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I primi contatti
Quelle dei satelliti per telecomunicazioni erano società totalmente indipendenti e molto spesso spietate concorrenti, ma mai nemiche: fra di loro esistevano degli accordi chiamati, in modo informale, trattati. Poiché la possibilità che un satellite fosse fuori uso a causa di un guasto interno ― o a seguito di una collisione con detriti spaziali — costituiva un serio problema per loro, avevano raggiunto degli accordi di collaborazione reciproca. Perciò nel caso in cui un operatore avesse perduto uno dei suoi “uccellini”, i colleghi gli sarebbero andati in aiuto, proprio come i giornali di una stessa città avevano da sempre concordato di mettere le tipografie a disposizione di tutti in caso di calamità naturale. A sostegno di questi accordi, esistevano delle linee telefoniche aperte fra i vari centri di telecomunicazione. La Intelsat fu la prima a chiamare la Telstar.
«Bert, abbiamo appena perso due “uccellini”» comunicò il tecnico di servizio dell’Intelsat con voce leggermente tremante. «Cosa succede?»
«Merda, noi ne abbiamo appena persi tre, e anche Westar 4 e Teleglobe sono fuori uso. Qui abbiamo un guasto totale di tutto il sistema. Stiamo facendo dei controlli… e voi?»
«Lo stesso, Bert. Hai una qualche idea?»
«Niente. Stiamo parlando di nove “uccellini” fuori uso, Stacy. Cazzo!» Fece una pausa. «Qualche idea? Aspetta un attimo, abbiamo qualcosa… niente, è il software. Stiamo provando con il 301 adesso… sono piantati… Cristo! Il 301 è inchiodato su più di cento frequenze! Qualcuno ha appena cercato di metterci K.O.»
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«È quello che sembra. Ma chi?»
«Certamente non si tratta di un dilettante… per fare una cosa del genere solo su un canale ci vogliono un sacco di megawatt.»
«Bert, questa è la situazione. Collegamenti telefonici, tutto fuori uso all’improvviso. Hai fretta di farli ripartire?»
«Mi stai prendendo in giro? Ci sono hardware da miliardi lassù. Fino a quando non scopro cosa li ha ridotti così, rimarranno bloccati. Il mio vicepresidente sta arrivando. Il presidente è a Denver» aggiunse Bert. «Anche il mio, e persino l’ingegnere capo è rimasto bloccato dalla neve. Non ho intenzione di scoprirmi il culo, accidenti. Bert, penso che dovremmo cooperare.»
«Io non voglio storie, Stacy. Farò un fischio a Fred Kent a Hughes per sapere cosa ne pensa, e intanto farò un controllo completo dei sistemi. Io non li farò ripartire fino a quando non saprò, e dico saprò, che diavolo è successo.
Dobbiamo proteggere un’intera industria, bello mio.»
«D’accordo. Non li riaccenderò prima di aver parlato con te.»
«Se scopri qualcosa, informami.»
«Garantito, Bert. Ci risentiamo fra un’ora, in un modo o nell’altro.»
L’Unione Sovietica è di gran lunga il paese più vasto del mondo, tanto in termini di territorio che di estensione dei confini. Tutti i confini sono sorvegliati, dato che sia l’attuale stato che quelli precedenti sono stati invasi molte volte. Queste difese comprendono, oltre agli ovvi concentramenti di truppe, campi di aviazione, stazioni radar, anche stazioni di ricezione radio e progettate per ascoltare comunicazioni via radio e altre emissioni elettroniche.
Le informazioni raccolte vengono trasmesse o per linea terrestre o tramite ripetitori a microonde al centro di Mosca, ai quartieri generali del Comitato per la sicurezza dello Stato, il KGB, e al n. 2 di piazza Dzeržinskij. L’ottava direzione principale del KGB si occupa di spionaggio sulle telecomunicazioni e della loro sicurezza. La sua storia è antica e brillante e gode dei vantaggi derivanti da un altro settore in cui i russi si sono sempre distinti: la matematica teorica.
Il rapporto fra i codici cifrati e la matematica è logico e la più recente esemplificazione di questo fattore è stata il lavoro di un piccolo uomo con la barba che ammirava gli studi di Benoit Mandelbrot, l’uomo che ha inventato la geometria frattale. Unendo quegli studi a quelli di MacKenzie, dell’università di Cambridge in Inghilterra, sulla teoria del caos, il giovane e geniale russo aveva inventato un modo teorico assolutamente nuovo di considerare le formule matematiche.
Quel ristretto numero di persone che riusciva a seguire le sue ricerche era convinto che il suo lavoro meritasse il premio Nobel. Un “incidente” storico completò il quadro: suo padre era un generale della direzione principale guardie di frontiera del KGB e quindi il Comitato per la sicurezza dello Stato notò 637
immediatamente il suo lavoro. Adesso il matematico aveva tutto quello che una madrepatria riconoscente può offrire, e un giorno avrebbe forse ricevuto quel Nobel.
Solo dopo due anni di lavoro riuscì a trasformare la sua scoperta teorica in qualcosa di pratico, ma già quindici mesi prima aveva fatto il suo primo
“recupero” dal codice cifrato più sicuro del ministero degli interni statunitense, lo STRIPE. Sei mesi dopo era riuscito a dimostrare che la struttura di quel codice era simile a quelle utilizzate per tutti gli altri codici cifrati delle Forze Armate statunitensi. Facendo un controllo incrociato con altri addetti alla decrittazione che avevano accesso al lavoro del gruppo spionistico di Walker e a quello ancora più importante di Pelton, solo sei mesi prima era riuscito a penetrare sistematicamente i sistemi di crittografia americani. Certo, non era ancora arrivato alla perfezione. Talvolta era impossibile trovare i codici di ogni singola giornata e capitò che addirittura per una settimana non riuscissero a recuperare neanche un messaggio, anche se poi per tre giorni consecutivi recuperarono addirittura la metà di quello che avevano ricevuto, e i risultati miglioravano sempre più. In realtà, il problema principale sembrava dato dai fatto che non avevano a disposizione l’hardware necessario per svolgere tutto il lavoro, ma l’ottava direzione stava addestrando altri linguisti per gestire tutti i messaggi che ricevevano.
Sergej Nikolajevič Golovko era stato svegliato dal suo sonno ristoratore e portato nel suo ufficio per andare ad aggiungere il suo nome fra quelli che, in tutto il mondo, erano scioccati dalla gravita del momento. Era stato un uomo della prima direzione per tutta la vita: il suo lavoro consisteva nell’analizzare il pensiero collettivo americano e informare il Presidente di quello che stava succedendo. Il suoi strumenti di lavoro più utili erano i messaggi decifrati.
C’erano più di trenta fogli sulla sua scrivania e tutti contenevano uno dei due messaggi seguenti: a tutte le forze strategiche era stato ordinato lo stato di difesa due e tutte le forze convenzionali stavano entrando nello stato di difesa tre. Il Presidente americano era in stato di panico, pensò il primo vicepresidente del KGB. Non c’erano altre spiegazioni. Come poteva pensare che l’Unione Sovietica avesse commesso un simile atto disumano? Questo pensiero lo terrorizzava.
«Un altro, navale questa volta.» Un altro messaggio che si andava ad aggiungere ai precedenti.
Golovko attese solo un attimo. «Passatelo immediatamente alla Marina.»
Alzò il ricevitore del telefono: doveva chiamare il Presidente.
Per una volta la burocrazia sovietica agì rapidamente. Pochi minuti dopo, fu emesso un segnale a bassissima frequenza e il sottomarino Ammiraglio Lunin salì in superficie per captare il messaggio completo. Mentre usciva dalla stampante, il capitano Dubinin lo lesse.
SOTTOMARINO AMERICANO USS MAINE COMUNICA POSIZIONE A 50D-55M-09SN
638
153D-01M-23SW. MOTORI FUORI SERVIZIO PER COLLISIONE, CAUSA SCONOSCIUTA.
Dubinin lasciò la sala comunicazioni per andare al tavolo di carteggio.
«Dove eravamo quando abbiamo sentito quel picco?»
«Qui, capitano, e la rilevazione era qui.» L’ufficiale di rotta tracciò una riga con la matita.
Dubinin scosse la testa e gli passò il messaggio. «Guardi.»
«Cosa pensa che stiano facendo?»
«Saranno vicini alla superficie. Quindi… saliremo fino ad arrivare appena sotto lo strato e poi ci muoveremo rapidamente. I rumori di superficie inganneranno il loro sonar. Quindici nodi.»
«Crede che ci stessero seguendo?»
«Ci ha messo parecchio a capirlo, vero?» Dubinin misurò la distanza dal bersaglio. «Mossa ben riuscita, ma è ancora tutto da vedere. Lei sa quanto si vantino gli americani delle foto che fanno ai sottomarini? Adesso, mio giovane tenente, sarà il nostro turno!»
«Che cosa significa tutto questo?» chiese Narmonov al suo primo vicepresidente.
«Gli americani sono stati attaccati da forze sconosciute e ci sono .stati parecchi morti. Dobbiamo presupporre che aumenteranno il loro stato di allerta militare e dovranno anche preoccuparsi di mantenere l’ordine pubblico» rispose Golovko dalla sua linea telefonica protetta.
«E allora?»
«Sfortunatamente, tutte le loro armi strategiche sono puntate sulla Rodina. »
«Ma noi non c’entriamo niente!» obiettò il Presidente sovietico.
«Esatto. Ma sa, queste reazioni sono automatiche. È tutto programmato, sono come dei riflessi condizionati. Quando si viene attaccati, si diventa molto sospettosi: per poter agire rapidamente, le contromosse vengono programmate in anticipo mentre, per evitare inutili distrazioni, l’analisi del problema avviene solo in un secondo tempo.»
Il Presidente sovietico si girò verso il ministro della difesa. «Allora, cosa dobbiamo fare?»
«Consiglio di aumentare solo lo stato di allerta difensivo. Dopotutto, chiunque stia conducendo questo attacco potrebbe tentar re di colpire anche noi.»
«D’accordo» disse Narmonov in modo definitivo. «Massimo stato di allerta difensivo.»
Golovko si concentrò: la sua scelta delle parole era stata perfetta e riflessiva.
«Potrei dare un suggerimento?»
«Sì» disse il ministro della difesa.
«Se possibile, sarebbe meglio comunicare alle nostre forze militari la ragione 639
dello stato di allerta. Potrebbe diminuire lo shock provocato dall’ordine.»
«È un’inutile complicazione» rifletté il ministro della difesa.
«Gli americani non l’hanno fatto» aggiunse Golovko immediatamente, «e quasi sicuramente è stato un errore. Vi prego di pensare allo stato d’animo degli uomini a cui, durante normali missioni di pace, viene ordinato lo stato di allerta.
Ci vorranno solo poche parole in più, ma potrebbero essere quelle determinanti.»
«Buona idea» rifletté Narmonov. «Proceda in questo modo» ordinò al ministro della difesa.
«Sentiremo presto gli americani sulla “linea calda”» disse Narmonov. «Cosa diranno?»
«È difficile immaginarlo, ma in ogni caso dovremmo preparare una risposta, solo per calmare le acque, per convincerli che noi non c’entriamo.»
Narmonov annuì, l’idea era sensata. «Cominci a prepararla.»
Gli operatori dell’agenzia di comunicazioni della difesa brontolarono quando videro il segnale che dovevano trasmettere. Per facilitare le operazioni, la parte essenziale del segnale doveva poter essere contenuta in un gruppo a codice di cinque lettere che veniva poi trasmesso, decrittato e immediatamente recepito da tutti i destinatari; ma adesso non era possibile. Le frasi aggiunte dovevano essere tagliate per evitare che il messaggio risultasse troppo lungo. Una volta rielaborato, fu trasmesso a non meno di trenta collegamenti, dove fu ulteriormente adattato alle specifiche applicazioni militari.
L’ Ammiraglio Lunin stava seguendo la sua nuova rotta da soli cinque minuti quando arrivò un altro segnale ELF. L’ufficiale addetto alle comunicazioni lo portò nella sala comandi.
STATO ALLERTA GENERALE LIVELLO DUE. ESPLOSIONE NUCLEARE DI ORIGINE
SCONOSCIUTA NEGLI STATI UNITI. FORZE STRATEGICHE E CONVENZIONALI AMERICANE IN STATO DI ALLERTA POSSIBILE CAUSA: GUERRA. TUTTE LE FORZE
NAVALI SARANNO IMMEDIATAMENTE INVIATE IN MISSIONE. PRENDERE TUTTE LE
MISURE DIFENSIVE NECESSARIE.
«Il mondo è forse impazzito?» chiese il capitano al foglio con il messaggio.
Non ricevette risposta. «È tutto?»
«È tutto, non ci hanno comunicato di alzare l’antenna.»
«Non ci sono le istruzioni adeguate» obiettò il capitano Dubinin. «Tutte le misure necessarie?” Cosa vuole dire? Proteggere noi, proteggere la madrepatria… cosa accidenti vuole dire?»
«Capitano» disse lo starpom, «lo stato di allerta generale due ha le sue regole d’azione.»
«Lo so» disse Dubinin, «ma sono valide in questo caso?»
«Perché avrebbero mandato il messaggio altrimenti?»
Era la prima volta che alle forze militari sovietiche veniva ordinato So stato di 640
allerta generale due: le regole d’azione non erano quelle di guerra, ma nemmeno quelle di pace. Anche se Dubinin, come tutti gli altri capitani della Marina sovietica, comprendeva a fondo i suoi doveri, le implicazioni di quell’ordine sembravano preoccupanti… Comunque, quel pensiero se ne andò: aveva degli ordini da eseguire. Chiunque li avesse dati, sicuramente aveva capito la situazione meglio di lui. L’ufficiale comandante dell’ Ammiraglio Lunin era in piedi e si girò verso il suo secondo.
«Portare la velocità a venticinque nodi. Ai posti di combattimento.»
Avvenne tutto molto rapidamente. L’ufficio dell’FBI di New York, nell’edificio federale Jacob Javits nel sud di Manhattan, mandò i suoi uomini a nord; e lo scarso traffico della domenica rese tutto più facile. Le loro potenti macchine viaggiavano a sirene spiegate verso le varie sedi delle reti di telecomunicazioni. Ad Atlanta succedeva la stessa cosa: gli agenti lasciarono l’edificio Martin Luther King diretti alla sede della CNN. In tutti i casi, almeno tre agenti entrarono negli uffici dirigenziali a dettar legge: nessuna notizia doveva uscire da Denver. In nessun caso i dipendenti delle reti televisive ne potevano conoscere la ragione, dato che erano tutti occupati a tentare di ristabilire i contatti. Anche in Colorado fu lo stesso: sotto la direzione del viceagente speciale, Walter Hoskins, gli agenti della divisione locale entrarono in tutte le reti di telecomunicazione e nella società dei telefoni, dove tagliarono tutte le linee a lunga distanza, noncuranti dell’opposizione dei dipendenti. Ma Hoskins aveva fatto un errore provocato dal fatto che non guardava molto la televisione.
La KOLD era una stazione indipendente che stava cercando di diventare importante. Come la TBS, la WOR e alcune altre, aveva il suo collegamento via satellite che copriva un’area piuttosto vasta. Era stato un grosso rischio finanziario che non aveva ancora ricompensato gli investitori di quei quattro soldi che avevano impegnato nella stazione situata in un edificio quasi senza finestre a nord-est della città. La stazione usava uno dei satelliti canadesi della serie Anik e le sue programmazioni (prevalentemente vecchi spettacoli) raggiungevano l’Alaska, il Canada e l’area centro-settentrionale degli Stati Uniti.
L’edificio della KOLD era stato la sede della prima rete televisiva di Denver ed era stato costruito secondo le regole dettate dalla commissione federale delle comunicazioni negli anni Trenta: blocchi di cemento armato, in grado di resistere a un attacco di bombe nemiche, ma le caratteristiche tecniche si riferivano a un periodo in cui non esistevano ancora le armi nucleari. Gli uffici dirigenziali, che si trovavano sul lato sud dell’edificio, erano i soli ad avere le finestre. Dieci minuti dopo il fatto, un uomo varcò la porta aperta della direzione di programmazione. Rimase ad ascoltare impassibile, si girò e tornò correndo verso la sala stampa. Un attimo dopo, un cameraman entrò nel montacarichi che saliva fino al tetto dell’edificio. Il video, collegato alla sala comandi e poi inviato dal trasmettitore a banda Ku al satellite Anik ― ancora 641
intatto — interruppe le repliche di “Le avventure di Dobie Gillis” in Alaska, nel Montana, nel Nord Dakota, nell’Idaho e in tre province canadesi. A Calgary, nello stato di Alberta, una reporter di un giornale locale rimase sbigottita dalle immagini e dalle parole del commentatore e chiamò la sezione. La sua comunicazione fu immediatamente trasmessa via cavo e poco dopo la CBC
inviava il video in Europa tramite i suoi satelliti Anik ancora intatti.
In quel momento, un paio di uomini dell’FBI di Denver entravano nella sede della KOLD. Dettarono legge ai giornalisti, che protestavano citando il primo emendamento della Costituzione, ma quell’argomento aveva poco peso di fronte agli uomini armati che tolsero l’alimentazione ai trasmettitori. Gli agenti dell’FBI si scusarono, anche se non ce n’era affatto bisogno. Quello che era iniziato come un tentativo azzardato, era già diventato un inutile spreco di forze.
«Allora, cosa diavolo sta succedendo?» chiese Richards al suo staff.
«Non ne ho idea, signore. Non è stata data nessuna spiegazione dello stato di allerta» disse l’ufficiale addetto alle comunicazioni.
«Ci hanno mollato fra l’incudine e il martello, vero?» Era una domanda retorica. La squadra di combattimento della Theodore Roosevelt aveva appena passato Malta e adesso poteva raggiungere i bersagli in Unione Sovietica.
Questo significava che gli apparecchi di disturbo A-6E, gli “Stick”, dovevano decollare, raggiungere rapidamente l’altitudine di crociera e riempire i loro serbatoi poco dopo, e a quel punto avrebbero avuto il combustibile sufficiente per raggiungere i bersagli nella penisola di Kerc’ o nelle vicinanze. Solo un anno prima, le portaerei della Marina statunitense, anche se trasportavano un discreto numero di bombe termonucleari, non facevano parte del SIOP. Questa sigla significava “piano integrato delle operazioni” e rappresentava lo schema principale per la distruzione dell’Unione Sovietica. La diminuzione dei missili statunitensi con postazione a terra aveva conseguentemente ridotto il numero di testate a disposizione e, come tutti gli strateghi del mondo, lo Stato Maggiore riunito, ubicato negli stessi quartieri generali del SAC, cercava di far fronte a questa mancanza in tutti i modi possibili. Perciò, quando i bersagli sovietici entravano nel raggio d’azione di una portaerei, entrava in vigore il SIOP. Nel caso della Theodore Roosevelt, quando la nave transitava a est di Malta non era più una forza convenzionale, ma strategico-nucleare. Per lo svolgimento dei suoi compiti, la Theodore Roosevelt trasportava cinquanta bombe nucleari B-61 mod.
8, gelosamente custodite in un deposito. Le B-61 erano dotate di un sistema (FUFO) che consentiva di scegliere la potenza esplosiva in una gamma da dieci a cinquecento chilotoni. Le bombe erano lunghe tre metri e mezzo e avevano un diametro inferiore ai trenta centimetri, pesavano solo trecento chilogrammi e avevano una graziosa forma aerodinamica. Ogni aereo A-6E ne poteva trasportare due, più tutti i serbatoi supplementari per combustibile, che permettevano una maggiore autonomia di volo e quindi un raggio di combattimento di più di millecinquecento chilometri. Dieci di questi aerei 642
rappresentavano la stessa potenza esplosiva di un intero squadrone di missili Minuteman. I loro bersagli erano navali. Una delle missioni del SIOP, per esempio, consisteva nel ridurre a una pozza radioattiva il cantiere Nikolajev sul fiume Dniepr; cantiere dove per puro caso era stata costruita la portaerei sovietica Tbilisi.
Un problema in più per il capitano era che il comandante della sua squadra da combattimento, un ammiraglio, aveva colto l’occasione per andare a Napoli ad assistere a una conferenza con il comandante della VI Flotta degli Stati Uniti: Richards era completamente solo.
«Dov’è il nostro amico?» chiese l’ufficiale in comando.
«A circa quattrocento chilometri dietro di noi» rispose l’ufficiale operativo.
«È vicino.»
«Facciamo alzare i più-cinque, capitano» disse Jackson. «Andrò su insieme ad altri due a controllare il resto.» Tamburellò con le dita sulla carta nautica.
«Mantieni il controllo, Rob.»
«Sono di ghiaccio, Ernie.» Jackson andò verso il telefono. «Chi deve andare?» chiese alla sala raduno piloti VF-1. «Bene.» Jackson andò a indossare la tuta e il casco di volo.
«Signori» disse Richards appena Jackson uscì, «dato che ci troviamo a est di Malta, siamo entrati nel SIOP, quindi in un assetto strategico e non convenzionale, e applicheremo il DEFCON-DUE. Chi di voi ha bisogno di una rinfrescata sulle “regole di ingaggio”*, è meglio che faccia in fretta. Qualsiasi cosa possa rappresentare una minaccia deve essere impegnata in combattimento e distrutta, sotto la mia autorità di comandante della squadra. Ci sono domande?»
«Signore, non sappiamo cosa stia succedendo» sottolineò il secondo ufficiale.
«Sì. Cercheremo di rifletterci ma, signori, dobbiamo coordinare le nostre azioni. Sta succedendo qualcosa di grave e siamo in DEFCON-DUE.»
Era una bella notte sul ponte di volo. Jackson informò il comandante Sanchez e i rispettivi ufficiali per le intercettazioni radar; i responsabili di volo dei due Tomcat accompagnarono la squadra agli aerei. Jackson e Walters salirono a bordo e il responsabile di volo li aiutò ad allacciarsi le cinture, poi scese e tolse la scaletta. Il capitano Jackson cominciò le procedure di accensione, osservando i motori che entravano nella condizione di minimo. LT-14D era armato con quattro missili Phoenix a guida radar e quattro Side―winder a infrarossi.
«Pronto, “Grattugia”?» chiese Jackson.
«Andiamo, “Picche”» rispose Walters.
Robby spinse i motori al massimo e segnalò all’ufficiale addetto alla catapulta che era pronto. L’ufficiale controllò che il ponte fosse libero e poi fece un cenno di saluto all’aereo.
* Cfr. nota a p.24
643
Jackson rispose appoggiando la mano sulla cicche e la testa indietro. Un secondo dopo, l’addetto al paranco illuminò il ponte e un altro sottufficiale premette un pulsante che spinse il vapore nella catapulta.
Nonostante tanti anni passati sugli aerei, i suoi riflessi non sembravano mai abbastanza rapidi: l’accelerazione della catapulta gli fece quasi uscire gli occhi dalle orbite, mentre le luci offuscate del ponte svanivano dietro di lui.
L’estremità posteriore dell’aereo si stabilizzò in volo. Prima di spegnere il bruciatore, Jackson si assicurò di aver decollato senza problemi e poi fece rientrare il carrello e i deflettori, e cominciò a salire lentamente. Era solo a una trentina di metri quando “Bud” Sanchez e “Lobo” Alexander si affiancarono a lui.
«I radar» disse “Grattugia” rilevando i dati forniti dai suoi strumenti. Tutta la squadra da combattimento della Theodore Roosevelt interruppe le emissioni di segnali in pochi secondi. Adesso, nessuno sarebbe stato in grado di rilevare i loro segnali elettronici.
Jackson si tranquillizzò. Qualsiasi cosa stesse succedendo, disse a se stesso, non poteva essere tanto grave. Era una bella notte chiara e, mentre saliva, attraverso il tettuccio del suo caccia vedeva il cielo diventare sempre più chiaro.
Le stelle sembravano delle lucciole; il loro scintillio cessò quasi del tutto quando arrivarono a novemila metri. Poteva vedere in lontananza le tracce di riferimento degli aerei di linea e le linee costiere di una mezza dozzina di paesi.
Una notte come questa poteva rendere poeta anche un contadino. Era stato per momenti come questo che aveva deciso di diventare un pilota. Virò a ovest mentre Sanchez gli era sull’ala. Immediatamente si accorse che da quella parte c’erano delle nubi e non poteva più vedere le stelle.
«Bene» ordinò Jackson, «facciamo un rapido controllo.»
L’ufficiale addetto alle intercettazioni radar azionò il sistema. Gli F-14D
erano stati da poco dotati di un nuovo radar Hughes, chiamato a LPI, cioè a
“bassa probabilità di intercettazione”. Anche se usavano meno potenza dei sistemi AWG-9 che li avevano preceduti, gli LPI erano molto sensibili e le possibilità che i ricevitori degli altri aerei li intercettassero erano minori. Erano state anche notevolmente migliorate le prestazioni di controllo verso il basso.
«Eccoli» comunicò Walters. «Bella formazione circolare.»
«Trasportano qualcosa?»
«Quello che vedo ha un radarfaro.»
«D’accordo, saremo alla posizione di rifornimento fra pochi minuti.»
Circa ottanta chilometri dietro di loro un aereo di avvistamento precoce E-2C
Hawkeye veniva lanciato dalla catapulta numero due e dietro di lui decollavano due aerei da rifornimento KA-6, insieme ad altri caccia. I KA-6 avrebbero presto raggiunto la posizione di rifornimento di Jackson per riempire i suoi serbatoi, consentendogli di rimanere in volo per altre quattro ore. L’E-2C era 644
molto importante. Salì a piena potenza, virando a sud per raggiungere il punto di rifornimento a ottanta chilometri dalla nave madre. Appena arrivò a settemilacinquecento metri, il radar di sorveglianza venne acceso e i tre operatori a bordo incominciarono a catalogare tutti i contatti che avevano.
Questi dati venivano inviati, tramite un collegamento digitale, alla portaerei e all’ufficiale addetto alle operazioni militari aeree, il cui nome in codice era
“Stetson”, a bordo dell’incrociatore statunitense Thomas Gates.
«Niente, capitano.»
«D’accordo, siamo alla posizione di rifornimento. Adesso saliamo e accendiamo i radar di avvistamento.» Jackson fece una leggera virata a destra, mentre Sanchez rimaneva in formazione chiusa.
L’Hawkeye li avvistò per primo. Si trovavano praticamente sotto Jackson e i suoi due Tomcat, ma ancora fuori dal loro cono di rilevamento.
«“Stetson”, qui “Falcon-due”, quattro aerei non identificati, rilevamento due-otto-uno, a centocinquanta chilometri di distanza.» Il riferimento era relativo alla posizione della Tkeodore Roosevelt.
«Identificazione amico-nemico?»
«Negativo, velocità seicentocinquanta, altitudine millecento, rotta uno-tre-cinque.»
«Amplificare» disse l’AWO.
«Sono quattro in formazione aperta, “Stetson”» disse il controllore dell’Hawkeye. «Crediamo che si tratti di caccia.»
«Ho qualcosa» comunicò “Grattugia” a Jackson un momento dopo.
«Sembrano due… no, quattro aerei, diretti a sud-est.»
«Dei nostri?»
«No.»
Al centro di combattimento della Theodore Roosevelt nessuno aveva ancora idea di quello che stava succedendo, ma gli addetti alle informazioni s’impegnavano al massimo per scoprirlo. Erano riusciti a sapere che la maggioranza dei satelliti per trasmissioni televisive sembrava fuori uso, anche se tutti quelli militari funzionavano. Un’altra deflessione dello spettro del satellite mostrò che molti circuiti video erano inspiegabilmente inattivi e lo stesso valeva per le linee telefoniche, sempre via satellite. Dipendevano in così larga misura dall’alta tecnologia, che solo un operatore radio di terza categoria suggerì di sintonizzarsi sulle bande a onde corte. Per prima cosa trovarono la BBC. Il flash d’agenzia era stato registrato e inviato al CIC. La voce parlava nel tono calmo e rassicurante tipico della stazione televisiva BBC.
«La Reuters ha dato notizia di un’esplosione nucleare avvenuta nella regione centrale degli Stati Uniti. La stazione televisiva di Denver, nel Colora h do…» ―
645
gli inglesi non riuscivano a pronunciare correttamente i nomi di alcuni stati americani ― «… la KOLD, ha trasmesso via satellite l’immagine di una nube a fungo su Denver, unita al commento di un’esplosione di grandi dimensioni. In questo momento la stazione KOLD non è più in onda e i tentativi di raggiungere Denver via telefono sono risultati inutili. Per il momento non ci sono commenti ufficiali di nessun genere sull’accaduto.»
«Santo Dio» disse qualcuno dando voce allo stato d’animo generale.
Il capitano Richards guardò i volti degli uomini del suo staff.
«Bene, adesso sappiamo perché siamo in DEFCON-DUE. Facciamo decollare altri F-18 a prua e degli F-14 a poppa. Voglio che quattro A-6 siano armati con dei B-61 e informati sui bersagli del SIOP. Uno squadrone di F-18 dovrà trasportare dei missili antinave e cominciare a preparare un attacco Alpha contro la squadra da combattimento Tbilisi.
«Capitano» disse uno degli operatori. «“Falcon” comunica la presenza di quattro aerei tattici in avvicinamento.»
Richards dovette solo girarsi per vedere il display tattico: uno schermo radar lungo un metro. I quattro aerei erano indicati in formazione di V rovesciata, con i rispettivi vettori di rotta. Il punto di avvicinamento era a meno di trenta chilometri, entro il raggio d’azione dei missili aria-terra.
«Fate identificare a “Picche” quegli aerei nemici!»
«… avvicinarsi e identificare» fu l’ordine dell’aereo di controllo Hawkeye.
«Ricevuto» disse Jackson. «“Bud”, allontanati.»
«Ricevuto.» Il comandante Sanchez tirò la cloche verso sinistra per aumentare la distanza fra il suo caccia e quello di Jackson. La nuova formazione si chiamava “Loose Deuce” e consentiva agli aerei di appoggiarsi a vicenda rendendo però impossibile attaccarli simultaneamente. Quando Sanchez si fu allontanato, entrambi gli aerei abbassarono il muso e andarono in picchiata a tutta potenza. Dopo pochi secondi viaggiavano a velocità Mach-Uno.
«Puntato» disse “Grattugia” al suo pilota. «Sto accendendo il mio sistema televisivo.»
Il Tomcat era dotato di un semplice meccanismo di identificazione: una telecamera con un potente telescopio che aveva le stesse buone prestazioni sia di giorno che di notte. Il tenente Walters riuscì ad asservire la TV al sistema radar, e già dopo pochi secondi aveva visualizzato quattro punti che si ingrandivano rapidamente a mano a mano che il caccia si avvicinava. «Configurazione a timone accoppiato.»
«“Falcon”, qui “Picche”. Informare “Stick” che l’ho visualizzato ma non identificato. Ci stiamo avvicinando.»
Il maggiore Pjotr Arabov non era più teso del solito. Era istruttore di volo e stava insegnando a tre libici le complessità del volo sull’acqua durante la notte.
Solo trenta minuti prima avevano virato sull’isola italiana di Pantelleria e adesso 646
stavano tornando verso Tripoli, a casa. Per i tre libici era difficile volare in formazione durante la notte, anche se ognuno di essi aveva già trecento ore di volo al suo attivo. Fortunatamente, era una notte chiara e il cielo stellato rappresentava una buona linea d’orizzonte a cui fare riferimento. Meglio cominciare dalle cose più semplici, pensò Arabov, e a questa altitudine: un vero profilo tattico a cento metri e a una velocità maggiore, in una notte nuvolosa, poteva essere troppo pericoloso. Non aveva una grossa opinione dell’abilità dei piloti libici, non più di quanta ne avessero avuta gli americani in varie occasioni, ma sembrava che avessero voglia di imparare: era già qualcosa.
E poi il loro paese ricco di petrolio aveva imparato la lezione dagli iracheni: se si doveva avere una forza aerea, doveva essere adeguatamente addestrata.
Questo voleva dire che l’Unione Sovietica poteva vendere molti più MiG-29, nonostante il fatto che le vendite nell’area intorno a Israele fossero notevolmente diminuite. Significava anche che il maggiore Arabov veniva in parte pagato in valuta forte.
L’istruttore di volo si guardò a destra e a sinistra per controllare che la formazione fosse… be’, non proprio stretta, ma abbastanza. Gli aerei si muovevano lentamente e ognuno trasportava sotto le ali due serbatoi di combustibile. Ogni serbatoio era dotato di pinne stabilizzatrici che in realtà sembravano delle bombe.
«Sicuramente MiG-29, trasportano qualcosa, capitano.»
«Bene.» Jackson controllò il suo display e accese la radio. «“Stick”, qui
“Picche”, passo.»
«Va’ avanti.» Grazie al circuito radio digitale Jackson riconobbe la voce del capitano Richards.
«“Stick”, abbiamo identificato gli aerei. Quattro MiG-29. Sembra che trasportino qualcosa sotto le ali. Rotta, velocità e altitudine invariate.» Ci fu una breve pausa.
«Fate fuori i nemici.»
Jackson fece uno scatto. «Ripeti, “Stick”.»
«“Picche”, qui “Stick”: fate fuori i nemici. Confermare.»
Li ha chiamati “nemici”, pensò Jackson. E lui ne sa più di me.
«Ricevuto, agli ordini. Passo e chiudo.» Jackson spense la radio. «“Bud”, seguimi.»
«Merda!» osservò “Grattugia”. «Consiglio di puntare due Phoenix sulla coppia di destra e due su quella di sinistra.»
«Facciamolo» rispose Jackson, accendendo il sistema di regolazione delle armi AIM-54. Il tenente Walters programmò i missili in modo che non venissero rilevati dai radar nemici se non quando fossero già a un solo chilometro e mezzo di distanza.
«Pronto. Gittata quattromilaottocento metri. Sto puntando.»
Il display di Jackson mostrava la simbologia esatta. Un suono nelle cuffie gli 647
comunicò che il primo missile era pronto per essere lanciato. Premette il grilletto una volta, aspettò un secondo e poi premette di nuovo. «Merda!»
osservò Michael “Lobo” a un chilometro di distanza.
«Sai dire di meglio!» rispose Sanchez ringhiando.
«Il cielo è sereno e non vedo niente nei paraggi.» Jackson chiuse gli occhi per ripararli dall’effetto delle fiamme gialle dei missili, che uscirono rapidamente, accelerando fino a quattromilaottocento all’ora, quasi un chilometro e mezzo al secondo. Jackson li guardava andare verso il bersaglio mentre si metteva in posizione per il prossimo sparo, nel caso in cui i Phoenix non avessero funzionato a dovere.
Arabov controllò gli strumenti ancora una volta: non c’era niente di strano. I suoi sistemi di rilevazione di pericolo mostravano solo i radar di ricerca aerei, anche se un rilevamento era scomparso alcuni minuti prima. A parte questo, era una missione di addestramento assolutamente normale: procedevano in linea retta e alla stessa altitudine, su una rotta diretta verso un punto fermo. I suoi sistemi non gli avevano ancora segnalato il radar LPI, che invece aveva rilevato già lui e la sua formazione di quattro aerei nel corso dei cinque minuti precedenti. Comunque, il suo sistema riusciva a rilevare i potenti radar di puntamento dei missili Phoenix.
Una luce rossa di allarme si accese e un suono fortissimo colpì le sue orecchie. Arabov guardò in basso per controllare gli strumenti: sembrava che funzionassero, ma non era… si girò. Ebbe appena il tempo di vedere una mezza luna di luce gialla e del fumo, poi un lampo.
Il Phoenix puntato sulla coppia di destra esplose ad alcuni centimetri di distanza: la testata riempì l’aria dei frammenti velocissimi dei due MiG. Lo stesso avvenne con la coppia di sinistra. Era come se l’aria fosse diventata una nube incandescente di combustibile e pezzi di aereo. Tre piloti rimasero uccisi dall’esplosione, Arabov fu catapultato fuori dal suo aereo in fase di disintegrazione e il suo paracadute si aprì a soli cinquanta metri dall’acqua. Già in stato di incoscienza a causa dell’espulsione inaspettata, il maggiore russo fu salvo grazie a tutte le apparecchiature di cui era fornito: un colletto gonfiabile mantenne la sua testa fuori dall’acqua, una radio ad altissima frequenza cominciò a inviare il segnale di allarme al più vicino elicottero di salvataggio e una luce di riferimento blu cominciò a lampeggiare nella notte. Intorno a lui c’erano soltanto delle chiazze di combustibile in fiamme.
Jackson guardava tutta la scena. Forse aveva stabilito un record: quattro aerei con una salva. Ma non era stata una dimostrazione di abilità, gli avversari non sapevano che loro erano lì ― proprio come con gli iracheni. Qualsiasi novellino avrebbe potuto farlo. Questo era stato un omicidio e non una guerra… quale guerra? si chiese, c’era una guerra?… e non sapeva nemmeno perché.
648
«Quattro MiG distrutti» disse alla radio. «“Stick”, qui “Picche”, quattro distrutti. Torniamo alla posizione di rifornimento, abbiamo bisogno di combustibile.»
«Ricevuto “Picche”, i rifornimenti sono sopra di voi. Registriamo la distruzione di quattro MiG.»
«Ehi, “Picche”, cosa diavolo sta succedendo?» chiese il tenente Walters.
«Vorrei saperlo, “Grattugia”» Ho sparato il primo colpo di una guerra?
Quale guerra ?
Nonostante la confusione iniziale, il reggimento carristi era praticamente l’unità russa più potente che Keitel avesse mai visto. I carri armati da combattimento T-80 sembravano quasi dei modellini con i loro pannelli corazzati che ne ornavano la torretta e il corpo, ma erano anche dei veicoli bassi dall’aspetto spaventoso, con bocche da fuoco da 125 millimetri che toglievano qualsiasi dubbio sulla loro funzione. La presunta squadra di ispezione si stava muovendo a gruppi di tre persone. A Keitel era stata affidata la missione più pericolosa, dato che stava con il comandante del reggimento. Keitel, o
“colonnello Ivanenko”, diede un’occhiata all’orologio mentre camminava dietro al vero colonnello.
A soli duecento metri di distanza, Günther Bock e altri due ex ufficiali della Stasi si avvicinarono all’equipaggio di un carro armato che stava salendo a bordo proprio in quel momento.
«Stop!» ordinò uno di essi.
«Sì, colonnello» rispose il giovane sergente che comandava il carro armato.
«Scendere. Vogliamo ispezionare questo carro.»
Il comandante, l’artigliere e il conducente si disposero sul davanti del carro armato, mentre l’altra squadra saliva a bordo. Bock aspettò che i carri armati vicini fossero ben chiusi, poi sparò ai tre russi con la sua pistola automatica munita di silenziatore. Gettò i tre corpi sotto il carro armato, prese il posto dell’artigliere e incominciò a cercare i comandi che gli avevano detto. A meno di milleduecento metri di distanza, parcheggiati ad angolo retto, c’erano più di cinquanta carri armati americani M1A1 su cui stavano salendo gli equipaggi.
«La potenza sta aumentando» comunicò il conducente dall’interfono. Il motore diesel si accese insieme a quelli di tutti gli altri carri armati.
Bock accese l’interruttore dei proiettili perforanti e premette il pulsante di carica. Automaticamente, la culatta del cannone principale si aprì e vennero inseriti a fondo prima il proiettile e poi la carica propellente; poi la culatta si chiuse automaticamente. Questo, pensò Bock, era stato abbastanza semplice.
Poi premette il pulsante del congegno di mira e scelse un carro armato americano. Era facile localizzarlo, perché l’area di parcheggio era illuminata per facilitare l’individuazione di eventuali intrusi. Il laser gli fornì un display di misurazione e Bock alzò il cannone fino al punto stabilito. La forza calcolata del 649
vento era zero: una notte tranquilla. Bock controllò l’orologio e aspettò che la lancetta dei secondi raggiungesse la mezzanotte, poi premette il grilletto. Il T-80
di Bock oscillò all’indietro insieme ad altri tre. Due terzi di secondo dopo, il proiettile colpì la torretta del carro armato americano. I risultati erano impressionanti: aveva colpito il retro della torretta, dove si trovavano le munizioni che presero fuoco all’istante. Quasi tutto il carro saltò in aria, ma i portelli antincendio all’interno del veicolo erano già saltati per aria e l’equipaggio era stato ridotto in cenere senza aver nemmeno avuto il tempo di muoversi, proprio mentre il loro carro armato da due milioni di dollari si trasformava in un vulcano, insieme ad altri due.
Cento metri più a nord, il comandante del reggimento rimase bloccato a metà frase e si girò incredulo verso quel rumore.
«Cosa sta succedendo?» riuscì a gridare prima che Keitel gli sparasse alla nuca.
Bock aveva già sparato il suo secondo colpo, che aveva colpito la scatola del motore di un altro carro armato, e ne stava caricando un terzo; sette M1A1
erano già in fiamme. Prima che il primo artigliere americano riuscisse a caricare un colpo. La torretta ruotò su se stessa, mentre i comandanti dei carri armati urlavano ordini ai conducenti e agli artiglieri. Bock vide la torretta in movimento e si girò in quella direzione. Il suo colpo era troppo sulla sinistra, ma comunque colpì un altro Abrams dietro quello al quale aveva mirato. Anche il colpo degli americani non andò a segno perché eccessivamente alto: l’artigliere era troppo agitato. Caricò immediatamente il secondo colpo che fece saltare un T-80 a due carri armati di distanza da quello di Bock. Bock decise che era il momento di lasciarlo perdere.
«Siamo stati attaccati… cominciare a far fuoco, cominciare a far fuoco!»
urlavano i comandanti “sovietici” dai loro circuiti.
Keitel corse verso il veicolo di comando. «Sono il colonnello Ivanenko. Il vostro comandante è morto… muovetevi di qui! Portate fuori questi carri!»
L’ufficiale operativo esitò, non avendo la minima idea di cosa stesse succedendo; riusciva solo a sentire i colpi. Ma erano gli ordini di un colonnello.
Prese la radio, digitò il numero del comando del battaglione e comunicò le istruzioni.
Ci fu un attimo di esitazione, prevista peraltro, ma almeno dieci carri armati americani stavano bruciando, mentre altri quattro rispondevano al fuoco. Poi tutta la linea sovietica aprì il fuoco e tre dei carri armati americani che stavano sparando furono distrutti. Quelli protetti dalla prima fila cominciarono a emettere fumo e a manovrare, soprattutto a marcia indietro, mentre i carri armati sovietici cominciarono a muoversi. Keitel guardava ammirato i carri armati sovietici T-80 che uscivano. Sette rimasero fermi: quattro stavano bruciando.
Altri due saltarono in aria prima di attraversare la linea dove una volta si ergeva un muro.
650
Ne era valsa la pena, pensò Keitel, solo per vivere questo momento. Qualsiasi cosa Günther avesse in mente, valeva la pena di vedere i russi e gli americani uccidersi fra loro.
L’ammiraglio Joshua Painter arrivò al quartier generale CIN-CLANT proprio in tempo per ricevere la comunicazione dalla Theodore Roosevelt.
«Chi ha il comando laggiù?»
«Signore, il comandante della squadra da combattimento è andato a Napoli.
L’ufficiale più anziano della squadra è il capitano Richards» rispose l’ufficiale dei servizi segreti della flotta. «Ha detto di aver rilevato quattro MiG armati e, dato che siamo in DEFCON-DUE, li ha considerati potenziali minacce per la squadra e li ha distrutti.»
«Di chi erano?»
«Potevano essere della squadra Tbilisi, signore.»
«Un attimo, ha detto DEFCON-DUE?»
«Signore, la Theodore Roosevelt si trova a est di Malta e quindi rientra nel SIOP» chiarì l’ufficiale operativo della flotta.
«C’è qualcuno che sa cosa stia succedendo?»
«Io non ne so assolutamente nulla» rispose onestamente l’altro ufficiale.
«Mi metta in comunicazione con Richards, via radio.» Painter si fermò.
«Qual è la situazione della flotta?»
«Tutti quelli che si trovano nei dintorni si stanno preparando. È automatico.»
«Ma perché qui siamo già in DEFCON-TRE?»
«Signore, non ce lo hanno comunicato.»
«Favoloso.» Painter si tolse il maglione e gridò per avere un caffè.
«La Roosevelt sulla linea due, signore» lo avvisò l’operatore.
Painter premette un pulsante e mise il telefono in posizione di comunicazione.
«Qui CINCLANT.»
«Qui Richards, signore.»
«Cosa sta succedendo?»
«Signore, da quindici minuti siamo in stato di allerta DEFCON-DUE. C’era una formazione di MiG-29 e ho ordinato di distruggerli.»
«Perché?»
«Sembrava che fossero armati e abbiamo captato una trasmissione radio sull’esplosione.»
Painter si gelò immediatamente. «Quale esplosione?»
«Signore, la BBC parla di un’esplosione nucleare a Denver. La stazione locale che ha comunicato la notizia non è più in onda. Con queste informazioni, ho deciso di fare fuoco. Sono l’ufficiale in comando e questa è la mia squadra da combattimento. Se non ha altre domande, ho delle cose da fare qui.»
651
Painter sapeva che doveva imporsi. «Usi la testa, Ernie. Usi quella sua maledetta testa.»
«Ricevuto signore, passo e chiudo.» La linea sì interruppe.
«Esplosione nucleare?» chiese l’ufficiale dei servizi segreti della flotta.
Painter aveva una “linea calda” con il centro di comando militare nazionale: la accese. «Qui CINCLANT.»
«Capitano Rosselli, signore.»
«E vero che c’è stata un’esplosione nucleare?»
«Affermativo signore. Nell’area di Denver. Il NORAD ha valutato una potenza non al di sopra dei cinquecento chiloton! e molte perdite umane. È tutto quello che sappiamo. Non lo abbiamo ancora comunicato a nessuno.»
«Bene, qui abbiamo dell’altro per voi: la Theodore Roosevelt ha intercettato e distratto quattro MiG-29. Mi tenga informato. A meno che non riceva altri ordini, metto tutto in mare.»
Bob Fowler era al suo terzo caffè e intanto malediceva se stesso per aver bevuto quelle quattro birre tedesche, quasi avesse creduto di essere Archie Bunker o chissà chi: una delle sue principali paure era che i presenti si accorgessero della puzza d’alcol del suo alito. L’intelletto gli disse che forse le sue capacità di ragionamento potevano essere state offuscate dall’alcol, ma aveva bevuto in un arco di tempo piuttosto lungo e quindi i processi fisiologici e il caffè avevano già, o comunque avrebbero presto, purificato l’intero organismo.
Per la prima volta era felice che sua moglie Marian fosse morta. Era stato al suo capezzale e l’aveva vista morire: sapeva cos’erano il dolore e la tragedia e, per quanto spaventosi potessero essere tutti quei morti di Denver, disse a se stesso che doveva fare marcia indietro, metterli da parte e concentrarsi per evitare che ce ne fossero altri.
Per il momento era andato tutto bene: si era mosso in fretta per impedire la diffusione della notizia. Il panico nazionale era da evitare assolutamente. Le sue Forze Armate erano in stato di allerta totale, il che avrebbe prevenuto o impedito un altro attacco per un certo periodo di tempo.
«Okay» disse per telefono al NORAD e al SAC. «Facciamo un riepilogo dei fatti.»
Il NORAD rispose: «Signore, c’è stata un’esplosione nucleare di qualche centinaio di chilotoni. Non ci sono ancora comunicazioni dal luogo dell’accaduto. Le nostre forze sono in stato di allerta totale. Le comunicazioni via satellite sono interrotte…»
«Perché?» chiese Elizabeth Elliot con voce ancora più agitata di quella del Presidente. «Quale potrebbe essere la causa?»
«Non lo sappiamo. Un’esplosione nucleare nello spazio potrebbe aver creato dei fortissimi impulsi elettromagnetici. Quando un ordigno nucleare esplode a 652
un’altitudine elevata, la maggior parte della sua energia viene liberata sotto forma di radiazione elettromagnetica. I russi hanno dati maggiori sugli effetti concreti, grazie ai test fatti a Novaja Zemlja negli anni Sessanta. Ma non esistono prove di un’esplosione del genere, che del resto non potrebbe passare inosservata, quindi la possibilità di un attacco contro i satelliti è improbabile.
L’altra probabilità è quella di uno scoppio di energia elettromagnetica da una fonte terrestre. Ora, i russi hanno investito molto denaro nella ricerca sulle armi a microonde. Hanno una nave nel Pacifico orientale, la Yuri Gagarin, dotata di molte antenne ad alto guadagno. Quella nave si trova solitamente a cinquecento chilometri dalle coste del Perù, ― nel raggio dei satelliti colpiti. Probabilmente, la nave sta fungendo da appoggio per le operazioni della stazione spaziale Mir.
Oltre a queste, non abbiamo altre idee. Uno dei miei ufficiali sta parlando con Hughes proprio in questo momento, per sapere cosa ne pensano loro. Bene, noi stiamo ancora cercando di ottenere da Stapleton i nastri del controllo del traffico aereo, per vedere se la bomba è stata sganciata proprio da un aereo, e siamo in attesa di notizie dalle squadre di soccorso e da tutte le altre che sono state inviate nel luogo dell’esplosione. È tutto.»
«Noi abbiamo due aerobrigate complete che sono già in volo e altre che si stanno preparando» disse il comandante in capo del SAC. «Tutte le brigate missilistiche sono in stato di allerta. Il mio vice è in volo sul “Looking Glass”
Auxiliary West e un altro aereo per le emergenze sta per decollare verso la sua zona, signore.»
«Sta succedendo qualcosa in Unione Sovietica?» «Le loro difese aeree stanno aumentando lo stato di allerta, come abbiamo già detto» replicò il generale Borstein. «Stiamo intercettando altre attività radio, ma non sono ancora state identificate. Non ci sono indicazioni di attacchi contro gli Stati Uniti.»
«Bene.» Il Presidente sospirò. La situazione era negativa, ma ancora sotto controllo. Doveva solo chiarire la situazione e poi procedere. «Voglio stabilire la linea diretta con Mosca.» «Molto bene, signore» rispose il NORAD. Un sottufficiale addetto alle comunicazioni della Marina era seduto a due posti di distanza dal Presidente Fowler. Il suo terminale era già acceso. «Vuole gentilmente venire a sedere qui, signor Presidente» disse. «Non riuscirebbe a vedere lo schermo da lì.» Fowler si spostò sulla sua sedia girevole.
«Signore, funziona in questo modo: io digito quello che lei dice, che viene poi direttamente trasmesso tramite i computer CCMN al Pentagono, e loro non fanno altro che cifrarlo. Quando i russi rispondono, arriva sulla “linea calda” in russo, viene tradotto e poi inviato qui dal Pentagono. A Fort Richie abbiamo un sistema di appoggio nel caso in cui succedesse qualcosa a Washington.
Abbiamo una linea terrestre e due comunicazioni separate via satellite. Signore, sono in grado di digitare le sue parole quasi alla normale velocità di conversazione.» Il nome del sottufficiale era Orontia e Fowler non riusciva a capirne le origini. Aveva circa dieci chili di troppo, ma sembrava rilassato e competente, il che rassicurava Fowler. Orontia aveva un pacchetto di sigarette 653
vicino alla tastiera e il Presidente gliene prese una, dimenticando i cartelli contro il fumo appesi su tutti i muri. Orontia gliela accese con lo Zippo.
«Tutto pronto, signore.» Pablo Orontia guardò il suo comandante in capo: il suo sguardo non tradì il fatto che era nato a Pueblo nel Colorado e che la sua famiglia vivesse ancora là. Il Presidente avrebbe risolto la situazione, questo era il suo compito, mentre il compito di Orontia era quello di aiutarlo: aveva servito il suo paese in due guerre e durante molte altre crisi, soprattutto come sottufficiale di ammiragli sulle portaerei, e adesso doveva mettere da parte i suoi sentimenti come era stato addestrato a fare.
«Caro Presidente Narmonov…»
Quando arrivò a Washington, il capitano Rosselli guardò la prima trasmissione della “linea calda”. Il messaggio veniva inserito nell’IBM-PC/AT e crittografato, poi l’operatore premeva il tasto di invio per trasmetterlo. Doveva tornare alla sua scrivania, pensò Jim, ma quello che stava succedendo lì poteva essere fondamentale per l’evolversi della situazione.
COME LE È GIÀ STATO PROBABILMENTE COMUNICATO, SI È VERIFICATA UNA GRAVE ESPLOSIONE NELLA REGIONE CENTRALE DEL MIO PAESE. MI È STATO
DETTO CHE SI È TRATTATO DI UN’ESPLOSIONE NUCLEARE E CHE LE PERDITE IN
VITE UMANE SONO NUMEROSE, lesse il Presidente Narmonov mentre i suoi consiglieri erano al suo fianco.
«Proprio quello che c’era da aspettarsi» disse Narmonov. «Invii la nostra risposta.»
«Cristo, hanno fatto in fretta!» notò il colonnello in servizio, e incominciò a tradurre. Poi un sergente della Marina scrisse a macchina la versione in inglese, che fu automaticamente inviata a Camp David, Fort Richie e al ministero degli interni. I computer ne stamparono una copia, che con la stessa velocità fu inviata via fax al SAC, al NORAD e ai servizi segreti.
RISPOSTA DA MOSCA
PRESIDENTE FOWLER,
ABBIAMO SAPUTO DELL’ACCADUTO. VI PREGHIAMO DI ACCETTARE LE NOSTRE
SENTITE CONDOGLIANZE E QUELLE DI TUTTA L’UNIONE SOVIETICA. COME È
POSSIBILE CHE SI SIA VERIFICATO UN SIMILE INCIDENTE?
«Incidente?» chiese Fowler.
«Sono stati molto veloci, Robert» notò immediatamente Elliot. «Troppo veloci. Non parla inglese molto bene e quindi il messaggio doveva essere tradotto e ci vuole del tempo per queste cose. La loro risposta era già stata preparata… in anticipo… cosa vuol dire?» chiese Liz quasi parlando fra sé, mentre Fowler stava formulando la risposta. Cosa sta succedendo? Chi sta facendo questo e perché…?
PRESIDENTE NARMONOV,
654
SONO SPIACENTE DI INFORMARLA CHE NON SI È TRATTATO DI UN INCIDENTE.
NON ESISTE NESSUN ORDIGNO NUCLEARE AMERICANO NEL RAGGIO DI CENTOCINQUANTA CHILOMETRI, E NON C’ERANO ARMI STATUNITENSI IN
TRANSITO IN QUELLA ZONA. SI È TRATTATO DI UN’AZIONE DELIBERATA DA PARTE
DI FORZE SCONOSCIUTE.
«Be’, niente di sorprendente» disse Narmonov, congratulandosi con se stesso per aver correttamente previsto i primi messaggi americani. «Mandi la seconda risposta» disse all’addetto alle comunicazioni. Poi si rivolse ai suoi consiglieri.
«Fowler è un arrogante, e per quanto sia debole come tutti gli arroganti, non è un folle. Sarà molto agitato a causa di questa situazione, dobbiamo rassicurarlo, calmarlo. Se manterrà la calma, i suoi servizi segreti riusciranno a tenere sotto controllo la situazione.»
«Mio Presidente» disse Golovko, che era appena arrivato al centro di comando. «Penso che sia un errore.»
«Cosa intende dire?» chiese Narmonov sorpreso.
«È un errore soppesare le parole in base a ciò che secondo lei pensa quell’uomo, al suo carattere e al suo stato mentale. Una persona sotto stress reagisce in modi inaspettati. L’uomo che sta comunicando con lei all’altro capo del filo potrebbe non essere lo stesso che ha incontrato a Roma.»
Il Presidente sovietico rifiutò quell’ipotesi. «Assurdo. Quel genere di persona non cambia mai. Ho avuto a che fare con gente come Fowler per tutta la vita.»
PRESIDENTE FOWLER,
SE È VERO CHE SI TRATTA DI UN’AZIONE DELIBERATA, CI TROVIAMO ALLORA DAVANTI A UN CRIMINE SENZA PRECEDENTI NELLA STORIA UMANA. CHI PUÒ
ESSERE TANTO PAZZO DA FARE UNA COSA DEL GENERE E A CHE SCOPO? QUESTA AZIONE POTREBBE TROPPO FACILMENTE PORTARE A UNA CATASTROFE
MONDIALE. DEVE CREDERE CHE L’UNIONE SOVIETICA NON HA NULLA A CHE FARE
CON QUESTO ATTO INFAME.
«Troppo veloce, Robert» disse Elliot. «“Deve credere”? Cosa sta cercando di dire?»
«Elizabeth, stai andando troppo oltre» rispose Fowler.
«Robert, queste risposte sono preparata Preparate. Sta rispondendo troppo in fretta: e se le aveva preparate prima ci deve pur essere una ragione.»
«E cioè?»
«È come se fosse stato tutto previsto, Robert! Sembra che questi messaggi siano stati costruiti per qualcun altro… Durling, per esempio. E se lo scopo della bomba fosse stato quello di uccidere anche te, e non solo Brent e Dennis?»
«Non devo prendere in considerazione questa possibilità, te l’ho già detto!»
disse Fowler irritato. Fece una pausa e respirò profondamente. Non poteva concedersi di adirarsi, doveva rimanere calmo. «Senti, Elizabeth…»
«Non puoi non prendere in considerazione questa possibilità! Devi farlo, perché se tutto fosse stato programmato, quello che sta succedendo assumerebbe un altro significato.»
655
«La dottoressa Elliot ha ragione» disse il NORAD dal telefono. «Signor Presidente, ha perfettamente ragione a prendere le distanze dall’accaduto, non limitandosi a guardare soltanto da un punto di vista emozionale, ma prendendo in considerazione tutti gli aspetti di quello che sta succedendo.»
«Mi sento obbligato a concordare» aggiunse il comandante del SAC.
«Allora, cosa devo fare?» chiese Fowler.
«Signore» disse il NORAD, «anche a me non piace questa storia del “deve credere”. Penso che sarebbe una buona idea fargli sapere che siamo pronti a difenderci.»
«Sì» acconsentì il generale Fremont. «In ogni caso lo saprà, sempre che i suoi uomini stiano facendo bene il loro lavoro.»
«E se considerasse il nostro stato di allerta come una minaccia?»
«Non lo farà, signore» garantì il NORAD. «In una situazione del genere, questo è un comportamento normale. I comandanti delle loro Forze Armate sono dei professionisti e sanno che non potremmo reagire altrimenti.»
Fowler notò che a questa affermazione la dottoressa Elliot ebbe uno scatto.
«D’accordo, gli dirò che abbiamo messo in stato di allerta le nostre forze, ma che non abbiamo intenzioni aggressive.»
PRESIDENTE NARMONOV,
NON ABBIAMO RAGIONI DI SOSPETTARE CHE L’UNIONE SOVIETICA SIA COINVOLTA NELL’ACCADUTO. COMUNQUE, DOBBIAMO AGIRE CON PRUDENZA.
SIAMO STATI VITTIME DI UN FEROCE ATTACCO E DOBBIAMO INTRAPRENDERE LE
AZIONI NECESSARIE A PROTEGGERCI DA POSSIBILI NEMICI ESTERNI. DI CONSEGUENZA HO ORDINATO LO STATO DI ALLERTA DELLE NOSTRE FORZE
ARMATE. QUESTA MISURA È NECESSARIA ANCHE AI FINI DEL MANTENIMENTO
DELL’ORDINE PUBBLICO E COME FORMA DI AUSILIO ALLE OPERAZIONI DI SOCCORSO. LE DO LA MIA PERSONALE GARANZIA CHE NON SVOLGEREMO AZIONI OFFENSIVE SENZA GIUSTA RAGIONE.
«È rassicurante» disse Narmonov seccamente. «Gentile da parte sua farci sapere dello stato di allerta.»
«Noi sappiamo» disse Golovko, «e lui sa che noi sappiamo.»
«Non sa che sappiamo il livello dello stato di allerta» disse il ministro della difesa. «Non può sapere che noi riusciamo a decifrare i suoi messaggi in codice.
Lo stato di allerta delle loro forze è più che difensivo. Le forze strategiche americane non sono state in questo stato di allerta dal 1962.»
«Davvero?» chiese Narmonov.
«Generale, in termini tecnici questo non è vero» disse Golovko immediatamente. «Per le forze strategiche il normale livello di stato di allerta è molto elevato, anche quando la condizione militare è lo stato di difesa cinque. Il cambiamento a cui lei fa riferimento non è conseguente.»
«È vero?» chiese Narmonov.
Il ministro della difesa si strinse nelle spalle. «Dipende dai punti di vista. La loro forza missilistica con base a terra è sempre in uno stato di allerta superiore 656
al nostro, perché richiede minor manutenzione. Lo stesso discorso vale per i loro sottomarini, che stanno in mare molto più a lungo dei nostri. La differenza tecnica potrà anche essere minima, ma quella psicologica è sostanziale. Il livello di allerta comunica ai loro uomini che sta succedendo qualcosa di terribile. È
questo l’elemento significativo.»
«Io non credo» rispose freddamente Golovko.
Meraviglioso, pensò Narmonov, due dei miei consiglieri migliori non riescono a mettersi d’accordo su una questione così importante…
«Dobbiamo rispondere» disse il ministro degli esteri.
PRESIDENTE FOWLER,
ABBIAMO NOTATO CHE AVETE AUMENTATO LO STATO DI ALLERTA. DATO CHE
LA MAGGIOR PARTE DELLE VOSTRE ARMI È PUNTATA SULL’UNIONE SOVIETICA, ANCHE NOI DOBBIAMO PRENDERE DELLE PRECAUZIONI. SUGGERISCO CHE
NESSUNO DEI NOSTRI DUE PAESI INTRAPRENDA AZIONI CHE POTREBBERO
SEMBRARE PROVOCATORIE.
«Per la prima volta non aveva la risposta già pronta» disse Elliot. «Prima dice
“Non sono stato io”, e adesso dice che è meglio che non lo provochiamo. Cosa sta pensando realmente?»
Ryan guardò i fax con i sei messaggi e li passò a Goodley. «Cosa ne pensa?»
«Tutto secondo copione. Sembra che tutti stiano portando avanti un gioco molto cauto, ed è proprio quello che devono fare. Noi abbiamo messo le nostre forze in stato di allerta per precauzione e loro hanno fatto lo stesso. Fowler dice che non abbiamo nessuna ragione di pensare che siano stati loro… giusto.
Narmonov dice che ognuna delle due parti deve stare attenta a non provocare l’altra… anche questo è giusto» concluse Ben Goodley.
«Sono d’accordo» disse il funzionario in servizio.
«Siamo tutti d’accordo, allora» disse Jack. Grazie a Dio. Bob, non sapevo che la pensassi così.
Rosselli tornò alla sua scrivania. Bene, sembrava che la situazione fosse più o meno sotto controllo.
«Dove diavolo sei stato?» chiese Rocky Barnes.
«Nella stanza della “linea calda”, sembra che siano tutti abbastanza calmi.»
«Non più, Jim.»
Il generale Paul Wilkes era quasi arrivato. C’erano voluti quasi venti minuti per arrivare da casa sua alla I-295 e da lì alla I-395, un percorso complessivo di circa otto chilometri. Gli spazzaneve avevano fatto ben poco, e adesso era abbastanza freddo da far gelare anche quella neve su cui era stato sparso il sale.
Per completare il quadro, quei pochi automobilisti di Washington D.C. che si erano avventurati fuori casa stavano dimostrando la loro abilità di piloti. Anche quelli che avevano automobili con quattro ruote motrici, guidavano come se la 657
trazione integrale li rendesse immuni da tutte le leggi della fisica. Wilkes aveva appena passato la South Capitol Street e si stava dirigendo verso la Maine Avenue. Alla sua sinistra, un incosciente su una Toyota lo stava superando, per poi passare alla sua destra dirigendosi verso il centro di Washington. La Toyota slittò su una lastra di ghiaccio e non fu possibile evitarla. La macchina di Wilkes sbandò a una velocità di venticinque chilometri all’ora.
«All’inferno» disse a voce alta. Non aveva tempo per queste storie. Il generale fece marcia indietro e cominciò a far manovra ancora prima che il guidatore dell’altra automobile uscisse. Non guardò nello specchietto e, mentre cambiava corsia, fu colpito sul retro da un camion a rimorchio che andava circa ai quaranta. L’impatto fu sufficiente a spingere l’automobile del generale oltre il guard-rail di cemento e a provocare uno scontro frontale con un’altra macchina, proveniente dalla corsia opposta.
Wilkes rimase ucciso all’istante.
39
Echi
Mentre sorseggiava il caffè, Elizabeth Elliot fissava con sguardo assente il muro lontano. Tutti quegli avvertimenti che avevano ignorato… ma adesso tutto combaciava: le forze militari sovietiche stavano facendo un gioco di potere, e mirare a Bob Fowler faceva parte di quel gioco. Avremmo dovuto essere lì, pensò. Voleva andare alla partita e tutti si aspettavano che ci andasse, perché Dennis Bunker è il presidente di una delle squadre. Anch’io dovevo esserci e adesso potrei essere morta. Se volevano uccidere Bob, allora volevano uccidere anche me…
PRESIDENTE NARMONOV,
SONO LIETO CHE ENTRAMBI CONCORDIAMO SULLA. NECESSITÀ DI ESSERE
CAUTI E RAGIONEVOLI. ADESSO DEVO CONFERIRE CON I MIEI CONSIGLIERI PER
CERCARE DI VERIFICARE LA CAUSA DI QUESTO FATTO INCRESCIOSO E ANCHE PER
DARE IL VIA ALLE OPERAZIONI DI SOCCORSO. LA TERRÒ INFORMATO.
La risposta arrivò quasi immediatamente.
PRESIDENTE FOWLER,
STAREMO PRONTI.
«Piuttosto semplice» disse il Presidente guardando lo schermo.
«Sì?» chiese Elliot.
«Cosa vuole dire?»
«Robert, si è verificata un’esplosione nucleare in un luogo dove tu avresti dovuto essere. E questo è il primo elemento. Numero due: abbiamo notizie di armi nucleari sovietiche andate perdute. Numero tre: come facciamo a sapere 658
che all’altro capo di questo modera c’è realmente il Presidente Narmonov?»
chiese Liz.
«Cosa?»
«I nostri servizi segreti suggeriscono la possibilità di un colpo di stato in Russia, vero? Ma noi ci stiamo comportando come se non ne fossimo al corrente, anche se siamo stati informati che la bomba esplosa potrebbe facilmente essere un’arma nucleare tattica ― lo stesso tipo di arma che sembra essere scomparsa. Non stiamo prendendo in considerazione tutte le possibilità.»
Elliot si girò verso il telefono. «Generale Borstein, è difficile far entrare un ordigno nucleare negli Stati Uniti?»
«Con i nostri controlli alle frontiere, è un gioco da ragazzi» rispose il NORAD. «Cosa vuole intendere, dottoressa Elliot?»
«Abbiamo avuto informazioni sul fatto che Narmonov si trova in una situazione politica difficile, che le sue forze militari si stanno sollevando ed esistono anche dei problemi di ordine nucleare. Bene, e se avessero fatto un colpo di stato? Domenica sera… lunedì mattina è un buon momento, perché tutti dormono. Abbiamo sempre creduto che la sparizione di armi nucleari fosse finalizzata a un ricatto interno, ma se l’operazione fosse stata più intelligente? E
se avessero tentato di decapitare il nostro governo per evitare una nostra interferenza in questo golpe? Allora, la bomba è esplosa e Durling è sul suo aereo d’emergenza ― proprio dov’è in questo momento ― e loro stanno parlando con lui. Possono prevedere quello che diremo: le risposte che arrivano sulla
“linea calda” sono state preparate in precedenza. Siamo entrati automaticamente in stato di allerta e loro hanno fatto lo stesso, vedete? Non possiamo interferire in nessun modo.»
«Signor Presidente, prima di valutare questa possibilità, ritengo che abbia bisogno di qualche altro elemento di valutazione» disse il comandante del SAC.
Si accese la luce di un altro telefono. Il sottufficiale prese la telefonata.
«Per lei, signor Presidente, il CCMN.»
«Chi parla?» chiese Fowler.
«Signore, sono il capitano Jim Rosselli del centro di comando nazionale militare. Abbiamo ricevuto comunicazione di due scontri avvenuti fra forze sovietiche e statunitensi. La Theodore Roosevelt comunica di aver distrutto una formazione di quattro MiG-29…»
«Cosa? Perché?»
«Signore, con le “regole di ingaggio”, il capitano di una nave ha il diritto di portare avanti azioni difensive per proteggere il suo comando. La Theodore Roosevelt è in DEFCON-DUE e, dato che il livello di allerta cambiarsi ha maggior libertà d’iniziativa sul come e il quando si possono intraprendere delle azioni.
Signore, la seconda notizia è la seguente: c’è una voce non ancora confermata di scontri fra carri armati russi e americani a Berlino. Il SACEUR ha detto che il messaggio radio si è interrotto… cioè è stato interrotto. Prima di questo, un 659
capitano dell’Esercito ha comunicato che i carri armati sovietici stavano attaccando la Brigata Berlino nella base di Berlino sud, e che un battaglione di nostri carri armati era stato appena distrutto. Le forze sovietiche di stanza proprio di fronte a loro li hanno attaccati nel loro accampamento. Queste due notizie, voglio dire le comunicazioni, sono arrivate quasi simultaneamente, a distanza di soli due minuti, signor Presidente. Stiamo cercando di ristabilire i contatti con Berlino attraverso il SACEUR di Mons in Belgio.»
«Cristo» osservò Fowler. «Come rientra questo nel tuo teatrino, Elizabeth?»
«Dimostra che non stanno scherzando, cioè sono seriamente decisi a dimostrare che non vogliono interferenze.»
La maggior parte delle forze americane era fuggita dalla caserma. Il più alto ufficiale presente sul posto aveva deciso di ripiegare e nascondersi nella foresta e nei quartieri residenziali che circondavano la base della brigata. L’ufficiale operativo della brigata era un tenente colonnello. Il colonnello che comandava la brigata non era rintracciabile e quindi l’ufficiale operativo stava valutando la situazione. La brigata disponeva di due battaglioni di fanteria meccanizzata e uno di carri armati. Di quest’ultimo battaglione, solo nove su cinquantadue M1A1 erano usciti indenni dallo scontro, mentre di tutti gli altri che stavano ancora bruciando dentro l’accampamento non rimaneva che un bagliore.
Uno stato di allerta DEFCON-TRE provocato da chissà cosa… e pochi minuti dopo tutto questo: più di quaranta carri armati e centinaia di perdite umane, soldati uccisi senza avvertimento. Be’, questo almeno era quello che lui aveva visto.
La Brigata Berlino era di stanza in questa zona prima ancora che lui nascesse e intorno all’accampamento esistevano varie posizioni di difesa. Il tenente colonnello fece partire i carri armati che rimanevano e ordinò ai veicoli da combattimento Bradley di fare fuoco a volontà con i missili TOW-2.
I carri armati russi avevano superato l’accampamento e si erano fermati, non avendo ricevuto altri ordini. I comandanti di battaglione non avevano ancora il completo controllo della formazione, visto che erano rimasti indietro rispetto alla linea di fuoco contro la quale si erano scagliati i T-80; oltretutto, il comandante del reggimento sembrava scomparso nel nulla. Essendo rimasta senza ordini, la compagnia si fermò, rimanendo immobile e cercando nuovi bersagli. Anche l’ufficiale operativo del reggimento era scomparso, e quando il più anziano comandante di battaglione se ne rese conto, il suo carro armato si mosse rapidamente verso il veicolo utilizzato come quartier generale. A questo punto era lui il più alto ufficiale del reggimento. Era incredibile, pensò. Prima l’allarme di preparazione, poi lo stato di allerta da Mosca e poi gli americani che cominciano a sparare. Non aveva la minima idea di cosa stesse succedendo. Si accorse che anche la caserma e gli edifici amministrativi erano ancora illuminati. Qualcuno doveva far spegnere quelle luci: il suo T-80 era illuminato, come se fosse già sotto il raggio di tiro.
660
«Carro di comando, a ore due sulla linea d’orizzonte. Si muove da sinistra verso destra.» Disse un sergente a un caporale.
«Identificato» rispose l’artigliere dall’interfono.
«Fuoco.»
«Agli ordini.» Il caporale premette il grilletto. Dal coperchio a tenuta uscì il tubo di lancio, che sparò il missile TOW-2 con il suo sottile cavo di controllo.
L’artigliere, mantenendo il reticolo centrato in posizione, guidò il missile anticarro sul bersaglio che si trovava a quasi duemilacinquecento metri di distanza. Ci vollero solo otto secondi, e l’artigliere ebbe la soddisfazione di vedere l’esplosione proprio sulla torretta.
«Centro!» disse il comandante del Bradley facendo un segno di colpo perfetto. «Cessare il fuoco. Andiamo a cercare un altro di questi stronzi… carro armato a ore dieci!»
La torretta girò a sinistra. «Identificato!»
«Allora, cosa ne pensa la CIA?» chiese Fowler.
«Signore, devo dirle ancora una volta che abbiamo solo informazioni sparse e non collegate fra loro» replicò Ryan.
«Una portaerei sovietica si trova ad alcuni chilometri di distanza dalla Roosevelt e trasporta dei MiG-29» disse l’ammiraglio Painter.
«Ma la Roosevelt è ancora più vicina alla Libia e il nostro amico colonnello ha un centinaio di aerei del genere.»
«Volare sull’acqua a mezzanotte?» chiese Painter. «Secondo le sue informazioni, quand’è stata l’ultima volta che i libici hanno fatto una cosa del genere… oltretutto a trenta chilometri e rotti da una delle nostre squadre da combattimento!»
«E Berlino?» chiese Liz Elliot.
«Non abbiamo notizie!» Ryan fece una pausa e respirò profondamente. «Si ricordi che ne sappiamo ben poco.»
«Ryan, e se SPINNAKER avesse ragione?» chiese Elliot.
«Cosa intende dire?»
«Se fosse in corso un colpo di stato militare e avessero fatto esplodere una bomba qui per evitare nostre interferenze, per decapitare gli Stati Uniti?»
«È un’idea assolutamente folle» rispose Jack. «Rischiare una guerra? Perché avrebbero dovuto fare una cosa simile? E poi cosa avremmo fatto noi in caso di colpo di stato? Avremmo attaccato immediatamente?»
«Forse le loro Forze Armate pensano di sì» sottolineò Elliot.
«Non sono d’accordo. Penso che SPINNAKER ci abbia mentito sin dall’inizio.»
«Sta inventando?» chiese Fowler. L’ipotesi che il bersaglio della bomba avrebbe potuto essere lui aveva toccato il Presidente sul vivo, e adesso la sola teoria sensata sembrava essere quella di Elizabeth.
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«No, signore!» scattò Ryan indignato. «Sono io il falco qui, ricorda? Le forze militari russe sono troppo intelligenti per agire in questo modo. Sarebbe un gioco troppo rischioso.»
«Allora mi spieghi gli attacchi sferrati contro le nostre forze!» disse Elliot.
«Non è ancora certo che le nostre forze siano state attaccate.»
«Allora lei pensa che i nostri uomini mentano?» chiese Fowler.
«Signor Presidente, dobbiamo fare un’analisi più approfondita. D’accordo, supponiamo che in Unione Sovietica sia in corso un colpo di stato ― non sono d’accordo con questa ipotesi, ma facciamola, okay? Ha detto che lo scopo della bomba sarebbe quello di impedirci di interferire. Bene. Allora, se vogliono che ne rimaniamo fuori, per quale ragione avrebbero attaccato le nostre forze militari?»
«Per dimostrarci che fanno sul serio» replicò immediatamente Elliot.
«E un’idea folle! Sarebbe come se dichiarassero apertamente di essere stati loro i responsabili dell’esplosione. Secondo voi possono aver pensato che noi non avremmo risposto a un attacco nucleare?» chiese Ryan, poi rispose alla sua stessa domanda. « Non ha senso!»
«Allora mi dica qualcosa che abbia senso» disse Fowler.
«Signor Presidente, siamo nelle prime fasi della crisi e le informazioni a nostra disposizione sono per il momento frammentarie e non collegate fra loro.
Fino a quando non ne sapremo di più, è pericoloso cercare di trovare una spiegazione.»
Il volto di Fowler si abbassò sul microfono del telefono. «Il suo lavoro consiste nell’informarmi su quello che sta succedendo, non nel darmi lezioni sulla gestione di una crisi. Si faccia risentire quando avrà qualcosa da dirmi!»
«Che diavolo staranno pensando?» chiese Ryan.
«C’è qualcosa di questa storia di cui non sono al corrente?» chiese Goodley. Il giovane accademico aveva dipinta sul volto la stessa ansia che allarmava Ryan.
«Perché dovrebbe essere diverso da tutti gli altri?» scattò Ryan, e subito si pentì. «Benvenuto alla gestione delle crisi: nessuno ne sa un cazzo, ma si è comunque obbligati a prendere le decisioni giuste. Peccato però che sia impossibile, assolutamente impossibile.»
«Questa storia della portaerei mi terrorizza» osservò l’uomo del dipartimento di scienza e tecnologia.
«Sbagliato. Se abbiamo distrutto solo quattro aerei, significa che sono morte solo poche persone» sottolineò Ryan. «Ma il combattimento a terra è un’altra cosa. Se davvero a Berlino è in corso una battaglia, sarà molto peggio, quasi come un attacco ai nostri assetti strategici. Vediamo se riusciamo a metterci in contatto con il SACEUR.»
662
I nove carri armati M1A1 rimasti si stavano muovendo rapidamente verso nord percorrendo uno dei viali di Berlino, insieme a un plotone di veicoli da combattimento Bradley. L’illuminazione stradale era in funzione, alcune teste facevano capolino dalle finestre e per quegli osservatori fu immediatamente chiaro che non si trattava di un’esercitazione. Dai motori dei carri armati erano stati tolti i regolatori di velocità e in America avrebbero potuto essere arrestati tutti per eccesso di velocità. Dopo aver percorso un chilometro e mezzo a nord dall’accampamento, si diressero verso est. La formazione era capeggiata da un NCO che conosceva bene Berlino (questo era il suo terzo viaggio nella città un tempo divisa), tanto bene da avere in mente un luogo perfetto, se i russi non ci fossero arrivati prima. C’era un cantiere edile: dopo tante discussioni stava per essere eretto un monumento in memoria del muro e delle sue vittime. Quel cantiere sovrastava i quartieri russi e americani, che presto avrebbero dovuto essere abbandonati, e i bulldozer avevano alzato una banchina di terra su cui doveva essere collocata la scultura. Ma il monumento non era ancora là, c’era solo una grossa rampa di terra.
I carri armati sovietici giravano intorno al loro obiettivo, forse aspettando che la fanteria uscisse allo scoperto o qualcosa di simile. Dai Bradley arrivava il fuoco dei TOW e loro rispondevano sparando verso la foresta.
«Cristo, quegli uomini sui Bradley sono condannati a morte» disse il comandante dell’unità, un capitano il cui carro armato era il solo superstite fra quelli della sua compagnia. «Bene, ai vostri posti.» Solo un minuto dopo i carri armati erano nascosti; si vedevano solo le bocche da fuoco e la cima delle loro torrette. «Su tutta la linea! Cominciare a far fuoco, fuoco a volontà.»
I nove carri armati spararono simultaneamente. Il raggio d’azione era di soli duemila metri e adesso l’elemento sorpresa giocava a loro favore. Grazie al fatto che gli Abrams facevano fuoco rapidamente, cinque carri armati russi furono distrutti con la prima scarica e altri sei con la seconda.
Nascosto fra gli alberi insieme ai Bradley, l’ufficiale operativo della brigata guardava l’estremità a nord della linea russa ormai crollata. Era il giusto modo di definirla, pensò. L’equipaggio dei carri ‘armati era composto da veterani e adesso erano all’angolo. Il battaglione russo più a nord cercò di riorientarsi, ma un Bradley aveva evidentemente colpito il loro comandante e ora si notava un evidente stato di confusione. Il suo cervello fu attraversato da un interrogativo: perché i russi non avevano ripiegato verso l’accampamento? Ma questi interrogativi sarebbero poi stati sollevati nel rapporto al termine dell’azione.
Adesso era chiaro che erano rimasti incastrati e questo era un fattore positivo per lui e per i suoi uomini.
«Signore, sono in comunicazione con la VII Armata.» Un sergente gli passò il microfono.
«Cosa sta succedendo laggiù?»
«Generale, qui parla il tenente colonnello Ed Long: siamo appena stati attaccati dal reggimento che si trova sul lato opposto della città. Nessun 663
avvertimento, sono piombati nella nostra caserma. Li abbiamo fermati, ma ho perso la maggior parte dei miei carri armati. Abbiamo bisogno di rinforzi.»
«Qualche perdita?»
«Ho perso più di quaranta carri armati, otto Bradley e almeno duecento uomini.»
«E il nemico?»
«Un reggimento di carri armati. Nient’altro per il momento, ma hanno molti amici, signore, comunque anch’io posso contare su qualcuno.»
«Vedrò quello che posso fare.»
Il generale Kuropatkin controllò il quadro della situazione. Le informazioni dai satelliti dicevano che due basi SAC erano vuote, cioè gli aerei erano in volo verso l’Unione Sovietica insieme agli aerei da rifornimento KC-135. Anche le basi missilistiche erano in stato di allerta totale. I satelliti Eagle avrebbero dato l’avviso di lancio, comunicando che al suo paese rimanevano trenta minuti di vita. Trenta minuti, pensò il generale. Trenta minuti, e la speranza nella razionalità del Presidente americano era ormai tutto quello che rimaneva fra la vita e la morte del suo paese.
«L’attività aerea sulla Germania sta aumentando» disse un colonnello.
«Abbiamo intercettato dei caccia americani in uscita da Ramstein e Bitberg, diretti verso est Totale: otto aerei.»
«Cosa sappiamo dei caccia americani Stealth?»
«C’è uno squadrone di otto aerei a Ramstein. Si presume che gli americani stessero facendo delle dimostrazioni agli alleati della NATO perché glieli comprassero.»
«Potrebbero già essere in volo» osservò Kuropatkin, «e trasportare delle armi nucleari.»
«Esatto, possono facilmente trasportare due B-61 ognuno. Con una rotta ad altitudine elevata potrebbero arrivare su Mosca senza nemmeno darci il tempo di accorgercene…»
«E con i loro congegni di puntamento… possono sganciare le bombe su qualsiasi bersaglio specifico… a due ore e mezza dal decollo… Dio mio.» Dato il tipo di penetrazione nel terreno che hanno queste armi, avrebbero potuto sganciare con tale precisione da distruggere il rifugio del Presidente. Kuropatkin sollevò il telefono. «Devo parlare con il Presidente.»
«Sì, generale, di cosa si tratta?» chiese Narmonov.
«Abbiamo avuto indicazioni di attività aerea americana sulla Germania.»
«C’è altro. A Berlino il reggimento carristi comunica di essere stato attaccato da truppe americane.»
«È una follia.»
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E questa comunicazione arriva solo cinque minuti dopo la promessa del mio amico Fowler di non intraprendere azioni provocatorie. «Sia breve, ho molto da fare qui.»
«Presidente Narmonov, due settimane fa è arrivato alla base aerea di Ramstein uno squadrone di caccia americani Stealth F-117A, naturalmente per fare dimostrazioni agli alleati della NATO: gli americani hanno detto che li vogliono vendere. Ognuno di quegli aerei può trasportare due bombe da mezzo megatone.»
«E allora?»
«Non riesco a rilevarli. Per tutti i nostri strumenti sembrano assolutamente invisibili.»
«Cosa sta dicendo?»
«Dal momento in cui decollano dalle basi e fanno rifornimento, possono raggiungere Mosca in meno di tre ore. Potremmo essere colti di sorpresa proprio come è successo agli iracheni.»
«Sono davvero a un livello tanto alto?»
«Una delle ragioni per cui abbiamo lasciato i nostri uomini in Iraq era quella di osservare da vicino le capacità degli americani. I loro aerei non sono mai comparsi sugli schermi radar, né sui nostri, né su quelli francesi che aveva Saddam. Sì, sono a un altissimo livello.»
«Ma perché dovrebbero fare, una cosa del genere?» chiese Narmonov.
«Perché avrebbero attaccato il nostro reggimento a Berlino, allora?» chiese il ministro della difesa, per tutta risposta.
«Pensavo che questo posto potesse resistere a qualsiasi arma del loro arsenale.»
«Non a una bomba nucleare a gravita sganciata con grande precisione. Siamo a soli cento metri dalla superficie» disse il ministro della difesa. Netta lotta fra nucleare e armi convenzionali, vince sempre il nucleare…
«Tornando a Berlino» disse Narmonov. «Sappiamo cosa sta succedendo?»
«No, tutto quello che sappiamo ci è stato comunicato da giovani ufficiali.»
«Trovi qualcuno che ci possa dire cosa sta succedendo. Ordini ai nostri uomini di ripiegare, se possono farlo senza troppi rischi, e di intraprendere solo azioni difensive. D’accordo?»
«Sì, è una mossa prudente.»
Il centro nazionale fotografico dei servizi segreti, NPIC, si trova nel cantiere navale di Washington in uno dei numerosi edifici senza finestre che ospitano le attività governative più delicate. In quel momento aveva in orbita tre satelliti per fotografie KH-11 e due satelliti per immagini radar KH-12. Alle 00,26,46, uno dei KH-11 entrò nel raggio ottico di Denver e tutti i suoi apparecchi fotografici zumarono sulla città, soprattutto sulla periferia sud. Le immagini furono inviate 665
in tempo reale a Fort Belvoir in Virginia, e da lì via cavi a fibre ottiche all’NPCI, dove furono registrate su cassetta. L’analisi iniziò immediatamente.
L’aereo era un DC-10. Qati e Ghosn avevano ancora una volta prenotato posti di prima classe, felici e sorpresi della fortuna che avevano avuto. Appena la notizia era stata comunicata tramite la rete Reuters, era stato tutto inevitabile. La AP e la UPI l’avevano immediatamente raccolta e tutte le stazioni televisive si erano collegate via cavo. Sorpresi dal fatto che le grosse reti non avessero ancora trasmesso i loro bollettini speciali, le reti locali inserirono comunque la notizia nella programmazione. Quello che sorprendeva Qati era il silenzio.
Mentre la voce si diffondeva in tutto l’aeroporto, non c’erano stati né grida né panico, ma solo un misterioso silenzio che permetteva di sentire ancora le chiamate dei voli e gli altri rumori di sottofondo tipici delle aree affollate. Gli americani affrontavano così la tragedia e la morte, pensò il comandante. La mancanza di emotività lo sorprese.
Comunque, si era lasciato tutto alle spalle. Il DC-10 accelerò lungo la pista e decollò. Pochi minuti dopo raggiungeva le acque internazionali e si dirigeva verso un paese neutrale e verso la salvezza. Solo un’altra coincidenza, pensarono i due uomini in silenzio. Un’altra coincidenza e sarebbero scomparsi nel nulla.
Chi si sarebbe aspettato tanta fortuna?
«Le emissioni infrarosse sono notevoli» pensò ad alta voce l’addetto all’analisi delle fotografie: era la prima volta che vedeva un’esplosione nucleare. «Ci sono danni e incendi secondari fino a un chilometro e mezzo dallo stadio. Non ho molto su quella zona: troppo fumo e interferenze infrarosse. Al prossimo giro, potremo avere qualche immagine visibile, se saremo fortunati.»
«Cosa mi può dire sulle perdite umane?» chiese Ryan.
«Dati gli elementi a mia disposizione non posso trarre conclusioni. Tutti gli scatti in cui c’è luce sono offuscati dal fumo. I livelli di emissioni infrarosse sono impressionanti. Ci sono molti incendi anche intorno allo stadio, macchine, penso, esplosioni di serbatoi.»
Jack si girò verso l’alto funzionario del dipartimento di scienza e tecnologia.
«Chi c’è di sopra, alla sezione fotografie?»
«Nessuno» rispose il funzionario. «Siamo in un fine settimana, ricorda?
Durante i fine settimana è l’NPCI a occuparsi del lavoro, a meno che non si aspetti qualcosa d’importante.»
«Qual è l’uomo migliore che avete?»
«Andy Davis, ma abita a Manassas e non riuscirebbe mai ad arrivare.»
«Maledizione.» Ryan prese il telefono ancora una volta. «Mandateci le dieci fotografie migliori che avete» disse all’NPCI.
«Arriveranno fra due o tre minuti.»
«Avete qualcuno per valutare gli effetti dell’esplosione?»
666
«Posso occuparmene io» disse il funzionario. «Ero nell’Esercito e lavoravo per il SAC.»
«Proceda.»
Per il momento i nove carri armati Abrams avevano svolto le stesse funzioni dei trenta T-80 russi. I sovietici avevano ripiegato a sud in cerca di riparo e il loro fuoco aveva distrutto altri tre M1A1, ma adesso la situazione era quasi di parità. Il comandante del distaccamento di carri armati mandò i suoi Bradley in ricognizione verso est. Come era avvenuto durante il primo scontro, c’era della gente che li guardava, ma la maggior parte stava nascosta dietro le finestre a luci spente.
L’illuminazione stradale preoccupava il comandante di uno dei Bradley, che cominciò a sparare per spegnere le luci, di fronte all’orrore dei berlinesi che avevano ancora il coraggio di guardare.
« Was nun? » chiese Keitel. E adesso?
«Adesso ce la filiamo: il nostro lavoro è terminato» rispose Rock sterzando le ruote a sinistra. Una fuga verso nord sembrava la miglior soluzione. Avrebbero dovuto liberarsi dell’automobile e del camion, cambiarsi i vestiti e scomparire.
Forse sarebbero riusciti a sopravvivere a tutto questo, pensò Bock. Non sarebbe stato già qualcosa? Ma il suo pensiero principale era che aveva vendicato la sua Petra. La morte di sua moglie era stata causata dai russi e dagli americani: i tedeschi erano stati solo il braccio dei due giganti, e adesso i giganti stavano giocando, disse Bock a se stesso. I due grandi giocatori la stavano pagando e avrebbero continuato a pagare. La vendetta non era un piatto che andava necessariamente gustato freddo.
«Un’auto di ufficiali russi» disse l’artigliere, «e un camion GAZ.»
«Mitragliatrici.» Il comandante prese tempo per identificare i bersagli diretti verso di loro. «Aspettare.»
«Mi piace uccidere gli ufficiali…» L’artigliere centrò il mirino della sua bocca da 25 millimetri. «Ce l’ho, sergente.»
Nonostante avesse molta esperienza come terrorista, Bock non era un soldato: confuse la figura squadrata e scura a due isolati di distanza per un grosso camion. Il suo piano aveva funzionato. Lo stato di allerta americano era scattato con un tempismo perfetto e questo voleva dire che Qati e Ghosn avevano fatto il loro lavoro proprio come lui aveva programmato cinque mesi prima. Si girò di scatto appena vide qualcosa che sembrava un flash e una striscia di luce che passava sopra la sua testa.
«Fuoco a volontà!»
L’artigliere posizionò il selettore sul fuoco rapido. La mitragliatrice era 667
talmente precisa che le sue raffiche arrivarono dritte al bersaglio. La prima raffica colpì il camion: forse c’erano dei soldati, pensò. I primi colpi arrivarono nei blocco motore e lo ridussero in pezzi, poi mentre il veicolo si stava ancora muovendo in avanti a singhiozzo, la seconda raffica colpì la cabina e il compartimento di carico. Il camion crollò a terra sulle due ruote anteriori e i cerchioni affondarono nell’asfalto. Nel frattempo, l’artigliere aveva già cambiato bersaglio sparando una leggera raffica sull’automobile; il bersaglio perse il controllo e andò a sbattere contro una BMW parcheggiata. A questo punto mancava solo il tocco finale: l’artigliere colpì di nuovo la macchina e poi il camion. Qualcuno uscì dal camion, probabilmente già ferito, visto il suo modo di camminare. Altri due colpi sistemarono tutto.
Il comandante si mosse immediatamente: non bisogna mai indugiare sul
“luogo del delitto”. Due minuti dopo trovarono un altro posto di blocco. Le macchine della polizia percorrevano le strade a sirene spiegate. Il comandante vide che una delle macchine si fermava a pochi metri dal Bradley; poi fece marcia indietro e se ne andò via. Bene, aveva sempre saputo che i poliziotti tedeschi erano svegli.
Cinque minuti dopo, il Bradley si mosse verso un altro caseggiato. Il primo berlinese, un dottore un po’ troppo coraggioso, uscì dalla porta di casa e andò verso la macchina degli ufficiali. I due uomini erano morti, il torso era stato ridotto in pezzi dalle cartucce del cannone, ma i due volti erano intatti, fatta eccezione per il sangue. Il camion era in condizioni ancora peggiori. Uno di quegli uomini doveva essere sopravvissuto per pochi minuti, ma quando il dottore arrivò, era già troppo tardi. Gli sembrò strano che indossassero tutti uniformi da ufficiali russi. Non sapendo che altro fare, chiamò la polizia. Solo più tardi si sarebbe reso conto di quanto si fosse sbagliato nell’interpretare i fatti accaduti fuori dalla porta di casa sua.
«Non stavano scherzando sugli infrarossi. Deve essere stata una bomba» notò l’uomo del dipartimento di scienza e tecnologia. «I danni sono un po’ strani, però… mmm…»
«Cosa vuol dire, Ted?» chiese Ryan.
«Voglio dire che i danni a terra dovrebbero essere peggiori di questi… ci dovrebbero essere delle ombre e dei riflessi.» Guardò in alto. «Mi scusi, le onde d’urto non passano attraverso le cose… una collina, per esempio. Voglio dire che ci dovrebbero essere dei riflessi e delle ombre qui, ecco tutto. Queste case dovrebbero essere state distrutte.»
«Continuo a non capire cosa vuole dire» disse Ryan.
«Ci sono sempre delle cose strane in questi casi. Tornerò da lei quando sarò riuscito a fare il punto della situazione, d’accordo?» disse Ted Ayres.
Non sapendo che altro fare, Walter Hoskins stava seduto nel suo ufficio, 668
anche perché, essendo il più alto funzionario presente, doveva rispondere alle telefonate. Bastava solo che si voltasse per vedere lo stadio: la coltre di fumo era a soli otto chilometri dalle sue finestre, una delle quali era crepata. Una parte di lui si chiese se avesse dovuto mandare una squadra sul posto, ma non aveva ricevuto ordini in merito. Sorpreso che quasi tutte le finestre fossero ancora intatte, girò la sedia per guardare ancora in quella direzione. Dopotutto, sembrava che si fosse trattato di una bomba nucleare e l’esplosione era avvenuta a soli otto chilometri di distanza. Quello che rimaneva della nube adesso era sulle montagne, ma era comunque rimasta abbastanza intatta da non lasciare dubbi sulla propria natura, anche perché il suo percorso era rimasto segnato da tanti piccoli incendi. Il livello di distruzione doveva essere…
… non era abbastanza. Non abbastanza? Che pensiero folle. Dato che non aveva altro da fare, Hoskins alzò la cornetta del telefono e fece il numero di Washington. «Mi passi Murray.»
«Sì, Walt.»
«Sei molto impegnato?»
«Non molto, in realtà. Come vanno le cose lì da te?»
«Abbiamo bloccato i canali televisivi e i telefoni. Spero che il Presidente sarà al mio fianco, quando dovrò spiegare questa storia di fronte a un giudice.»
«Walt, non è questo il momento…»
«Non è la ragione per cui ti ho chiamato.»
«Allora, cosa mi vuoi dire?»
«Posso vederla da qui, Dan» disse Hoskins con una voce che pareva quasi sognante.
«È molto brutta la situazione?»
«Sai, riesco a vedere solo del fumo. La nube a fungo è già sulle montagne, è di colore arancione. Il tramonto… è abbastanza alta da raggiungere il tramonto, penso. Vedo anche tanti piccoli incendi nella zona dello stadio. Dan?»
«Sì, Walt?» rispose Dan. Quell’uomo sembrava in stato di shock, pensò Murray.
«C’è un fatto strano.»
«Quale?»
«Le mie finestre non sono rotte. Il mio ufficio è a soli otto chilometri dal luogo dell’esplosione e si è crepata solo una delle mie finestre. Strano, vero?»
Hoskins fece una pausa. «Ho qui quella roba che mi hai chiesto.» Hoskins scorse fra i documenti che erano stati sistemati nel raccoglitore della posta interna. «Marvin Russell ha scelto una giornata piuttosto piena per morire.
Comunque, ho il passaporto e tutto il resto. È importante?»
«Può aspettare.»
«Bene.» Hoskins riattaccò.
«Pat, Walt sta perdendo il controllo» osservò Murray.
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«Gliene fai una colpa?» chiese O’Day.
Dan scosse la testa. «No.»
«Se la situazione peggiora…» notò Pat.
«È lontana la tua famiglia?»
«Non abbastanza.»
«Otto chilometri» disse Murray tranquillamente.
«Come?»
«Walt ha detto che il suo ufficio è a soli otto chilometri di distanza, da lì vede la zona. Le sue finestre non si sono nemmeno rotte.»
«Stronzate» rispose O’Day. «Deve essere veramente partito. Otto chilometri.»
«Spiegati meglio.»
«Il NORAD ha detto che la bomba aveva una potenza di un centinaio di chilotoni. Quella potenza distrugge tutte le finestre in un raggio ben più ampio.
Bastano solo venti grammi di sovrapressione per distruggere una finestra.»
«Come lo sai?»
«Lavoravo per i servizi segreti della Marina, ti ricordi? Una volta dovetti valutare il raggio d’azione delle armi nucleari tattiche. Una bomba di cento chilotoni a una distanza di otto chilometri non ti ucciderebbe, ma distruggerebbe tutto quello che incontra sul suo percorso, toglierebbe la vernice e accenderebbe piccoli incendi. Cattive notizie, caro mio.»
«Tende, e tutto il resto?»
«Dovrebbe» pensò O’Day a voce alta. «Sì, le tende comuni andrebbero a fuoco, soprattutto quelle scure.»
«Walt non è tanto perso da non accorgersi di un incendio nel suo ufficio…»
Murray alzò il telefono e chiamò Langley.
«Sì, cosa c’è, Dan?» disse Ryan al microfono.
«Quali dati avete sulle dimensioni dell’esplosione?»
«Secondo il NORAD, centocinquanta, forse duecento chilotoni, le dimensioni di una grossa arma tattica o di un piccolo ordigno strategico» disse Ryan.
«Perché?» Dall’altra parte del tavolo il funzionario del dipartimento di scienza e tecnologia alzò gli occhi dalle fotografie.
«Ho appena parlato con il mio ASAC di Denver. Il suo ufficio è a otto chilometri dalla zona dello stadio. Jack, si è crepata solo una finestra.»
«Stronzate» affermò il funzionario.
«Cosa significa?» chiese Ryan.
«A otto chilometri di distanza» sottolineò Ted Ayres, «l’impulso termico cuocerebbe tutta la zona e sicuramente l’onda d’urto porterebbe via le finestre.»
Murray sentì queste parole. «Sì, è quello che mi ha appena detto uno dei miei uomini qui. Sentite, il mio uomo potrà essere un po’ perso, cioè sotto shock, ma non pensate anche voi che se ci fosse un incendio vicino alla sua scrivania, se ne sarebbe accorto?»
670
«Abbiamo ricevuto notizie dalla zona dell’esplosione?» chiese Jack a Ayres.
«No, la squadra del NEST sta andando sul posto, ma le immagini dicono già molto, Jack.»
«Dan, di quanto tempo hai bisogno per mandare qualcuno sul posto?» chiese Ryan.
«Ti farò sapere.»
«Hoskins.»
«Walt, sono Dan Murray. Manda degli uomini sul posto al più presto. Tu rimani per coordinare.»
«Bene.»
Mentre si domandava quanto stesse mettendo in pericolo i suoi uomini, Hoskins dette gli ordini. Poi, non avendo altro da fare, diede un’occhiata allo schedario che aveva sulla scrivania. Marvin Russell, pensò, un altro criminale morto in modo stupido. Spacciatori di droga, ma non imparano proprio mai?
Roger Durling si sentì felice quando l’aereo d’emergenza si staccò da quello di rifornimento: il 747 trasformato era sempre molto tranquillo, ma non quando era in fase di rifornimento ― operazione che divertiva solo suo figlio. Nella sala per conferenze di bordo erano riuniti un generale di brigata dell’Aeronautica, un capitano della Marina, un maggiore dei Marines e altri quattro fra ufficiali operativi e dello staff. Tutti i dati che il Presidente riceveva venivano automaticamente inviati all’aereo, comprese le trascrizioni della “linea calda”.
«Sapete, quello che stanno dicendo è giusto, ma sarebbe proprio interessante sapere cosa sta pensando ognuno di loro.»
«E se si trattasse davvero di un attacco russo?» chiese il generale.
«Perché avrebbero dovuto farlo?»
«Ha sentito la discussione fra il Presidente e la CIA, signore.»
«Sì, ma quel Ryan ha ragione» disse Durling. «In quell’ipotesi non c’è nulla di sensato.»
«Ma chi ha mai detto che il mondo ha senso? Cosa sappiamo degli scontri nel Mediterraneo e a Berlino?»
«Forze schierate in prima linea. Noi siamo entrati in stato di allerta e loro hanno fatto lo stesso, ma sono molto vicini e basta un piccolo errore. Sa, come Gavrilio Prinzip che sparava all’Arciduca. Basta che si verifichi un semplice incidente per far precipitare le cose.»
«Questa è la ragione per cui esiste la “linea calda”, signor vicepresidente.»
«Vero» concesse Durling. «E per il momento sembra che funzioni.»
Fecero circa cinquanta metri con facilità, ma poi diventò più difficile e presto sarebbe stato addirittura impossibile. Callaghan aveva piazzato cinquanta vigili 671
del fuoco per aprire la strada e altri cento erano di appoggio. Inoltre, tutti gli uomini e le donne lavoravano sotto un continuo getto d’acqua. Se non altro, pensò, serviva a lavare via l’eventuale fallout, la polvere o tutto quell’accidente che c’era, per poi scaricarlo nelle fogne ― se non si fosse congelato prima. Gli uomini in prima linea erano coperti di ghiaccio, diventato ormai uno strato trasparente che rivestiva le cerate delle loro divise.
Il problema maggiore era quello delle macchine: erano state scaraventate via come giocattoli e adesso erano lì, qualcuna sulla fiancata, qualcuna sul tetto, con la benzina fuoruscita raccolta in pozze che si incendiavano. Callaghan ordinò a un camion di entrare. I suoi uomini legavano dei cavi ai telai delle automobili ormai ridotte in rottami e il camion le portava fuori una alla volta. Ma era un’operazione esageratamente lunga e ci sarebbe voluta un’eternità per riuscire a entrare nello stadio. Lì c’erano ancora delle persone vive, ne era sicuro, ci doveva essere qualcuno. Callaghan stava in piedi senza venir colpito dal getto d’acqua e sentendosi colpevole per il freddo che stavano soffrendo i suoi uomini. Quando sentì il rumore di un grosso motore diesel, si girò.
«Salve.» Era un uomo che indossava un’uniforme da colonnello dell’Esercito statunitense. Il nome scritto sulla targhetta era “Lyle”. «Mi hanno detto che ha bisogno di attrezzatura pesante.»
«Cosa ha portato?»
«Ho tre cingolati speciali, M728, che stanno arrivando proprio in questo momento. Ho anche qualcos’altro.»
«Cosa?»
«Un centinaio di tute MOPP, sa, attrezzatura da guerra chimica. Non saranno perfette, ma sono sicuramente meglio di quello che indossano adesso i suoi uomini, anche più calde. Perché non li fa uscire in modo che si possano vestire per bene? Il camion è laggiù.» Il colonnello lo indicò.
Callaghan esitò per un attimo, ma poi decise che non poteva rifiutare quell’offerta. Richiamò indietro i suoi uomini e li mandò a indossare l’attrezzatura militare. Il colonnello Lyle gli lanciò una tuta.
«I getti d’acqua sono una buona idea, dovrebbero tenere a terra la polvere e tutto il resto. Allora, cosa vuole che facciamo?»
«Non si può dire da qui, ma all’interno una parte della struttura è sicuramente ancora in piedi. Penso che ci siano dei superstiti, devo verificare. Ci può aiutare a passare oltre queste automobili?»
«Certo.» Il colonnello alzò la sua radio e ordinò al suo primo veicolo di entrare. L’M728 che Callaghan vide era in sostanza un carro armato con una pala da bulldozer sulla parte anteriore e un telaio a cavalletto con un argano sul retro della torretta. C’era anche uno strano cannone a canna corta.
«Non sarà un’operazione molto pulita. Va bene lo stesso?»
«Al diavolo la pulizia… entrate!»
«D’accordo.» Lyle sollevò l’interfono sulla parte posteriore del veicolo.
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«Aprite un varco» ordinò.
Il conducente mandò su di giri il motore diesel proprio mentre stavano tornando i primi vigili del fuoco. Fece di tutto per evitare i tubi dell’acqua, ma ne troncò otto. Con la pala abbassata, il cingolato si diresse contro le automobili in fiamme a trenta chilometri all’ora. Aprì un varco profondo circa nove metri, poi fece marcia indietro e incominciò ad allargarlo.
«Cristo» osservò Callaghan. «Cosa ne sa di radiazioni e roba del genere?»
«Non molto. Prima di venire qui ho controllato con quelli del NEST: dovrebbero arrivare da un momento all’altro. Fino ad allora…» Lyle si strinse nelle spalle. «Pensa davvero che ci siano dei superstiti là dentro?»
«Parte della struttura è ancora in piedi. L’ho vista dall’elicottero.»
«No, davvero?»
«Sì, l’ho vista.»
«Ma è impossibile. Quelli del NORAD mi hanno detto che era una grossa.»
«Cosa?» urlò Callaghan per farsi sentire nonostante il rumore del cingolato.
«La bomba, mi avevano detto che era molto grossa. Questo parcheggio non dovrebbe più esistere.»
«Vuole dire che non era grossa?» Callaghan guardò quell’uomo come se fosse un pazzo .
«Cazzo , sì!» Lyle si fermò per un attimo. «Se c’è della gente lì dentro…» corse sul retro del cingolato e afferrò l’interfono. Un momento dopo, TM728 si fermò.
«Qual è il problema?»
«Se ci sono dei superstiti, in questo modo ne potremmo schiacciare qualcuno.
Gli ho solo detto di fare attenzione. Accidenti, ha ragione. E io che pensavo che fosse pazzo.»
«Scusi?» urlò di nuovo Callaghan, facendo cenno ai suoi uomini di dirigere l’acqua anche sul cingolato.
«Ci potrebbero essere dei superstiti lì dentro. Questa bomba è molto meno potente di quello che mi avevano detto al telefono.»
« Maine, qui Sea Devil Uno-tre» chiamò Orion P-3C. «Siamo a circa quaranta minuti dalla vostra posizione. Qual è il problema?»
«Abbiamo dei danni all’elica e all’albero, e abbiamo un Akula nelle vicinanze; ultimo rilevamento a quarantasettemila metri sud-ovest» rispose Ricks.
«Ricevuto. Proveremo ad allontanarlo da voi. Daremo comunicazione quando arriveremo alla stazione. Passo e chiudo.»
«Capitano, possiamo muoverci a una velocità di tre nodi, spostiamoci verso nord alla massima velocità possibile» disse Claggett.
Ricks scosse la testa. «No, rimarremo tranquilli.»
«Signore, i nostri amici là fuori devono aver captato il rumore della collisione. Staranno venendo verso di noi. Il nostro sonar migliore è fuori uso.
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La mossa giusta è quella di cercare di allontanarci nel miglior modo possibile.»
«No, la mossa giusta è quella di rimanere al coperto.»
«Lanciamo un MOSS almeno.»
«È giusto, signore» disse l’ufficiale artigliere.
«D’accordo, programmatelo in modo che simuli il suono della nostra avaria, con rotta sud.»
«Bene.» La camera di lancio del siluro numero tre del sottomarino Maine venne caricata con un MOSS, simulatore di sottomarino in movimento, cioè un siluro modificato, che invece di trasportare una testata, conteneva un trasduttore sonar collegato a un generatore di rumore. Questo siluro avrebbe dovuto emettere il suono di un sottomarino della classe Ohio ed era stato progettato in modo da simularne uno danneggiato. Dato che i danni all’albero rappresentavano una delle poche ragioni che rendevano un Ohio rumoroso, quel caso era già stato programmato. Gli artiglieri scelsero la traccia acustica adatta e pochi minuti dopo lanciarono il siluro. Il MOSS accelerò verso sud e a circa duemila metri di distanza cominciò a emettere il rumore.
Il cielo era limpido su Charleston nel Sud Carolina. Quelle precipitazioni che in Virginia e nel Maryland erano state nevose qui erano pioggia e nevischio. Il sole del pomeriggio aveva allontanato quasi tutte le nuvole, riportando l’antica città al suo stato normale. L’ammiraglio a capo della squadra numero sei di sottomarini guardava dalla nave d’appoggio, mentre due dei suoi sottomarini lanciamissili balistici scendevano il fiume Cooper verso il mare e la salvezza.
Non era il solo a guardare: milleottocento chilometri sopra la sua testa, un satellite da ricognizione sovietico passava in quella zona, continuando sull’area costiera andando verso Norfolk, dove il cielo era limpido. Il satellite inviava le immagini al centro informazioni sulla punta ovest di Cuba, da dove venivano immediatamente ritrasmesse. La maggior parte dei satelliti russi usava l’orbita polare e quindi non era stata danneggiata dagli impulsi elettromagnetici. Le immagini arrivarono a Mosca in pochi secondi.
«Sì?» chiese il ministro della difesa.
«Abbiamo le immagini di tre basi navali americane. Sottomarini lanciamissili stanno andando verso il mare da Charleston e da King’s Bay.»
«Grazie.» Il ministro della difesa riagganciò il telefono. Un’altra minaccia che comunicò immediatamente al Presidente Narmonov.
«Cosa significa?»
«Significa che l’azione militare intrapresa dagli americani non è solo difensiva. Alcuni di quei sottomarini trasportano dei missili Trident D-5, che hanno capacità di distruzione uno. Si ricorda come erano interessati gli americani a farci eliminare i nostri SS-18?»
«Sì, e loro stanno eliminando molti dei loro Minutemen» disse Narmonov.
«Allora?»
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«Allora, non hanno bisogno dei loro missili con postazione a terra per sferrare un attacco di questo genere, perché possono farlo dai sottomarini. Noi no.
Abbiamo bisogno degli ICBM con base a terra.»
«E i nostri SS-18?»
«Proprio mentre stiamo parlando, stanno eliminando le testate, e se riusciranno a far funzionare quel maledetto impianto di disattivazione saremo già in pieno rispetto del trattato… lo siamo già, veramente, solo che quei dannati americani non lo vogliono ammettere.» Il ministro della difesa fece una pausa, Narmonov non lo seguiva. «In altri termini, mentre noi abbiamo eliminato alcuni dei nostri missili migliori, gli americani hanno ancora i loro. Ci troviamo in svantaggio strategico.»
«Non ho dormito molto e forse le mie capacità di ragionamento non sono al massimo» disse Narmonov. «Lei ha aderito al trattato solo un anno fa e adesso mi dice che siamo minacciati proprio a causa di quello stesso documento?»
Sono tutti uguali, pensò il ministro della difesa. Non ascoltano mai, non fanno mai attenzione. Si può dire la stessa cosa un centinaio di volte ma loro non ti stanno a sentire!
«L’eliminazione di tanti missili e testate cambia il rapporto fra le forze…»
«Fesserie! Siamo ancora allo stesso livello!» si oppose il Presidente Narmonov.
«Non è questo il problema. Il fattore importante è il rapporto fra il numero di lanciamissili e la loro relativa vulnerabilità… e naturalmente il numero di testate disponibili per ogni parte. Siamo ancora in grado di sferrare un primo attacco e quindi di eliminare con i nostri missili le forze missilistiche americane con postazione a terra. Questa è la ragione per cui erano tanto disposti a distruggere la metà delle loro postazioni. Ma adesso la maggior parte delle loro testate è in mare e per la prima volta quei missili sono perfettamente adeguati per un primo attacco devastante.»
«Kuropatkin» disse Narmonov. «Ha sentito?»
«Sì. Il ministro della difesa ha ragione. Inoltre vorrei aggiungere, se mi è concesso, che la riduzione del numero di lanciamissili ha cambiato il rapporto totale fra lanciamissili e testate. Per la prima volta nel corso di questa generazione, è possibile un attacco completamente devastante, soprattutto se gli americani riescono a decapitare il nostro governo con il loro primo attacco.»
«È possono riuscirci con quei caccia Stealth che hanno dislocato in Germania» concluse il ministro della difesa.
«Aspettate un attimo. Mi state dicendo che Fowler ha fatto saltare in aria una sua città perché voleva creare una scusa per attaccarci? Che follia sarebbe mai questa?» Adesso il Presidente sovietico cominciava a sentire la paura.
Il ministro della difesa parlò lentamente e in modo chiaro. «Sapere chi abbia fatto esplodere quell’ordigno non ha importanza. Se Fowler comincia a pensare che è opera nostra, ha tutte le possibilità di agire contro di noi. Compagno 675
Presidente, lei deve capirlo: in termini tecnici, il nostro paese è sul punto dell’annientamento. Meno di trenta minuti separano i loro missili con postazione a terra da noi, venti minuti da quelli in mare e solo due ore da quei maledetti cacciabombardieri invisibili, che sarebbero una prima mossa vantaggiosa. Tutto quello che ci separa dalla distruzione è lo stato psicologico del Presidente Fowler.»
«Capisco.» Il Presidente sovietico rimase in silenzio per mezzo minuto.
Fissava il quadro della situazione sul muro. Quando parlò, la sua voce mostrava la rabbia provocata dalla paura. «Cosa propone di fare… attaccare gli americani?
Non ho intenzione di farlo.»
«No, naturalmente, ma faremmo bene a mettere le nostre forze in completo stato di allerta. Gli americani se ne accorgeranno e capiranno che un attacco devastante è impossibile, e così avremmo il tempo di risolvere la questione con razionalità.»
«Golovko?»
Sentendosi chiamato in causa, il primo vicepresidente del KGB si irrigidì.
«Sappiamo che sono in stato di allerta totale ed è possibile che la stessa mossa da parte nostra sembri una provocazione.»
«Se non lo facciamo, saremo un bersaglio ancora più invitante.» Il ministro della difesa era straordinariamente calmo, forse l’unico uomo in quella stanza con il pieno controllo di se stesso. «Sappiamo che il Presidente americano è sottoposto a un forte stress, che ha perso molte migliaia di cittadini: potrebbe colpire senza riflettere. Invece, è molto meno probabile che lo faccia se sa che siamo pronti a rispondere. Non dobbiamo mostrare di essere deboli in un momento del genere: la debolezza invita sempre all’attacco.»
Narmonov si guardò intorno per la stanza verificando che non ci fossero opposizioni; non ce n’erano.
«Proceda» disse al ministro della difesa.
«Non abbiamo ancora saputo niente da Denver» disse Fowler strofinandosi gli occhi.
«Non mi aspetterei molto» replicò il generale Borstein.
Il posto di comando del NORAD si trovava letteralmente dentro una montagna. All’entrata del tunnel c’era una serie di porte in acciaio e le strutture interne erano state progettate per resistere a qualsiasi tipo di attacco. Molle antiurto e sacche di aria compressa isolavano gli uomini e le apparecchiature dal pavimento di granito, e sopra di loro c’erano dei soffitti di acciaio che servivano a fermare qualsiasi tipo di frammento roccioso potesse eventualmente cadere a causa di tiri mancati. Borstein non si aspettava di dover resistere a un attacco: c’era un reggimento completo di SS-18 mod. 4 sovietici a cui era stata assegnata la distruzione di quella postazione e di alcune altre. Invece di dieci o più MIRV
portavano un’unica testata da venticinque megatoni la cui sola possibile 676
missione era quella di trasformare la montagna Cheyenne nel lago Cheyenne.
Era un pensiero piacevole. Borstein era un pilota di caccia professionista: aveva iniziato sull’F-100, chiamato l‘“unno” dai suoi piloti, poi era passato al Phantom F-4 e aveva comandato uno squadrone di F-15 in Europa. Esperto di tattica militare, vedeva solo la cloche del suo aereo, non poteva vivere senza sentirne il rombo del motore ed era sempre il primo a salire sulla scaletta. Borstein aggrottò le sopracciglia a questo pensiero: non era già così vecchio da ricordare quei giorni. Il suo lavoro consisteva nella difesa aerea del continente, cioè evitare che facessero saltare in aria il suo paese. Aveva fallito: una zona dell’America vicina alla sua postazione era saltata in aria, insieme al suo capo, e lui non sapeva perché, come o chi fosse stato.
Borstein non era un uomo abituato al fallimento, ma sul suo display non poteva che leggere la sconfitta.
«Generale!» lo chiamò un maggiore.
«Cosa c’è?»
«Abbiamo rilevato qualche trasmissione radio a microonde. Da una prima valutazione pare che quell’Ivan stia ordinando lo stato di allerta ai reggimenti missilistici. Lo stesso vale per le basi navali. Traffico in uscita da Mosca.»
«Cristo!» Borstein alzò di nuovo il telefono.
«Non l’hanno mai fatto?» chiese Elliot.
«Strano ma vero» disse Borstein. «Anche durante la crisi provocata dalla questione nata a causa dei missili cubani, i russi non hanno mai messo in stato di allerta i loro ICBM.»
«Non ci credo» sbuffò Fowler. «Mai?»
«Il generale ha ragione» disse Ryan. «La ragione è che le loro linee telefoniche sono sempre state un po’ malconce. Penso che siano finalmente riusciti a sistemarle…»
«Cosa vuole dire?»
«Signor Presidente, solo Dio conosce i particolari. Lei ha mandato i messaggi di allerta via voce; noi facciamo così e lo stesso fanno i sovietici. Le linee telefoniche sovietiche fanno schifo e credo che nessuno userebbe un sistema in pessime condizioni per dare ordini importanti. Questa è la ragione per cui hanno investito tanto per rimetterle a posto, proprio come abbiamo fatto noi con i nostri sistemi di comando e controllo. Adesso usano cavi a fibre ottiche come noi, insieme a una nuova serie di relè a microonde. Ecco perché l’abbiamo intercettato» spiegò Ryan. «Elementi sparsi emessi dai ripetitori a microonde.»
«In un altro paio d’anni, avranno una linea completa di cavi a fibre ottiche, e noi non ne sapevamo nulla» aggiunse il generale Fremont. «Non mi piace.»
«Neanche a me» disse Ryan, «ma anche noi siamo in DEFCON-DUE, no?»
«Loro non lo sanno. Non glielo abbiamo detto» disse Elliot.
«A meno che non riescano, come ho detto in alcuni dei miei rapporti, a 677
penetrare i nostri sistemi cifrati.»
«L’NSA ha detto che lei è pazzo.»
«Forse è vero, ma l’NSA si è già sbagliata in precedenza.»
«Quale pensa sia lo stato mentale di Narmonov?»
Sarà terrorizzato quanto me? si domandò Ryan. «Signore, non abbiamo indicazioni in merito.»
«E non sappiamo nemmeno se è veramente lui» si intromise Elliot.
«Liz, mi oppongo alla sua ipotesi» scattò Jack dall’altra parte del telefono.
«L’unico elemento che la sostiene proviene dalla mia Agenzia e noi abbiamo le nostre riserve.»
Cristo, ho sbagliato a tirare in ballo quel rapporto, disse a se stesso.
«Ryan, ci dia un taglio!» ringhiò Fowler. «Voglio dei fatti e non delle discussioni in questo momento, d’accordo?»
«Signore, come ho già sottolineato, non abbiamo ancora informazioni sufficienti su cui poter basare una decisione.»
«Storie» disse il colonnello seduto vicino al generale Fremont.
«Cosa vuol dire?» il comandante del SAC si girò.
«La dottoressa Elliot ha ragione, signore. Quello che ha detto prima è sensato.»
«Signor Presidente» disse una voce. «Sta arrivando una comunicazione dalla
“linea calda”.»
PRESIDENTE FOWLER,
ABBIAMO APPENA RICEVUTO NOTIZIA DA BERLINO DI UN ATTACCO SENZA PREAVVISO DA PARTE DI UN’UNITÀ ARMATA STATUNITENSE ALLE FORZE
SOVIETICHE. I MORTI SONO NUMEROSI. LA PREGO DI SPIEGARE L’ACCADUTO.
«Oh, merda» disse Ryan guardando il fax.
«Ho bisogno delle vostre opinioni, signori» disse Fowler al telefono.
«La cosa migliore è dire che non ne sappiamo nulla» disse Elliot. «Se ammettiamo di esserne al corrente, dovremmo assumercene la responsabilità.»
«Questo è un pessimo momento per mentire» disse Ryan energicamente, poi pensò che si stava spingendo troppo oltre. Non ti ascolteranno se urli, Jack…
«Questo è quello che dobbiamo dire a Narmonov» sparò Elliot. «Ci hanno attaccato loro, ricordate?»
«Così dicono i comunicati, ma…»
«Ryan, sta dicendo che i nostri uomini hanno mentito?» ringhiò Borstein da Cheyenne Mountain.
«No, generale, ma la notizia non è ancora stata confermata, e lei lo sa meglio di me!»
«Se neghiamo, possiamo evitare di prendere una posizione dalla quale dovremmo forse recedere ed evitiamo anche di sfidarli, almeno per il momento»
insistette il consigliere per la sicurezza nazionale. «Perché ha tirato fuori questa 678
storia adesso?» chiese.
«Signor Presidente, lei era un pubblico ministero» disse Ryan. «Sa quanto non siano affidabili i testimoni oculari. Narmonov potrebbe aver posto questa domanda in buona fede. Il mio consiglio è quello di rispondergli onestamente.»
Jack si girò verso Goodley, che gli fece un cenno di approvazione.
«Robert, non stiamo trattando con dei civili, ma con dei soldati professionisti, che devono essere dei buoni osservatori. Narmonov ci sta accusando di qualcosa che non abbiamo fatto» lo contraddisse Elliot. «Le truppe sovietiche non iniziano le operazioni di combattimento senza ordini. Quindi sappiamo che la sua accusa è falsa, e se ammettiamo di esserne al corrente sarà come dichiarare apertamente che è valida. Non so a quale gioco stia giocando, chiunque ci sia all’altro capo della linea, ma se diciamo semplicemente che non ne sappiamo niente guadagneremo del tempo.»
«Sono decisamente contrario» disse Jack con tutta la calma possibile.
PRESIDENTE NARMONOV,
COME LEI SA, SONO IMPEGNATO AD AFFRONTARE GLI EVENTI ALL’INTERNO
DEL MIO PAESE. NON HO ANCORA RICEVUTO INFORMAZIONI DA BERLINO. LA RINGRAZIO PER AVERCI INFORMATO. HO APPENA ORDINATO AI MIEI UOMINI DI VERIFICARE.
«Qualche parere?»
«Quel bastardo sta mentendo a viso aperto» disse il ministro della difesa. «Il loro sistema di comunicazione funziona troppo bene perché non ne sappiano nulla.»
«Robert, Robert, perché menti quando io so che stai mentendo…?» disse Narmonov con la testa piegata in basso. Il Presidente sovietico adesso aveva una sua domanda personale. Nel corso degli ultimi due o tre mesi, i suoi contatti con l’America erano diventati leggermente più freddi. Quando chiedeva credito, non veniva ascoltato: gli americani continuavano a lamentarsi riguardo all’accordo sulla riduzione degli armamenti, anche se sapevano qual era il problema e nonostante lui avesse dato la sua parola che avrebbero rispettato gli accordi.
Cosa era cambiato? Perché Fowler non aveva mantenuto le promesse fatte?
Cosa diavolo stava facendo adesso?
«È più di una semplice menzogna» notò il ministro della difesa dopo un attimo.
«Cosa vuole dire?»
«Ha ancora una volta sottolineato la sua concentrazione sul recupero dei corpi a Denver, ma sappiamo che ha dichiarato alle sue forze lo stato di allerta totale.
Perché non ce lo ha detto?»
«Perché ha paura di provocarci…?» chiese Narmonov. Le sue parole suonavano anche a lui piuttosto vane.
«Forse» ammise il ministro della difesa. «Ma non sanno dei risultati che abbiamo ottenuto nel decifrare i loro codici. Forse pensano di potercelo tenere 679
nascosto.»
«No» disse Kuropatkin dal centro di comando. «Devo dissentire. Non avremmo potuto non vedere alcuni segni. Devono sapere che noi siamo a conoscenza di alcuni aspetti del loro stato di allerta.»
«Ma non di tutto.» Il ministro della difesa si girò per guardare Narmonov.
«Dobbiamo affrontare la possibilità che il Presidente americano abbia perso la sua razionalità.»
«La prima volta?» chiese Fowler.
Elizabeth Elliot annuì, era piuttosto pallida adesso. «Non è universalmente noto, Robert, ma è vero. I russi non hanno mai fatto scattare lo stato di allerta per le loro forze missilistiche strategiche. Fino a oggi.»
«Perché adesso?» chiese il Presidente.
«L’unica possibilità è che non ci sia veramente Narmonov all’altro capo.»
«Ma come possiamo esserne sicuri?»
«Non possiamo. Abbiamo solo questo collegamento via computer. Niente voce, niente immagini.»
«Dio mio.»