Che gonna magnifica, a palloncino, la gamba vi sfilava ancora più sottile, lo stelo d’una margherita. Bellezza! Aveva una vita così piccola come mai aveva visto in nessun’altra.

Certo era ancora vergine, non aveva partorito, i fianchi non si erano svallati a causa della gravidanza. La gravidanza lo distruggeva il corpo d’una femmina e, anche a restare magra nel resto del corpo, il punto vita non tornava mai più come prima. Ed era quello che, a occhio nudo, distingueva subito le vergini dalle maritate.

Peccato che ancora al paese non fossero arrivate le macchine fotografiche, perché una simile bellezza, un corpo simile, da cavalla purosangue, andava immortalato in mille pose, pensò Leo quando se la vide davanti, Gioiella, alta quanto lui, se non più, sui tacchi dei sandali rossi.

Poteva mai essere insensibile al piacere del sesso una ragazza così sensuale, come madrenatura l’aveva fatta? A meno che, in coerenza al principio che tutto non si poteva avere nella vita, Dio le aveva dato altezza bellezza sensualità, ma non il piacere del sesso, che era anche una dote di natura, la più importante in una femmina.

Senza impulsi di sesso, che differenza c’era tra lei e una statua? Se abbracciate, entrambe sarebbero rimaste immobili, gelide, senza quelle serpi di sangue, che accendevano il piacere o, come già qualcuno lo chiamava, in Palermo, l’eròs.

Certo poteva essere andata proprio così, ma sarebbe stata una disgrazia, e per lui una presa per il culo, e non aveva con chi prendersela, a chi spaccare la faccia, visto che a prenderlo per il culo era la sorte. Non ci voleva pensare, non poteva rassegnarsi a questa tragica eventualità. Voleva sperare, essere ottimista.

«Sì, facciamo domani sera» gli disse finalmente Gioiella, «ma non prima delle sei. Il cavaliere è partito ieri per il suo giro d’affari, tieni conto che Ferruccio, il professore, se ne va alle cinque, cinque e mezzo, ma mai un minuto più tardi. Questo è sicuro, perché alle sei in punto, con la madre, già recita il rosario al sacro Cuore di Gesù, pregando che torni a battere.»

Ultimamente, infatti, il Cuore di Gesù faceva capricci, qualche sera se ne stava fermo, muto, e la madre di Ferruccio perdeva la testa, lo torturava, gliene dava la colpa per essersi spretato, per non pregare più con la fede d’un tempo. E per punire lui, il Signore puniva lei, la privava del miracolo, un miracolo unico al mondo, il sacro cuore che batteva solo nella sua casa pum pum pum.

«Ti faccio sempre la stessa raccomandazione, làvati, dalla testa ai piedi, làvati bene, al profumo ci penso io. C’è quello del Cavaliere, ne ha tanti, e lui non torna prima d’una settimana dal suo giro.»

Cazzo sembrava telecomandata, uno di quei meccanismi con comportamenti umani che, in America, si chiamavano robbò, e che Gerri aveva decantato in fabbrica come massimo esempio di tecnologia all’avanguardia, con cui sostituire gli operai loquaci, mentre i silenziosi non correvano rischi di licenziamento.

Gli diceva, ancora una volta, di lavarsi tutto, dagli occhi al buco del culo, con la stessa aria di comando, con cui glielo avevano detto al servizio di leva, solo che la sua era voce di femmina e quella era voce di caporale.

Non c’era stato un solo momento in cui i suoi occhi si fossero accesi, pensò Leo, vicinissimo ormai alla meta. Lo snobbava, ancora, lo guardava dal suo piedistallo come un pezzente o, peggio, come un coglione, ma appena l’avesse avuta di sotto, corpo a corpo, le sue cosce di cavalla tra le sue, non c’era più scampo per lei, l’avrebbe accesa tutta come una candelora, accesa a vita, quella stronza.

Ore minuti secondi, uno a uno, li aveva contati, aspettando quel momento. Un supplizio di nervi, mattino, mezzogiorno, notte, col corpo che protestava e gli sparava dolore ovunque, e il suo carattere, furioso di natura, represso come un mulo preso a pedate.

Non c’era proprio niente che potesse fare, aveva valutato ogni ipotesi, e azzerato ogni ipotesi. Andarci, varcare quella soglia sacra, e chi era lui per fare questo? Nessuno. Erano giorni di lutto, solo i parenti stretti erano autorizzati alla visita. E se il cazzo di Gerri si mangiava la foglia, e lo licenziava su due piedi, senza ascoltare nemmeno domineddio? Quello un caino era, quando si fissava.

Lui sarebbe rimasto col culo a terra, senza paga, mentre gli serviva ogni lira della sua paga, fino all’ultimo centesimo. Con quei soldi ci doveva ancora pagare metà del biglietto per l’America, che costava più d’un matrimonio di contadini, mobili compresi, asino e cavallo compresi.

L’America gli cambiava la vita, non lo sticchio d’una ragazza, per quanto molto gli piacesse. Aveva dunque solo aspettato, torturandosi, e masturbandosi, ogni giorno e ogni notte, più volte di giorno, più volte di notte. Con l’ossessione di Gioiella negli occhi, e un inferno nei sensi, che non volevano saperne di prudenza e buonsenso. E gli davano del minghia, gli si ribellavano, lo azzannavano, lo facevano giustiziare da una congiura di muscoli e nervi, che la smania dell’attesa centuplicava, rendeva sempre più aggressivi.

Nessuna mai aveva desiderato tanto, nessuna mai lo aveva fatto penare tanto, eppure ne aveva avute anche di più belle, con occhi buttàni, occhi di fuoco, che gli accendevano il sangue all’istante e, in pochi attimi, in pochi spasimi, la piena del sangue arrivava al suo cazzo.

Alla ragazza mancava un’anima gioiosa, eppure, viveva senza pensieri di niente, viveva da ricca, quasi figlia del padrone. Non le mancava nulla e, anche in fabbrica, la guardavano con soggezione, perché non era alla mano e non sorrideva mai.

Non sorrideva proprio mai, neanche con gli occhi sorrideva, mai una spiga di luce nella pupilla, e così gli occhi sembravano sempre cupi, autoritari, minacciosi.

Bella era bella, ma le mancava la bellezza della gioventù, quella che avevano tutti alla sua età. E tutti da giovani facevano minghiate, senza scrupoli, senza freni, tutti si lasciavano andare a quello che veniva, a come cazzo veniva, e vivevano. E anche se gli mancava il pane, non gli mancava l’amore, perché la giovinezza accendeva velocissimo l’istinto come la piccola vampariglia d’un fiammifero.

Una volta erano risate, una volta lacrime, per passaggi rapidi bruschi, senza spiegazioni, senza riflessioni. A quello serviva la gioventù, a riflettere bastava il tempo infinito della vecchiaia.