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Tre scosse

Il timer che si trovava fuori dall’involucro della bomba arrivò a 6,00,00 e allora cominciarono ad accadere alcune cose.

In primo luogo, i condensatori ad alta tensione iniziarono a caricarsi e piccoli elementi pirotecnici, adiacenti ai serbatoi di tritio alle estremità della bomba, si accesero. Questi ultimi azionarono i pistoni, spingendo il tritio dentro sottili tubi metallici. Un tubo portava al primario, l’altro al secondario. Non c’era alcuna fretta e lo scopo era di mescolare le varie quantità di 6litio-deuteruro con gli atomi di tritio, ben predisposti alla fusione. Il tempo trascorso fu di dieci secondi.

Alle 6,00,10, il timer trasmise un secondo segnale.

L’ora zero.

I condensatori scaricarono, mandando un impulso lungo un filo nel circuito separatore. La lunghezza del primo filo era di cinquanta centimetri. Ci volle un nanosecondo e due terzi. L’impulso entrò nel circuito separatore, utilizzando gli interruttori krytron ― ognuno dei quali era un piccolo dispositivo, estremamente rapido, che utilizzava gas di cripton autoionizzato e radioattivo per regolare le sue scariche con precisione notevole. Utilizzando la compressione d’impulsi per accrescere l’amperaggio, il circuito separatore divise l’impulso fra settanta cavi diversi, ognuno dei quali era lungo un metro. Agli impulsi trasmessi occorrevano tre decimi (tre nanosecondi) di una scossa per percorrere quella distanza. I cavi dovevano essere tutti della stessa lunghezza, ovviamente, perché tutti e settanta i blocchi esplosivi dovevano detonare nello stesso momento. Il che era facile da ottenere, grazie ai krytron e al semplice accorgimento di tagliare ogni cavo alla medesima lunghezza.

Gli impulsi raggiunsero i detonatoli simultaneamente. Ogni blocco di esplosivo aveva tre detonatori separati, e nessuno mancò di funzionare. I detonatori erano piccoli filamenti di cavo, piuttosto sottili, in modo che la corrente in arrivo li facesse esplodere. L’impulso fu trasferito nei blocchi esplosivi e il processo fisico di detonazione iniziò 4,4 nanosecondi dopo la trasmissione del segnale da parte del timer. Il risultato non fu un’esplosione, ma un’implosione, dal momento che la forza esplosiva era soprattutto rivolta verso l’interno.

I blocchi ad alto esplosivo erano in realtà dei laminati estremamente sofisticati di due materiali, contenente ognuno polvere di metalli leggeri e pesanti. Lo strato esterno di ogni involucro era un esplosivo relativamente lento con una velocità di detonazione appena superiore ai settemila metri per secondo.

L’onda esplosiva in ognuno di essi si espanse a raggerà dal detonatore, 597

raggiungendo velocemente il bordo del blocco. Dal momento che i blocchi erano detonati dall’esterno verso l’interno, il fronte di scoppio viaggiava verso l’interno attraverso i blocchi. Il confine tra gli esplosivi lenti e veloci conteneva delle bolle ― chiamate vuoti ― che cominciarono a trasformare l’onda d’urto da sferica a planare, o onda piatta, che era rifocalizzata ancora per collimare esattamente con il suo obiettivo metallico, detto “driver”.

Il “driver” in ogni contenitore era un pezzo di tungsteno-renio formato con cura. Questi driver furono colpiti da una forza d’onda che viaggiava a più di novemilaottocento metri al secondo. Dentro il tungsteno-renio c’era uno strato di un centimetro di berillio. Dopo di questo c’era dell’uranio 235 dello spessore di un millimetro, che, sebbene sottile, pesava quasi quanto il berillio molto più spesso. L’intera massa metallica viaggiava in un vuoto e dal momento che l’esplosione era focalizzata in un punto centrale, la velocità effettiva di avvicinamento dei segmenti opposti della bomba era di diciottomilaseicento metri al secondo.

L’obiettivo centrale degli esplosivi e dei proiettili metallici era una massa radioattiva di plutonio 239 del peso di dieci chilogrammi. Aveva la forma di un bicchiere concavo il cui orlo sia stato piegato in fuori e giù verso il basso, creando due pareti parallele di metallo. Solitamente più denso del piombo, il plutonio fu ancor più compresso dalla forza di un milione di atmosfere dell’implosione. Questo doveva verificarsi molto velocemente. La massa di plutonio 239 includeva inoltre una piccola ma importante quantità di plutonio 240, ancor meno stabile e più predisposto alla preaccensione. Le superfici esterne e interne furono sbattute insieme e spinte a loro volta verso il centro geometrico dell’ordigno.

L’atto esterno finale provenne da un dispositivo chiamato “zipper”. Reso operativo dal terzo segnale proveniente dal timer elettrico ancora intatto, lo zipper era un acceleratore di particelle miniaturizzato, un miniciclotrone molto compatto che assomigliava in maniera notevole a un asciugacapelli.

Quest’ultimo sparò gli atomi di deuterio verso un bersaglio di berillio. I neutroni, che viaggiavano al dieci per cento della velocità della luce, furono generati in gran numero e diretti, lungo un tubo metallico, giù nel centro del primario, chiamato il “nocciolo”. I neutroni erano predisposti in modo da arrivare proprio nel momento in cui il plutonio raggiungeva la metà della sua densità massima.

Il plutonio, solitamente un materiale che pesa approssimativamente il doppio di una massa equivalente di piombo, era già dieci volte più denso di questo e stava ancora accelerando internamente. Il bombardamento di neutroni entrò in una massa di plutonio ancora in via di compressione.

La fissione.

L’atomo di plutonio ha un peso atomico di 239, cioè il numero combinato di neutroni e protoni nel nucleo dell’atomo. Ciò che successe, avvenne letteralmente in un milione di posti simultaneamente, ma ogni evento fu 598

precisamente lo stesso. Un neutrone “lento” invasore passò abbastanza vicino a un nucleo di plutonio da essere intrappolato dalla potente forza nucleare che tiene assieme i nuclei atomici. Il neutrone fu trascinato nel centro dell’atomo, trasformando lo stato d’energia del nucleo ospite e portandolo a uno stato precario. Il nucleo atomico precedentemente simmetrico cominciò a roteare convulsamente e fu frammentato dalle fluttuazioni di forza. Nella maggior parte dei casi, un neutrone o protone scomparivano completamente, convertendosi in energia in omaggio alla legge di Einstein E = MC2. L’energia risultante dalla scomparsa delle particelle fu sprigionata sotto forma di radiazioni gamma e X, o di una qualsiasi delle trenta altre possibili alternative di minore importanza.

Infine, il nucleo atomico sprigionò due o tre neutroni aggiuntivi. Questa era la parte importante. Il processo che aveva richiesto solo un neutrone per iniziare ne sprigionava due o tre altri, ognuno dei quali viaggiava a più del dieci per cento della velocità della luce ― trentaduemila chilometri al secondo ― attraverso lo spazio occupato da una massa di plutonio duecento volte la densità dell’acqua.

La maggior parte delle particelle atomiche appena sprigionatesi trovarono bersagli da colpire.

Una reazione a catena significa semplicemente che il processo si alimenta da solo, che l’energia sprigionata è sufficiente a continuare il processo senza alcuna assistenza esterna. La fissione del plutonio procedette in fasi dette “raddoppi”.

L’energia liberata da ogni fase era il doppio di quella della fase precedente e si raddoppiava a ogni fase successiva. Ciò che era cominciato con una quantità minima di energia e con solo una manciata di particelle libere si raddoppiò e raddoppiò ancora e l’intervallo fra le fasi era misurato in frazioni di nanosecondi. La velocità di aumento — cioè l’accelerazione della reazione a catena — è chiamata Alfa ed è la variabile più importante in un processo di fissione. Un Alfa a 1.000 significa che il numero di raddoppi per microsecondo è un numero pari a 21000 ― il numero 2 moltiplicato per se stesso mille volte.

Alla fissione massima — tra 250 e 253 — la bomba genererebbe dieci miliardi di miliardi di watt di potenza, centomila volte la capacità di generare energia elettrica del mondo intero. Fromm aveva predisposto la bomba a fare proprio questo ― e questo era solo il dieci per cento della prevista emissione totale dell’ordigno. Il secondario non aveva ancora subito alcun effetto. Nessuna sua parte era stata ancora toccata dalle forze a pochi centimetri di distanza.

Ma il processo di fissione era a malapena iniziato.

Alcuni raggi gamma, viaggiando alla velocità della luce, erano fuori dell’involucro della bomba mentre il plutonio veniva ancora compresso dagli esplosivi. Anche una reazione nucleare richiede tempo. Altri raggi gamma cominciarono a colpire il secondario. La maggioranza dei gamma passò attraverso una nube di gas che solo pochi microsecondi prima era stata l’insieme dei blocchi a esplosivo chimico, riscaldandola molto al di sopra delle temperature raggiungibili con sostanze chimiche. Formata da atomi molto leggeri come il carbonio e l’ossigeno, questa nube emise una vasta quantità di 599

raggi X “molli” a bassa frequenza. Fino a questo punto l’ordigno funzionava come Fromm e Ghosn avevano previsto.

Il processo di fissione era cominciato da sette nanosecondi ― 0,7 scosse ―

quando qualcosa andò storto.

La radiazione dal plutonio in fase di fissione si sviluppò sul 6litio-deuteruro impregnato di tritio che occupava il centro geometrico del “nocciolo”. La ragione per cui Manfred Fromm aveva lasciato per ultima l’estrazione del tritio era dovuta al basilare spirito conservatore dell’ingegnere. Il tritio è un gas instabile, con un’emivita di 12,3 anni; cioè una quantità di tritio puro, dopo questo tempo, sarà formata per metà da tritio e per metà da 3elio. Il 3elio, chiamato “elio-tré”, è una forma di quell’elemento, secondo per leggerezza, al cui nucleo manca un neutrone extra e che quindi ne ha bisogno. Filtrando il gas attraverso un sottile blocco di palladio, il 3elio avrebbe potuto essere facilmente separato, ma Ghosn non lo sapeva. Di conseguenza, più di un quinto del tritio era formato da materiale sbagliato. Non avrebbe potuto essere peggio.

L’intenso bombardamento dalla reazione fissile adiacente riscaldò intensamente il composto di litio. Questo materiale, normalmente di metà densità del sale, fu compresso a uno stato metallico che superava la densità del nucleo terrestre. Ciò che ebbe inizio fu in realtà una reazione di fusione, sebbene piccola, che sprigionò enormi quantità di nuovi neutroni e cambiò anche molti degli atomi di litio in altro tritio, che si scisse ― “fuse” ― per l’intensa pressione, generando così altri neutroni. Gli ulteriori neutroni generati dovevano invadere la massa di plutonio, accrescendo l’Alfa e causando almeno il raddoppio della potenza di fissione non accresciuta. Questo era stato il primo metodo per aumentare la potenza degli ordigni nucleari della seconda generazione. Ma la presenza di 3elio avvelenò la reazione, intrappolando quasi un quarto dei neutroni ad alta energia in atomi di elio stabili e inutili.

Per molti altri nanosecondi ciò non fu di grande importanza. Il plutonio stava ancora aumentando la sua velocità di reazione, ancora raddoppiando e aumentando il suo Alfa a una velocità esprimibile solo numericamente.

L’energia stava ora fluendo nel secondario. I filamenti rivestiti di metallo si trasformarono in plasma in un lampo, premendo verso l’interno sul secondario.

L’energia raggiante in quantità introvabili perfino sulla superficie del sole vaporizzò, ma si rifletté anche sulle superfici ellittiche, fornendo ulteriore energia a tutto il secondario, chiamato Holraum, Il plasma dai filamenti distratti si abbatté verso l’interno sul secondo serbatoio di composti di litio. Le alette di uranio 238 denso appena fuori dal nocciolo del secondario diventarono plasma denso, viaggiando attraverso il vuoto, poi colpendo e comprimendo il contenimento tubolare di altro uranio 238 intorno al contenitore centrale, che presentava la maggiore quantità di 6litio-deuteruro/tritio. Le forze erano immense e la struttura veniva bombardata da una pressione superiore a quella contenuta nel nucleo di una stella.

Ma non era abbastanza.

600

La reazione del primario si era già rallentata. Deprivata di neutroni a causa della presenza del veleno 3elio la forza esplosiva della bomba cominciò a frammentare la massa di reazione appena le forze fisiche raggiunsero il loro equilibrio. La reazione a catena raggiunse un momento di stabilità, incapace di sostenere il suo tasso geometrico di crescita; i due ultimi raddoppi della reazione a catena andarono completamente persi e quella che avrebbe dovuto essere una potenza totale del primario di settantamila tonnellate di TNT fu dimezzata, dimezzata ancora, e terminò con una potenza totale di undicimiladuecento tonnellate di alto esplosivo.

Il progetto di Fromm era stato perfetto considerando le circostanze e i materiali a sua disposizione. Sarebbe stato possibile anche ottenere un ordigno equivalente, ma di dimensioni inferiori di un quarto rispetto a quello prodotto, tuttavia le sue specifiche erano più che adeguate. Un massiccio fattore di sicurezza nell’apporto energetico era stato previsto. Anche trenta chilotoni di potenza sarebbero stati sufficienti ad accendere la scintilla della “candela d’iniezione” nel secondario per avviare una massiccia “combustione” da fusione, ma trenta chilotoni non furono raggiunti. La bomba era chiamata in gergo tecnico un “fiasco”. Ma era pur sempre un fiasco equivalente a undicimiladuecento tonnellate di TNT, che poteva essere rappresentato da un cubo di esplosivo lungo ventidue metri, alto ventidue e largo altrettanto, una quantità tale da essere trasportata da quasi quattrocento camion o da una nave di medie dimensioni — ma gli esplosivi convenzionali non avrebbero mai potuto detonare con una tale efficacia mortale. In effetti, un’esplosione convenzionale di quella grandezza è un’impossibilità pratica. Anche così, era pur sempre un fiasco.

Finora, nessun effetto fisico percettibile era trapelato dall’involucro della bomba, né tantomeno dal furgone. La gabbia metallica era ancora quasi intatta, anche se ciò sarebbe cambiato rapidamente. Le radiazioni gamma venivano già liberate, insieme ai raggi X, ma questi erano invisibili. Luce visibile non era ancora emersa dalla nuvola di plasma che, solo tre “scosse” prima, era cinquecento chili di hardware squisitamente progettato… e tuttavia, tutto quello che avrebbe dovuto avvenire era già accaduto. Restava solo la distribuzione dell’energia già sprigionata da quelle leggi naturali che nulla sanno degli scopi dei loro manipolatori.