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Stagnai

«E io rilancio di dieci centesimi» Ryan disse dopo aver pescato la sua carta.

«Sta bluffando» ribatté Chavez sorseggiando la sua birra.

«Io non bluffo mai» replicò Ryan.

«Vado.» Clark lanciò le sue carte sul tavolo.

«Dicono tutti così» osservò il sergente dell’Aeronautica. «Vedo i suoi dieci e rilancio di venticinque.»

«Vedo» disse Chavez.

«Tris di fanti.»

«Batte il mio tris di otto» borbottò il sergente.

«Ma non è una scala, dottore.» Ding finì la sua birra. «Ehi, questo mi fa andare in testa di cinque dollari.»

«Mai contare le vincite al tavolo, ragazzo» Clark lo ammonì sobriamente.

«Non mi è mai piaciuta quella canzone.» Chavez fece un gran sorriso. «Ma mi piace questo gioco.»

«Pensavo che i soldati fossero dei giocatori tremendi» il sergente dell’Aeronautica osservò acidamente. Era sotto di tre dollari, ed era un vero giocatore di poker. Si era esercitato abbastanza con i politici tutte le volte che prendevano un volo lungo e avevano bisogno di uno che sapesse dare di mazzo.

«Una delle prime cose che t’insegnano alla CIA è come segnare le carte»

annunciò Clark riempiendo un altro giro di bicchieri.

«Lo sapevo che dovevo fare il corso alla Fattoria» disse Ryan. Era ancora alla pari, ma tutte le volte che aveva una buona mano, Chavez ne aveva una migliore. «La prossima volta ti farò giocare con mia moglie.»

«Forte?» domandò Chavez.

«È un chirurgo. Se la cava così bene che potrebbe battere un professionista.

Gioca a carte come fosse una specie di esercizio di abilità» spiegò Ryan con un sorriso. «Non la lascio mai di mazzo.»

«La signora Ryan non farebbe mai una cosa del genere» disse Clark sedendosi di nuovo.

«È il tuo turno di mazzo» gli disse Ding.

Clark iniziò a mischiare, altra cosa che faceva piuttosto bene. «Dunque, che ne pensa, dottore?»

«Gerusalemme? Meglio di quanto sperassi. E tu?» «L’ultima volta che sono stato qui ― ‘84, credo ― si potevano annusare… i problemi, voglio dire. Non erano in vista, veramente, ma ragazzi, erano là. Potevi sentire la gente che ti 247

guardava. Ora? Sicuramente si è calmato qualcosa. Che ne dite di un giro a

“teresina”?» chiese Clark.

«La scelta a chi è di mazzo» acconsentì il sergente. Clark servì le carte al buio, poi la prima tornata di carte ai giocatori. «Un nove di picche all’Aeronautica. Un cinque di quadri al nostro amico latino. Una donna di fiori per il dottore, e chi è di mazzo si becca… che ne dite? Si becca un bell’asso. E

l’asso punta un quarto di dollaro.»

«Be’, John?» chiese Ryan dopo il primo giro di puntate. «Lei di certo da molta importanza ai miei poteri di osservazione, Jack. Lo sapremo di sicuro fra un paio di mesi, ma direi che la situazione sembra buona.» Diede ancora quattro carte. «Possibilità di un “colore” per l’Aeronautica. A lei puntare, signore.»

«Un altro quarto di dollaro.» Il sergente dell’Aeronautica si sentiva fortunato.

«Quelli della Sicurezza israeliana si sono ammorbiditi un po’, oltretutto.»

«In che senso?»

«Dottor Ryan, gli israeliani ne sanno veramente molto di sicurezza. Ogni volta che voliamo qui, loro tirano su una parete attorno a tutto, ha presente?

Stavolta la parete non era poi così alta. Ho parlato con un paio di loro, e dicono di essere più rilassati ― non ufficialmente, ma sul piano personale; ha presente?

Una volta parlavano a malapena. Mi è sembrata una gran differenza ― per quanto mi riguarda, almeno.»

Ryan sorrise mentre decideva di ritirarsi. Il suo otto, la sua donna e la sua coppia non lo avrebbero portato da nessuna parte. Non c’era scampo. Si ottenevano sempre dati migliori dai sergenti che dai generali.

«Quello che abbiamo qui» disse Ghosn, sfogliando il suo libro fino a trovare la pagina giusta, «è essenzialmente una copia israeliana della bomba a fissione americana Mark-12. È un modello a fissione spinta.»

«Che significa?» chiese Qati.

«Significa che il tritio è spruzzato nel nucleo centrale appena inizia il lancio.

Questo genera più neutroni e incrementa di molto l’efficacia della reazione.

Come risultato, c’è bisogno soltanto di una piccola quantità di materiale fissile…»

«Ma?» Qati aveva sentito giungere il “ma”.

Ghosn si appoggiò indietro e scrutò il cuore del meccanismo. «Ma il meccanismo per inserire il materiale da spingere è andato distrutto nell’impatto.

Gli interruttori di kryton per gli esplosivi convenzionali non sono più affidabili e vanno rimpiazzati. Abbiamo abbastanza blocchi di esplosivo intatti da determinare la loro giusta configurazione, ma costruirne di nuovi sarebbe molto difficile. Sfortunatamente, non posso semplicemente fidarmi di ricostruire l’arma dalla fine all’inizio. Per prima cosa devo duplicare teoricamente il progetto originario, poi determinare ciò che può e non può fare, e infine reinventare i processi di fabbricazione. Hai una qualche idea di quale fosse il 248

costo originario di quell’arma?»

«No» ammise Qati, sicuro di essere in procinto di conoscerlo.

«Più di quanto costò far scendere l’uomo sulla luna. Le più brillanti menti scientifiche della storia hanno preso parte al progetto: Einstein, Fermi, Bohr, Oppenheimer, Teller, Alvarez, von Neurnann, Lawrence ― e centinaia d’altri! I giganti della fisica di questo secolo. Giganti.»

«Mi stai dicendo che non lo puoi fare?»

Ghosn sorrise. «No, comandante, ti sto dicendo che posso. Ciò che la prima volta è il lavoro di un genio, diventa subito il lavoro di uno stagnaio. Richiese genio la prima volta proprio perché era la prima volta, e anche perché la tecnologia era così primitiva. Tutti i calcoli andavano prima di tutto fatti a mano, su grandi calcolatori meccanici. Tutto il lavoro richiesto dalla prima bomba a idrogeno fu svolto sul primo primitivo computer ― credo si chiamasse Eniac. Ma oggi?» Ghosn scoppiò a ridere. Era veramente assurdo. «Un gioco elettronico ha molto più potere cibernetico di quanto non avesse l’Eniac. Posso fare i calcoli su un personal computer e in pochi secondi duplicare ciò che Einstein impiegò dei mesi per fare. Ma la cosa più importante è che loro non sapevano veramente se sarebbe stato possibile. Lo è, e io lo so! Inoltre loro presero nota di tutto quello che stavano facendo. Alla fine, io posseggo una traccia, e sebbene non possa progettarlo interamente partendo dalla fine, come ho detto, posso usare questa traccia come modello teorico. Sai, in due o tre anni potrei farcela da solo.»

«Pensi che abbiamo a disposizione due o tre anni?»

Ghosn scosse il capo. Aveva già riferito ciò che aveva visto a Gerusalemme.

«No, comandante. No di sicuro.»

Qati spiegò quali erano stati gli ordini comunicati al loro amico tedesco.

«Bene. E ora dove siamo diretti?»

Berlino era di nuovo la capitale della Germania. Ciò aveva fatto parte dei piani di Bock, naturalmente, ma non in questo tipo di Germania. Era partito con un volo dall’Italia ― attraverso la Grecia e, prima ancora, la Siria ― e passato il controllo dei passaporti con poco più di un cenno. In seguito aveva semplicemente noleggiato un’automobile, e aveva lasciato Berlino dirigendosi a nord sull’autostrada E-74, verso Griefswald.

Günther aveva noleggiato una Mercedes Benz. Razionalizzò la sua scelta ripetendosi che il suo aspetto doveva essere quello di un uomo d’affari, e poi non aveva scelto la più grande a disposizione. C’erano momenti in cui pensava che avrebbe potuto anche noleggiare una bicicletta. Quella strada era stata dimenticata dal governo della RDT, e ora che al suo posto c’era la Repubblica Federale, l’autostrada era poco più che una corsia in riparazione.

Bock imboccò l’uscita appena al di fuori di Griefswald, guidando verso est attraverso la città di Kemnitz. I tentativi di riparazione stradale non avevano 249

ancora toccato le strade secondarie. Dopo essere finito in almeno una dozzina di buche, Günther dovette accostare per consultare la sua mappa. Procedette per tre chilometri, poi prese una serie di svolte, finendo in quello che una volta era stato un ricco quartiere di professionisti. Nel vialetto d’accesso della casa che aveva adocchiato c’era una Trabant. L’erba era ancora ben tagliata, naturalmente, e la casa era sistemata alla perfezione, fino alle ordinate tende alle finestre ― era in Germania, dopo tutto ― ma c’era un’atmosfera di abbandono e depressione evidente non tanto alla vista quanto a livello di sensazioni. Bock parcheggiò la sua auto un isolato più in là e tornò alla casa seguendo un percorso meno diretto.

«Sono qui per vedere Herr Doktor Fromm» disse alla donna, probabilmente Frau Fromm, che aprì la porta.

«Chi devo annunciare?» lei chiese formalmente. Era sui quarantacinque anni, la pelle tirata sulle guance severe; troppe linee si irradiavano dagli annoiati occhi azzurri e dalle labbra sottili e incolori. Esaminò l’uomo che le si parava davanti con interesse, e forse con un poco di speranza. Sebbene Bock non avesse idea del perché, approfittò dell’occasione.

«Un vecchio amico» Bock sorrise per dare più forza all’immagine. «Potrei fargli una sorpresa?»

La donna tentennò per un istante, poi la sua espressione mutò e le buone maniere presero il sopravvento. «Prego, si accomodi.» Bock attese nel salotto, e realizzò che la sua impressione era stata giusta ― ma il perché lo colpì duramente. L’interno della casa gli ricordava il suo appartamento di Berlino. Gli stessi mobili su misura, che un tempo sembravano così speciali in contrasto con ciò che era a disposizione degli ordinari cittadini della Repubblica Democratica Tedesca, non lo impressionavano più come una volta. Forse deriverà dal fatto che ho guidato una Mercedes venendo qui, Rock si disse mentre udiva dei passi avvicinarsi. Ma no Era la polvere. Frau Fromm non puliva la casa nel modo in cui una brava Hausfrau tedesca avrebbe fatto. Un segno sicuro che qualcosa non andava nel verso giusto.

«Sì?» chiese il dottor Manfred Fromm, prima che i suoi occhi si spalancassero per averlo riconosciuto in ritardo. «Ah, che bello vederti!»

«Mi chiedevo se ti saresti ricordato del tuo vecchio amico Hans» disse Bock con un risolino, porgendogli la mano. «Tanto tempo, Manfred.»

«Tantissimo tempo, certo, Junge! Vieni nel mio studio.» I due uomini si allontanarono sodo lo sguardo inquisitore di Frau Fromm. Il dottor Fromm richiuse la porta dietro di sé prima di parlare.

«Mi spiace per tua moglie. Quello che è successo è indicibile.»

«Appartiene al passato. Come stai?»

«Non hai sentito? I Verdi ci hanno attaccato. Stiamo per chiudere.»

Il dottor Manfred Fromm era, sulla carta, il vicedirettore della centrale nucleare Lubmin/Nord. La centrale era stata costruita vent’anni prima seguendo 250

il progetto della WER modello 230 sovietica, che, primitiva com’era, aveva avuto bisogno dell’intervento di un team di esperti tedeschi per adeguarla alla situazione. Come tutti i progetti sovietici di quel periodo, il reattore era un produttore di plutonio, il quale, come era stato provato dalla tragedia di Chernobyl, non era né terribilmente efficiente né particolarmente sicuro, ma che forniva il beneficio di produrre materiale bellico nucleare, oltre agli 816

megawatt di corrente elettrica forniti dai suoi due reattori.

«I Verdi» ripeté quietamente Bock. «Loro.» Il partito dei Verdi era una naturale conseguenza dello spirito tedesco, che da un lato venerava ogni elemento della natura, mentre dall’altro tentava in tutti i modi di sopprimerlo.

Formato dagli elementi più estremisti ― o più coerenti ― del movimento ambientalista, aveva combattuto contro molti obiettivi, tutti ugualmente fastidiosi per il blocco comunista. Ma mentre non era riuscito a impedire che l’Occidente schierasse le armi nucleari di teatro ― e dopo che il loro dispiegamento aveva portato al trattato INF, che le aveva eliminate da entrambe le parti in causa ― stava ora sollevando la forma più pura di inferno politico in quella che era stata un tempo la Repubblica Democratica Tedesca. L’incubo dell’inquinamento nell’Est era ora l’ossessione dei Verdi, e al primo posto nella loro lista di obiettivi vi era l’industria nucleare, che definivano orribilmente insicura. Bock ricordò a se stesso che i Verdi non erano mai stati sotto un giusto controllo politico. Il partito non sarebbe mai stato una potenza di primo livello nella vita politica tedesca, e ora veniva sfruttato dallo stesso governo cui aveva in precedenza dato fastidio. Mentre un tempo i Verdi alzavano la voce per l’inquinamento della Ruhr e del Reno a causa della Krupp, e gridavano contro lo schieramento delle armi nucleari da parte della NATO, ora stavano partendo in crociata nell’Est con più fervore di quanto Barbarossa ne avesse mai mostrato nei confronti della Terra Santa. Il loro costante criticare il caos regnante nell’Est rappresentava una garanzia contro il ritorno del socialismo in Germania. Era abbastanza per far pensare a entrambi che i Verdi fossero stati un trucco capitalista fin dall’inizio.

Fromm e i Bock si erano incontrati cinque anni prima. La RAF aveva studiato un piano per sabotare un reattore della Germania Occidentale, e voleva assistenza tecnica per portare a termine la missione con successo. Pur non essendo mai stato rivelato all’opinione pubblica, il loro piano fu sventato solo all’ultimo momento. La pubblicità al successo dello spionaggio tedesco avrebbe minacciato l’industria nucleare.

«Meno di un anno fa ci hanno fatto chiudere definitivamente. Vado al lavoro soltanto tre giorni alla settimana, ora. Sono stato rimpiazzato da un “esperto tecnico” occidentale. Lui lascia che lo “consigli”, naturalmente» raccontò Fromm.

«Ci dev’essere di più, Manfred» osservò Bock. Fromm era anche stato l’ingegnere capo del progetto militare più caro a Erich Honnecker. Sebbene fossero alleati nel blocco comunista, i russi e i tedeschi non avrebbero mai 251

potuto essere veri amici. Il cattivo sangue tra le due nazioni risaliva almeno a mille anni addietro, e mentre la Germania aveva almeno tentato di raggiungere il socialismo, i russi avevano completamente fallito. Come risultato, le forze militari della Germania dell’Est non erano mai state nulla in confronto alla più grande forza armata dell’Occidente. Inoltre, i russi avevano sempre temuto i tedeschi, perfino quelli dalla loro parte, prima di acconsentire incomprensibilmente alla riunione del paese. Erich Honnecker aveva deciso che quella sfiducia dovesse avere ramificazioni strategiche, e aveva studiato un piano per conservare parte del plutonio prodotto a Griefswald e altrove.

Manfred Fromm conosceva i segreti di una bomba atomica tanto quanto un russo o un americano, anche se non era mai stato messo nelle condizioni di mettere in atto la sue conoscenze. La riserva di plutonio segretamente accumulata durante dieci anni era stata consegnata ai russi come un gesto finale di fedeltà marxista, per non farla cadere nelle mani del governo della Germania Federale. Quell’ultimo onorevole atto aveva prodotto come risultato una serie di dure recriminazioni ― tanto aspre che, alla fine, un’altra provvista di plutonio non era mai stata consegnata. E tutti i legami che Fromm e i suoi colleghi avevano un tempo avuto con i russi ora non esistevano più.

«Oh, ho un’offerta discreta.» Fromm sollevò dalla sua gremita scrivania una busta di carta color marrone. «Vogliono che vada in Argentina. I miei rivali occidentali sono là da tempo, insieme con molte persone con le quali ho lavorato.»

«Cosa offrono?»

Fromm sbuffò. «Un milione di marchi tedeschi all’anno fino a che il progetto non sarà completato. Nessun problema con le tasse, conto segreto, tutte le normali attrazioni» disse senza particolare emozione. Ed era in effetti una cosa impossibile. Fromm non avrebbe potuto lavorare per i fascisti ― così come non avrebbe potuto respirare acqua. Suo nonno, uno degli spartachisti, era morto in uno dei primi campi di lavoro subito dopo la presa del potere di Hitler. Suo padre aveva fatto parte del movimento clandestino comunista, era stato un agente segreto, era in qualche modo sfuggito alla caccia sistematica della Gestapo e del Sicherheitdienst, ed era stato un onorato membro del partito comunista locale fino al giorno della sua morte. Fromm aveva imparato il marxismo-leninismo mentre ancora iniziava a muovere i primi passi, e l’eliminazione dalla sua professione non lo aveva certo fatto innamorare di un sistema politico che era stato educato a disprezzare. Aveva perso il suo lavoro, non era mai riuscito a soddisfare la sua prima ambizione, e ora veniva trattato come un fattorino d’ufficio da un qualsiasi assistente ingegnere dalle guance rosee giunto da Göttingen. Ancora peggio, sua moglie voleva che lui prendesse quel lavoro in Argentina, e avrebbe reso la sua vita sempre più infernale, finché lui non ci avesse pensato seriamente. Alla fine dovette fare la sua domanda.

«Perché sei qui, Günther? L’intero paese ti sta cercando, e nonostante il tuo buon travestimento, qui sei in pericolo.»

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Bock sorrise con sicurezza. «Non è incredibile quanto possano fare una nuova pettinatura e degli occhiali?»

«Non hai risposto alla mia domanda.»

«Ho amici che hanno bisogno della tua abilità.»

«Che tipo di amici potranno mai essere?» Fromm domandò dubbioso.

«Sono politicamente accettabili sia per me che per te. Non ho dimenticato Petra» replicò Bock.

«Quello sì che era un buon piano, no? Cosa andò storto?»

«Avevamo una spia tra di noi. A causa sua, tre giorni prima del nostro intervento cambiarono i sistemi di sicurezza dell’impianto.»

«Una Verde?»

Günther si concesse un amaro sorriso, Ja, fu presa dai dubbi per le possibili vittime civili e per i danni all’ambiente. Be’, ora fa parte anche lei dell’ambiente.» Petra aveva sparato, ricordò suo marito. Non c’è nulla di peggio che una spia, ed era giusto che Petra la giustiziasse.

«Parte dell’ambiente, dici? Come sei poetico.» Era il primo tentativo da parte di Fromm di fare dello spirito, ed ebbe lo stesso successo che avevano di solito gli altri. Fromm era un uomo singolarmente privo di senso dell’umorismo.

«Non ti posso offrire del denaro. In effetti, non posso dirti altro. Devi decidere sulla base di quello che ho già detto.» Bock non aveva una pistola, ma si era portato dietro un coltello. Si chiese se Fromm avesse idea delle alternative che aveva di fronte. Probabilmente no. Nonostante la sua purezza ideologica, Fromm era un tecnocrate, e di mentalità ristretta.

«Quando partiamo?»

«Sei sorvegliato?»

«No. Sono dovuto andare in Svizzera per l’offerta di lavoro”. Quelle cose non possono essere discusse in questo paese, anche se è unito e felice» spiegò. «Ho organizzato il viaggio da solo. No, non penso di essere sotto sorveglianza.»

«Allora possiamo andarcene subito. Non hai bisogno di fare i bagagli.»

«Cosa dico a mia moglie?» chiese Fromm, subito pensando al perché di quella sua domanda. Non che il suo fosse un matrimonio felice.

«È un tuo problema.»

«Lasciami mettere qualcosa in valigia. È più facile così. Quanto a lungo pensi…»

«Non lo so.»

Ci volle mezz’ora. Fromm disse a sua moglie che sarebbe stato via per qualche giorno per ulteriori accordi di lavoro. Lei gli diede un bacio pieno di speranza. L’Argentina avrebbe potuto essere un bel posto, e ancora meglio era poter vivere bene da qualche parte. Forse questo vecchio amico lo aveva fatto rinsavire. Guidava una Mercedes, dopo tutto. Forse lui sapeva quello che il futuro aveva veramente in serbo.

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Tre ore più tardi, Bock e Fromm si imbarcarono su un volo per Roma. Dopo una sosta di un’ora, la fermata successiva fu in Turchia, e infine Damasco, dove si fermarono in un albergo per un poco di necessario riposo.

Se non altro, Ghosn si disse, Marvin Russell sembrava ancora più formidabile fisicamente di quanto non fosse prima. Il lieve eccesso di peso di un tempo era stato eliminato, e i suoi esercizi ginnici quotidiani con i soldati del movimento avevano aggiunto muscoli ai muscoli che già esistevano, mentre il sole aveva abbronzato la sua pelle al punto che lo si sarebbe potuto quasi scambiare per un arabo. L’unica nota discordante era la sua religione. I suoi compagni raccontavano che egli era un vero e proprio pagano, un miscredente che pregava il sole, addirittura. Ciò innervosiva i musulmani, ma essi stavano lavorando, gentilmente, per mostrargli la vera fede dell’Islam, e si diceva lui ascoltasse con attenzione e rispetto. Fu anche riferito che era un tiratore eccezionale, con qualsiasi arma e a qualsiasi distanza; che era il più micidiale dei combattenti corpo a corpo che avessero mai visto ― aveva quasi menomato un istruttore - e possedeva capacità tattiche che avrebbero impressionato una volpe. L’opinione generale era che lui fosse scaltro, abile, un guerriero nato. A parte le sue eccentricità religiose, gli altri lo apprezzavano e lo ammiravano.

«Marvin, se diventi più duro di così, mi spaventerai!» Ghosn ridacchiò rivolgendosi al suo amico americano.

«Ibrahim, venire qui è stata la miglior cosa che potessi fare. Non sapevo esistesse altra gente che era stata fottuta come lo è stata la mia, amico ― ma voi siete migliori nel rispondere. Voi avete davvero le palle.» Ghosn ammiccò nell’udire quell’affermazione ― veniva da un uomo che aveva spezzato il collo di un poliziotto come fosse un ramoscello. «Voglio davvero aiutarvi, amico, in qualsiasi modo.»

«C’è sempre posto per un vero guerriero.» Se le sue capacità linguistiche fossero migliorate, avrebbe potuto essere un ottimo istruttore, pensò Ghosn.

«Bene, devo andare.»

«Dove?»

«Un posto a est di qui.» Era a nord. «Devo svolgere un lavoro speciale.»

«Quella cosa che abbiamo tirato fuori?» Russell domandò distrattamente. Un po’ troppo distrattamente, pensò Ghosn, ma non era possibile… Una cosa era stare attenti. Un’altra era essere paranoici.

«Qualcos’altro. Mi dispiace, amico mio, ma dobbiamo prendere sul serio le nostre regole di sicurezza.»

Marvin assentì. «Tutto bene, amico. È quello che ha ucciso mio fratello ―

fare casino con la sicurezza. Ci vediamo quando torni.»

Ghosn si diresse alla sua auto e si allontanò dal campo. Prese la strada per Damasco e la percorse per un’ora. Gli stranieri spesso non si rendevano conto di quanto piccolo fosse il Medio Oriente ― la parte più importante, almeno. Il 254

percorso da Gerusalemme a Damasco, per esempio, sarebbe consistito in due ore di auto se le strade fossero state appena decenti, sebbene le due città fossero proverbialmente simbolo di due mondi politici distanti… o fossero state, Ghosn si rammentò. Gli erano giunte voci orrende dalla Siria ultimamente. Perfino quel governo si stava stancando della lotta?

Era facile definirla una cosa impossibile, ma quella parola non aveva più, ormai, il suo significato tradizionale.

A cinque chilometri da Damasco scorse l’altra auto in attesa sul luogo stabilito. La oltrepassò di due chilometri, scrutando per controllare un’eventuale sorveglianza, prima di decidersi a tornare indietro. Un minuto più tardi si accostò all’auto ferma. I due uomini scesero come era stato detto loro di fare, e il loro autista. un membro dell’organizzazione, si allontanò senza dire una parola.

«Buongiorno, Günther.»

«Buongiorno a te, Ibrahim. Ti presento il mio amico, Manfred.» Entrambi gli uomini presero posto sul sedile posteriore della sua auto, e l’ingegnere ripartì subito.

Ghosn osservò il nuovo arrivato nello specchietto retrovisore. Più anziano di Bock, più magro, i suoi occhi erano scavati nel viso. Era vestito poveramente per la situazione, e stava sudando come un maiale. Ibrahim passò dietro una bottiglia d’acqua di plastica. Il nuovo arrivato la ripulì con un fazzoletto prima di accostarvi le labbra. Gli arabi non sono abbastanza puliti per lei? pensò Ghosn, Be’, non era certo un suo problema.

Ci misero due ore per giungere alla loro nuova destinazione. Ghosn prese deliberatamente una strada tortuosa e indiretta, nonostante il sole avrebbe comunque consentito a chiunque di capire in quale direzione stavano andando.

Non sapeva che tipo di addestramento avesse avuto questo Manfred, e mentre si poteva supporre che conoscesse ogni dettaglio, era altresì prudente impiegare ogni stratagemma a disposizione. Quando furono giunti a destinazione, soltanto un soldato addetto alla ricognizione avrebbe potuto rintracciare la strada che avevano preso.

Qati aveva scelto bene. Fino a pochi mesi prima era stato un centro di comando per Hezbollah. Scavato nel fianco di una ripida collina, il tetto di lamiera ondulata era ricoperto di terra e coltivato con le piante locali. Soltanto un uomo esperto, che già conoscesse ciò che stava cercando, sarebbe stato in grado di localizzarlo, e ciò era difficile che accadesse. Hezbollah era particolarmente dotato nell’allontanare gli informatori. Un sentiero di terra battuta portava a una fattoria abbandonata, la cui terra era talmente sfruttata che non avrebbe potuto dare nemmeno oppio né hashish, che erano la maggiore fonte di sostentamento della zona. Nella struttura vi era circa un centinaio di metri quadrati di superficie riparata e cementata, con spazio perfino per parcheggiare qualche veicolo. L’unico elemento negativo era che un posto come quello si sarebbe trasformato in una trappola mortale in caso di terremoto, si disse Ghosn, e ciò non era così raro in quella regione. Fermò l’auto tra due 255

postazioni, fuori dal raggio visivo. Lasciandosi dietro la macchina, la ricoprì con la rete mimetica. Sì. Qati aveva scelto bene.

La cosa più difficile, come sempre, era stata scegliere tra i due aspetti della sicurezza. Da una parte, più gente avesse saputo che stava per succedere qualcosa, più sarebbe stato pericoloso. D’altra parte, alcuni uomini erano assolutamente necessari, se non altro per provvedere a un corpo di guardia. Qati aveva portato lì la gran parte della sua guardia personale, dieci uomini di sicura fedeltà e abilità. Essi conoscevano di vista Ghosn e Bock, e il loro leader venne verso i tre per incontrare Manfred.

«Questo è il nostro nuovo amico» Ghosn disse all’uomo, che osservò in volto il tedesco e poi si allontanò.

« Was gib’t hier? » chiese Fromm in un tedesco carico di tensione.

«Ciò che abbiamo qui» Ghosn rispose in inglese «è molto interessante.»

Manfred imparò la lezione.

« Kommen Sie mit, bitte. » Ghosn li condusse a un muro sul quale si apriva una porta. Di fronte a essa vi era un uomo con un fucile, una soluzione certo più ragionevole di una semplice serratura. L’ingegnere fece un cenno con il capo verso la guardia, che rispose allo stesso modo. Ghosn li condusse all’interno e accese le luci al neon. Nella stanza vi era un grande tavolo di metallo, coperto da un rivestimento impermeabile. Ghosn rimosse il rivestimento senza una parola. Era stanco delle drammatizzazioni, in ogni caso. Era giunto il momento di lavorare sul serio.

« Gott im Himmel

«È la prima volta che la vedo anch’io» ammise Bock. «Allora, è proprio quello che sembra?»

Fromm inforcò un paio di occhiali e si mise a osservare attentamente il meccanismo per più di un minuto, prima di alzare lo sguardo. «Progetto americano, ma costruzione non americana.» Indicò l’oggetto. «Tipo sbagliato di collegamenti. Materiale grezzo, trent’anni ― no, più vecchio come progetto, ma non come produzione. Questi pannelli di circuiti sono… degli anni sessanta, forse dei primi settanta. Sovietica? Dall’arsenale in Azerbaijan, forse?»

Ghosn scosse a malapena il capo.

«Israeliana? Ist das möglich?» La domanda suscitò un cenno di assenso.

«Più che possibile, amico mio. È qui.»

«Bomba di gravità. Iniezione di tritio per una potenza… 50 o 70 chilotoni, direi ― con detonatore radar e a impatto. È stata effettivamente lanciata, ma non è esplosa. Perché?»

«Apparentemente non è mai stata armata. Tutto ciò che siamo riusciti a recuperare è davanti a lei» rispose Ghosn. Manfred l’aveva già colpito.

Fromm fece correre le dita nell’involucro della bomba, cercando di individuare i connettori. «Ha ragione. Interessante.» Ci fu una lunga pausa. «Lei sa che potrebbe probabilmente venire riparata… e perfino…»

256

«Perfino cosa?» domandò Ghosn, pur conoscendo già la risposta.

«Questo congegno può essere convertito in un detonatore.»

«A che scopo?» chiese Bock.

«Per ottenere una bomba all’idrogeno» rispose Ghosn. «Lo sospettavo.»

«Tremendamente pesante, tutt’altra cosa rispetto all’efficienza del design moderno. Come si dice, rozzo ma efficace…» Fromm sollevò lo sguardo.

«Allora, volete il mio aiuto per ripararla?»

«Ci aiuterà?» chiese Ghosn.

«Dieci anni… di più, vent’anni ho studiato e pensato… Come verrà impiegata?»

«Questo la preoccupa?»

«Non verrà usata in Germania?»

«Naturalmente no» rispose Ghosn, quasi irritato dalla domanda. Che problemi aveva l’organizzazione con i tedeschi, dopo tutto?

Tuttavia, questo fece scattare qualcosa nel cervello di Bock. Egli chiuse gli occhi per un istante per registrare nella memoria quel pensiero.

«Sì, vi aiuterò.»

«Sarà pagato bene» gli promise Ghosn, e subito dopo si rese conto di aver commesso un errore. Ma ormai tutto ciò aveva ben poca importanza.

«Non faccio certe cose per denaro. Lei pensa io sia un mercenario?» Fromm chiese indignato.

«Mi scusi. Non intendevo offenderla. Un professionista dotato deve essere ricompensato per il tempo dedicato a un lavoro. Non siamo mendicanti, noi.»

E nemmeno io, Fromm quasi replicò, prima che intervenisse il suo buon senso. Questi non erano gli argentini. Non erano fascisti, non erano capitalisti, ma compagni rivoluzionari che condividevano con loro il fatto di vivere in un brutto momento politico… sebbene fosse altrettanto sicuro che la loro situazione economica fosse alquanto favorevole. I sovietici non avevano mai donato armi agli arabi. Erano state tutte vendute in cambio di denaro, perfino ai tempi di Breznev e di Andropov, e se ciò era andato bene ai russi perfino ai tempi in cui credevano ancora nella verità… allora…

«Mi perdoni. Ho semplicemente ribadito un fatto, e nemmeno io intendevo offenderla. Lo so che non siete dei mendicanti. Siete soldati rivoluzionari, combattenti per la libertà, e sarò onorato di esservi d’aiuto in tutti i modi possibili.» Fromm fece un gesto con la mano. «Potrete pagarmi quanto considererete giusto…» sarebbe stata una cifra consistente, molto più che un semplice milione di marchi! «…ma vi prego di capire che non mi vendo per denaro.»

«È un piacere incontrare un uomo d’onore» disse Ghosn con un’espressione soddisfatta.

Bock pensò che l’avevano messa giù entrambi molto dura, ma mantenne la 257

calma. Immaginava già il modo in cui Fromm sarebbe stato pagato.

«Dunque» disse subito dopo Ghosn. «Da dove iniziamo?»

«Prima pensiamo. Ho bisogno di carta e matita.»

«E chi sarebbe lei?» chiese Ryan.

«Ben Goodley, signore.»

«Boston?» domandò Ryan. L’accento era piuttosto evidente.

«Sì, signore. Della Kennedy School. E, be’, anche della Casa Bianca, ora.»

«Nancy?» Ryan si rivolse alla sua segretaria.

«Il direttore l’ha segnato sulla sua agenda, dottor Ryan.»

«Bene, dottor Goodley» Ryan disse con un sorriso, «entri, la prego.» Clark prese posto dopo aver esaminato il nuovo arrivato.

«Gradisce del caffè?»

«Ha del decaffeinato?» domandò Goodley.

«Se vuole lavorare in questo posto, ragazzo, è meglio che si abitui a quello vero. Prenda una sedia. Sicuro di non volerne?»

«Passo, signore.»

«Okay.» Ryan si versò la sua solita tazza e si sedette dietro la scrivania.

«Dunque, cosa sta facendo in questo palazzo degli enigmi?»

«La versione breve è che sto cercando un lavoro. Ho fatto la mia dissertazione di laurea sulle operazioni di spionaggio, la loro storia e le loro prospettive. Devo vedere alcune cose per finire il mio lavoro alla Kennedy, e poi voglio scoprire se posso occuparmene nella realtà.»

Jack annuì. Suonava abbastanza familiare. «Autorizzazioni?»

«TS, PAS-ASR. Sono nuove. Ne avevo già una del Servizio Segreto, poiché parte del mio lavoro alla Kennedy richiedeva che dessi un’occhiata agli archivi presidenziali, principalmente a Washington ma anche a Boston, dove c’è ancora della roba interessante. Ho anche fatto parte del gruppo che ha lavorato su un sacco di materiale relativo alla crisi cubana.»

«Il dottor Nicholas Bledshoe, il suo lavoro?»

«Esatto.»

«Non credo a tutte le conclusioni di Nick, ma quella fu una gran bella ricerca.» Jack sollevò la sua tazza come per fare un brindisi.

Goodley aveva scritto quasi metà di quella monografia, comprese le conclusioni. «Cosa la lasciava perplesso ― se mi posso permettere?»

«L’azione di Krusciov fu in gran parte irrazionale. Penso ― e la documentazione lo prova ― che la sua decisione di piazzare i missili fu dettata da un impulso più che da un ragionamento.»

«Non sono d’accordo. Il documento faceva notare che la maggior preoccupazione sovietica concerneva i nostri missili in Europa, specialmente quelli in Turchia. Sembra logico concludere che fu tutto uno stratagemma per 258

raggiungere una situazione di stabilità riguardo alle forze schierate.»

«Il vostro documento tralasciava alcune cose» disse Jack.

«Per esempio?» domandò Goodley, nascondendo la sua irritazione.

«Per esempio le informazioni che stavamo ricevendo da Penkovskiy e da altri.

Quei documenti sono ancora riservati, e lo rimarranno per altri vent’anni.»

«Non sono tanti?»

«Lo sono di sicuro» convenne Ryan. «Ma c’è una ragione. Qualcuna di quelle informazioni è ancora… be’, non esattamente attuale, ma rivelerebbe qualche trucco che non vogliamo sia rivelato.»

«Non le sembra un po’ esagerato?» chiese Goodley, nel modo più disinteressato che gli fu possibile.

«Diciamo che a quei tempi avevamo l’agente BANANA che si occupava delle operazioni. Okay, ora è morto ― morto di vecchiaia, diciamo ― ma forse l’agente PERA fu reclutato da lui, e sta ancora lavorando. Se i sovietici scoprono chi era BANANA, questo potrebbe fornire loro degli indizi. E deve anche pensare a certi metodi di trasferimento dei messaggi. La gente gioca a baseball da almeno centocinquant’anni, ma una palla rallentata è sempre una palla rallentata.

La pensavo come lei, un tempo, Ben. Imparerà che molte delle cose che vengono fatte qui vengono fatte per una ragione.»

Catturato dal sistema, pensò Goodley.

«A proposito, avrà notato che gli ultimi nastri di Krusciov hanno provato abbastanza precisamente che Nick Bledshoe si sbagliava su alcuni punti… e un’altra cosa.»

«Sì?»

«Poniamo che John Kennedy avesse ricevuto informazioni pesanti nel 1961, ottimo materiale sul fatto che Krusciov volesse cambiare il sistema. Nel 1958

aveva effettivamente sventrato l’Armata rossa, e stava cercando di riformare il partito. Poniamo che Kennedy avesse buon materiale su questa storia, e che un uccellino gli abbia detto che se avesse allentato la guardia di poco sui russi, avremmo potuto avere un avvicinamento negli anni sessanta. Glasnost, diciamo, trent’anni prima. Poniamo che tutto ciò sia accaduto, e che il Presidente se lo sia lasciato sfuggire, che abbia deciso per ragioni politiche che sarebbe stato svantaggioso concedere un po’ di corda a Nikita… Questo significherebbe che gli anni sessanta sono stati tutti un grossolano errore. Vietnam, il resto, tutto un gigantesco casino.»

«Non ci credo. Ho passato in rassegna gli archivi. Non è coerente con tutto ciò che sappiamo.»

«Coerenza in un politico?» lo interruppe Ryan. «Ecco un concetto rivoluzionario.»

«Se sta dicendo che veramente successe…»

«Era del tutto ipotetico» disse Jack sollevando un sopracciglio. Diavolo, pensò, le informazioni erano là fuori, a disposizione di chiunque le volesse 259

mettere insieme. Il fatto che ciò non fosse mai stato fatto era proprio un’altra manifestazione di un problema più grande e più preoccupante. Ma la parte che lo preoccupava di più era proprio in quell’edificio. Avrebbe lasciato la storia agli storici… finché, un giorno, non avesse deciso di riunirsi alla loro categoria. E

quando succederà, Jack?

«Nessuno ci crederebbe.»

«Molta gente crede anche che Lyndon Johnson abbia perso le primarie del New Hampshire a causa dell’offensiva del Tet, se è per questo. Benvenuto nel mondo dello spionaggio, dottor Goodley. Sa qual è il difficile quando si cerca di riconoscere la verità?» chiese Jack.

«Sarebbe?»

«Sapere che qualcosa l’ha appena punta sul culo. Non è così facile come può sembrare.»

«E la rottura del Patto di Varsavia?»

«Appunto» convenì Ryan. «Avevamo tutti i generi di indicatori, e non ce ne siamo accorti. Be’, non è poi così vero. Molti dei giovani del DI, direttorato delle informazioni» Jack precisò senza motivo, gesto che colpì Goodley per il suo paternalismo «si agitavano, ma i capisezione li fecero stare zitti.»

«E lei, signore?»

«Se il direttore è favorevole, possiamo farle vedere qualcosa. Una grossa parte, in effetti. La maggioranza dei nostri agenti e degli ufficiali sul campo sono stati ingannati. Tutti avremmo potuto fare meglio, e questo vale per me come per chiunque altro. E se io ho una debolezza, è che ho una visione troppo tattica.»

«Alberi invece che foreste?»

«Sì» ammise Ryan. «È la grande trappola qui, ma sapere che esiste non aiuta granché.»

«Suppongo che sia questa la ragione per cui mi hanno mandato qui» osservò Goodley.

Jack sorrise. «Diavolo, non è molto diverso da come ho iniziato io. Benvenuto a bordo. Da dove vuole iniziare, dottor Goodley?»

Ben aveva già una sua idea, naturalmente. Se Ryan non se ne accorgeva, questo non era un suo problema.

«Dunque, dove vi procurate i computer?» chiese Bock. Fromm era concentrato sui suoi fogli.

«Israele per iniziare, forse Giordania o Turchia» replicò Ghosn.

«Sarà piuttosto costoso» avvertì Fromm.

«Ho già controllato i macchinali computerizzati. Sì, sono effettivamente cari.» Ma non così cari. Ghosn pensò che lui possedeva l’accesso ai loro conti in moneta forte, conti tali che avrebbero fatto trasalire quell’infedele. «Vedremo 260

cosa il tuo amico ci chiederà. Qualsiasi cosa sarà, noi la prenderemo.»