5 Il circo Progresso
Un giorno d'estate, il sole non era ancora sceso tra i vapori dell'immensa pianura come faceva ogni sera, e arrivarono in città i cavallerizzi e i tamburi di un circo che nessuno mai aveva sentito nominare: il circo Progresso! Dopo aver stamburato in lungo e in largo davanti alla stazione ferroviaria e lungo il Corso, i cavallerizzi si fermarono nella piazza del municipio e si disposero in cerchio attorno a un uomo vestito con una marsina blu trapunta di stelle, che muoveva il bastone da passeggio come se fosse stato uno scettro, e aveva in testa un cappello a cilindro di colore rosso vivo. Monelli e passanti applaudirono quelle giravolte e l'uomo, allora, si tolse di testa il cilindro e si inchinò in varie direzioni. «Permettete che mi presenti, - disse al pubblico.
- Voi mi avete già conosciuto in tanti luoghi e in tante circostanze, ma non mi avevate mai visto di persona e non pensavate, forse, di poter ascoltare la mia voce. Io sono il signore del vostro tempo, chiamato Progresso. Sono io che faccio correre le vostre locomotive a duecento chilometri all'ora, e che vi permetto di volare, con i gas, sopra le montagne più alte del mondo ! Sono io che metto in comunicazione con il telegrafo i paesi lontani, e che vi libero dalle febbri malariche! La ragione per cui mi trovo ora nella vostra città, è che vi ho portato il mio circo; un circo senza acrobati e senza pagliacci, che vi mostrerà, grazie alla magia di uno strumento chiamato teatro ottico, il più straordinario e istruttivo degli spettacoli: lo spettacolo dell'evoluzione dell'uomo e della mia nascita! » I tamburi rullarono. L'uomo dalla marsina trapunta di stelle si rivolse verso le finestre delle case, che erano tutte aperte a causa del caldo. «Nobili cittadini e gentili signore!
- gridò alle persone affacciate alle finestre. - Voi che avete avuto dalla sorte questa immensa fortuna, di essere nati nella mia epoca, non lasciatevela sfuggire! Non rimanete indietro rispetto al tempo in cui vivete! A partire da mar della prossima settimana e per pochissimi giorni, nella piazza davanti al castello della vostra città, il circo Progresso vi mostrerà l'avventura della Terra e dell'uomo: chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo ! Accorrete numerosi e portate con voi anche i vostri figli più piccoli, quelli che dovranno vivere nel secolo ventesimo: il nostro circo gliene darà un'anticipazione! A martedì prossimo! » La mattina del giorno successivo, era domenica e la carovana del circo Progresso, con i suoi carri blu e rossi dipinti di stelle si materializzò sui bastioni della nostra città, più o meno nell'ora in cui i sacerdoti di tutte le chiese gridavano ai fedeli riuniti per la messa domenicale che il Papa personalmente aveva definito il progresso «il nuovo Satana, che si nasconde dietro le lusinghe di un benessere soltanto materiale», e che attira gli uomini verso la perdizione! Il materialismo, il liberalismo, il socialismo e tutte le forme del libero pensiero - gridavano i sacerdoti - erano state dichiarate eretiche, così come la massoneria che le aveva prodotte e che ora mandava in giro per l'Italia questa carovana di scomunicati e di impostori chiamata circo Progresso, per negare Dio e la sua opera più eccelsa, cioè la creazione, in nome di una fumosa teoria pseudoscientifica detta evoluzionismo!
Alcuni parroci, un po' meno scalmanati degli altri, si limitarono a proibire ai loro parrocchiani, minacciandoli con l'Inferno e con il fuoco eterno, di avvicinarsi alla tenda del circo e di assistere allo spettacolo che era stato annunciato. Altri si spinsero più oltre e incitarono i fedeli a «fare scudo con i loro petti» e a vigilare perché la comunità dei credenti non venisse dispersa dall'assalto degli «ismi», che elencarono puntualmente: l'anticlericalismo, l'anarchismo, il nichilismo, il darwinismo, l'edonismo, il comunismo...
Quale aspetto avessero gli ismi, e cosa fossero, non fu specificato; ma ci fu in città chi dovette prendere abbastanza sul serio l'ipotesi che qualcuno volesse affrontarli e sterminarli, perché nella piazza davanti al castello, fino dalle prime ore del pomeriggio, si videro guardie regie e carabinieri, che passeggiavano avanti e indietro e osservavano gli operai intenti all'allestimento del tendone del circo, come se si fossero trovati per caso a passare di li. Lunedì, pian piano, la grande cupola di tela prese forma, e si vide che era composta di due parti: un padiglione centrale rotondo, alto una quindicina di metri, e un altro padiglione più basso che gli girava tutt'attorno come una ciambella.
Cartelloni e manifesti a stampa del circo Progresso furono affissi agli incroci delle principali strade e davanti alla stazione ferroviaria, e tutti fino all'ultimo vennero imbrattati durante la notte con scritte in vernice bianca che dicevano: «Dio c'è» e «Abbasso il progresso». Ricomparvero i cavallerizzi in tutte le piazze, e l'uomo con la marsina a stelle ripetè il suo discorsetto in varie parti della città, dovunque c'erano dei curiosi che si fermavano ad ascoltarlo. Martedì alle sette di sera, un'ora prima che il circo aprisse i battenti, la grande piazza incominciò a riempirsi di persone che agitavano crocifissi o immagini benedette e che si rifiutavano di obbedire all'ordine del delegato di pubblica sicurezza, di disperdersi perché la loro manifestazione non era stata autorizzata. Volevano vedere in faccia - dissero - gli adoratori del nuovo Satana, e volevano pregare per loro. Quale legge gli vietava di pregare in pubblico? Dopo molte esortazioni, molte chiacchiere e qualche minaccia abbastanza esplicita di ricorrere alla forza, il delegato si rassegnò a lasciarli dov'erano, perché non aveva altre possibilità: con le buone non se ne andavano, e non era il caso, almeno per il momento, di sparargli addosso...
Arrivarono i primi spettatori e tra essi l'avvocato Alfonso Pignatelli, che sull'angolo della piazza improvvisò un breve discorso - così appassionato da potersi definire un'invettiva - contro quelli che lui stesso defini «i nuovi crociati dell'oscurantismo». «Io mi considero un buon cristiano come e più di voi, - disse l'avvocato agli uomini e alle donne con le croci: - e do retta ai preti quando mi spiegano il Vangelo; ma mi rifiuto di credere che la scienza sia in contrasto con la religione, e che la nostra ragione sia in contrasto con il suo creatore, cioè con Dio. Sono passati più di duecent'anni dai tempi di Galileo e della caccia alle streghe, e sarebbe ora che anche la Chiesa si decidesse ad ammettere i suoi errori, invece di continuare a lanciare anatemi, come fa, contro tutto ciò che non può sapere e che non riesce a capire...» Alcune persone che erano ferme davanti al botteghino dei biglietti, applaudirono le sue parole e le commentarono ad alta voce: «Bene! Bravo! E così che si parla! Non se ne può più di questa invadenza dei preti!
Una cosa è la religione, e un'altra cosa è la scienza! » L'avvocato teneva per mano due bambini che erano la sua primogenita Maria Maddalena e l'ultimo figlio del conte Raffaele, Costanzo; l'intero gruppo, però, era composto di cinque persone, perché insieme a loro c'erano anche i due fratelli maggiori di Costanzo, la piccola Maria Gabriella di dieci anni e il contino Giacomo di dodici. Un po' più avanti dell'avvocato e dei suoi figli e nipoti, nella fila che si stava formando davanti all'ingresso del circo, c'erano altri due abitanti della nostra casa, il portinaio Costantino e sua moglie Giblon: che per venire allo spettacolo avevano dovuto lasciare in custodia i loro gemelli alla signora Ester. Il cartello al botteghino diceva: «Ingresso 20 centesimi. Operai e bambini 15 centesimi», e Costantino fu colto da un dubbio.
«I bambini è facile riconoscerli, almeno fino a una certa età, - disse al cassiere. - Ma come si fa a riconoscere gli operai ? Devono mettersi il grembiule di tela anche quando vanno a divertirsi, per poter pagare un soldo in meno dei loro padroni?» L'uomo alla cassa lo guardò da sopra gli occhiali. Scosse il capo: «Il progresso è fiducia. Se tu mi dici: sono un operaio, io ti stacco un biglietto da quindici centesimi, anche se ti presenti vestito con il frac e hai in bocca un sigaro da una lira. Perché non dovrei crederti?» «Siamo due operai, - disse Costantino, indicando se stesso e la moglie. - Lei lavora al mercato, e io aggiusto gli orologi».
La galleria tutt' attorno al padiglione centrale era dedicata - secondo ciò che diceva una scritta - ai «nuovi mondi» e ai loro abitanti, ed era divisa in quattro settori: America, Africa, Asia e Oceania. In ogni settore c'erano scenari dipinti con i paesaggi caratteristici di ciascuno dei continenti sopra nominati, e manichini di cartapesta a grandezza naturale che rappresentavano gli uomini e gli animali di quella parte del mondo. Gli spettatori passavano da un emisfero all'altro del nostro pianeta con la stessa facilità con cui sarebbero passati dal salotto alla cucina di casa loro, e manifestavano la loro meraviglia quasi a ogni passo, con i gesti e con le esclamazioni. Si dicevano, per esempio: «Ecco il coyote ! Chi lo sapeva che i bisonti erano così grandi ? Quello deve essere il serpente a sonagli»; e così di seguito. Nel settore dell'America, a destra di chi entrava, c'erano delle montagne cariche di neve (forse, le Montagne Rocciose), molto simili a quelle che si vedono dai bastioni della nostra città nelle giornate di sole. C'erano, inoltre: uno sceriffo a cavallo, con la famosa rivoltella Colt appesa alla cintura e con il fucile Winchester a tracolla; un bisonte; un cow-boy con il lazo; un cercatore d'oro inginocchiato vicino a un ruscello, che teneva in una mano il setaccio, e nell'altra mano una pepita più grande di una noce. A sinistra, invece, c'era un deserto roccioso; nel deserto c'erano un pellerossa a cavallo, con in testa il tradizionale emblema di piume d'aquila e il tomahawk tra le mani; un coyote; un indio sotto un cactus, avvolto nel poncho e con il viso nascosto dal sombrero. Il settore, però, che fece più impressione sul piccolo Giacomo fu quello dell'Africa, per la bellezza degli scenari ma soprattutto per il numero e la varietà degli animali selvatici.
La prima cosa che vi si vedeva, entrando, era un cielo infuocato nell'ora del tramonto, dietro le sagome scure dei baobab e degli altri alberi tropicali. Gli esseri umani si notavano in un secondo momento ed erano, sulla destra, un indigeno di pelle nera che teneva in mano una lancia e si riparava dietro uno scudo, e, sulla sinistra, un nomade del deserto, un po' meno nero dell'indigeno e infagottato in un enorme mantello. Dalla parte opposta a quella del tramonto erano dipinti gli animali che si nutrono d'erba: le zebre, le giraffe, le antilopi, le gazzelle, e a poca distanza da loro c'erano i loro nemici naturali, cioè i carnivori, che sembravano aver fiutato le prede. Tra le erbe alte della savana, quasi in gruppo, si vedevano il leone, il leopardo, lo sciacallo, il licaone, la iena... In basso, in mezzo al pubblico, un ippopotamo e un rinoceronte di cartapesta, immensi e neri, impaurivano i bambini con la loro mole; e c'era anche un elefante che sollevando la proboscide arrivava a toccare il cielo, cioè la tenda. Il contino Giacomo rimase incantato a guardarlo e l'avvocato Alfonso, dopo aver chiamato due volte il nipote, dovette tornare indietro a prenderlo per mano.
Gli chiese, in tono di rimprovero: «Perché non rispondevi?
Cosa c'era, laggiù, di così interessante?» «Io, da grande, voglio fare l'esploratore, - disse Giacomo.
- Voglio andare in Africa! » Suo zio sorrise e gli strinse una guancia tra le dita. «Sì, sì, certo, - rispose. - È una cosa possibile. Però, intanto, devi continuare a studiare...» Stretti pigiati tra la folla che via via s'ingrossava, i nostri personaggi attraversarono il settore dell'Asia, con il vulcano Fujiama, le tigri della Malesia, i cobra, i maragià e i monaci tibetani; e poi quello dell'Oceania, con i canguri, gli struzzi, gli antropofagi e gli atolli, che sono vulcani sommersi e trasformati in isole. Finalmente, dopo aver compiuto il giro del mondo, arrivarono nel padiglione centrale: dove c'erano tre macchinari, le «lanterne magiche», collocati su altrettanti piedestalli davanti a un grande lenzuolo. La gente si sedette sulle panche attorno al lenzuolo, le luci si abbassarono e le lanterne incominciarono a proiettare le loro immagini dissolventi, che si integravano e si avvicendavano così rapidamente da creare, a tratti, l'illusione del movimento.
L'uomo con la marsina blu trapunta di stelle - il Progresso in persona! - incominciò a spiegare agli spettatori, aiutandosi con il suo solito bastone, ciò che vedevano nelle immagini: la Terra, le acque, il Sole, la nascita della vita, mentre un musicista eseguiva al pianoforte alcuni brani, che dovevano dare la percezione fisica dello scorrere del tempo. I piccoli Costanzo, Maria Maddalena e Maria Gabriella non capivano niente; e, siccome si annoiavano, incominciarono a darsi pizzicotti e a tirarsi calci, costringendo l'avvocato a sgridarli. Il contino Giacomo capì qualcosa, ma non molto, di un processo di trasformazione degli organismi viventi, che partendo dalle alghe del mare e dai molluschi aveva dato vita ad animali sempre più evoluti, prima a sangue freddo e poi a sangue caldo, e finalmente era arrivato a produrre il suo capolavoro, cioè l'animale uomo! L'uomo - disse il Progresso, e il pianoforte accompagnò le sue parole con una serie di note alte e solenni - rappresenta il culmine dell'evoluzione ed è l'unico animale dotato di intelletto esistente nel nostro pianeta, ma non certo nell'universo...
Poi le immagini ripresero a scorrere. Si videro i nostri progenitori, cioè le scimmie, in atteggiamenti quasi umani: uno scimpanzè seduto a tavola stava mangiando una banana con forchetta e coltello; un orango componeva tra loro alcune lettere dell'alfabeto fino a formare una parola, in risposta a una domanda dell'istruttore; infine, una femmina di gorilla, spaventosa per la mole e per l'aspetto animalesco, si teneva accanto il suo piccolo e lo sgridava quando lui si allontanava dal branco, proprio come avrebbe fatto una donna... «Molti scienziati, - disse il Progresso, sono persuasi che sia esistito in passato, e che forse esista ancora in qualche parte del mondo, un essere intermedio tra la scimmia e l'uomo; e anche alcuni esploratori, ai giorni nostri, si sono impegnati a cercare questa superscimmia, che è l'anello mancante nella catena dell'evoluzione; ma non sono riusciti a trovarla». Mentre il Progresso parlava, i bambini che costituivano una parte notevole del pubblico gridavano e si rincorrevano tra le panche e le rovesciavano, disturbando lo spettacolo e costringendo i genitori ad alzarsi, dopo che tutti i rimproveri si erano dimostrati inutili, per accompagnarli fuori della tenda. Alcuni uomini che erano venuti al circo incuriositi dall'anatema dei preti, perché pensavano di vedere chissà cosa - forse donne nude... - approfittarono del trambusto per svignarsela senza essere notati; e la baraonda era tale che il Progresso, a un certo punto, fece fermare le immagini e restò in attesa di poter riprendere la sua spiegazione. Ci fu anche chi protestò: «Basta! Smettetela! Lasciateci capire qualcosa!» Soltanto quando tutti i disturbatori furono usciti, lo spettacolo del teatro ottico potè continuare. Comparvero i villaggi della preistoria e poi, pian piano, si assistette al sorgere della civiltà, con i nostri antenati che incominciavano a fondere i metalli, a navigare, a sfruttare la forza dell'acqua e quella del fuoco. Si videro le grandi realizzazioni del mondo antico, le piramidi, gli acquedotti, gli anfiteatri, le fortificazioni, le strade; si assistette alla scoperta dei nuovi continenti e alla nascita delle nuove macchine a vapore capaci di macinare, di tessere, di segare, di viaggiare, di stampare, di sollevare pesi e di fare tutto ciò che per millenni era stato fatto con la forza degli animali o dell'uomo stesso, e anche ciò che non era mai stato fatto perché si pensava che fosse impossibile.
Arrivò il secolo decimonono: l'epoca della scienza, della tecnica e del trionfo della ragione su ogni genere di ostacoli. La musica, a questo punto, crebbe d'intensità; ci fu il finale travolgente e poi si riaccesero le luci. Il Progresso si tolse il cappello e si inchinò, e gli spettatori superstiti, dopo averlo applaudito senza troppo entusiasmo, si alzarono e si diressero verso l'uscita, commentando ad alta voce ciò che avevano visto. Alcuni erano soddisfatti, ma i più affermavano di non essersi mai annoiati tanto in vita loro, o confessavano la loro delusione. Tra questi ultimi c'era la Giblon. «Si, lo so, - fu sentita dire al marito mentre uscivano dal circo, - che la storia di Adamo ed Eva e del paradiso terrestre è una favola inventata dai preti, e io non ci credo; ma non credo nemmeno a quest'altra storia che mi fa discendere dalle rane e dai pesci. Com'è possibile che da una rana venga fuori una donna? Io ci passo le mie mattine, dietro il banco al mercato, a pelare rane e a guardare le tinche che boccheggiano dentro ai loro secchi, e l'idea che noi siamo i loro discendenti mi sembra proprio cretina... » Anche Giacomo si era annoiato, come i suoi fratelli e cugini; e per vincere la monotonia delle immagini che scorrevano sul lenzuolo senza mai fermarsi, aveva ripensato al paesaggio dell'Africa, con il tramonto che incendiava il cielo sopra la savana e le belve acquattate nell'erba... C'era qualcosa, in quei colori violenti e in quella natura ancora in parte sconosciuta, che esercitava su di lui un'attrazione strana e forse inspiegabile, ma certamente forte. E poi, lo aveva indotto a fantasticare anche quell'enigma di cui aveva parlato il Progresso, dell'animale metà scimmia e metà uomo, che non si trovava da nessuna parte. «L'uomo-scimmia è certamente in Africa, - si era detto; - e sarò forse io, un giorno, quello che arriverà a scoprirlo ! »