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Di un ispettore che indaga per proprio conto e di
una ragazza che va incontro al suo destino
Mentre Janvier entrava nell’edificio per vedere se fosse quello giusto, Maigret, con le mani in tasca, rimase sul bordo del marciapiede: rue de Ponthieu, pensò, era un po’ come il retroscena degli Champs-Élysées, o come la scala di servizio di casa sua. A ogni grande arteria di Parigi, infatti, si accompagna, spesso parallela, una strada più stretta e animata con piccoli bar e negozi di alimentari, ristoranti per autisti e alberghi a buon mercato, barbieri e botteghe di artigiani.
Lì davanti c’era appunto un bistrot dove gli venne voglia di entrare, e stava giusto per farlo quando apparve Janvier.
«È qui, capo!».
Al primo tentativo avevano già fatto centro. La guardiola non era certo più luminosa della maggior parte delle guardiole parigine, ma la portinaia era giovane, piacente, e accanto a lei c’era un bimbetto che giocherellava in un box di legno.
«Siete anche voi della polizia, vero?».
«Perché dice “anche voi”?».
«Perché già ieri sera, quando stavo per andare a dormire, è venuto uno dei vostri. Un tipo basso dall’aria così triste che prima di accorgermi che era raffreddato ho creduto che gli fosse appena morta la moglie e che piangesse per questo».
Difficile non sorridere a quella descrizione del Lagnoso.
«Che ora era?».
«Circa le dieci. Mi stavo spogliando dietro il paravento e ho dovuto dirgli di aspettare. Siete qui anche voi per la stessa cosa?».
«Suppongo che l’abbia interrogata a proposito della signorina Armenieu...».
«E della sua amica, quella che è stata uccisa».
«L’ha riconosciuta dalla fotografia sul giornale?».
«Sì, mi è sembrato che fosse lei».
«Era una sua inquilina?».
«Mettetevi a sedere, prego. Se permettete, continuo a preparare la pappa del bambino. E toglietevi pure il cappotto se avete troppo caldo».
Quindi domandò:
«Appartenete allo stesso settore del poliziotto di ieri? Non so perché ve lo chiedo, in fondo non mi riguarda. Come ho detto al vostro collega, la vera inquilina, quella che aveva preso in affitto l’appartamento, era la signorina Armenieu, la signorina Jeanine, come la chiamavo io. Adesso si è sposata, ne hanno parlato anche i giornali. Lo sapevate?».
Maigret annuì.
«Ha abitato qui a lungo?».
«Circa due anni. Quando è arrivata, era giovanissima, una novellina inesperta, e scendeva spesso a chiedermi consigli».
«Aveva un lavoro?».
«A quell’epoca faceva la dattilografa in un ufficio qui vicino, non so esattamente dove, e ha preso il piccolo appartamento del terzo piano, che dà sul cortile ma è molto carino».
«L’amica viveva con lei?».
«Sì. Ma, come appunto le dicevo, era la signorina Jeanine a pagare l’affitto, e il contratto era a suo nome».
Sembrava ben felice di parlare. E le veniva ancor più facile in quanto aveva già fornito quelle informazioni la sera prima.
«So già quello che state per domandarmi. Sono andate via circa sei mesi fa. Per essere più precisi è stata la signorina Jeanine ad andarsene per prima».
«Ma non era lei l’affittuaria dell’appartamento?».
«Infatti. Mancavano tre o quattro giorni alla fine del mese, e una sera la signorina Jeanine è venuta qui, si è seduta proprio dove sta lei e mi ha detto:
«“Ne ho abbastanza, signora Marcelle. Questa volta ho deciso di chiudere”».
«Chiudere con che cosa?» chiese Maigret.
«Con quell’altra, la sua amica Louise».
«Non andavano d’accordo?».
«È proprio quello che vorrei cercare di spiegarle. La signorina Louise non si fermava mai qui da me a chiacchierare, e non so quasi niente di lei, se non quello che mi raccontava la sua amica. Insomma, ho sentito una sola campana. All’inizio credevo che fossero sorelle, o cugine, o amiche d’infanzia. Poi ho saputo dalla signorina Jeanine che si erano semplicemente conosciute in treno due o tre mesi prima».
«Non erano affiatate?».
«Sì e no. Difficile dirlo. Ne ho viste sfilare un bel po’ di ragazze di quell’età. Anche adesso ne abbiamo qui due che ballano al Lido e un’altra che fa la manicure al Claridge. Quasi tutte mi raccontano le loro vicende. Anche la signorina Jeanine, dopo qualche giorno, ha fatto così. Ma l’altra, quella Louise, non si è mai confidata. Per un po’ ho pensato che fosse altezzosa, poi mi è venuto il dubbio che si trattasse invece di timidezza, e sono ancora propensa a crederlo.
«Vede, commissario, quando queste ragazze arrivano a Parigi e si sentono sperdute in mezzo a milioni di persone, o tirano fuori la grinta, fanno le spavalde, non temono di dire ad alta voce quello che pensano, o si richiudono in se stesse.
«La signorina Jeanine apparteneva piuttosto al primo tipo. Non aveva paura di niente. Usciva quasi tutte le sere. Già dopo poche settimane rientrava alle due o alle tre del mattino, e aveva imparato a vestirsi come si deve. E dopo nemmeno tre mesi una notte l’ho sentita salire con un uomo.
«La cosa non mi riguardava. In casa sua era libera di fare quello che voleva. Non è un pensionato per educande, questo».
«Avevano una camera per ciascuna?».
«Sì. Però Louise sicuramente sentiva tutto, e al mattino, per andare in bagno o in cucina, doveva aspettare che l’uomo se ne fosse andato».
«È stato questo a guastare i rapporti?».
«Non potrei dirlo con certezza. In due anni succedono tante cose, e qui ci sono ventidue inquilini. Non potevo certo prevedere che una di loro sarebbe finita morta ammazzata».
«Che cosa fa suo marito?».
«Il maître in un ristorante di place des Ternes. Non le secca, vero, se intanto do da mangiare al bambino...».
Lo sistemò sul seggiolone e prese a imboccarlo senza perdere il filo del discorso.
«Tutto questo l’ho raccontato ieri al vostro collega, che ha preso anche degli appunti. Se volete sapere come la penso, vi dirò che la signorina Jeanine aveva ben chiaro quello che desiderava ed era decisa a ottenerlo con ogni mezzo. Sceglieva attentamente con chi uscire. La maggior parte degli uomini che ho visto passare qui aveva una bella macchina, e al mattino, quando portavo fuori i bidoni della spazzatura, la vedevo parcheggiata davanti al portone. E non erano necessariamente giovani. Nemmeno vecchi, però. Quello che cerco di dirvi è che divertirsi non era il suo unico scopo.
«Quando mi faceva delle domande, capivo subito dove voleva arrivare. Per esempio, se qualcuno le dava appuntamento in un ristorante che lei non conosceva, ci teneva a sapere se si trattava di un ristorante chic o no, e come doveva vestirsi per l’occasione...
«Non ci ha messo più di sei mesi a conoscere come le sue tasche il bel mondo parigino».
«L’amica l’accompagnava qualche volta?».
«Solo quando andavano al cinema».
«E Louise come passava le serate?».
«Per lo più se ne stava in casa. Capitava che facesse una passeggiata, ma senza mai allontanarsi molto, come se avesse paura.
«Avevano pressappoco la stessa età, ma la signorina Louise, in confronto all’altra, era una bambina.
«Questo, ogni tanto, esasperava la signorina Jeanine. Una volta mi ha detto:
«“Ah! Se solo avessi dormito, su quel treno, invece di mettermi a chiacchierare con lei!”.
«All’inizio, però, sono sicura che non le dispiacesse avere qualcuno con cui parlare. Non so se l’ha notato anche lei, ma quasi tutte le ragazze che vengono a cercar fortuna a Parigi vanno a vivere in due.
«Poi, a poco a poco, cominciano a detestarsi.
«Ed è successo anche a loro, tanto più che la signorina Louise non riusciva ad adattarsi alla nuova vita e cambiava continuamente posto di lavoro.
«Non era molto istruita. Pare che facesse degli errori di ortografia, il che le impediva di lavorare in un ufficio. Quando veniva assunta come commessa, le capitava sempre qualche disavventura. Il padrone cercava di portarsela a letto, per esempio, oppure era un caporeparto.
«E lei, invece di far capire con diplomazia che non era un tipo così, andava su tutte le furie, li schiaffeggiava, o se ne andava sbattendo la porta. Una volta, nella ditta dove lavorava ci sono stati dei furti, e hanno sospettato di lei, che era sicuramente innocente.
«Noti che tutto questo me l’ha raccontato la sua amica. Da parte mia so soltanto che c’erano dei periodi in cui la signorina Louise non aveva un lavoro e usciva più tardi del solito per precipitarsi all’ennesimo indirizzo trovato sugli annunci economici».
«Mangiavano in casa?».
«Quasi sempre. Tranne quando la signorina Jeanine mangiava fuori con degli amici. L’anno scorso sono andate insieme a passare una settimana a Deauville. O meglio sono partite insieme, ma la piccola – voglio dire Louise – è tornata prima e Jeanine è rientrata parecchi giorni dopo. Non so cosa sia successo laggiù, ma sono state un bel po’ senza parlarsi pur continuando a vivere nello stesso appartamento».
«Louise riceveva posta?».
«Mai lettere personali, tanto che ho perfino creduto che fosse orfana. Ma ho poi saputo dall’amica che aveva una madre nel Midi, una mezza pazza che non si occupava della figlia. Di tanto in tanto, quando la signorina Louise rispondeva a degli annunci economici, riceveva delle lettere su carta intestata, e il loro contenuto non era certo un mistero».
«E Jeanine?».
«Una lettera da Lione ogni due o tre settimane. Di suo padre, che è vedovo e vive là. Ma soprattutto messaggi per posta pneumatica, per fissarle degli appuntamenti».
«Quando le ha manifestato il suo desiderio di sbarazzarsi dell’amica?».
«Ha cominciato a parlarne più di un anno fa, un anno e mezzo diciamo, ma succedeva sempre quando avevano litigato, o quando l’altra perdeva il posto per l’ennesima volta. Allora Jeanine sospirava:
«“Se penso che ho lasciato mio padre per essere libera e mi ritrovo questa imbranata sul gobbo!”.
«L’indomani, però, o due giorni dopo, era contenta di averla ancora con sé, ne sono convinta. Un po’ come tra coniugi. Siete sposati tutti e due, immagino...».
«Jeanine Armenieu ha disdetto l’appartamento sei mesi fa, giusto?».
«Proprio così. Negli ultimi tempi era molto cambiata. Si vestiva meglio, con cose più costose intendo dire, e frequentava posti decisamente esclusivi. Le capitava di non rincasare anche per due o tre giorni, riceveva fiori e scatole di cioccolatini che provenivano dalla rinomata pasticceria La Marquise de Sévigné. Allora ho capito.
«Una sera è venuta a sedersi qui in portineria e mi ha annunciato:
«“Questa volta me ne vado sul serio, signora Marcelle. La casa non c’entra nulla, il fatto è che non posso abitare per sempre con quella ragazza”.
«“Non mi dirà che sta per sposarsi...” ho detto scherzando.
«Lei non ha riso, e ha mormorato:
«“Non subito. Quando succederà, lo verrà a sapere dai giornali”.
«Doveva aver già conosciuto il signor Santoni. Era sicura di sé e aveva sulle labbra un sorrisetto molto eloquente.
«Ho continuato a scherzare:
«“M’inviterà al matrimonio?”.
«“Questo non glielo prometto, ma le manderò un bel regalo”».
«Lo ha fatto?» chiese Maigret.
«Non ancora, ma probabilmente lo farà. Ad ogni modo è arrivata là dove voleva, e adesso si gode la luna di miele in Italia. Tornando a quella sera, mi ha confidato che andava via senza dir niente all’amica e che avrebbe cercato di non farsi più rintracciare da lei.
«“Sennò, quella riuscirà ancora a starmi addosso!”.
«Detto fatto: ha approfittato di un momento in cui l’altra non era in casa per portar via le sue due valigie, e per maggior sicurezza non mi ha neppure lasciato un indirizzo.
«“Passerò ogni tanto a vedere se c’è posta”».
«L’ha rivista?».
«Tre o quattro volte. Mancavano alcuni giorni alla scadenza del contratto d’affitto, e l’ultima mattina la signorina Louise è venuta a dirmi che era costretta a lasciare l’appartamento. Le confesso, commissario, che mi ha fatto pena. Non piangeva, ma mentre parlava le tremavano le labbra e si vedeva che era molto turbata. Come bagaglio aveva solo una piccola valigia blu. Le ho domandato dove pensava di andare, e mi ha risposto che non lo sapeva.
«“Se vuole restare ancora per qualche giorno, finché non trovo un altro inquilino....
«“La ringrazio tanto, ma preferisco di no...”.
«Era proprio da lei. L’ho vista allontanarsi lungo il marciapiede, con la valigia in mano, e quando ha girato l’angolo ho avuto l’impulso di richiamarla per darle un po’ di soldi».
«È tornata anche lei a trovarla?».
«È tornata, sì, ma non per farmi visita. Mi ha chiesto l’indirizzo della sua amica, e io le ho risposto che non lo sapevo. Ma secondo me non mi ha creduto».
«Perché voleva rintracciarla?».
«Per tornare a vivere con lei, probabilmente, o per chiederle del denaro. Da com’era vestita era facile capire che le cose non le andavano bene».
«Quando è venuta l’ultima volta?».
«Poco più di un mese fa. Avevo appena letto il giornale, che era ancora lì, appoggiato sul tavolo. Forse avrei dovuto star zitta.
«“Non so dove abiti la signorina Jeanine,” le ho detto “ma si parla proprio di lei nella cronaca mondana”.
«Infatti, c’era scritto qualcosa come:
«“Marco Santoni, rappresentante in Francia del vermut italiano, passa le sue serate da Maxim’s con un’affascinante indossatrice, Jeanine Armenieu”».
Maigret lanciò un’occhiata a Janvier, che aveva capito. Giusto un mese prima, Louise Laboine era andata in rue de Douai per prendere in affitto un abito da sera da Mademoiselle Irène. Non aveva forse intenzione di recarsi da Maxim’s per incontrare l’amica?
«Sa se poi l’ha vista?».
«No, non l’ha vista. La signorina Jeanine è venuta a trovarmi qualche giorno dopo, e quando gliel’ho chiesto si è messa a ridere:
«“Andiamo spesso a cena da Maxim’s, è vero, ma non tutte le sere” mi ha detto. “E poi, non credo che avrebbero lasciato entrare la povera Louise”».
«Ha raccontato tutto questo anche all’ispettore che è venuto ieri sera?» domandò Maigret.
«Forse con meno particolari, perché certe cose mi sono venute in mente dopo».
«Gli ha detto qualcos’altro?».
Il commissario cercava di scoprire che cosa, nel racconto che la donna gli aveva appena fatto, avesse potuto indurre Lognon a lanciarsi su una pista. La sera prima, alle dieci, l’ispettore si trovava in quella stessa portineria, e da quel momento si erano perse le sue tracce.
«Mi date un momento per mettere a nanna il bambino?».
Gli lavò la faccia, lo cambiò lì, sul tavolo, e si diresse con lui verso una specie di alcova, da dove la si sentì bisbigliare teneramente.
Quando tornò, pareva un po’ più preoccupata.
«Adesso mi domando se quello che è successo non sia colpa mia. Se queste benedette ragazze non facessero tanti misteri, sarebbe tutto più semplice! Capisco che la signorina Jeanine per non essere infastidita dall’amica, non mi abbia lasciato il suo indirizzo. Ma l’altra, la signorina Louise, avrebbe potuto ben darmelo, il suo.
«Dieci giorni fa, forse un po’ di più, non ricordo bene, è venuto un uomo che mi ha chiesto se abitava qui una certa Louise Laboine.
«Gli ho risposto che se n’era andata da diversi mesi ma che viveva ancora a Parigi, che non conoscevo il suo indirizzo e che ogni tanto passava di qui».
«Che tipo di uomo era?».
«Uno straniero. Inglese o americano, mi è sembrato di capire dall’accento. Non era uno ricco, e neppure elegante. Un ometto mingherlino, che, ecco, assomigliava un po’ all’ispettore di ieri. Non so perché, ma mi ha fatto pensare a un clown.
«Sembrava deluso, e ha insistito per sapere se contavo di vederla presto.
«“Forse domani, forse tra un mese” gli ho risposto.
«“Le lascerò due righe”.
«Si è seduto al tavolo, mi ha chiesto un foglio e una busta e ha scritto qualcosa a matita. Ho messo la lettera in una casella vuota e non ci ho più pensato.
«Quando è tornato, tre giorni dopo, la lettera era ancora lì e lui c’è rimasto malissimo.
«“Non potrò aspettare a lungo” mi ha detto. “Tra un po’ dovrò partire”.
«Gli ho chiesto se era importante e lui mi ha risposto:
«“Per lei, sì. Molto importante”.
«Ha ripreso la lettera e ne ha scritta un’altra. Ci ha messo più tempo, questa volta, come se avesse dovuto prendere una decisione. Alla fine me l’ha data con un sospiro».
«Lo ha rivisto?».
«Proprio l’indomani. Tre giorni dopo, di pomeriggio, è venuta a trovarmi la signorina Jeanine. Era molto eccitata e mi ha detto:
«“Sentirà presto parlare di me dai giornali”.
«Aveva fatto acquisti nel quartiere ed era carica di pacchetti che provenivano dai migliori negozi.
«Le ho raccontato di quel tipo mingherlino e della lettera per la signorina Louise.
«“Se solo sapessi dov’è...”.
«Lei ci ha riflettuto un po’ su, poi mi ha detto:
«“Forse potrebbe affidarla a me. Conosco bene Louise, e non appena saprà dai giornali dove sto, verrà subito a cercarmi...”.
«Ho esitato un momento, poi ho pensato che avesse ragione».
«E le ha consegnato la lettera?».
«Sì. Lei ha dato un’occhiata alla busta e l’ha messa nella borsetta. Al momento di uscire mi ha detto:
«“Presto riceverà il suo regalo, signora Marcelle!”».
Con la testa china e lo sguardo fisso sul pavimento, Maigret taceva.
«È quanto ha riferito anche all’ispettore, vero?».
«Credo proprio di sì. Vediamo un po’... No, non mi pare che avrei potuto aggiungere qualcos’altro».
«Si è fatta vedere Louise, da allora?».
«No».
«Dunque non sapeva che la sua ex amica aveva una lettera per lei...».
«Penso di no. E ad ogni modo non è da me che eventualmente ha potuto saperlo».
In quel quarto d’ora Maigret aveva scoperto ben più di quanto avesse sperato. Solo che la pista si fermava lì.
Più che a Louise Laboine ora il commissario pensava a Lognon, come se, in quell’inchiesta, il Lagnoso avesse voluto improvvisamente attribuirsi il ruolo più importante.
Era arrivato fin lì e aveva raccolto le stesse informazioni.
Dopodiché era sparito dalla circolazione.
Un altro, sapendo quello che aveva saputo lui, avrebbe telefonato subito a Maigret per metterlo al corrente e chiedere istruzioni. Lognon, no! Aveva voluto andare fino in fondo da solo.
«Sembra preoccupato, commissario» osservò la portinaia.
«Suppongo che l’ispettore non le abbia detto niente, non abbia fatto nessuna considerazione...».
«No. Mi ha ringraziato ed è uscito girando a destra».
Che avrebbe potuto fare Maigret, se non ringraziare a sua volta e andarsene? Senza neanche consultarlo, trascinò Janvier nel bistrot che aveva adocchiato poco prima, ordinò due pernod e bevve il suo in silenzio.
«Telefona al secondo distretto e vedi se hanno sue notizie. Se non ne sanno niente, chiama la moglie, e per finire assicurati che non abbia contattato il Quai».
Quando Janvier uscì dalla cabina, Maigret stava centellinando un secondo aperitivo.
«Niente!».
«C’è una sola spiegazione: deve aver telefonato in Italia».
«Pensa di farlo anche lei?».
«Sì. Ma dall’ufficio, così otterremo la comunicazione più in fretta».
Quando ci arrivarono, quasi tutti erano andati a pranzo. Maigret si fece dare la lista degli alberghi di Firenze, scelse i più lussuosi e, alla terza telefonata, l’hotel confermò che i signori Santoni erano effettivamente loro ospiti. Al momento non si trovavano nella loro suite: ne erano usciti mezz’ora prima per scendere al ristorante.
Fu proprio lì che, poco dopo, Maigret riuscì a contattarli. Per fortuna il maître, che aveva lavorato a Parigi, sapeva un po’ di francese.
«Vuole per favore chiedere alla signora Santoni di venire al telefono?».
Il maître eseguì, ma quella che giunse a Maigret fu una voce maschile, alquanto aggressiva.
«Le sarei grato se volesse spiegarmi che storia è questa».
«Con chi parlo?».
«Sono Marco Santoni. Questa notte ci hanno svegliato col pretesto che la polizia di Parigi aveva bisogno di un’informazione urgente. Oggi ci perseguitate al ristorante...».
«Mi scusi, signor Santoni. Sono il commissario Maigret, della Polizia giudiziaria».
«Continuo a non capire cos’abbia a che vedere mia moglie con...».
«Non ce l’abbiamo con lei. Il fatto è che una delle sue vecchie amiche è stata assassinata».
«È quello che ci ha raccontato anche il tipo di stanotte. E allora? Non è una buona ragione per...».
«Sua moglie aveva ricevuto in consegna una lettera, e questa lettera ci permetterebbe probabilmente...».
«E dovete telefonarci due volte per questo? Mia moglie ha detto tutto quello che sapeva all’ispettore».
«Ma quell’ispettore è sparito».
«Ah!».
La collera gli era sbollita.
«In questo caso le chiamo mia moglie. Spero che poi la lascerete in pace ed eviterete che il suo nome esca sui giornali».
Si udirono dei bisbigli. Evidentemente Jeanine si trovava nella cabina con il marito.
«Pronto!» disse.
«Voglia scusarmi, signora. Lei sa già di cosa si tratta. La portinaia di rue de Ponthieu le ha consegnato una lettera destinata a Louise».
«Sì. E rimpiango di essermene occupata».
«Che fine ha fatto quella lettera?».
Jeanine restò in silenzio, tanto che Maigret per un attimo pensò che fosse caduta la linea.
«Gliel’ha data la notte delle sue nozze, quando Louise è venuta al Roméo per incontrarla?».
«Ma no! Non mi ero di certo portata dietro la lettera la sera del mio matrimonio».
«È per via di questa lettera che Louise è venuta a cercarla?».
Di nuovo un silenzio, come se Jeanine esitasse.
«No. Lei non sapeva nemmeno che esistesse».
«Che cosa voleva, allora?».
«Che le prestassi del denaro, naturalmente. Era al verde, la padrona di casa l’aveva messa alla porta e non le restava che suicidarsi. Questo non l’ha detto chiaramente. Con Louise, niente è mai chiaro».
«Le ha dato del denaro?».
«Tre o quattromila franchi. Non li ho contati».
«Le ha accennato alla lettera?».
«Sì».
«In che termini esattamente?».
«Le ho detto cosa c’era scritto».
«L’aveva letta?».
«Sì».
Ancora silenzio.
«Non è stato per curiosità, padronissimo di non credermi. E neppure sono stata io ad aprirla. Il fatto è che Marco me l’ha trovata nella borsetta. Gli ho raccontato la storia e lui non mi ha creduta. Allora gli ho detto:
«“Aprila, vedrai tu stesso”».
A questo punto Jeanine si rivolse sottovoce al marito, che era rimasto nella cabina.
«No, no,» gli disse «meglio dire la verità. La scopriranno comunque».
«Ricorda cosa c’era scritto?».
«Non parola per parola. Era scritta male, in cattivo francese, con molti errori di ortografia. In sostanza, diceva:
«“Ho qualcosa di molto importante da consegnarle e devo incontrarla al più presto. Chieda di Jimmy al Pickwick’s Bar in rue de l’Étoile. Sono io. Se non ci fossi, il barman le dirà dove trovarmi”.
«È sempre lì, commissario?».
Maigret stava buttando giù qualche appunto e borbottò:
«Vada avanti».
«Poi continuava:
«“Può darsi che io non possa fermarmi a lungo in Francia. In questo caso lascerò il documento in questione al barman, che le chiederà di dimostrare la sua identità. Capirà dopo”».
«È tutto?».
«Sì».
«Ha riferito a Louise il contenuto della lettera?».
«Sì».
«Le è sembrato che capisse di cosa si trattava?».
«Non subito. Poi però ha assunto un’espressione diversa, come se pensasse a qualcosa, e se n’è andata ringraziandomi».
«Durante la notte ha avuto sue notizie?».
«No. Come avrei potuto? Solo due giorni dopo, scorrendo per caso un giornale, ho saputo che era morta».
«Pensa che ci sia andata, al Pickwick’s Bar?».
«È probabile, non crede? Lei cosa avrebbe fatto al suo posto?».
«Qualcun altro, oltre a lei e a suo marito, era al corrente di quel messaggio?».
«Non saprei. La lettera è rimasta nella mia borsa per due o tre giorni».
«Lei abitava all’Hôtel Washington, vero?».
«Sì».
«E lì ha ricevuto visite?».
«Solo Marco».
«Dov’è adesso la lettera?».
«Devo averla messa via con altre carte».
«Le sue cose sono ancora all’albergo?».
«No di certo. Ho portato tutto da Marco alla vigilia del matrimonio, tranne gli oggetti da toilette e qualche vestito che il cameriere è andato a prendere il giorno stesso. Crede che quel messaggio abbia a che vedere con la sua morte?».
«È possibile. Louise ha fatto qualche osservazione in proposito?».
«No, nessuna».
«Le ha mai parlato di suo padre?».
«Un giorno le ho domandato chi era l’uomo della fotografia che teneva nel portafoglio, e mi ha risposto che era suo padre.
«“È ancora vivo?” ho insistito.
«Mi ha guardato con l’aria di chi ha dei segreti e non vuole parlarne. Così ho lasciato perdere. Un’altra volta che discutevamo dei nostri genitori, le ho chiesto:
«“Cosa fa tuo padre?”.
«Mi ha fissato allo stesso modo, in silenzio. Era un tipo così. Non è il caso di parlarne male adesso che è morta, ma...».
Probabilmente, a quel punto, il marito pensò bene di farla tacere.
«Le ho detto tutto quello che sapevo, commissario».
«E io la ringrazio. Quando contate di tornare a Parigi?».
«Fra una settimana».
Janvier aveva seguito la telefonata da una derivazione.
«Abbiamo scoperto la pista di Lognon, mi pare» disse con un risolino.
«Conosci il Pickwick’s Bar?».
«L’ho visto passando da quelle parti, ma non ci sono mai entrato».
«Neanch’io. Hai fame?».
«Ho ancora più fretta di sapere».
Maigret aprì la porta dell’ufficio attiguo e domandò a Lucas:
«Notizie di Lognon?».
«Ancora niente, capo».
«Se chiama, puoi trovarmi al Pickwick’s Bar, in rue de l’Étoile».
«Ah, capo, poco fa si è presentata una donna che gestisce un meublé in rue d’Aboukir. Ci ha messo un po’ a decidersi, ma pare che negli ultimi giorni avesse così tanto da fare che non ha trovato il tempo di leggere il giornale. Insomma, è venuta a dirci che Louise Laboine ha abitato da lei per quattro mesi».
«In che periodo?».
«Di recente. Ha lasciato la camera due mesi fa».
«Quando si è sistemata in rue de Clichy...».
«Già. Lavorava come commessa in boulevard Magenta, in uno di quei negozi che hanno un banco di capi in saldo sul marciapiede. La ragazza ci ha passato parte dell’inverno, si è presa la bronchite e ha dovuto stare a letto una settimana».
«E chi la curava?».
«Nessuno. Stava in una specie di mansarda, all’ultimo piano di una casa di quart’ordine abitata soprattutto da nordafricani».
Adesso quasi tutto sembrava ritrovare la giusta collocazione sulla scacchiera. Era possibile ricostruire la storia della ragazza da quando si era allontanata da Nizza e dalla madre, fino alla notte in cui aveva raggiunto Jeanine al Roméo.
«Andiamo, Janvier?».
Restava solo da scoprire cosa aveva fatto per circa due ore l’ultima notte.
Il tassista l’aveva vista in place Saint-Augustin e poi all’angolo di boulevard Haussmann con faubourg Saint-Honoré, mentre si dirigeva, sempre a piedi, verso l’Arc de Triomphe.
Era la strada da seguire per andare in rue de l’Étoile.
Louise, che non aveva mai saputo organizzare la sua vita, e che, per aggrapparsi a qualcosa, aveva trovato solo una ragazza incontrata su un treno, camminava in fretta, tutta sola sotto la pioggia sottile, quasi impaziente di andare incontro al suo destino.