Ecumus aveva appena finito di spazzare il salotto quando udì delle grida provenire dall’esterno. Si affacciò alla finestra per cercare di capire quale fosse il motivo di tanta confusione.
Davanti alla caverna c’erano tre angeli inginocchiati che piangevano. Si stringevano l’uno all’altro, mentre alcuni demoni cacciatori si davano da fare per legare loro mani e piedi.
‘È un’epidemia,’ pensò Ecumus. ‘Hanno scoperto un varco per giungere qui, ma sono troppo stupidi per trovare l’uscita. Ultimamente ne arrivano un sacco, e fanno sempre questa fine...’
I demoni ridacchiavano, divertendosi a tormentare i prigionieri. All’improvviso la finestra cominciò a vibrare e un forte vento sollevò nuvole di terra. Il vento si fece più violento, mentre le enormi ali di un demone si agitavano nell’aria. “Mercabor!” esclamò Ecumus spaventato, richiudendo velocemente la finestra. Recuperò la scopa e riprese a spazzare, fingendosi molto impegnato.
Mercabor atterrò con un rumore sordo e la nuvola di polvere si posò a terra. Alla vista del loro signore e padrone, i demoni cacciatori si misero a danzare e a gridare per l’eccitazione.
La curiosità di Ecumus ebbe la meglio sulla paura, così il demone socchiuse la finestra per scoprire che cosa stava accadendo.
Mercabor sorrideva, troneggiando sopra i tre prigionieri.
“Pietà, ti prego!” supplicò uno degli angeli, ma questo non fece che aumentare il piacere di Mercabor.
Il suo sorriso scoprì denti lunghi e affilati come pugnali.
“Pietà?” disse. “Non la conosciamo, da queste parti!”
I demoni schernivano gli angeli terrorizzati, facendone il verso: “Ti preeeeeego... pieeeetaaaà”.
“Spezzategli le ali,” ordinò Mercabor, “e portateli alla Montagna Remota.”
I demoni si misero al lavoro. Ecumus non riusciva a staccare gli occhi dagli angeli. Piangevano in silenzio, rassegnati al loro destino. Poco dopo arrivò un altro gruppo di demoni, armati di enormi martelli. Ecumus chiuse di scatto la finestra. Non avrebbe sopportato quello spettacolo.
Aveva i nervi tesi e trasalì quando sentì la porta aprirsi alle sue spalle. Era il suo padrone, il Triste Mietitore. “Sanno che perderanno la guerra,” annunciò quello con tono soddisfatto.
Intanto, fuori dalla caverna, i demoni spezzavano le ali degli angeli, colpendole brutalmente con i pesanti martelli. Nemmeno le finestre chiuse riuscivano ad arginare le grida di dolore e terrore.
“Perché continuano a venire quaggiù?” chiese Ecumus.
“Cercano di scoprire quali sono i nostri piani, che cosa faremo nel giorno del giudizio. Sono disperati: hanno capito che li schiacceremo.”
Il Mietitore si accese la pipa e passò il suo sacco nero a Ecumus. Poi si accomodò nella sua poltrona preferita, mentre l’altro svuotava il sacco delle anime nel pozzo Tritadannati. Il piccolo servitore si tappò le orecchie con le mani e fece una smorfia. Si alzò il solito coro di suppliche e grida, mentre nelle profondità della terra le fauci si chiudevano affondando i denti affilati nelle anime. Da lì i dannati sarebbero stati distribuiti ai luoghi e ai compiti loro assegnati.
Ecumus osservò il suo padrone con perplessità e poi scelse con cura le parole.
“Non dovresti, essere... ehm... fuori con il cavallo? Sai, a raccogliere le anime di chi trapassa?” Si mangiava le unghie per l’agitazione. “Non spetta a me giudicare, lo so, ma se il Capo scopre che non sei al lavoro...”
Il teschio del Mietitore si voltò e fissò con le sue orbite vuote il viso di Ecumus. Seguì un lungo silenzio.
“Apri la finestra,” disse.
Ecumus eseguì. I demoni, ghignando di soddisfazione, trascinavano gli angeli per le ali spezzate in direzione della Montagna Remota, da cui non sarebbero mai più tornati.
“Il Capo vuole vedermi,” annunciò poi il Mietitore, allegramente.
“Non hai paura?” chiese Ecumus dopo una veloce riflessione.
L’Angelo della Morte svuotò il posacenere nel pozzo mentre Ecumus si tappava di nuovo le orecchie. Nella caverna risuonarono i colpi di tosse e i versi di disgusto delle anime. Il Mietitore sorrise.
“Perché dovrei avere paura?”
Ecumus fece per accarezzarsi la barbetta grigia, quando si ricordò, non senza una certa tristezza, di non averla più. Non era molto intelligente, e lo sapeva. Nell’Ade circolava il detto che la vera oscurità si trovava nello spazio tra le sue orecchie martoriate dal fuoco. Il Mietitore allungò le braccia verso l’alto e tutte le ossa della sua spina dorsale schioccarono all’unisono. “Ah, che sollievo.”
“Sai già perché vuole vederti?”
Il Mietitore chiamò a raccolta tutta la pazienza di cui era capace.
“Ascoltami bene, mio piccolo insignificante amico. Ho raccolto le anime dannate degli uomini sin dalla prima alba del mondo. Ho bisogno di un po’ di riposo, me lo merito. Qualcosa mi suggerisce che il nostro Signore mi ha convocato per concedermelo, finalmente.”
“Che cosa significa?”
“Significa che vado in vacanza: avrò le ferie che gli ho chiesto nel corso di tutti i passati millenni! Non che gli ci sia voluto poco a decidersi...” Il Mietitore abbassò il tono di voce. “Dal giorno della Divisione non ho fatto altro che correre avanti e indietro da questa regione infernale a quella terra insanguinata.”
Ecumus smise di cercare la sua barba invisibile. C’era qualcosa che gli sfuggiva. “Ma non puoi andare in vacanza,” esclamò infine.
“Chi ha detto che non posso?” urlò il Mietitore. La voce risuonò nella caverna e fece sobbalzare Ecumus.
Il piccolo servitore trasaliva sempre quando il suo padrone gridava così, non era mai riuscito ad abituarsi.
“Volevo dire che, siccome sei l’Angelo della Morte, se non ci sei tu, chi...”
Il Mietitore chiuse una mano a pugno e si soffermò a studiarla.
“Oh, sono sicuro che riuscirai a cavartela, Ecumus, dopo tutto si tratta solo di qualche anno, non è nulla di troppo impegnativo, davvero.”
Ecumus osservò con attenzione il suo padrone, guardò il suo pugno e parlò con voce tremante.
“Ma... io non ho idea di come si faccia. Non ho esperienza, non sono mai nemmeno salito su un cavallo... io...”
“Silenzio!” comandò il Mietitore. “Io ho bisogno di questa vacanza, sono esausto,” disse imbronciato, “se Gabriele fa le ferie, allora ne ho diritto anche io! Benché debba ammettere che di questi tempi è meno impegnato di me, ma comunque...”
“Ma lui è in Paradiso,” insistette Ecumus, “là le cose sono diverse.” Riprese a darsi da fare con la scopa, perché si sentiva sempre più nervoso. “Le anime blu, quelle che vanno in Paradiso, sono calate del venti pertento quest’anno.”
“Si dice per cento,” lo corresse il Mietitore.
“Va bene, ma comunque dalle loro parti sono meno impegnati.”
“ ‘Gli uomini dovranno scegliere fra il Bene e il Male’ ha detto Jehovah, giusto?”
“Già, ma chissà perché arrivano tutti da noi...”
“Proprio così, ed è per questo motivo che sta mandando tutti questi angeli a spiarci nell’inutile tentativo di scoprire i nostri piani di battaglia. La resa dei conti è vicina e io avrò le ferie: il Capo sa che ho bisogno di recuperare le energie prima che cominci la Battaglia Finale. Non dimenticare che saremo io, Carestia, Guerra e Pestilenza i protagonisti dell’intero spettacolo. Non posso certo arrivare esausto al gran momento, no?”
“Capisco,” mentì Ecumus.
“Sai perché Gabriele può andare in vacanza, Ecumus? Te lo spiego io!”
Ecumus si allontanò verso il lavello e cominciò ad asciugare nervosamente i piatti. Ultimamente, il suo signore era sempre più intrattabile.
“Può avere le ferie perché ha un sostituto competente, ecco perché!” esclamò il Mietitore. “Quel mollaccione sentimentale di Gabriele ha al suo fianco un angelo femmina che brilla per intelligenza e che gli para il culo quando lui non c’è! E guarda invece a me chi è toccato!”
Continuando ad asciugare i piatti, Ecumus fingeva di non sentire. La conosceva a memoria quella litania, l’aveva sentita quasi tutti i giorni a partire dalla Divisione.
“E pare anche che la sua assistente sia un angelo di incredibile bellezza,” aggiunse il Mietitore riaccendendosi la pipa.
Ecumus intonò una canzone, stonando: era il suo modo di non pensare alle parole cattive del Capo. L’Angelo della Morte si appoggiò soddisfatto allo schienale della poltrona di pelle e cominciò a fantasticare su come avrebbe trascorso il suo meritato periodo di riposo. Aveva chiesto le ferie ogni anno negli ultimi tremila anni, senza che mai gli fossero concesse.
Crogiolandosi nelle sue fantasie, il Triste Mietitore si domandava quanto sarebbe stata lunga la sua vacanza. Magari decenni! Ma chi avrebbe potuto prendere il suo posto? Nonostante la sua ottusità, Ecumus aveva ragione: il carico di lavoro era in costante aumento. Scacciò questi pensieri cupi, che rovinavano l’atmosfera rilassata in cui già si sentiva immerso. Il Capo avrebbe trovato una soluzione.
‘Forse non è così stronzo come sembra, dopotutto,’ pensò sorridendo.