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Labirinti

La lettera da Georgetown arrivò nell’ufficio di Roma pochi minuti dopo la trasmissione e, come in tutte le burocrazie, il funzionario notturno (quello che i servizi segreti chiamano “ufficiale di guardia”) la depositò sulla scrivania giusta, 31

per poi tornare ai suoi studi per l’esame sui discorsi metafisici dell’Aquinate. La mattina seguente, il giovane prete gesuita Hermann Schörner, segretario privato del padre superiore della Compagnia di Gesù Francisco Alcalde, arrivò alle sette e cominciò a smistare la corrispondenza. Il fax dall’America era il terzo della pila e quando lo ebbe fra le mani il giovane prete si fermò un attimo: i messaggi cifrati facevano parte del suo lavoro, ma non erano poi tanto comuni, e il codice che si trovava all’inizio della comunicazione indicava la provenienza e la priorità della stessa. Padre Schörner smistò rapidamente il resto della posta e si mise immediatamente al lavoro.

Il procedimento era esattamente inverso a quello seguito da padre Riley, se si esclude il fatto che padre Schörner era un eccellente dattilografo. Per mezzo di uno scanner ottico introdusse il testo nel suo personal computer e caricò il programma di decodifica. Il fax non era molto chiaro e causò qualche problema di lettura, che però fu facilmente risolto, e poco dopo dalla stampante uscì una chiara copia della lettera, naturalmente in greco attico. Il tutto fu portato a termine in soli venti minuti, a differenza delle tre ore eli lavoro che erano state necessarie a padre Riley. Il giovane prete preparò il caffè del mattino per il suo superiore e per sé, e lesse la lettera bevendo la seconda tazza della giornata.

Straordinario, pensò Schörner.

Il reverendo Francisco Alcalde era un uomo anziano, ma incredibilmente forte. Aveva sessantasei anni, ma giocava ancora discretamente a tennis e si diceva che andasse a sciare con il Santo Padre. Alto un metro e novanta, magro, con folti capelli grigi tagliati a spazzola e profondi occhi da gufo, Alcalde era uomo di grandi capacità intellettuali. Parlava undici lingue, se non fosse stato un prete sarebbe diventato il maggiore storico medievale europeo. Ma era prima di tutto un prete, i cui doveri amministrativi si scontravano con il desiderio di insegnare e di svolgere il suo ministero pastorale. Fra pochi anni avrebbe lasciato il suo incarico di padre superiore del principale e più ampio ordine del cattolicesimo e sarebbe tornato a insegnare all’università, alla guida di giovani menti, e a celebrare la messa in una piccola parrocchia dove si sarebbe potuto occupare delle normali necessità umane. Pensava che questa sarebbe stata l’ultima benedizione della sua vita. Non era un uomo perfetto: spesso lottava con l’orgoglio che si accompagnava al suo intelletto e cercava, non sempre con successo, di coltivare l’umiltà che la sua vocazione richiedeva. Be; pensò, la perfezione è una meta irraggiungibile, e sorrise per l’ironia dell’affermazione.

« Guten Morgen, Hermann!» disse, infilandosi attraverso la porta.

« Buenos dias» rispose il prete tedesco, per poi passare al greco. Questa mattina c’è qualcosa d’interessante.» Nel ricevere questo messaggio Alcalde alzò le sopracciglia cespugliose e indicò con la testa l’ufficio interno. Schörner lo seguì con il caffè.

«Il campo da tennis è prenotato per le quattro» disse Schörner mentre versava il caffè.

«E così mi umilierai di nuovo?» A volte scherzavano sul fatto che Schörner 32

potesse diventare un professionista e devolvere le sue vincite alla Compagnia, dato che i suoi membri avevano fatto il voto di povertà. «Allora, qual è il messaggio?»

«Viene da padre Timothy Riley di Washington.» E glielo passò. Alcalde si mise gli occhiali, lesse lentamente senza toccare il caffè e, dopo aver concluso la prima lettura, lo rilesse ancora una volta. Era uno studioso e perciò non parlava mai senza aver riflettuto prima.

«Interessante. Ho già sentito parlare di questo Ryan… non è nel servizio segreto?»

«È il vicedirettore della CIA. Lo abbiamo educato noi al Boston College e a Georgetown. È essenzialmente un burocrate, ma è stato coinvolto in varie

“operazioni sul campo” e, anche se non conosciamo tutti i particolari, sembra che si sia comportato bene. Abbiamo un piccolo dossier su di lui e padre Riley parla molto bene del dottor Ryan.»

«Ho notato.» Alcalde rifletté per un attimo. Lui e Riley erano amici da trent’anni. «Padre Riley pensa che la sua proposta possa essere seria. E tu, Hermann?»

«Potenzialmente è un dono di Dio.» Il commento era stato fatto senza ironia.

«Sicuramente, ma è un dono di cui ci dobbiamo occupare subito. E cosa mi dici del Presidente americano?»

«Credo che non sia stato ancora informato, ma che presto lo sarà. Vuole sapere cosa penso di lui come persona?» Schörner si strinse nelle spalle.

«Potrebbe essere un uomo migliore.»

«E chi non potrebbe?» disse Alcalde fissando il muro.

«Sì, padre.»

«Quali sono i miei impegni di oggi?» Schörner diede un’occhiata all’agenda.

«Dunque… chiama il cardinale D’Antonio e digli che ho una cosa importante da comunicargli. Sistema gli appuntamenti come meglio puoi: la questione richiede un’attenzione immediata. Chiama Timothy, ringrazialo per il messaggio e digli che ci sto lavorando.»

Ryan si svegliò riluttante alle cinque e trenta, quando il sole era già un disco arancione che illuminava gli alberi da dietro, a venti chilometri sulla costa orientale del Maryland. Il suo primo pensiero fu quello di aprire gli scuri. Cathy non doveva andare alla Hopkins oggi, e cercò di ricordare per quale ragione, mentre si avviava verso il bagno. Poi prese due aspirine extraforti. Aveva bevuto troppo la sera precedente ed era la terza sera di seguito. Ma non c’erano alternative, dato che gli diventava sempre più difficile prendere sonno, anche se le ore di lavoro erano sempre più lunghe e faticose.

«Merda!» disse lanciando un’occhiata alla sua immagine riflessa nello specchio. Aveva un aspetto orribile. Camminò lentamente verso la cucina per andare a fare il caffè, dopo il caffè tutto aveva un aspetto migliore. Quando vide 33

le bottiglie di vino ancora sulla mensola, il suo stomaco si contrasse. Una bottiglia e mezza, ricordò a se stesso, e non due. Non aveva bevuto due bottiglie intere, perché una era già iniziata. Non era andata poi così male. Accese l’interruttore della macchina del caffè, si diresse verso il garage e salì sulla sua station wagon per andare a prendere il giornale al cancello. Non molto tempo fa ci sarebbe andato a piedi ma adesso, porcaccia miseria, disse a se stesso, non era vestito. Ecco perché. La radio della macchina era sintonizzata su una stazione che trasmetteva solo notizie, e così ebbe il primo contatto con quello che stava succedendo nel mondo. I risultati sportivi. Gli Orioles avevano perso ancora. Cazzo, dopo l’incontro locale che il piccolo Jack si era perso, lui gli aveva promesso di portarlo alla partita. E quando pensi di farlo, l’anno prossimo?

La stagione era appena cominciata e la scuola non era ancora finita. L’avrebbe portato sicuramente. Ryan lanciò il Post sul sedile della macchina e tornò a casa. Il caffè era pronto e Ryan se ne versò una tazza, mentre decideva di non fare colazione. Non era la prima volta e non era un bene. Il suo stomaco era già abbastanza mal ridotto e le tazze di caffè non lo avrebbero certo aiutato. Ma concentrò la sua mente su quel che stava leggendo per non pensarci.

Spesso non ci si rende conto di quanto la CIA dipenda dai mass media per le sue informazioni, parte delle quali è essenziale. Fondamentalmente entrambi lavorano nello stesso campo, però i giornalisti non devono pagare per ottenere le informazioni. Le loro fonti confidenziali si decidono a vuotare il sacco per rimorsi di coscienza o per rabbia, e sono le fonti d’informazione migliori: qualsiasi agente dei servizi segreti può testimoniare che non c’è nulla di meglio di un sano principio o della rabbia per far vuotare il sacco. E infine, anche se i mass media sono pieni di fannulloni, c’è anche una serie di persone intelligenti, attirate dai quattrini che girano nel mondo dell’informazione. Ryan aveva imparato quali firme si dovevano leggere attentamente, e annotava anche le date. Come vicedirettore della CIA, sapeva quali erano i capi di dipartimento più forti e il Post gli forniva informazioni migliori di quelle del suo ufficio in Germania, per esempio. Il Medio Oriente era ancora tranquillo. La questione irachena si stava finalmente risolvendo. Sembrava che il nuova assetto stesse prendendo una forma definitiva. Se solo si potesse fare qualcosa per Israele…

Sarebbe bello riuscire a sistemare definitivamente quella regione. Ryan lo credeva possibile. Il confronto Est-Ovest, nato prima di lui, faceva già parte del passato. Ryan riuscì a versarsi un’altra tazza di caffè senza guardare, nonostante i postumi della sbornia. E tutto era accaduto nel giro di pochi anni ― meno del periodo che aveva passato nell’Agenzia. Chi l’avrebbe mai detto?

Era talmente incredibile che Ryan pensò che per varie generazioni si sarebbe continuato a scriverne. La settimana seguente sarebbe venuto a Langley un rappresentante del KGB per una consultazione riguardo a un’indagine parlamentare. Questa visita era stata organizzata nella massima segretezza e Ryan era contrario all’idea di lasciarlo entrare, perché c’erano dei russi che 34

lavoravano ancora per l’Agenzia, e sarebbero rimasti sconvolti sapendo che la CIA e il KGB avevano dei contatti ufficiali. La stessa cosa vale probabilmente anche per gli americani alle dipendenze del KGB, pensò Ryan. Doveva venire un vecchio “amico”, Sergej Golovko. Il fatto è che sui giornali del mattino non compaiono mai i risultati della partita della notte precedente, sbuffò Ryan mentre dava un’occhiata alla pagina successiva.

La seconda volta che andò in bagno, Jack aveva un aspetto più umano: era sveglio, anche se il suo stomaco era sempre meno “felice”. Due compresse contro il mal di stomaco avrebbero miglio rato la situazione, e al lavoro ne avrebbe prese altre due. Alle 6,15 si era già lavato, fatto la barba e vestito. Baciò la moglie ancora addormentata ― che rispose con un vago hmmm ― e aprì la porta proprio nel momento in cui l’auto si fermava sulla strada. Ryan era leggermente seccato dal fatto che il suo autista si dovesse svegliare anche prima di lui per poter arrivare lì in orario, ma lo preoccupava un po’ più sapere chi era veramente quell’uomo.

«‘Giorno, dottore» disse John Clark con un arcigno sorriso.

Ryan si sedette sul sedile anteriore. C’era più posto per le gambe, Ie poi pensava di offenderlo sedendosi dietro. «ciao, John» rispose Jack. Ci sei andato pesante di nuovo ieri sera, eh dottore? pensò Clark. Maledetto pazzo, una persona tanto intelligente come te può essere così stupida? Non fai nemmeno jogging, vero? pensò notando quanto era stretta la cintura del vicedirettore della CIA. Doveva decidersi a imparare che le notti in bianco e gli alcolici erano solo per gli stupidi. John Clark lo aveva imparato ancora prima di raggiungere l’età di Ryan. Da allora era diventato una specie di immagine della virtù ed era convinto che questo gli avesse salvato la vita almeno una volta. «Serata tranquilla» disse poi Clark guardando la strada.

«Bene.» Ryan prese la cassetta dei documenti e digitò il suo codice. Aspettò che la luce diventasse verde per poi aprirla. Clark aveva ragione: non c’era molto da vedere. Prima di arrivare a metà percorso, aveva già letto tutto e preso degli appunti.

«Va a visitare Carol e i ragazzi questa sera?» chiese Clark mentre percorrevano la Maryland Route 3.

«Sì, è questa sera, vero?»

«Sì.»

Era una cosa che faceva una volta alla settimana. Carol Zimmer era la vedova laotiana del sergente dell’Aeronautica Buck Zimmer. Dopo la morte di Buck, Ryan aveva promesso di occuparsi della famiglia. Erano pochi a saperlo ― e ancora meno erano quelli che erano a conoscenza della missione in cui Buck era morto ― ma dava a Ryan un senso di soddisfazione. Carol adesso possedeva un supermercato fra Washington e Annapolis, che dava alla famiglia un reddito fisso e sicuro, considerata anche la pensione del marito. A questo si doveva aggiungere il fondo fiduciario che Ryan aveva sottoscritto per garantire agli otto 35

figli un’istruzione universitaria (adesso toccava al figlio maggiore). Il percorso era ancora lungo visto che il più piccolo era ancora in fasce.

«Quei punk sono tornati?» chiese Jack.

Clark si girò e sorrise. Per diversi mesi alcuni teppisti avevano preso a gironzolare intorno al supermercato. Non volevano che una donna laotiana e i suoi figli sangue misto fossero i padroni di un’attività in un’area semirurale. Alla fine Carol lo aveva detto a Clark. John li aveva avvertiti una prima volta, ma loro erano stati tanto stupidi da non dargli importanza. Forse avevano pensato che fosse un ex agente di polizia da non prendere troppo sul serio. Così John e un suo amico spagnolo avevano deciso di fare le cose per bene e, dopo aver mandato il capo della banda in ospedale, i punk non erano più tornati. I poliziotti della zona erano stati molto comprensivi e gli affari erano immediatamente aumentati del venti per cento. Chissà se quei ragazzi hanno mai scoperto cosa c’era sotto? Si chiese Clark con un sorriso malinconico.

Forse adesso sono diventati onesti…

«Come stanno i tuoi figli?»

«Be’, è un po’ difficile abituarsi all’idea che uno di loro sia già al college, dottore. È difficile anche per Sandy e… dottore?»

«Sì, John?»

«Mi scusi se glielo dico, ma mi sembra un po’ a terra. Ha bisogno di rilassarsi.»

«È quello che dice anche Cathy.» Jack fu sfiorato dall’idea di dire a Clark di pensare agli affari suoi, ma non si possono dire cose del genere a un uomo come Clark, che era un amico e per di più aveva ragione.

«I dottori hanno quasi sempre ragione» John precisò.

«Lo so. Sono un po’… un po’ sotto pressione in ufficio, stanno succedendo delle cose e…»

«L’esercizio fisico fa molto meglio dell’alcol. Lei è una persona intelligente e deve comportarsi come tale. Fine della predica.»

Clark si strinse nelle spalle e rivolse nuovamente l’attenzione al traffico della mattina.

«Sai, John, se tu avessi scelto di diventare dottore saresti stato molto capace»

rispose Jack ridendo fra sé.

«Com’è possibile?»

«Con un fare da “infermiere” come il tuo, la gente avrebbe avuto paura di non fare quello che ordinavi.»

«Sono l’uomo più tranquillo che abbia mai conosciuto» protestò Clark.

«È vero, nessuno ha mai vissuto tanto da vederti uscire dai gangheri. Sono già morti quando ti sei appena alterato.»

E questa era la ragione per cui Clark era l’autista di Ryan. Jack aveva organizzato il suo trasferimento dalla direzione operazioni per farlo diventare un 36

funzionario della Sicurezza. Il direttore dell’Agenzia Cabot aveva eliminato un buon venti per cento delle forze sul campo e i funzionari con esperienza paramilitare erano stati i primi della lista. Tuttavia, l’esperienza di Clark era troppo valida per andare perduta, e Ryan aveva aggirato due regole e infranto del tutto una terza per raggiungere il suo scopo, aiutato e spalleggiato da Nancy Cummings e da un amico nel settore amministrativo della direzione. Inoltre, Jack aveva molta fiducia in quest’uomo che sapeva addestrare i nuovi ragazzi della Sicurezza. Era un ottimo autista e anche oggi lo aveva fatto arrivare nel garage sotterraneo in perfetto orario.

La Buick fu parcheggiata nel suo posto e Ryan scese; due minuti dopo era già al settimo piano e stava camminando verso il suo ufficio. L’ufficio del vicedirettore della CIA confinava con la lunga e stretta stanza del direttore, che stranamente non era ancora al lavoro. Un locale incredibilmente piccolo e modesto per l’uomo numero due del più importante servizio segreto del paese, che si affacciava sul parcheggio dei visitatori, al di là del quale stavano i pini che separavano l’edificio della CIA dalla George Washington Parkway e dalla valle del fiume Potomac.

Ryan aveva tenuto Nancy Cummings fin dal suo precedente lavoro. Clark si sedette al proprio posto e cominciò a sfogliare i dispacci di sua competenza per preparare la conferenza della Sicurezza di quella mattina ― ci si sarebbe occupati dei gruppi terroristici che stavano operando in quel momento. Non si erano mai verificati dei gravi attentati a un superiore della CIA, ma la storia non rientrava nei loro compiti istituzionali. Il loro interesse era il futuro, e comunque la CIA non aveva una grande reputazione nella previsione di atti terroristici.

Ryan trovò la sua scrivania piena di documenti ordinatamente impilati ―

materiale troppo importante per la cassetta dei documenti che portava in auto ―

e si preparò per la riunione mattutina dei capi di dipartimento che avrebbe presieduto insieme al suo capo. C’era una macchinetta per il caffè nel suo ufficio. Vicino c’era una tazza pulita, che non aveva mai usato e che era appartenuta all’uomo che lo aveva fatto entrare nella CIA, il viceammiraglio James Greer. Nancy era incaricata di prendersene cura e Ryan non iniziava mai una giornata di lavoro senza ricordare il suo defunto capo. Si sfregò gli occhi e la faccia con le mani e si mise al lavoro. Quali interessanti novità aveva oggi in serbo il mondo per lui?

Era un comune taglialegna: grosso, potente, più di un metro e novanta per cento chili di forza. Invece di andare al college si era arruolato nei Marines ―

avrebbe potuto ottenere la borsa di studio per l’Oklahoma o per Pittsburgh, ma aveva deciso di no. Sapeva che non avrebbe mai potuto lasciare l’Oregon, e una laurea avrebbe voluto dire proprio questo. Stare alle regole del gioco e diventare niente di più di un “manichino”? No. Sin dall’infanzia aveva amato la vita all’aria aperta. Si era costruito un mondo di cui era soddisfatto: aveva cresciuto la famiglia in una piccola città e conduceva una vita dura ma sana. Era 37

l’uomo migliore dell’azienda nell’abbattere gli alberi e sceglieva sempre i migliori.

Sollevò da una parte la grande sega e, a un suo cenno, l’aiutante fece lo stesso dall’altra parte. Incominciarono a lavorare lentamente e con attenzione sull’albero, già segnato dai colpi d’ascia. Il taglialegna guardava con un occhio la sega e con l’altro l’albero. Lui non era come quelli della segheria; era un’arte e un punto d’onore non perdere nemmeno un centimetro di legno, a meno che non fosse proprio necessario. Dopo il primo taglio, tirarono indietro la sega e incominciarono la seconda fase, che richiese solo quattro minuti. Adesso il taglialegna era molto attento: sentiva il vento sul volto e si assicurò che soffiasse nella direzione voluta, poiché sapeva che un albero, anche se grande, era come un giocattolo per un vento forte, soprattutto se era quasi spaccato in due…

La cima dell’albero ondeggiava… era quasi il momento giusto. Tirò la sega e fece un cenno al suo aiutante. Guarda i miei occhi, guarda le mie mani! Il ragazzo annuì con serietà. Il taglialegna sapeva che bastavano solo altri trenta centimetri ― la fase più difficile ― e completarono l’opera molto lentamente, anche se questo rovinava la sega. Altre persone tenevano il vento sotto controllo e… Ora!

Il taglialegna ritrasse la sega e la buttò per terra. L’aiutante raccolse il segnale e retrocesse di una decina di metri, mentre il suo capo faceva lo stesso. Entrambi guardarono la base dell’albero, perché se si fosse mosso a scatti sarebbe stato un segno di pericolo.

Non fu così! Come sempre, sembrava di una lentezza esasperante. Il taglialegna capì perché il Club Sierra voleva filmare proprio questa parte.

Sembrava che l’albero sapesse che stava morendo e cercasse di impedirlo gemendo e lamentandosi disperatamente. Be’, pensò, in fondo era solo un dannato albero. Mentre lo guardava cadere, vedeva il taglio aprirsi sempre di più e la cima muoversi sempre più in fretta; lui però sapeva che il pericolo era alla base e per questo continuava a fissarla. Appena il tronco superò il segno dei quarantacinque gradi, il legno si spaccò completamente e il corpo dell’albero si alzò dalla base di circa un metro, rantolando come un essere umano. Poi ci fu il grande frastuono: il fortissimo rumore dei rami superiori che frustavano l’aria. Il taglialegna si chiese a quale velocità si muovesse la cima. Forse alla velocità del suono? No, non così veloce… e poi… BUUM! L’albero rimbalzò dolcemente quando toccò la terra e poi giacque immobile. Adesso era solo legname. Era un po’ triste: in fondo era stato un bell’albero.

Con grande sorpresa del taglialegna, arrivò il funzionario giapponese, che toccò l’albero mormorando qualcosa di simile a una preghiera. Il taglialegna rimase sorpreso, sembrava un rituale indiano ― interessante, pensò. Non sapeva che lo shintoismo fosse una religione animista che aveva molte somiglianze con quella degli indiani d’America. Parlava allo spirito dell’albero? Uhm. Poi andò dal taglialegna.

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«Siete molto abile» disse il giapponese inchinandosi gentilmente.

«Grazie, signore.» Il taglialegna fece un cenno con la testa. Era il primo giapponese che incontrava e gli sembrava una persona gentile. E poi il fatto di dire una preghiera per l’albero… questa sì che era classe, rifletté il taglialegna.

«Un gran peccato uccidere qualcosa di così bello.»

«Sì, penso di sì. È vero che lo metterete in una chiesa, o qualcosa di simile?»

«Oh, sì. Non abbiamo più alberi come questi e abbiamo bisogno di quattro grandi travi, ognuna di venti metri. Spero che con questo albero potremo avere tutte quelle che ci servono» disse l’uomo guardando di nuovo il gigante a terra.

«La tradizione del tempio impone che siano ricavate tutte da uno stesso albero.»

«Capisco» sentenziò il taglialegna. «A quando risale il tempio?»

«A milleduecento anni fa. Le vecchie travi sono state danneggiate dal terremoto di due anni fa e devono essere sostituite al più presto. Spero che, se saremo fortunati, queste dureranno altrettanto. È un bell’albero.»

Sotto la supervisione del funzionario giapponese, l’albero abbattuto fu tagliato in parti più adatte al trasporto. Per muovere quel mostro ci fu bisogno di utilizzare attrezzature speciali che la Georgia-Pacific avrebbe fatto pagare profumatamente. Ma non era un problema. Dato che avevano potuto scegliere l’albero, i giapponesi pagarono senza battere ciglio. Anzi, il rappresentante giapponese si scusò per non aver voluto che la segheria lavorasse l’albero ma, spiegò, era una questione religiosa, non che volessero offendere i lavoratori americani. Il dirigente della GP annuì, per lui andava bene, l’albero era di loro proprietà adesso. L’avrebbero lasciato seccare per un po’ di tempo e poi una nave da trasporto americana lo avrebbe portato dall’altra parte del Pacifico, dove sarebbe stato lavorato secondo la tradizione, il che, fra parentesi, lasciò piuttosto stupito il dirigente della Georgia-Pacific. Nessuno di loro sapeva che non sarebbe mai arrivato in Giappone.

“Mediatore” è un termine particolarmente scomodo per definire un funzionario di polizia, pensò Murray. Si appoggiò allo schienale della sua poltrona in pelle e sentì la sua Smith & Wesson 10 mm chiusa nella fondina: avrebbe dovuto lasciarla nel cassetto, ma gli piaceva sentire la presenza di quella belva. Essendo stato un uomo d’azione per la maggior parte della sua carriera, aveva presto imparato ad amare il solido potere della Smith, e Bill capiva il perché. Per la prima volta nella storia degli ultimi anni, un poliziotto di carriera che aveva iniziato dalla strada era diventato il direttore dell’FBI. Infatti, Murray e Shaw avevano iniziato nella stessa squadra di polizia, e anche se Bill era più abile nel settore amministrativo, nessuno lo avrebbe mai confuso per un bamboccio del comando. I superiori cominciarono per la prima volta a interessarsi seriamente di Shaw quando riuscì a catturare due rapinatori armati prima dell’arrivo dei rinforzi. Non aveva mai sparato in un momento di rabbia ― e anche all’interno 39

dell’FBI la percentuale di agenti che lo facevano era minima ―, ma era riuscito a convincere i due malviventi che li avrebbe potuti far fuori. Gentleman nei modi, era però un uomo di ferro maledettamente intelligente e questa era la ragione per cui al vicedirettore, Dan Murray, non pesava fargli da consigliere personale.

«Che accidenti possiamo fare con quest’uomo?» chiese Shaw con disappunto.

Murray aveva appena terminato il suo rapporto sul caso della Società dei guerrieri e, mentre sorbiva il caffè, si strinse nelle spalle.

«Bill, quell’uomo è un genio nei casi di corruzione, il migliore che abbiamo mai avuto, ma non ne sa un cazzo quando si parla di azione. Questa volta è stato fortunato, non è successo niente di grave.» Murray aveva ragione. I giornalisti avevano trattato l’FBI sorprendentemente bene, forse perché avevano salvato la vita della reporter. Cosa ancora più incredibile, non avevano capito che la reporter non avrebbe dovuto trovarsi in mezzo a quello scontro. Perciò erano grati all’agente speciale per aver permesso all’équipe di giornalisti di assistere alla scena, ed erano grati anche alla squadra di recupero ostaggi per averli salvati quando le cose si erano messe male. Non era la prima volta che l’FBI riusciva a mietere tanti successi da una probabile catastrofe; le relazioni pubbliche erano molto importanti per l’FBI, più che per ogni altra autorità statale. E adesso l’unico problema di Shaw era che licenziare l’agente speciale Walt Hoskins sarebbe parso brutto. «Ha imparato la lezione. Walt non è uno stupido, Bili.»

«Anche l’anno scorso ha fatto un gran colpo mettendo il governatore nel sacco, vero?» Shaw fece una smorfia. Hoskins era un vero genio nei casi di corruzione politica. Grazie a lui, oggi un governatore stava vedendo il mondo attraverso le sbarre di una prigione federale e questa era la ragione per cui era stato promosso agente speciale. «A cosa stai pensando, Dan?»

«Agente speciale a Denver» rispose Murray con uno sguardo malizioso. «E

geniale. Passerebbe da una piccola squadra d’intervento alla direzione della squadra per i casi di corruzione. Sarebbe una promozione che lo allontanerebbe dal comando e lo riporterebbe al ruolo nel quale eccelle e, se le voci che arrivano da Denver sono vere, avrà un sacco di lavoro. Forse un senatore o un deputato del Congresso ― forse ancora di più. Le prime indicazioni sul progetto idrico sembrano notevoli, veramente notevoli. Bill, si tratta di qualcosa come venti milioni di verdoni che passano da una mano all’altra.»

Shaw fischiettò rispettosamente. «Tanto spreco per un senatore e un semplice membro del Congresso?»

«Ti ho già detto che forse ci sarà di più. L’ultima novità è che sembra ci siano degli ambientalisti che vengono pagati ― fuori e dentro il governo. Cosa c’è di meglio che dipanare una matassa tanto intricata? Walt ha del fiuto in questo genere di casi. Quell’uomo non riesce nemmeno a estrarre la pistola senza combinare guai ma è un maledetto “cane da caccia”.» Murray chiuse la cartella.

«Comunque, mi hai chiesto di guardarmi in giro e darti un consiglio. Mandalo a Denver o mettilo in pensione. Mike Delaney vuole essere retrocesso perché i 40

suoi ragazzi vanno al GW quest’autunno e lui vuole insegnare giù all’accademia.

Questa potrebbe essere la scusa e risulterebbe tutto pulito. Ma comunque devi decidere tu, capo.»

«Grazie, signor Murray» disse il direttore seriamente. Poi sorrise. «Ti ricordi di quando ci dovevamo preoccupare solo di inseguire i banditi? Odio queste fesserie amministrative!»

«Forse non avremmo dovuto prenderne così tanti» ammise Dan. «Staremmo ancora lavorando giù al fiume di Philadelphia, e a prenderci una birra con i compagni. Perché la gente osanna il successo? Ti complica solo la vita.»

«Stiamo dicendo solo delle stronzate.»

«Siamo solo degli stronzi, Bill» chiarì Murray. «Ma io almeno non sono costretto ad andare in giro con la scorta.»

«Brutto bastardo!» rispose Shaw scherzando e si rovesciò il caffè sulla cravatta. «Oh, Cristo, Dan!» sospirò ridendo, «guarda cosa mi hai fatto fare.»

«È un brutto segno quando non si riesce più nemmeno a tenere la tazza del caffè, capo.»

«Fuori! Esegui gli ordini prima che ti risbatta sulla strada.»

«Oh, no, la prego. Tutto, ma non questo!» Murray smise di ridere e per un attimo diventò quasi serio. «Cosa sta facendo Kenny adesso?»

«Ha appena ricevuto la sua assegnazione al sottomarino Maine. La gravidanza di Bonnie va bene, dovrebbe avere il bambino in dicembre. Dan?»

«Sì, Bill?»

«Buona idea quella per Hoskins. Avevo bisogno che qualcuno mi aiutasse a venirne fuori. Grazie.»

«Nessun problema, Bill. Walt farà i salti di gioia. Vorrei che fosse tutto così facile.» «Stai continuando a seguire la Società dei guerrieri?»

«Ci sta lavorando Freddy Warder. Credo che riusciremo a incastrare quei bastardi in pochi mesi.»

Entrambi sapevano che sarebbe stato bello. Erano rimasti solo pochi gruppi terroristici locali, ed eliminarne un altro per la fine dell’anno sarebbe stato un gran colpo.

Era l’alba nelle aspre zone del Dakota e Marvin Russell era in ginocchio sulla sua pelle di bisonte rivolto verso il sole nascente. Indossava un paio di jeans ma aveva il torso e i piedi nudi. Non era un uomo alto, ma era sicuramente forte.

Durante il suo primo e unico periodo passato in prigione ― per furto ― aveva imparato a sollevare pesi. Aveva incominciato per hobby, poi aveva capito che in un penitenziario la forza fisica era la sola forma di difesa su cui un uomo poteva contare e, infine, quello che era stato inizialmente un hobby era diventato un attributo che associava alla natura dei guerrieri Sioux. La sua altezza, un metro e settanta, poteva saldamente sostenere i novanta chili di muscoli asciutti e potenti: le sue braccia avevano le dimensioni delle cosce di alcuni uomini.

Aveva una vita da ballerina e le spalle di un difensore. Marvin Russell era 41

leggermente pazzo, anche se non se ne rendeva conto.

La vita non aveva offerto molte opportunità a lui e a suo fratello. Il padre era un alcolizzato che lavorava saltuariamente come meccanico e i pochi soldi che guadagnava si precipitava a spenderli nel più vicino negozio di alcolici. Le memorie d’infanzia di Marvin erano amare: la vergogna per lo stato quasi costante di ubriachezza del padre e una vergogna ancora maggiore per quello che la madre faceva mentre il padre giaceva totalmente ubriaco in soggiorno.

Quando la famiglia lasciò il Minnesota per tornare nella riserva, riuscivano a mangiare grazie al sussidio statale. I loro insegnanti avevano già da tempo perso la speranza di riuscire a insegnar loro qualcosa. Il villaggio dove vivevano era costituito da un insieme di case fatiscenti, costantemente avvolte da nuvole di polvere alzate dal vento della prateria. I due fratelli Russell non avevano mai avuto neanche un guantone da baseball, e per loro il Natale era semplicemente un periodo di vacanza dalla scuola. Entrambi erano cresciuti nel vuoto della trascuratezza e dovettero imparare molto presto a badare a se stessi.

All’inizio era stato un elemento positivo, perché essere autosufficienti rappresentava una tradizione per il loro popolo, ma i bambini hanno bisogno di una guida e i genitori dei due ragazzi non erano mai stati in grado di esserlo.

Avevano imparato a sparare e a cacciare prima di imparare a leggere, e la cena, che spesso dovevano preparare da soli, era quasi sempre il risultato di una caccia fatta con una calibro 22. Anche se in quella zona non erano I soli giovani poveri e abbandonati a se stessi, sicuramente erano fra i più sfortunati, e nonostante alcuni ragazzi della zona fossero riusciti a uscire dalla loro condizione di povertà e delinquenza, per loro questo salto era stato troppo arduo. Quando impararono a guidare ― molto prima di raggiungere l’età giusta

― in una notte chiara e fredda presero il camioncino malandato del padre e andarono verso città lontane, a cercare quello che i genitori non erano in grado di dare loro. Sorprendentemente, la prima volta furono presi da un altro Sioux, e quando furono rimandati a casa tra lividi, ammaccature e paternali, accettarono la sconfitta da uomini. Avevano imparato la lezione. Da quel momento avrebbero rubato solo ai bianchi. In seguito, furono presi con le mani nel sacco da un poliziotto in un supermercato di provincia. Per loro sfortuna ogni crimine commesso sulle proprietà federali era un caso federale e il giudice distrettuale era un uomo con più compassione che intuito. In quel momento della loro vita una dura lezione li avrebbe forse salvati dalla loro sorte, ma il giudice condonò loro la pena e li affidò alle cure dell’assistente sociale: una giovane donna molto coscienziosa con una laurea dell’università del Wisconsin, che per mesi continuò a ripetere loro che non avrebbero mai potuto avere una buona immagine di sé se avessero continuato a rubare. Dovevano trovare qualcosa di serio da fare, se volevano essere orgogliosi di se stessi. Dopo questi discorsi, i due fratelli si erano domandati come mai il popolo dei Sioux si era fatto sottomettere da questi idioti di bianchi, e da allora avevano imparato a progettare i loro colpi con maggior precisione.

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Ma siccome gli insegnamenti dell’assistente sociale non potevano competere con quelli che avrebbero ricevuto in una vera prigione, un anno dopo furono catturati di nuovo, questa volta fuori dalla riserva e, dato che avevano rapinato un negozio di armi, furono condannati a un anno e mezzo di carcere.

La prigione fu l’esperienza peggiore della loro vita. Abituati a vivere in lande sconfinate quanto il cielo dell’ovest, per oltre un anno furono costretti a vivere in una gabbia più piccola di quelle che il governo concedeva agli animali dello zoo, circondati da persone ben peggiori di quello che loro pensavano di essere.

Nel corso della prima notte passata in prigione impararono che il subire una violenza non era un’esperienza che toccava solo alle donne e, in cerca di protezione, finirono nelle braccia dei loro fratelli indiani del movimento.

Non avevano mai dato troppa importanza alla loro origine. Forse avevano percepito che i loro fratelli non avevano nella realtà quelle caratteristiche che si vedevano nei film, quelle rare volte che la TV di casa funzionava, e probabilmente avvertivano il disagio della diversità. Naturalmente avevano imparato a sorridere dei film western, dato che quegli “indiani” erano spesso dei bianchi o dei messicani a cui erano stati messi in bocca i pensieri degli sceneg-giatori di Hollywood, che conoscevano il West come l’Antartide. Ma nonostante questa consapevolezza, quei messaggi avevano lasciato comunque un’immagine negativa delle loro radici. Il “movimento degli indiani d’America” aveva fatto loro cambiare idea: era tutta colpa dell’uomo bianco. I fratelli Russell ― la cui filosofia di vita era diventata un misto di antropologia tipica della costa orientale, un pizzico di Jean-Jacques Rousseau e buona parte delle tematiche dei western di John Ford (e che cos’era in fondo la cultura americana?) unita a delle nozioni storiche errate ― arrivarono a capire che i loro antenati erano una razza nobile di formidabili guerrieri e cacciatori, che erano vissuti in armonia con la natura e gli dei. Il fatto che gli indiani d’America avessero vissuto tanto pacificamente quanto gli europei (la parola “Sioux” in dialetto indiano significa

“serpente” e non era un appellativo dato con affetto) e che avessero incominciato a peregrinare per le “grandi pianure” solo durante l’ultimo decennio del XVIII secolo, era stato in un certo senso messo da parte, insieme alle violente guerre tribali. La vita era migliore una volta. Allora erano stati padroni della loro terra, avevano inseguito i bufali, cacciato, vissuto in modo sano e appagante sotto le stelle; è vero, talvolta combattendo fra di loro, ma come nei tornei medievali. Anche le torture inferte ai prigionieri erano considerate come una possibilità che i guerrieri avevano per dimostrare il loro stoico coraggio ai sadici assassini pieni di ammirazione.

Ogni uomo aspira alla nobiltà di spirito e non era colpa di Marvin Russell se la sua prima occasione era arrivata grazie ai compagni di carcere. Così lui e suo fratello conobbero gli dei della terra e del cielo, crudelmente soppressi dalle false credenze dell’uomo bianco. Seppero della fratellanza che regnava nelle pianure e di come i bianchi avevano rubato le loro proprietà, ucciso i bufali ―

sui quali si basava la loro sussistenza ― diviso, oppresso, massacrato e 43

imprigionato il loro popolo, abbandonandolo all’alcol e alla disperazione. E

come in tutte le storie migliori, anche questa aveva un fondamento di verità notevole.

Marvin Russell salutò il sole nascente con una cantilena che poteva anche essere autentica ― chi poteva più saperlo? Lui no di certo. Comunque la prigione non era stata un’esperienza totalmente negativa: quando ci era entrato aveva solo un’istruzione da terza elementare, ma ne era uscito con un diploma equivalente a quello di istruzione secondaria. Non era uno stupido e non era colpa sua se l’istruzione pubblica lo aveva tradito e lo aveva destinato al fallimento prima ancora della nascita. Leggeva regolarmente tutto quello che riusciva a trovare sulla storia del suo popolo, anche se in realtà era molto selettivo nei libri che sceglieva. Tutto ciò che era contro il suo popolo esprimeva naturalmente i pregiudizi inventati dai bianchi. I Sioux non erano degli ubriaconi prima che loro arrivassero, non vivevano in squallidi villaggi e certamente non maltrattavano i loro bambini.

Ma come si potevano cambiare le cose? chiese al sole. La lucente palla di gas era rossa, offuscata dalla giornata estiva calda e secca, e richiamò a Marvin l’immagine del volto del fratello: solo la fredda immagine di un fotogramma del telegiornale. La rete locale aveva fatto delle cose incredibili con quel nastro.

L’accaduto era stato esaminato fotogramma per fotogramma: il proiettile che colpiva la faccia di John, due fotogrammi per la scena in cui il suo volto si staccava dal resto della testa e poi il terrificante percorso del proiettile. Lo sparo

maledetto quel negro e il suo giubbotto! ― e le mani che si alzavano come in un film di Roger Corman. L’aveva guardata per cinque volte e ogni singolo pixel dell’immagine era scolpito nella sua memoria: non avrebbe mai potuto dimenticarla.

Solo un altro indiano morto. «Sì, ho conosciuto degli indiani buoni» aveva detto una volta il generale William Tecumseh Sherman ― un nome da indiano d’America. «Erano morti.» John Russell era morto, ucciso come tanti altri senza avere la possibilità di battersi con onore, come un animale, ma forse in modo ancora più brutale. Così i bianchi consideravano gli indiani. Marvin pensò che il colpo fosse stato programmato con precisione apposta per essere ripreso dalle telecamere. La reporter con i suoi vestiti all’ultimo grido doveva ricevere una lezione e quegli assassini dell’FBI avevano deciso di dargliela. Proprio come era successo in passato a Sand Creek e a Wounded Knee e in altre centinaia di campi di battaglia dimenticati.

Nonostante questo, Marvin guardava verso il sole e chiedeva risposte al dio della sua gente. La risposta non doveva cercarla lì, replicò il sole. John era morto rendendosi conto che non ci si doveva fidare dei compagni. Fare soldi con la droga! Usare la droga! Come se il whisky che i bianchi avevano usato per distruggere il loro popolo non fosse bastato. Gli altri “guerrieri” erano creature nate dalla cultura dei bianchi e non sapevano che era proprio quella cultura ad averli distrutti. Si facevano chiamare guerrieri Sioux ma erano solo ubriaconi, 44

piccoli criminali che si erano sforzati ma avevano fallito. In un raro momento di onestà ― e come si potrebbe essere disonesti di fronte a uno dei propri dei? ―

Marvin ammise a se stesso che erano inferiori a lui. Suo fratello era stato uno stupido a unirsi a loro nel traffico della droga. E quello che aveva fatto era stato oltretutto inutile. Che cosa erano riusciti a ottenere? Avevano ucciso un agente dell’FBI e uno sceriffo federale, ma era successo molto tempo prima. E da allora? Da allora non avevano fatto altro che parlare del loro unico momento di gloria. Ma cos’era stato in realtà? Non erano riusciti a cambiare nulla. Le riserve e gli alcolici esistevano ancora e con loro la disperazione. Forse qualcuno si era accorto di chi erano e di quello che facevano? No, erano solo riusciti a irritare quelle forze che da sempre li soggiogavano, e così adesso la Società dei guerrieri era braccata anche all’interno della propria riserva e loro erano costretti a vivere non come guerrieri, ma come animali. Ma loro dovevano essere i cacciatori e non le prede, gli disse il sole.

Questo pensiero agitò Marvin. Lui doveva essere il cacciatore e i bianchi dovevano temerlo. Era stato così un tempo, ma adesso era diverso. Lui doveva essere il lupo in mezzo al gregge, ma le pecore bianche erano diventate tanto forti da non sapere più cos’era un lupo, e poi si nascondevano dietro a incredibili cani, che non si accontentavano di proteggere il gregge, ma che volevano inseguire e cacciare i lupi fino a terrorizzarli, innervosirli, farli impazzire e renderli prigionieri nel loro stesso recinto.

Perciò doveva abbandonare il recinto.

Doveva trovare i suoi fratelli lupi che ancora credevano nella caccia.

3

… una sola seduta

Era questo il giorno. La sua giornata. Il capitano Zadin aveva avuto una carriera in rapida ascesa nella polizia nazionale di Israele. Il capitano più giovane del corpo era l’ultimo di tre figli e il padre di due David e Mordecai, e fino a poco tempo prima era stato sull’orlo del suicidio. La morte della sua amata madre e l’abbandono della sua bellissima ma infedele moglie si erano succeduti nel giro di una sola settimana, soltanto due mesi prima. Nonostante avesse fatto tutto quello che aveva programmato di fare, si era improvvisamente trovato a far fronte a una vita che pareva vuota e senza senso. Il suo grado e il suo stipendio, il rispetto dei suoi subordinati, la sua comprovata intelligenza e

,

lucidità mentale in tempi di crisi e tensioni, il curriculum militare accumulato nel corso di pericolosi e difficili servizi di frontiera erano nulla se paragonati a una casa vuota, popolata solo da ricordi dolorosi.

Sebbene Israele sia spesso considerato come “lo stato ebreo”, tale definizione nasconde il fatto che soltanto una frazione della popolazione è attivamente 45

religiosa. Benny Zadin non lo era mai stato, nonostante le suppliche di sua madre. Egli seguiva piuttosto lo scatenato stile di vita di un moderno edonista, e non aveva mai visto l’interno di uno shul prima del suo Bar Mitzvah. Parlava e leggeva l’ebraico perché doveva ― era la lingua nazionale ― ma le regole del suo retaggio erano per lui un curioso anacronismo un antiquato aspetto della vita in quello che era altrimenti il più moderno dei paesi. Sua moglie aveva solo accentuato questa sensazione. Si potrebbe facilmente misurare il fervore religioso di Israele, spesso lui ripeteva scherzando, dai costumi da bagno sulle sue innumerevoli spiagge. Sua moglie era di origine norvegese. Bionda, alta, magra, Elin Zadin sembrava ebrea tanto quanto Eva Braun ― questa era la loro battuta al riguardo ― e amava pure mostrare la sua figura indossando i bikini più striminziti, spesso limitati alla metà inferiore. Il loro matrimonio era stato appassionato e infuocato. Lui sapeva che lei si era sempre guardata attorno, naturalmente, e occasionalmente si era perfino compiaciuto di questo pensiero, ma il suo improvviso abbandono per un altro uomo sì che lo aveva sorpreso; si era trovato improvvisamente solo in una casa che conteneva tra l’altro numerose armi cariche il cui uso, lui lo sapeva, avrebbe facilmente messo fine al suo dolore. Solo il pensiero dei suoi figli lo aveva fermato. Non poteva tradirli come era stato tradito lui, era troppo uomo per questo. Ma il dolore era stato ― era ancora ― molto vero.

Israele è un paese troppo piccolo per i segreti. Il fatto che Elin se ne fosse andata con un altro fu subito sulla bocca di tutti, e la voce era in breve arrivata alla stazione di Benny, dove gli uomini potevano vedere dal suo sguardo vuoto che lo spirito del loro comandante era distrutto. Alcuni si chiedevano come e quando sarebbe tornato tra loro, ma dopo una settimana la domanda divenne se l’avrebbe mai fatto. A quel punto, uno dei sergenti della squadra di Zadin aveva preso la situazione in mano. Presentandosi davanti alla porta di casa del suo capitano un giovedì sera, portò con sé il rabbino Israel Kohn. Quella sera, Benjamin Zadin scoprì Dio. Di più, si era detto contemplando la strada della Catena nella Gerusalemme Vecchia, sapeva di nuovo cosa significasse essere ebreo. Quello che gli era capitato era la punizione di Dio, né più né meno.

Punizione per aver ignorato le parole di sua madre, punizione per il suo adulterio, per le feste scatenate con sua moglie e con altri, per venti anni di pensieri e atti maligni mentre faceva finta di essere un eroico e onesto capitano di polizia. Ma oggi avrebbe cambiato tutto. Oggi avrebbe infranto la legge dell’uomo per espiare i suoi peccati contro la parola di Dio.

Erano le prime ore del mattino di quella che prometteva di essere una cocente giornata, con un vento secco di levante che soffiava dall’Arabia. Aveva quaranta uomini schierati dietro di lui, tutti armati con una varietà di fucili automatici, pistole a gas e altre armi che sparavano proiettili di gomma, che potevano abbattere un uomo e, se il tiratore era molto preciso, fermare il battito cardiaco a causa del trauma improvviso. Era necessario che la sua polizia acconsentisse a violare la legge ― idea che i superiori diretti del capitano Zadin non avevano 46

affatto in mente ― e a fermare l’interferenza di altri che, per impedirgli di compiere il suo lavoro, erano disposti a disobbedire a una legge superiore. Era questa l’argomentazione usata dal rabbino Kohn, dopo tutto. Di chi era la legge?

Era una questione metafisica, qualcosa di troppo complicato per un semplice ufficiale di polizia. Quello che era molto più semplice, come il rabbino aveva spiegato, era l’idea che il luogo del tempio di Salomone fosse la casa spirituale del giudaismo e degli ebrei. Il luogo sulla spianata del tempio era stato scelto da Dio, e se gli uomini avevano messo in dubbio quel fatto, importava ben poco.

Era tempo che gli ebrei reclamassero ciò che Dio aveva dato loro. Un gruppo di dieci rabbini conservatori e hassidici avrebbero oggi picchettato il luogo in cui il nuovo tempio sarebbe stato ricostruito In precisa conformità con le sacre scritture. Il capitano Zadin aveva l’ordine di impedire la loro processione attraverso il cancello della Catena, di fermarli; ma lui avrebbe ignorato tale ordine, e i suoi uomini avrebbero agito come lui comandava, proteggendo i rabbini dagli arabi che con ogni probabilità li stavano aspettando con le stesse intenzioni che lui stesso avrebbe dovuto avere.

Fu sorpreso di trovare gli arabi già sul posto così presto. Niente più che animali, veramente, quelli che avevano ucciso David e Motti. I suoi genitori avevano raccontato a tutti i figli che cosa significava essere un ebreo in Palestina negli anni Trenta, le aggressioni, il terrore, l’invidia, l’odio aperto, il modo in cui gli inglesi si erano rifiutati di proteggere coloro che avevano combattuto con loro in Nordafrica ― contro chi si era alleato con i nazisti. Gli ebrei non potevano contare su nessuno tranne loro stessi e il loro Dio, e mantenere la fede nel loro Dio significava ripristinare il suo tempio sulla roccia dove Abramo aveva stretto il patto tra la sua gente e il loro Signore. O il governo non capiva, oppure era intenzionato a fare giochi politici con il destino dell’unico paese al mondo in cui gli ebrei erano veramente al sicuro. Il suo dovere di ebreo scavalcava tutto ciò, anche se lui non lo aveva fino a poco prima mai saputo.

Il rabbino Kohn si fece vedere al momento stabilito. Con lui era il rabbino Eleazar Goldmark, un superstite tatuato di Auschwitz, dove aveva imparato l’importanza della fede di fronte alla stessa morte. Entrambi gli uomini avevano con sé un fascio di paletti e del nastro da rilevamento. Avrebbero preso le loro misure, e da quel giorno in avanti una squadra di uomini avrebbe fatto la guardia al luogo, per poi finalmente forzare il governo di Israele a ripulirlo dalle oscenità musulmane.

Un’ondata di appoggio popolare in tutto il paese e un grande afflusso di denaro dall’Europa e dall’America avrebbero fatto sì che il progetto potesse realizzarsi nel giro di cinque anni ― e allora nessuno sarebbe stato più in grado di sottrarre questa terra a coloro che l’avevano ricevuta da Dio.

«Merda» mormorò qualcuno alle spalle del capitano Zadin, ma bastò che lui si voltasse e mostrasse il suo sguardo per bloccare chiunque avesse bestemmiato nel momento del destino.

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Benny fece cenno ai due rabbini che guidavano la processione, che iniziarono la loro marcia. La polizia seguì il suo capitano, a cinquanta metri di distanza.

Zadin pregò per la sicurezza di Kohn e Goldmark; ma sapeva che il pericolo che essi stavano fronteggiando era pienamente accettato, allo stesso modo in cui Abramo aveva accettato la morte di suo figlio come una condizione della legge divina.

Ma la fede che aveva portato Zadin a questo momento lo aveva accecato rispetto a quanto avrebbe dovuto essere ovvio: Israele era un paese troppo piccolo per i segreti, e altri ebrei, che vedevano Kohn e Goldmark semplicemente come una versione diversa degli ayatollah fondamentalisti dell’Iran, sapevano tutto di ciò che stava succedendo, e come risultato di ciò la voce si era sparsa. Le troupe televisive erano riunite nella piazza ai piedi del Muro del Pianto. Alcuni indossavano gli elmetti degli operai delle costruzioni, in attesa della pioggia di pietre che di sicuro sarebbe caduta. Forse è meglio così, pensò il capitano Zadin seguendo i rabbini verso la spianata del tempio. Il mondo avrebbe dovuto essere informato su ciò che stava accadendo.

Inconsciamente accelerò il passo per avvicinarsi a Kohn e Goldmark. Sebbene essi potessero accettare l’idea del martirio, il suo dovere era proteggerli. La sua mano destra scivolö verso la fondina sul suo fianco e controllò che la copertura non fosse troppo stretta. Avrebbe potuto presto aver bisogno di quella pistola.

Gli arabi erano là. Fu una delusione vedere quanti ve ne fossero, come pulci, come ratti in un luogo al quale non appartenevano. Finché fossero rimasti in disparte. Non lo avrebbero fatto, naturalmente, e Zadin lo sapeva. Si opponevano alla volontà di Dio. Era questa la loro sventura.

La radio di Zadin gracchiò, ma lui la ignorò. Di sicuro era soltanto il suo comandante, che gli avrebbe chiesto cosa diavolo avesse in testa e gli avrebbe ordinato di desistere. Non oggi. Kohn e Goldmark avanzarono impavidi verso gli arabi fermando il loro cammino. Zadin pianse quasi pensando al loro coraggio e alla loro fede, chiedendosi come il Signore avrebbe mostrato loro la sua approvazione, e sperando che sarebbe stato loro permesso di vivere. Dietro di lui, circa la metà dei suoi uomini era veramente con il suo capitano. Sapeva, senza guardare, che essi non stavano usando i loro scudi, e stavano invece togliendo le sicure dalle loro armi. Era difficile attendere, difficile prevedere la prima nuvola di pietre che sarebbe giunta da un istante all’altro.

Santo Dio, ti prego lasciali vivere, ti prego proteggili… Risparmiali come hai risparmiato Isacco.

Zadin era ora a meno di cinquanta metri dai due coraggiosi rabbini; un polacco, un sopravvissuto degli infami campi in cui sua moglie e suo figlio avevano trovato la morte, campi nei quali egli in qualche modo non si era perso d’animo e aveva imparato l’importanza della fede; e un americano, un uomo che era giunto in Israele, aveva combattuto le sue guerre, e solo allora si era avvicinato a Dio, allo stesso modo in cui Benny aveva fatto soltanto pochi giorni prima.

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I due si trovavano a nemmeno dieci metri dagli sporchi arabi quando successe. Gli arabi erano i soli a poter vedere che i loro visi erano sereni, che avrebbero accettato qualsiasi cosa quel mattino avesse loro riservato, e soltanto gli arabi videro poi lo shock e l’incredulità sul volto del polacco, e il dolore sconvolto su quello dell’americano quando si resero conto di ciò che il fato aveva in mente. A un comando, la prima linea degli arabi, tutti adolescenti con una lunga storia di confronti, si sedette. I cento giovani dietro di loro fecero lo stesso. Quindi la prima linea iniziò ad applaudire. A cantare. Ci volle qualche istante perché Benny capisse, sebbene conoscesse l’arabo come ogni palestinese.

We shall overcome

We shall overcome

We shall overcome some day.

Le troupe televisive erano immediatamente dietro la polizia. Alcuni fra loro scoppiarono a ridere, sorpresi dall’aggressiva ironia sottintesa dal comportamento degli arabi. Uno di essi era il corrispondente della CNN Pete Franks, che esclamò per tutti: Figli di PU7TANA! In quel momento Franks seppe che il mondo era cambiato di nuovo. Era stato a Mosca per la prima riunione democratica del Soviet supremo, a Managua la notte in cui i sandinisti persero le loro elezioni a botta sicura, a Pechino mentre la “dea della libertà”

veniva distrutta. E ora questo? pensò. Gli arabi si erano finalmente fatti furbi.

Merda secca.

«Spero tu abbia fatto partire il nastro, Mickey.»

«Stanno cantando quello che io penso stiano cantando?» «Sicuro.

Avviciniamoci.»

Il capo degli arabi era uno studente di sociologia ventenne chiamato Hashimi Moussa. Il suo braccio era pieno di cicatrici causate da una mazza israeliana, e metà della sua dentatura era saltata a causa di un proiettile di gomma indirizzatogli da qualcuno che quel giorno era particolarmente arrabbiato.

Nessuno metteva in dubbio il suo coraggio. Aveva dovuto provarlo al di là di ogni incertezza. Aveva dovuto affrontare la morte una dozzina di volte prima che la sua posizione di capo si fosse affermata, ma ora c’era, e la gente lo ascoltava, e lui era in grado di mettere in pratica un’idea che aveva coltivato per cinque pazienti, lunghissimi anni Ci erano voluti tre giorni per convincerli, ma poi ecco l’incredibile fortuna di avere un amico ebreo disgustato dai conservatori religiosi del suo paese che aveva parlato a voce un po’ troppo alta dei programmi di questa giornata. Forse era destino, pensò Hashimi, o forse la volontà di Allah, o forse ancora semplice fortuna. Comunque, era questo il momento per il quale aveva vissuto fin dal suo quindicesimo compleanno, quando aveva conosciuto le storie di Gandhi e di King, e di come essi avevano sconfitto la forza con il nudo e passivo coraggio. Persuadere la sua gente aveva voluto dire uscire da un codice guerriero che pareva far parte dei loro geni, ma 49

ce l’aveva fatta. Ora le sue opinioni sarebbero state messe alla prova.

Tutto ciò che Benny Zadin vide fu che il suo percorso era bloccato. Il rabbino Kohn disse qualcosa al rabbino Goldmark, ma nessuno dei due tornò là dove la polizia si era fermata, perché voltarsi voleva dire ammettere la sconfitta. Se fossero più sconvolti o adirati per quello che avevano visto, non l’avrebbe mai saputo. Il capitano Zadin si rivolse ai suoi uomini.

«Gas!» Aveva studiato questo momento con largo anticipo. I quattro uomini con le armi a gas erano tutti religiosi. Puntarono le loro armi e tutti insieme fecero fuoco contro la folla. I candelotti di gas erano pericolosi, e fu sorprendente che nessuno ne rimanesse ferito. In pochi secondi, grigie nuvole di gas si allargarono sulla massa di arabi seduti. Ma a un preciso comando, ognuno di essi indossò la propria maschera di protezione. Ciò impedì il loro canto, ma non i loro battimani né la loro decisione, e fece infuriare il capitano Zadin quando il vento di levante portò il gas verso i suoi uomini e lo allontanò dagli arabi. Subito dopo, uomini con guanti isolanti raccolsero da terra i candelotti ancora caldi e rilanciarono verso la polizia. In un minuto furono in grado di rimuovere le loro maschere, e c’era ilarità nel loro canto, ora.

Poi Zadin ordinò il lancio dei proiettili di gomma. Aveva a disposizione sei uomini dotati di questo genere di armi; da una distanza di cinquanta metri potevano costringere chiunque a correre ai ripari. La prima salva fu perfetta: colpì sei degli arabi in prima linea. Due urlarono dal dolore. Uno cadde, ma nessuno abbandonò la sua postazione se non per soccorrere il ferito. La salva successiva fu puntata alle teste e non ai busti, e Zadin ebbe la soddisfazione di vederne una esplodere in una nuvola di rosso.

Il capo ― Zadin riconobbe il volto, l’aveva già incontrato ― si alzò e diede un ordine che il capitano israeliano non poté udire. Ma il suo significato divenne subito chiaro. Il canto aumentò di intensità. Seguì un’altra salva di proiettili di gomma. Il comandante della polizia notò che uno dei suoi tiratori scelti era infuriato. All’arabo che aveva ricevuto un proiettile in pieno volto ora ne arrivò un altro sul capo, e subito si afflosciò, morto. Ciò avrebbe dovuto far capire a Benny che aveva già perso il controllo dei suoi uomini; ma la cosa peggiore era che lui stesso stava perdendo il controllo.

Hashimi non vide il suo compagno morire. La passione del momento era travolgente. Lo sgomento dipinto sui volti dei due rabbini invasori era evidente.

Non poteva vedere in viso i poliziotti dietro le loro visiere, ma le loro azioni, i loro movimenti rendevano chiare le loro sensazioni. In un momento di chiarezza capì che stava vincendo, e gridò ancora alla sua gente di raddoppiare gli sforzi.

E così fecero, di fronte al fuoco e alla morte.

Il capitano Benjamin Zadin si tolse l’elmetto e camminò deciso verso gli arabi, superò i rabbini che si erano improvvisamente bloccati in preda a una incomprensibile indecisione. Sarebbe forse la volontà di Dio stata disturbata dal canto dissonante di qualche sporco selvaggio?

«Uh, oh» fece Pete Franks, con gli occhi grondanti lacrime a causa del gas.

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«Ho capito» disse l’operatore senza che lui gli avesse dato alcun ordine, mettendo a fuoco la camera sul comandante della polizia israeliana che stava avanzando. «Sta per succedere qualcosa ― quel tizio sembra incazzato, Pete!»

Oh Dio, pensò Franks. Lui stesso un ebreo, lui stesso stranamente a proprio agio in questa terra sterile ma amata, sapeva che la storia stava cambiando ancora una volta sotto i suoi occhi; stava già sviluppando i due o tre minuti di commento parlato che avrebbero accompagnato le immagini che il suo operatore veniva filmando per la posterità, e si chiedeva se per caso un altro premio Emmy sarebbe comparso nel suo futuro per aver svolto il suo duro e pericoloso lavoro così bene.

Successe rapidamente, troppo rapidamente, mentre il capitano avanzava direttamente verso il capo degli arabi. Hashimi ora si era reso conto che un amico era morto, il suo cranio sfondato da quella che avrebbe dovuto essere un’arma non letale. Pregò in silenzio per l’anima del suo compagno e sperò che Allah comprendesse il coraggio necessario ad affrontare la morte in quel modo.

Lo avrebbe fatto. Hashimi ne era sicuro. L’israeliano che si stava avvicinando era un volto a lui conosciuto. Zadin era il suo nome, un uomo che era già stato là fin troppo spesso, soltanto l’ennesimo volto israeliano fin troppo spesso nascosto dietro una maschera di lexan e una pistola spianata, un altro uomo incapace di vedere gli arabi come un popolo, un uomo per il quale un musulmano era il lanciatore di sassi o di cocktail molotov. Bene, oggi avrebbe imparato qualcosa di diverso, si disse Hashimi. Oggi avrebbe visto un uomo di coraggio e di convinzione.

Benny Zadin vide un animale, come un mulo ostinato, come ― cosa? Non era sicuro di ciò che stesse vedendo, ma di certo non era un uomo, non era un israeliano. Avevano cambiato tattica, tutto qui, e la nuova tattica era da femmine. Pensavano forse che ciò potesse impedire il suo proposito? Proprio come sua moglie, quando gli aveva detto che stava per andarsene nel letto di un altro uomo, che avrebbe potuto tenere i bambini, che le sue minacce di picchiarla erano soltanto vuote parole, che non avrebbe potuto farlo e non era abbastanza uomo per essere responsabile della sua stessa casa. Egli rivide quel bellissimo viso vuoto e si chiese perché non le aveva dato una lezione; lei se ne stava lì, a meno di un metro di distanza, sorridendo ― e infine ridendo della sua incapacità di fare ciò che la sua condizione di uomo gli imponeva di fare. Così la passiva debolezza aveva sconfitto la forza.

Ma non questa volta.

«Vattene!» Zadin ordinò in arabo.

«No.»

«Ti ucciderò.

«Non passerai.»

«Benny!» gridò un poliziotto ragionevole. Ma era troppo tardi. Perché per Benjamin Zadin le morti dei suoi fratelli a opera degli arabi, il modo in cui sua 51

moglie se n’era andata e il modo in cui questa gente sedeva sulla sua via erano davvero troppo. Con un facile movimento estrasse la sua automatica di servizio e sparò ad Hashimi in piena fronte. Il giovane arabo cadde in avanti, il canto e il battito di mani si fermarono. Uno degli altri dimostranti fece per muoversi, ma due altri lo fermarono e lo trattennero. Altri iniziarono a pregare per i due compagni morti. Zadin puntò la sua pistola contro uno di essi, ma sebbene il suo dito premesse sul grilletto, qualcosa lo fermò. Era l’espressione negli occhi, il coraggio, qualcosa di diverso dalla sconfitta. Risoluzione, forse… e pietà, poiché l’espressione sul viso di Zadin era angoscia che trascendeva il dolore, e poiché l’orrore di quello che aveva fatto si schiantò attraverso la sua coscienza. Aveva mancato di parola con se stesso. Aveva ucciso1 a sangue freddo. Aveva preso la vita di qualcuno che non rappresentava una minaccia. Aveva commesso un assassinio. Zadin guardò i rabbini, cercando qualcosa, non sapeva cosa, ma qualsiasi cosa cercasse, non la trovò. Quando si voltò di nuovo, il canto ricominciò. Il sergente Moshe Levin si avvicinò e prese l’arma del capitano.

«Su Benny, andiamocene via da questo posto.»

«Che cosa ho fatto?»

«È fatta, Benny. Vieni.»

Levin iniziò a condurre via il suo comandante, ma per farlo dovette voltarsi e guardare l’opera di quel mattino. Il corpo di Hashimi era crollato a terra, un rivolo di sangue scorreva tra i ciottoli. Il sergente sapeva di dover fare o dire qualcosa. Non era previsto che andasse così. La sua bocca rimase aperta, mentre voltava il capo da una parte all’altra. In quel momento, i discepoli di Hashimi seppero che il loro capo aveva vinto.

Il telefono di Ryan suonò quando il suo orologio segnava le 2,03 del mattino.

Riuscì a rispondere prima del secondo squillo.

«Sì?»

«Sono Saunders al centro operazioni. Accenda la TV. Tra quattro minuti la CNN trasmette qualcosa che scotta.»

«Me ne parli.» La mano di Ryan annaspò in cerca del telecomando e accese la televisione nella stanza da letto.

«Non ci crederà, signore. L’abbiamo duplicato dal satellite della CNN, e Atlanta lo sta spingendo a razzo in trasmissione. Non riesco a capire come abbia potuto farla franca con la censura israeliana. Comunque…»

«Okay, ci siamo.» Ryan si fregò gli occhi appena in tempo. Il volume del televisore era abbassato per non disturbare sua moglie.

«Ogni commento a ciò che stava vedendo era comunque superfluo. «Dio dei cieli…»

«Più o meno rende l’idea, signore» l’anziano ufficiale concordò con lui.

«Mi mandi subito il mio autista. Chiami il direttore, gli dica di venire subito.

Contatti l’ufficiale di turno all’ufficio segnalazioni della Casa Bianca. Ci penserà 52

lui ad avvertire la gente che lavora là. Abbiamo bisogno del vicedirettore dei servizi segreti e degli esperti per Israele, Giordania ― diavolo, tutta la zona, tutti gli uffici. Si assicuri che il dipartimento di Stato si dia una mossa…»

«Hanno i loro…»

«Lo so. Li chiami comunque. Non dia mai niente per scontato in questo mestiere, va bene?»

«Sissignore. Nient’altro?»

«Sì, mi mandi circa altre quattro ore di sonno.» Ryan riappese il ricevitore.

«Jack… era…» Cathy era seduta sul letto. Aveva appena visto la ripetizione del filmato.

«Lo era sì, piccola.»

«Cosa significa?»

«Significa che gli arabi hanno appena capito come distruggere Israele.» A meno che noi non riusciamo a salvare la situazione.

Un’ora e mezza più tardi, Ryan accese la macchina da caffè dietro la sua scrivania prima di dare una scorsa alle annotazioni del personale notturno.

Sarebbe stata una giornata da caffè. Si era fatto la barba in auto sulla via dell’ufficio, e bastò un’occhiata nello specchio per rendersi conto che non aveva fatto un gran lavoro. Jack attese fino a quando il caffè ebbe riempito la tazza prima di dirigersi nell’ufficio del direttore della Cia Cabot, dove si trovava già Charles Alden.

«Buongiorno» disse il consigliere del Presidente per la sicurezza nazionale.

«Certo» rispose il vicedirettore con voce rauca. «Cosa pensi ci sia di buono?

Lo sa già il Presidente?»

«No, non lo volevo disturbare finché non sapevamo qualcosa di preciso. Gli parlerò quando si sveglia, intorno alle sei. Marcus, che ne pensi dei tuoi amici israeliani adesso?»

«Abbiamo saputo altro, Jack?» chiese il direttore Cabot al suo subordinato.

«Quello che ha sparato è un capitano di polizia, a quanto sembra dai distintivi. Ancora senza nome, senza storia. Gli israeliani l’hanno messo in galera da qualche parte e non lasciano trapelare nulla. Dalla registrazione sembra ci siano due morti sicuri, forse qualcun altro con ferite minori. Il capo della stazione non ha niente da dirci, a parte confermare il fatto che è successo veramente, quindi tutto quello che abbiamo è il materiale dei notiziari.» Ancora, pensò Ryan senza aggiungerlo. Il mattino prometteva già abbastanza male. «La spianata del tempio ora è chiusa, sorvegliata dal loro Esercito, nessuno può entrare né uscire, e hanno anche vietato l’accesso al Muro del Pianto. Ciò potrebbe essere un precedente. La nostra ambasciata non ha ancora detto nulla, stanno attendendo istruzioni da qui. Stessa storia per gli altri. Ancora nessuna reazione ufficiale dall’Europa, ma mi aspetto che cambi entro un’ora. Sono già al lavoro, e hanno visto le stesse immagini trasmesse dal satellite Sky News.»

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«Sono quasi le quattro» disse Alden, dando una stanca occhiata al suo orologio. «Nel giro di tre ore la gente avrà la colazione rovinata ― un diavolo di spettacolo da primo mattino. Signori, penso che stavolta sarà grossa. Ryan, tu l’avevi previsto. Ricordi cosa dicevi il mese scorso?»

«Prima o poi gli arabi dovevano farsi furbi» disse Jack. Alden fece cenno di essere d’accordo. Carino da parte sua, pensò Jack. Aveva detto esattamente la stessa cosa in uno dei suoi libri, diversi anni prima.

«Penso che Israele possa sopravvivere a tutto ciò, hanno sempre…» Jack interruppe il suo direttore.

«Neanche per idea, capo» disse Ryan. Qualcuno doveva dare una regolata a Cabot. «È quello che disse Napoleone circa il morale e il fisico. Israele dipende completamente dalle condizioni del suo morale. Tutta la loro forza sta nel fatto di essere convinti di essere l’unica democrazia della regione. Un concetto che è praticamente morto tre anni fa. Adesso assomigliano a Bull ― come-si-chiama ―

a Selma, in Alabama, con la differenza che lui usava gli idranti. I movimenti per i diritti civili daranno fuori di matto.» Jack fece una pausa per sorseggiare il suo caffè. «È una semplice questione di giustizia. Quando gli arabi tiravano pietre e i loro cocktail incendiari, la polizia poteva dire che stava usando la forza per combattere la forza. Non ora. Entrambe le vittime erano sedute e non stavano minacciando nessuno.»

«È l’atto isolato di un pazzo!» Cabot ribadì con rabbia.

«Non è così, signore. Quello che dice vale per l’arabo ucciso con il colpo di pistola, ma la prima vittima è stata uccisa da due di quei proiettili di gomma sparati da una distanza di più di venti metri, con due colpi mirati esplosi da un’arma a colpo singolo. Si chiama sangue freddo, e non era affatto un incidente.»

«Siamo sicuri che sia morto?» chiese Alden.

«Mia moglie è medico, e a lei sembrava morto. Il corpo ha avuto degli spasmi e poi si è afflosciato, il che significa probabilmente morte da grave trauma cranico. Non possono sostenere che il tipo è inciampato e caduto per terra.

Quello che è successo cambia le carte in tavola. Se i palestinesi sono furbi, raddoppieranno le loro scommesse. Si atterranno a questa tattica e aspetteranno che il mondo risponda. Se faranno così, non potranno perdere» concluse Jack.

«Sono d’accordo con Ryan» disse Alden. «Ci sarà una risoluzione delle Nazioni Unite prima di cena. Dovremo adeguarci, e tutto ciò potrebbe dimostrare agli arabi che la non-violenza è un’arma migliore delle pietre. Cosa diranno gli israeliani? Come reagiranno?»

Alden sapeva quale fosse la risposta. Lo aveva detto per illuminare il direttore; allora Ryan riprese la parola. «Prima di tutto faranno dell’ostruzionismo. Staranno probabilmente mordendosi le mani per non avere intercettato il nastro, ma è un po’ troppo lardi. È stato tutto sicuramente un incidente non previsto ― voglio «lire che il governo israeliano è tanto sorpreso 54

quanto noi ― altrimenti avrebbero bloccato la troupe televisiva. Il cervello di quel capitano di polizia sarà fatto a pezzettini. Per l’ora di pranzo se ne usciranno dicendo che è pazzo ― diavolo, penso proprio che lo sia ― e che è stato un atto isolato. E scontato il modo in cui controllano i danni, ma…»

«Non funzionerà» interruppe Alden. «Il Presidente farà una dichiarazione entro le nove. Non possiamo chiamarlo un tragico incidente. È omicidio a sangue freddo di un dimostrante disarmato da parte di un ufficiale di Stato.»

«Senti, Charlie, è soltanto un incidente isolato» disse ancora il direttore Cabot.

«Sarà anche così, ma l’avevo predetto cinque anni fa.» Il consigliere per la sicurezza nazionale si alzò in piedi e si diresse verso le finestre. «Marcus, l’unica cosa che ha tenuto in piedi Israele per gli ultimi trent’anni è stata la stupidità degli arabi. O non avevano mai capito che la legittimità di Israele è basata interamente sulla sua posizione morale, o non possedevano l’intelligenza per preoccuparsene. Israele è a questo punto di fronte a un’impossibile contraddizione etica. Se è veramente una democrazia che rispetta i diritti dei suoi cittadini, deve garantire agli arabi diritti più ampi. Ma ciò significherebbe mandare al diavolo la sua integrità politica, che a sua volta dipende dal mantenere tranquilli gli estremisti religiosi ― e a quella gente non gliene frega un cazzo dei diritti degli arabi, giusto? Ma se cede ai fanatici religiosi e fa dell’ostruzionismo, cercando di minimizzare quello che è successo, allora non è più una democrazia, e ciò mette in pericolo il supporto politico dell’America, senza il quale non può sopravvivere economicamente o militarmente. Lo stesso dilemma ce l’abbiamo noi. Il nostro appoggio a Israele è fondato sulla sua legittimità politica di democrazia liberale, ma questa legittimità è appena evaporata. Un paese la cui polizia uccide gente disarmata non ha legittimità, Marcus. Non possiamo appoggiare un Israele che fa cose del genere più di quanto potessimo sostenere Somoza, Marcos o qualsiasi altro dittatore da strapazzo.»

«Cristo, Charlie! Israele non è…»

«Lo so, Marcus. Non lo è. Non lo è veramente. Ma l’unico modo in cui può provarlo è cambiando, diventando veramente quello che ha sempre detto di essere. Se gli israeliani fanno dell’ostruzionismo su questa faccenda, Marcus, sono finiti. Si appoggeranno alla loro lobby politica e scopriranno che non esiste più. Se si giungerà a quel punto, metteranno in imbarazzo il nostro governo più di quanto non lo sia ora, e noi dovremo affrontare la probabile necessità di tagliare apertamente i ponti con loro. E non possiamo farlo. Dobbiamo trovare un’alternativa.» Alden si voltò dalla finestra. «Ryan, quella tua idea adesso diventa fondamentale. Io mi occupo del Presidente e del dipartimento di Stato.

L’unico modo per fare uscire Israele da questo casino è trovare un qualche piano di pace che funzioni. Chiama il tuo amico a Georgetown e digli che non è più una faccenda teorica. Chiamalo Progetto PELLEGRINAGGIO. Per domattina ho bisogno di uno schema esauriente di quello che vogliamo fare, e di come lo 55

vogliamo ottenere.» «Mi dai ben poco tempo…» osservò Ryan. «Allora non lasciare che io ti intralci, Jack. Se non ci rimoviamo in fretta, Dio sa cosa può succedere. Conosci Scott Adler al dipartimento di Stato?»

«Abbiamo scambiato qualche parola, ogni tanto.»

«È il miglior uomo di Brent Talbot. Suggerisco che vi incontriate dopo che avrai fatto i controlli che vuoi con i tuoi amici. Lui può coprirti dalla parte del dipartimento di Stato. Non possiamo credere che la burocrazia faccia le cose in fretta. Ti conviene fare le valigie, ragazzo, avrai da fare. Voglio fatti, posizioni, e una valuta-zione chiara e splendente il più in fretta possibile, e la voglio fatta al buio, più al buio che in miniera.» Quest’ultima osservazione era indirizzata a Cabot. «Se tutto funzionerà, non possiamo rischiare che trapeli la benché minima cosa.»

«Va bene» disse Ryan. Cabot si limitò a fare un cenno con il capo.

Jack non era mai stato alla residenza degli insegnanti a Georgetown. Gli parve strano, ma cacciò via quel pensiero mentre la colazione veniva servita al loro tavolino, che guardava su un ampio parcheggio.

«Avevi ragione, Jack» osservò Riley. «Non è stato uh risveglio ideale.»

«Cosa si dice a Roma?»

«La cosa è piaciuta» rispose semplicemente il presidente dell’università di Georgetown.

«Quanto?» chiese Ryan.

«Stai scherzando?»

«Alden mi ha detto due ore fa che l’idea è diventata caldissima.»

Riley commentò la notizia con un cenno del capo. «Si cerca di salvare Israele, Jack?»

Ryan non sapeva quanta ironia ci fosse nella domanda, e le sue condizioni fisiche non invogliavano certo all’umorismo. «Padre, tutto quello che faccio è seguire qualcosa… ordini, ha presente?»

«Ho una certa familiarità con il termine. Il tuo tempismo è stato ottimo,Jack.»

«Forse, ma teniamoci il Nobel per un’altra occasione.»

«Finisci la tua colazione. Possiamo ancora trovare tutti prima di pranzo, e tu hai un pessimo aspetto.»

«Mi sento in pessimo stato» ammise Ryan.

«Tutti dovrebbero smettere di bere intorno ai quaranta» osservò Riley. «Dopo i quaranta diventa difficile.»

«Lei non l’ha fatto» Ryan gli fece notare.

«Io sono un prete. Devo bere. Cosa stai cercando esattamente,

«Se potessimo ottenere un assenso preliminare dalle parti più importanti, vorremmo che i negoziati venissero realizzati il più presto possibile, ma questa parte dell’equazione va fatta con molta cautela. Il Presidente ha bisogno di una 56

rapida valutazione delle sue opzioni. È quello che sto facendo.»

«Israele starà al gioco?»

«Se non lo fanno, sono fottuti ― mi perdoni, ma le cose stanno proprio così.»

«Hai ragione, naturalmente, ma avranno la sensibilità di riconoscere la loro posizione?»

«Padre, il mio compito è raccogliere e valutare informazioni La gente continua a chiedermi di predire il futuro, ma non so come fare. Quello che so è che ciò che abbiamo visto accenderà il più grande incendio dopo Hiroshima, ed è sicuro come l’oro che dobbiamo cercare di fare qualcosa prima che bruci un’intera regione.»

«Mangia. Devo pensare per qualche minuto, e lo faccio meglio quando sto masticando qualcosa.»

Era un buon consiglio, come Ryan scoprì qualche minuto dopo. Il cibo asciugò l’acido prodotto dal caffè nel suo stomaco, e lo avrebbe aiutato a superare quella giornata. Nemmeno un’ora dopo era di nuovo in pista, verso il dipartimento di Stato. All’ora di pranzo era a casa a fare le valigie, e riuscì anche a dormire per tre ore. Passò nuovamente dall’ufficio di Alden alla Casa Bianca, dove fu trattenuto in riunione fino a notte fonda. Alden aveva veramente preso in mano la situazione, e la riunione nel suo ufficio coprì un terreno d’azione molto ampio. Prima dell’alba Jack partì per la base aerea militare Andrews. Fu in grado di chiamare sua moglie dalla saletta per i VIP. Jack aveva sperato di portare il figlio alla partita durante il weekend, ma non ci sarebbe stato alcun weekend per lui. Arrivò un corriere dalla CIA, dal dipartimento di Stato e dalla Casa Bianca, e consegnò duecento pagine di dati che Jack avrebbe dovuto leggere durante il suo viaggio attraverso l’Atlantico.