva segreti (a parte il gelato)». «Nella camera ardente il volto di Andreotti era roseo, riposato. Non è mai stato così bello. Il profilo è quello di un capo Sioux addormentato. Vi ho scorto l’impronta di una luce che gli è stato consentito di vedere gli ultimi istanti, per poter dire comunque grazie per quello che ha vissuto. Aveva parlato spesso di Paradiso negli ultimi anni, confidando che le prove cui era sottoposto purificassero le colpe e alleggerissero i ciondoli delle onorificenze terrene della gloria, che portano lontano dal vero bene. Vorrei comunicare agli amici di “Tempi” quel tormento che mi dà ora, contagiare questa inquietudine calma che non mi molla. Un fuoco che non abbandona mai, neanche in vecchiaia. Ho notato che la famosa gobba non c’era più, o forse era nascosta nella seta... La scatola nera di Andreotti è stata il suo senso religioso. Non posto accanto alla sua azione, ma come desiderio continuo, meticoloso, dentro ogni istante, di dialogare con il Mistero. Anzi, lui direbbe “con il buon Dio”. In questo è stato esempio di politico cristiano. Ricordo il comunicato scritto da don Giussani quando fu incriminato. Disse proprio che veniva messa sotto accusa la maniera cristiana di intendere la politica... Viveva il suo dovere immenso di statista con la dignità di una sartina o di una operaia di filanda. Conta se dentro c’è quell’offerta di sé “a Nostro Signore” (usava questa formula). Piccole cose perché le sminuzzava tutte, per rendersele digeribili. Piccole per modo di dire... La decisione su Moro, il no formale alle trattative e invece l’appoggio totale all’ultimo tentativo di Paolo VI. E anche lì una frase che lo rese ridicolo nella sua ingenuità. “Se si fosse salvato avevo fatto il fioretto di non mangiare più gelato”. Fioretto-gelato!... Lo capii dopo. Il gelato era per lui il riposo del guerriero. Chiamare fioretto tutto questo dice la qualità della sua fede fanciulla...» (in morte di Giulio Andreotti, «Tempi», 10.5.2013).