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Di una signora che si guadagna da vivere giocando alla roulette, di una zitella felice di spifferare quel che sa e di una ragazzina che si nasconde sotto il letto

Due o tre volte, quel pomeriggio, Maigret, alzando la testa dalle carte, aveva guardato il cielo e, visto che era di un bell’azzurro terso, con nuvole orlate d’oro e con il sole che rifulgeva sui tetti, si era interrotto sospirando ed era andato ad aprire la finestra.

Ogni volta non faceva in tempo a tornare alla scrivania, dopo aver assaporato una folata di quell’aria primaverile in grado di dare un gusto particolare alla sua pipa, che le carte iniziavano a fremere, a sollevarsi e a sparpagliarsi poi per la stanza.

Già le nuvole, lassù, non erano più bianche e oro ma di un grigio azzurrognolo, e la pioggia cadeva in diagonale, scrosciava sul davanzale della finestra mentre, sul pont Saint-Michel, la gente allungava di colpo il passo come nei vecchi film muti e signore e signorine si tenevano giù le gonne.

La seconda volta non era più l’acqua a cadere, ma chicchi di grandine che rimbalzavano come palline da ping-pong, tanto che Maigret, dopo aver chiuso la finestra, ne trovò parecchi in mezzo alla stanza.

Chissà se Lognon era ancora in giro, con lo sguardo triste e le orecchie basse, come un cane da caccia, intento a battere Dio sa quale pista tra la folla... Era possibile. Probabile, anzi. Non aveva telefonato. L’ombrello non se lo portava mai dietro, e non era tipo da ripararsi in un portone come gli altri passanti aspettando che l’acquazzone finisse, ma, al contrario, doveva provare un’amara voluttà nel lasciarsi inzuppare, nell’essere il solo, in pieno nubifragio, a camminare lungo i marciapiedi, vittima dell’ingiustizia e della propria coscienza.

Quanto a Janvier, era tornato in ufficio verso le tre leggermente brillo. Era raro vederlo così, l’occhio più acceso del solito, la voce più allegra.

«Ci siamo, capo!».

«Come sarebbe?».

A sentirlo c’era da credere che avesse trovato la ragazza viva.

«È come diceva lei».

«Spiegati».

«Ho fatto passare tutti i bar, tutti i caffè».

«Si vede».

«La ragazza si è fermata solo all’angolo di rue Caumartin con rue Saint-Lazare. Il cameriere che l’ha servita si chiama Eugène.

«È un uomo calvo, abita a Bécon-les-Bruyères e ha una figlia più o meno della stessa età della giovane morta».

Janvier schiacciò la sigaretta nel portacenere e ne accese un’altra.

«È arrivata verso le dieci e mezzo e si è seduta in un angolo, vicino alla cassa. Sembrava che avesse freddo e ha ordinato un grog. Poi, quando Eugène glielo ha servito, ha chiesto un gettone del telefono ed è entrata nella cabina per uscirne quasi subito. Da quel momento, e fino a mezzanotte circa, ha tentato almeno dieci volte di parlare con qualcuno».

«Quanti grog ha bevuto?».

«Tre. Lasciava passare qualche minuto, poi tornava nella cabina e componeva un numero».

«È riuscita a parlare, alla fine?».

«Eugène non lo sa. Si aspettava ogni volta di vederla scoppiare in lacrime, ma non lo ha fatto. A un certo punto ha cercato di scambiare due parole e lei lo ha guardato senza rispondere. Tutto quadra, dunque. La ragazza è uscita dal negozio di rue de Douai poco dopo le dieci. Ha avuto il tempo di scendere a piedi fino a rue Caumartin ed è rimasta nel caffè, cercando di raggiungere qualcuno al telefono, fino a quando si è diretta verso il Roméo. Tre grog, per una ragazza, non è roba da poco. Doveva essere un po’ brilla».

«E completamente al verde» osservò Maigret.

«È vero. Non ci avevo pensato. Adesso cosa faccio?».

«Non hai niente per le mani?».

«Solo i normali lavori di routine».

Ora anche Janvier era chino sulle scartoffie, certo rammaricandosi di aver già concluso il giro dei caffè.

Quanto a Maigret, sfogliava fascicoli, prendeva appunti e di tanto in tanto telefonava a qualche collega di un altro settore. Erano quasi le cinque quando vide entrare Priollet che, prima di sedersi, domandò:

«Disturbo?».

«Per niente. Sto mettendo a posto vecchie pratiche».

«Conosci Lucien, uno dei miei ispettori, che abita vicino a casa tua?».

Maigret se ne ricordava vagamente. Era uno tracagnotto, con barba e capelli molto scuri, la cui moglie teneva un’erboristeria in rue du Chemin-Vert. D’estate questo Lucien usava stare sulla soglia del negozio, e appunto lì Maigret lo aveva visto spesso quando passava, con sua moglie, per andare a cena dal dottor Pardon.

«Un quarto d’ora fa, per scrupolo, ho fatto anche a lui la domanda che ho rivolto a tutti i miei uomini».

«A proposito di Jeanine Armenieu?».

«Già. E mi ha guardato aggrottando le sopracciglia.

«“È strano” ha detto. “Mia moglie me ne ha parlato proprio a pranzo, ma non ci ho fatto molta attenzione. Aspetti, sto cercando di ricordarmi le sue parole... Ecco:

«“‘Ti ricordi di quella bella rossa col seno prosperoso che abitava nella casa qui accanto? Be’, ha fatto un matrimonio miliardario. Per la festa di nozze hanno affittato un intero locale notturno’”.

«“Mia moglie ha detto anche il suo nome. È proprio Armenieu. E ha aggiunto:

«“‘Penso che non verrà più da me a comprare le ventose’”».

Forse anche Maigret l’aveva incontrata qualche volta nel quartiere, e la signora Maigret, che faceva spesso la spesa in rue du Chemin-Vert, doveva averla incrociata in diversi negozi.

«Lucien mi ha chiesto se doveva occuparsene. Gli ho risposto che probabilmente avresti preferito gestire tu la faccenda».

«Qualcosa riguardo a Santoni?».

«Niente d’interessante, tranne il fatto che il suo matrimonio ha lasciato a bocca aperta gli amici. Fino ad ora i suoi amori non erano mai durati molto».

Nella tregua fra un acquazzone e l’altro il sole era tornato a splendere e le strade si stavano asciugando. A Maigret venne voglia di uscire all’aperto, e stava già prendendo cappello e cappotto quando squillò il telefono.

«Pronto! Qui, commissario Maigret».

Chiamavano da Nizza. Féret doveva avere notizie fresche, perché era eccitato proprio come Janvier poco prima.

«Ho trovato la madre, capo! E per parlare con lei sono dovuto andare a Montecarlo».

Succede quasi sempre così. Si sta fermi per ore, giorni, a volte settimane, e poi le informazioni arrivano tutte insieme.

«Era al casinò?».

«E c’è ancora. Mi ha spiegato che non può allontanarsi dal tavolo prima di aver recuperato la posta ed essersi guadagnata il pane quotidiano».

«Ci va tutti i giorni?».

«Proprio come altri vanno in ufficio. E gioca finché non vince quelle poche centinaia di franchi che le servono per vivere. Poi molla tutto, senza mai insistere».

Un sistema che Maigret conosceva bene.

«Com’è il tempo, laggiù?».

«Splendido. È pieno di stranieri per via del carnevale. Domani c’è la battaglia dei fiori e stanno montando i palchi».

«Si chiama Laboine?».

«La carta d’identità è intestata a Germaine Laboine, ma lei si fa chiamare Liliane. I croupier la conoscono come Lili. Ha circa sessant’anni, molto truccata, carica di gioielli finti... Rendo l’idea? Ho sudato sette camicie per strapparla dal tavolo della roulette, dov’era piazzata come al solito, da vecchia habitué. Perché si decidesse, ho dovuto annunciarle brutalmente:

«“Sua figlia è morta”».

«Non lo aveva saputo dai giornali?» chiese Maigret.

«Non legge i giornali. Quelli come lei pensano solo alla roulette. Ogni mattina comprano una specie di bollettino che pubblica l’elenco dei numeri usciti il giorno prima e la notte precedente. Molti prendono lo stesso autobus a Nizza e, arrivati a Montecarlo, si precipitano ai tavoli da gioco come le commesse dei grandi magazzini corrono al loro banco».

«Che reazione ha avuto?».

«Difficile dirlo. Il rosso era uscito per la quinta volta e lei aveva puntato sul nero. Ha buttato qualche fiche sul tappeto e ha mosso le labbra, ma non ho sentito quello che diceva. Quando è uscito finalmente il nero e lei ha raccolto la sua vincita, allora si è alzata.

«“Com’è successo?” mi ha domandato.

«“Non vuole che andiamo fuori un momento?”.

«“Adesso non posso. Devo tener d’occhio il tavolo. Va bene anche qui. Dov’è accaduto?”.

«“A Parigi”.

«“È morta all’ospedale?”.

«“No, è stata uccisa. L’hanno trovata morta in mezzo alla strada”.

«“Un incidente?”.

«“Omicidio”.

«È sembrata sorpresa, ma tendeva l’orecchio per non perdere la voce del croupier che annunciava numeri e colore. A un certo punto mi ha perfino interrotto:

«“Scusi un momento...”.

«È andata a mettere delle fiche su una casella. Allora mi sono domandato se si drogasse... Ma, a pensarci bene, non credo. Ormai è come un automa, capisce?».

Maigret annuì. Quante ne aveva viste di donne così!

«Ci ho impiegato un’eternità a tirarle fuori qualche informazione. Continuava a ripetere:

«“Perché non aspetta stasera, quando torno a Nizza? Le dirò tutto quello che vuole sapere. Non ho niente da nascondere”.

«Ha capito com’è, capo? Non aveva del tutto torto quando ha detto che non poteva allontanarsi dal casinò. Per i tipi come lei si tratta in fondo quasi di un lavoro. Dispongono di un piccolo capitale, sufficiente a raddoppiare la posta un tot di volte. Finché sono in grado di raddoppiarla e il colore sul quale hanno puntato alla fine esce, non rischiano niente... Insomma, si accontentano di una vincita modesta, giusto di che vivere e prendere l’autobus ogni giorno. La direzione del casinò li conosce. Il gruppo, a parte qualche uomo, è formato soprattutto da donne di una certa età. Quando c’è molta gente e tutti i tavoli sono affollati, il direttore si sbarazza di loro dandogli quello che avrebbero finito per vincere qualche ora dopo...».

«Vive sola?».

«Sì, in una camera ammobiliata di rue Greuze, vicino a boulevard Victor Hugo. Devo passare da lei quando rincaserà. Porta abiti e cappelli che avranno come minimo dieci anni. Quando le ho chiesto se è stata sposata, mi ha risposto:

«“Dipende da cosa intende per sposata”.

«Poi mi ha detto di essere stata un’artista e di aver fatto per anni delle tournée nell’Est e in Asia Minore con il nome d’arte di Lili France. Suppongo che lei conosca quel mondo...».

Una volta c’erano effettivamente delle agenzie, a Parigi, incaricate di reclutare artiste di quel tipo. Si trattava d’insegnar loro qualche passo di danza e qualche canzone, e di spedirle poi in Turchia, in Egitto, a Beirut, dove facevano le entraîneuse nei locali notturni.

«Sua figlia è nata laggiù?».

«No, è nata in Francia, quando la madre aveva quasi quarant’anni».

«A Nizza?».

«Così mi sembra di aver capito. Non è facile interrogare uno che ha gli occhi fissi sulla pallina della roulette e le dita che si contraggono ogni volta che quella pallina si ferma. Alla fine, è stata categorica:

«“Senta un po’, non ho fatto niente di male, io. E allora mi lasci in pace. Le prometto che stasera risponderò a tutte le sue domande...”».

«Hai saputo altro?».

«Sì. La ragazza se n’è andata quattro anni fa, lasciandole una lettera nella quale diceva che non sarebbe più tornata».

«Dunque aveva circa sedici anni...».

«Sedici giusti. Se n’è andata il giorno del suo compleanno e non si è più fatta viva con la madre».

«E lei non ha avvertito la polizia?».

«No. Non credo fosse dispiaciuta di essersene liberata».

«E non ha mai saputo che fine avesse fatto la figlia?».

«Qualche mese dopo ha ricevuto una lettera da una certa signorina Poré, domiciliata in rue du Chemin-Vert, che le consigliava di vigilare meglio sulla figlia e di non lasciarla sola in una città come Parigi. Per ora ignoro a che numero abiti questa signorina Poré, ma la Laboine ha promesso di darmelo stasera».

«So dove trovarla».

«È al corrente anche lei?».

«Più o meno».

Maigret lanciò un’occhiata a Priollet che stava ascoltando. La stessa informazione gli arrivava ora da più parti contemporaneamente.

«A che ora devi vederla?».

«Non appena farà ritorno a Nizza. E può essere alle sette di sera come a mezzanotte. Dipende dalla roulette».

«Chiamami a casa».

«D’accordo, capo».

Maigret riattaccò.

«Secondo quanto mi riferisce Féret da Nizza,» disse «Jeanine Armenieu abitava in rue du Chemin-Vert, presso una certa signorina Poré. E conosceva Louise Laboine».

«Pensi di andarci?».

Maigret aprì la porta del suo ufficio.

«Mi accompagni, Janvier?».

Qualche istante dopo salivano in macchina. In rue du Chemin-Vert si fermarono davanti all’erboristeria e trovarono la moglie di Lucien dietro il banco, in una bottega scura in cui aleggiava un buon profumo di erbe medicinali.

«Posso esserle utile, commissario Maigret?».

«Pare che lei conosca Jeanine Armenieu...».

«Gliel’ha detto mio marito? Ne parlavamo proprio oggi a mezzogiorno, per via del matrimonio di cui ho letto tutti i dettagli sul giornale. Una gran bella ragazza davvero».

«È tanto che non la vede?».

«Almeno tre anni. Aspetti. Era prima che mio marito avesse l’aumento... Sono tre anni e mezzo circa. Era giovanissima, ma già formata, già molto donna, e per la strada tutti gli uomini si voltavano a guardarla».

«Abitava nella casa qui vicino?».

«Sì, dalla signorina Poré, una mia buona cliente, che lavora ai telefoni e che poi è sua zia. Credo però che alla fine non andassero molto d’accordo e che la ragazza avesse deciso di vivere da sola».

«Pensa che la signorina Poré sia in casa?».

«È probabile che la trovi. Questa settimana, se non sbaglio, fa il turno dalle sei del mattino alle tre del pomeriggio».

Poco dopo Maigret e Janvier entravano nel palazzo accanto.

«La signorina Poré?» domandarono alla portinaia.

«Secondo piano a sinistra. C’è già su qualcuno».

Non c’era ascensore e le scale erano buie. Invece di un campanello col pulsante, c’era un cordone di passamaneria che metteva in funzione, all’interno, una campanella dal suono stridulo.

La porta si aprì subito, e una donna magra, dai lineamenti aguzzi e piccoli occhi neri, li squadrò con aria severa.

«Che cosa volete?».

Maigret stava per rispondere quando scorse all’interno, nella penombra, la faccia dell’ispettore Lognon.

«Mi perdoni, Lognon. Non credevo di trovarla qui».

Il Lagnoso lo guardò, rassegnato. Quanto alla signorina Poré, mormorò:

«Vi conoscete?».

A quel punto, si decise a farli entrare. Nell’appartamento, pulitissimo, aleggiava un odore di cucina. Adesso che erano tutti e quattro nella piccola sala da pranzo, si trovavano un po’ in imbarazzo.

«È qui da molto, Lognon?».

«Solo da cinque minuti».

Non era il momento di chiedergli come avesse scoperto quell’indirizzo.

«Ha già qualche informazione?».

Fu la signorina Poré a rispondere:

«Stavo giusto dicendogli tutto quello che sapevo, e non ho finito. Se non sono andata alla polizia quando ho visto la fotografia sul giornale è solo perché non ero sicura che fosse proprio lei. In tre anni e mezzo le persone possono cambiare, specie a quell’età. E poi non mi piace immischiarmi in faccende che non mi riguardano».

«Jeanine Armenieu è sua nipote, vero?».

«Non è di lei che stavo parlando, ma della sua amica. Quanto a Jeanine, sì, è la figlia del mio fratellastro, e non mi congratulo certo con lui per come l’ha educata».

«È originaria del Midi?».

«Se per lei Lione è il Midi... Mio fratello, poveraccio, lavora in una filanda, e da quando ha perso la moglie non è più lo stesso».

«Quando è morta sua moglie?».

«L’anno scorso».

«Jeanine Armenieu è venuta a Parigi quattro anni fa, vero?».

«Sì, circa quattro anni fa. Lione non le bastava più. Aveva diciassette anni e voleva vivere la sua vita. Pare che siano tutte così, oggi. Mio fratello mi ha scritto dicendo che Jeanine aveva deciso di andarsene e che lui non riusciva più a trattenerla. Mi ha chiesto se ero disposta a ospitarla, e io gli ho risposto di sì, e che forse avrei potuto anche trovarle un lavoro».

Parlava articolando bene le sillabe, come a sottolineare l’importanza di quello che stava dicendo. Poi, guardandoli uno dopo l’altro, domandò all’improvviso:

«Come mai siete venuti separatamente? Non siete tutti della polizia?».

Che dire? Lognon chinò la testa e Maigret rispose:

«Apparteniamo a settori diversi».

Squadrando la figura imponente di Maigret, la donna disse senza mezzi termini:

«Mi pare di capire che il più importante è lei. Qual è il suo grado?».

«Commissario».

«Lei è il commissario Maigret?».

E poiché lui annuì con un cenno del capo, gli offrì una sedia.

«Si metta comodo. Le racconterò tutto. Dov’ero rimasta? Ah, sì, la lettera del mio fratellastro. Posso cercarla, se vuole: tengo tutte le lettere che ricevo, anche quelle dei famigliari».

«Non è indispensabile. Grazie».

«Come vuole. Insomma, ho ricevuto questa lettera, ho risposto e una mattina, intorno alle sette e mezzo, mia nipote è arrivata. Basta questo a darle un’idea della sua mentalità. Con tutti i treni comodissimi che ci sono di giorno, lei ha voluto viaggiare di notte. Perché è tanto più romantico, capisce? Per fortuna quella settimana facevo il secondo turno. Lasciamo perdere. Per non parlare poi di come era vestita e pettinata. Ma gliel’ho detto chiaro e tondo: se non voleva che nel quartiere la mostrassero a dito, le conveniva cambiar genere.

«Questo appartamento, dove vivo da ventidue anni, non è grande né lussuoso, però ho due camere da letto, e ne ho messa una a disposizione di Jeanine. Per una settimana l’ho accompagnata in giro per farle vedere Parigi».

«Quali erano i suoi progetti?».

«E me lo chiede? Trovare un uomo ricco, ecco il suo progetto. E se è vero quel che dicono i giornali, ci è riuscita. Io però non vorrei passare per dove è passata lei».

«Ha trovato un lavoro?».

«Sì, come commessa in un negozio di pelletteria sui Grands Boulevards, vicino a place de l’Opéra».

«Ci è rimasta molto?».

Ma la signorina Poré voleva raccontare la storia a modo suo, e non glielo nascose.

«Se m’interrompe in continuazione con le sue domande, mi fa perdere il filo. Le dirò tutto, non abbia paura. Dunque, vivevamo qui tutte e due. O meglio, credevo che vivessimo qui tutte e due. Una settimana sono libera al mattino e quella successiva al pomeriggio, dopo le tre. Sono trascorsi diversi mesi. Era inverno. Un inverno molto freddo. Continuavo a fare la spesa qui nel quartiere, come ho sempre fatto. Ed è stato proprio per via del cibo che ho cominciato ad avere dei sospetti, soprattutto per via del burro, che spariva con una strana velocità. Anche il pane. E mi capitava di non trovare più nella dispensa l’avanzo di carne o di dolce che ero sicura di aver lasciato.

«“L’hai mangiata tu la cotoletta?”.

«“Sì, zia. La notte scorsa mi è venuto un languorino”.

«Insomma. Ce ne ho messo del tempo prima di capire. E vuol sapere qual era la verità? Per tutto quel tempo, a mia insaputa, in casa c’era una terza persona.

«Non un uomo, stia tranquillo. Una ragazza. Quella della fotografia sul giornale, quella che è stata trovata morta in place Vintimille. Il che, detto fra di noi, dimostra che non avevo tutti i torti a preoccuparmi, perché son cose che non succedono a gente come lei e come me».

Evidentemente non sentiva mai il bisogno di tirare il fiato. Stava in piedi, dando le spalle alla finestra, le mani unite sul ventre piatto, e snocciolava una parola dopo l’altra, una frase dopo l’altra, come se recitasse il rosario.

«Ho quasi finito, non abbia paura. Non voglio abusare del suo tempo, perché immagino che lei sia un uomo molto occupato».

Si rivolgeva solo a Maigret, e ormai considerava Lognon come una specie di comparsa.

«Una mattina, facendo le pulizie, ho fatto cadere un rocchetto di filo che è rotolato sotto il letto di Jeanine, e così mi sono chinata per raccoglierlo. Le confesso che ho lanciato un urlo, ma non so che cosa avrebbe fatto lei al mio posto. Sotto il letto c’era qualcuno, qualcuno che mi guardava con occhi da gatto.

«Per fortuna non si trattava di un uomo. Mi sarei spaventata ancora di più. Ad ogni modo sono andata a prendere l’attizzatoio e ho detto:

«“Vieni fuori!”.

«Era ancora più giovane di Jeanine, doveva avere poco più di sedici anni. Ma se pensa che abbia pianto o chiesto scusa, be’, si sbaglia. Continuava a fissarmi, come se, delle due, lo spauracchio fossi io.

«“Chi ti ha portato in casa?”.

«“Sono un’amica di Jeanine”.

«“E per questo ti nascondi sotto il letto? Che cosa ci facevi, lì?”.

«“Aspettavo che lei uscisse”.

«“Per fare cosa?”.

«“Per uscire a mia volta”.

«Ha capito, signor commissario? La cosa durava da settimane, mesi. Era arrivata a Parigi insieme a mia nipote. Avevano stretto amicizia in treno. Viaggiavano in terza classe, e siccome non riuscivano a dormire hanno passato la notte a scambiarsi confidenze. La ragazza, che si chiamava Louise, aveva giusto il denaro necessario per vivere due o tre settimane.

«Ha trovato lavoro in un ufficio, dove incollava francobolli sulle buste, ma pare che il principale le abbia fatto delle avance e che lei gli abbia mollato una sberla.

«Questo me lo ha detto la ragazza, ma chissà se è vero.

«Quando è rimasta senza soldi e l’hanno buttata fuori dal meublé dove alloggiava, è venuta a trovare Jeanine, e mia nipote le ha proposto di dormire qui per qualche notte, il tempo di trovare un altro lavoro.

«Jeanine non ha mai osato parlarmene. Portava l’amica in casa quando io non c’ero e, finché non mi addormentavo, quella stava nascosta sotto il letto di mia nipote.

«Le settimane in cui facevo il secondo turno e cominciavo a lavorare alle tre del pomeriggio, doveva stare sotto il letto fino alle due e mezzo».

Maigret si sforzava di non sorridere: la Poré gli teneva gli occhi addosso, ed era chiaro che non avrebbe apprezzato la benché minima manifestazione di ironia.

«Insomma...» riattaccò.

Era almeno la terza volta che ripeteva quella parola e Maigret non poté fare a meno di dare un’occhiata all’orologio.

«Se l’annoio...».

«Ma no, per niente».

«Ha un appuntamento?».

«Sì, ma ho ancora un po’ di tempo».

«Concludo. Voglio solo farle notare che per dei mesi tutto quello che dicevo è stato ascoltato da una terza persona, un’avventuriera che neppure conoscevo e che spiava i miei movimenti. Vivevo la mia solita vita tranquilla e credevo d’esser padrona in casa mia, senza sospettare che...».

«Allora ha scritto a sua madre...».

«Come lo sa? Gliel’ha detto lei?».

Un disgustato sconforto si era dipinto sulla faccia di Lognon. Aveva scoperto la pista Poré, probabilmente a costo di lunghe e massacranti camminate su e giù per Parigi. E quanti acquazzoni si era preso, senza nemmeno preoccuparsi di mettersi al riparo?

Maigret, invece, non aveva avuto bisogno di uscire dal suo ufficio. Le informazioni gli piovevano addosso senza che lui si disturbasse. E non solo era arrivato alla pista Poré quasi contemporaneamente a lui, ma sembrava perfino saperne di più.

«Non ho scritto subito alla madre. Prima ho buttato fuori la ragazza e l’ho diffidata dal rimettere piede qui dentro. Credo che avrei potuto anche denunciarla...».

«Per violazione di domicilio?».

«E per tutto il cibo che mi ha rubato durante quei mesi. Quando mia nipote è rientrata, le ho detto in faccia quello che pensavo di lei e delle sue conoscenze. Jeanine non era meglio, l’ho capito qualche settimana dopo, quando mi ha mollato anche lei e ha preso una camera in albergo. La signorina voleva essere libera, capisce? Di ricevere uomini!».

«È sicura di questo?».

«Perché avrebbe avuto bisogno di andare a vivere in albergo, quando qui aveva vitto e alloggio? Comunque l’ho interrogata sulla sua amica e così ho scoperto come si chiamava e l’indirizzo della madre. Ci ho pensato su quasi una settimana, poi ho scritto una lettera di cui conservo la copia. Non so se è servito a qualcosa. Ma quella donna non potrà dire che non l’ho messa in guardia! Vuole vederla?».

«Non è necessario. È rimasta in contatto con sua nipote dopo che se n’è andata?».

«Non è venuta una sola volta a salutarmi e non mi ha mai mandato gli auguri a Capodanno. Penso che adesso i giovani siano tutti così. Quel poco che so di lei me l’ha detto mio fratello, che però non capisce niente e si è sempre lasciato abbindolare da Jeanine. Ogni tanto lei gli scrive, gli racconta che lavora, che è in buona salute e che presto andrà a trovarlo».

«È mai tornata a Lione?».

«Una volta, per Natale».

«Ha fratelli, sorelle?».

«Ha avuto un fratello, che è morto di tubercolosi in un sanatorio. Insomma...».

Insomma... A Maigret ora veniva automatico contarli.

«In fondo è maggiorenne. Immagino che abbia informato mio fratello del suo matrimonio. Lui non me ne ha fatto parola, e io l’ho letto sul giornale. La cosa più strana è che l’amica sia stata uccisa proprio la notte delle nozze, non crede?».

«Avevano continuato a vedersi?».

«Come faccio a saperlo? Ma se le interessa la mia opinione, le dirò che una come Louise non deve aver mollato tanto facilmente l’amica. Una che vive alle spalle degli altri e si nasconde sotto i letti non si ferma davanti a niente. E quel Santoni è davvero un uomo molto ricco...».

«Così per tre anni lei non ha visto sua nipote...».

«Un po’ più di tre anni. Una volta, l’anno scorso, doveva essere luglio, l’ho intravista su un treno. È stato alla Gare Saint-Lazare. Stavo andando a Mantes-la-Jolie per una gita in giornata. Faceva molto caldo. Ero in ferie e avevo una gran voglia di verde. Sul binario vicino c’era un treno, un rapido di lusso, e mi hanno detto che era diretto a Deauville. Nel momento in cui cominciavamo a muoverci, ho visto Jeanine in uno scompartimento. Mi ha indicata col dito alla persona che le sedeva accanto e, all’ultimo istante, mi ha rivolto un breve saluto ironico».

«Era con una donna?».

«Non sono riuscita a veder bene. Mi è sembrato che lei fosse molto elegante, e quel treno aveva solo la prima classe».

Come al solito Janvier aveva preso degli appunti, non molti in realtà, perché quella lunga chiacchierata poteva riassumersi in poche parole.

«Quando sua nipote viveva qui, lei sapeva con chi usciva, chi frequentava?».

«A sentir lei non frequentava nessuno. Ma come si fa a fidarsi di una ragazza che nasconde la gente sotto il letto?».

«La ringrazio, signorina».

«È tutto?».

«A meno che non abbia altre informazioni...».

«Non mi pare. No. Se mi tornasse in mente qualcosa...».

La donna li guardò dirigersi verso la porta con un certo rincrescimento. Avrebbe voluto avere ancora qualcosa da dire. Lognon, che aveva ceduto il passo a Maigret e Janvier, scese le scale per ultimo.

Quando furono in strada, il commissario non sapeva bene cosa dirgli.

«Mi deve scusare, vecchio mio. Se avessi saputo che c’era già lei...».

«Non ha importanza».

«Ha fatto un ottimo lavoro. È probabile che adesso le cose andranno più in fretta».

«Significa che non ha più bisogno di me?».

«Non ho detto questo...».

La moglie di Lucien li osservava di là dai vetri dell’erboristeria.

«Per il momento non ho nessun incarico particolare da darle. Forse è ora che si riposi e curi la sua bronchite».

«È solo un raffreddore. Comunque la ringrazio».

«La lascio da qualche parte?».

«No. Prenderò il métro».

Ci teneva a sottolineare la differenza fra chi se ne andava in macchina e chi, come lui, si incamminava verso il métro, dove si sarebbe trovato imbottigliato nel pigia pigia dell’ora di punta.

«Complimenti, ancora! E se scopre qualcosa di nuovo mi telefoni. Da parte mia, la terrò al corrente».

Quando si ritrovò in macchina con Janvier, Maigret sospirò:

«Povero Lognon! Avrei tanto voluto arrivare dopo che lui se n’era andato».

«Rientra al Quai, capo?».

«No. Lasciami a casa».

Era a due passi. Non avevano il tempo di commentare quanto erano venuti a sapere. Tutti e due, probabilmente, pensavano a quella ragazzina di sedici anni che era scappata via dalla madre e che per dei mesi aveva dovuto nascondersi ogni giorno sotto un letto.

La vedova Crêmieux aveva detto di lei che era un tipo altezzoso, una che non si degnava nemmeno di scambiare due chiacchiere. Rose, la domestica dei Larcher, l’aveva vista passare ore e ore, tutta sola, su una panchina dei giardinetti della Trinité. Sempre sola era entrata, per due volte, nel negozio di Mademoiselle Irène. E ancora sola era andata al Roméo e ne era poi uscita, rifiutando l’offerta di un tassista che più tardi l’aveva vista attraversare place Saint-Augustin sotto la pioggia e quindi raggiungere faubourg Saint-Honoré.

Dopo non c’era più niente, solo un corpo disteso sul selciato lucido di pioggia di place Vintimille.

Non aveva più la cappa di velluto e la borsetta d’argento prese in prestito, ed era sparita una scarpa dal tacco alto.

«A domani, capo».

«A domani, caro Janvier».

«Non ha istruzioni per me?».

Interrogare Jeanine Armenieu, ora signora Santoni, era impossibile, visto che si trovava a Firenze in luna di miele.

«Aspetto una telefonata da Nizza».

C’erano ancora molte caselle vuote da riempire.

E c’era, chissà dove, qualcuno che aveva ucciso la ragazza e poi l’aveva portata in place Vintimille.