Rosey era pronta, aveva scelto il suo stallone. Si chiamava Silver e la stava guardando intimorito. Erano soli, nella stalla.
Capendo di non avere scelta, il cavallo pensò che fosse meglio fare quello che andava fatto in fretta.
Rosey si strofinò contro il suo corpo massiccio e possente e, proprio quando si stava sistemando davanti a lui, sentì alcune voci provenire dall’esterno. Una era chiaramente quella del fattore, Don Quinn, ma a chi apparteneva l’altra? Le era familiare. Era una voce dolce, di donna. Silver fu lieto di quell’interruzione, perché quella cavalla lo spaventava. Spaventava tutti alla fattoria, a dire il vero.
I due cavalli drizzarono le orecchie e rimasero in ascolto, ansiosi. Le voci si fecero più vicine, ora giungevano da oltre la grossa porta di legno.
“Sì, Mr. Quinn,” diceva la donna con tono suadente, “la cavalla che lei ha acquistato oggi pomeriggio sembra fare al caso mio!”
Rosey si avvicinò piano alla porta della stalla, in ascolto. Sollevò il muso e inalò l’aria.
Adesso era Mr. Quinn, a parlare. “Be’, Miss... scusi, non ricordo il suo nome,” ma la donna rimase in silenzio. “A essere sincero, non sono certo di volerla vendere, è forte come un bue e...”
“Pagherò il triplo del suo valore, quanto è costata?” lo interruppe l’altra.
“La vuole proprio, eh! Posso chiederle perché?” Quinn era sbalordito.
“No.”
Rosey udì Quinn che apriva la porta della stalla. Ma mentre il contadino tirava il chiavistello, la porta si spalancò all’improvviso e lui cadde a terra. Rimase disteso, tramortito, a domandarsi che cosa fosse accaduto.
Rosey non perse tempo: si lanciò fuori, al galoppo a tutta la velocità che le zampe mortali le consentivano, saltando steccati e siepi con la sua solita grazia e fenomenale potenza.
Sucuba si mise le mani attorno alla bocca e gridò divertita: “Corri, Rosey!”. Poi cominciò a ridere, deliziata da quello spettacolo. “Corri come il vento, piccola!”
La voce di Sucuba che la scherniva faceva su Rosey l’effetto di mille frustate che la spronavano a correre ancora più veloce.
Quinn faticava a rialzarsi, così decise di restare seduto nell’erba per un po’.
Sucuba lo guardò con scherno.
“Chi diavolo è lei?” chiese alla donna, prima di realizzare che il cavallo fuggito si stava ormai allontanando.
“Ryan, corri, presto! Uno degli animali sta scappando...” la sua voce divenne un sussurro, “...e c’è un grosso corvo nero sul prato.” Dove pochi istanti prima aveva visto la donna, ora un corvo sbatteva le ali prima di alzarsi in volo.
Intanto, Rosey proseguiva la sua fuga. Superò l’ennesima siepe, alla disperata ricerca di un riparo. A ogni salto si sentiva più stanca, era senza fiato e stava perdendo velocità. Le sue zampe mortali tremavano e cedevano sotto i colpi della fatica.
Sucuba volteggiava con eleganza sopra di lei, le ali spiegate. Rosey la udì gracchiare e quel suono le spezzò il cuore. Sapeva che sarebbe stato tutto inutile.
Un altro steccato e le zampe di Rosey si fecero ancora più deboli. Si trovò davanti a una siepe, ce la mise tutta per superarla ma il corpo non le ubbidì. Cadde a terra di schianto e sentì il rumore di una zampa che si spezzava. Sdraiata nell’erba, chiuse gli occhi.
Sucuba planò lentamente come una foglia al vento. Le sue strida gioiose si fecero assordanti nelle orecchie di Rosey. Teneva gli artigli d’argento raccolti sotto il ventre, come letali fiori di metallo. Mentre il corvo nero la raggiungeva, Rosey giaceva immobile e nella sua mente riviveva il suo sogno per l’ultima volta: suo figlio era un maschio e le assomigliava come una goccia d’acqua. Era nero, tranne che per una larga macchia color argento sull’occhio, proprio come quella del padre. Si abbeveravano da un fiume in cui scorreva acqua fresca e pulita. Dopo aver giocato dove la corrente era più calma, li raggiungeva Silver, e con lui andavano a cercare nuovi pascoli e prati verdi....
Sucuba atterrò.
“Volevo solo avere un cucciolo,” supplicò debolmente Rosey, prima di entrare in un’oscurità senza fine.