4
In cui si parla di una ragazza seduta su una panchina e di una sposa in un locale notturno

Dallo spiraglio della porta, che aveva avuto cura di non chiudere del tutto, la vecchia Crêmieux li aveva visti dirigersi, non verso l’ascensore o le scale, ma verso l’appartamento di fronte. Quando ne uscirono, a Maigret non sfuggì l’impercettibile scatto della porta, e scendendo disse a Janvier:

«È invidiosa».

Una volta, al processo di un uomo che lui aveva spedito in Corte d’assise, una persona che seguiva il dibattimento al suo fianco aveva sussurrato:

«Mi domando a che cosa pensi».

E Maigret aveva buttato là:

«A quello che i giornali diranno di lui nella prossima edizione».

Sosteneva che gli assassini, quanto meno fino alla condanna, sono assillati non tanto dal ricordo del delitto commesso, o da quello della loro vittima, quanto dall’effetto che producono sul pubblico. Dall’oggi al domani sono diventati delle celebrità, vengono assediati da giornalisti e fotografi, e a volte il pubblico fa code di ore solo per poterli vedere. Non è naturale, allora, che assumano un atteggiamento un po’ gigionesco?

Certo, la vedova Crêmieux non era stata entusiasta di vedersi piombare in casa la polizia. Maigret, poi, aveva un modo tutto suo di fare le domande che impediva di rispondere come si sarebbe voluto. E lei era stata costretta a confessare certe cose piuttosto sgradevoli.

Ma, quanto meno, per un’ora qualcuno si era occupato di lei, e ogni sua parola era stata addirittura registrata su un taccuino!

Ed ecco che un attimo dopo quello stesso commissario suonava all’appartamento di fronte e riservava il medesimo trattamento di riguardo a una rozza servetta.

«Beviamo qualcosa?».

Erano le undici passate. I due uomini entrarono in un bar all’angolo della strada e sorseggiarono l’aperitivo in silenzio, come rimuginando tutto ciò che erano appena venuti a sapere.

La storia di Louise Laboine faceva pensare alle lastre fotografiche quando vengono immerse nel rivelatore. Due giorni prima per loro non esisteva. Poi era stata una sagoma azzurrognola, un profilo sul selciato lucido di pioggia di place Vintimille, un corpo bianco sul marmo dell’Istituto di medicina legale. Adesso aveva un nome; e un’immagine, sia pure schematica, cominciava a delinearsi.

Anche la padrona di Rose si era un po’ risentita quando Maigret le aveva detto:

«Le dispiacerebbe badare ai bambini mentre noi facciamo qualche domanda alla sua domestica?».

Rose, non ancora sedicenne, conservava nel volto qualcosa di tenero e di infantile.

«Mi hai telefonato tu, questa mattina, vero?».

«Sì, signore».

«Conoscevi Louise Laboine?».

«Il nome non lo sapevo».

«La incontravi sulle scale?».

«Sì, signore».

«E ti parlava?».

«Non mi ha mai parlato, ma ogni volta mi sorrideva. Ho sempre pensato che era triste. Sembrava un’attrice del cinema».

«Ti è mai capitato di vederla da qualche altra parte?».

«Parecchie volte».

«Dove?».

«Su una panchina ai giardinetti della Trinité, dove vado quasi ogni pomeriggio con i bambini».

«E lì cosa faceva?».

«Niente».

«Aspettava qualcuno?».

«Non l’ho mai vista con nessuno».

«Leggeva?».

«No. Una volta ha mangiato un panino. Chissà se lo sapeva che sarebbe morta...».

Era tutto quello che avevano appreso da Rose. E la sua testimonianza indicava che, quanto meno a partire da un certo periodo, Louise Laboine non aveva più un lavoro regolare. Non si spingeva nemmeno molto lontano. Scendeva per rue de Clichy e, senza uscire dal quartiere, andava a sedersi davanti alla chiesa della Trinité.

Maigret aveva anche chiesto a Rose:

«L’hai mai vista entrare in chiesa?».

«No, signore».

Il commissario pagò, si asciugò la bocca e, seguito da Janvier, risalì sull’utilitaria di servizio. Appena messo piede al Quai des Orfèvres, scorse nella sala d’attesa una sagoma grigia e riconobbe Lognon, che aveva il naso più rosso che mai.

«Mi stava aspettando, Lognon?».

«Da un’ora».

«Si direbbe che non sia andato a dormire».

«Non ha importanza».

«Venga nel mio ufficio».

Chi avesse visto Lognon fare anticamera con quella sua aria cupa e lugubre non avrebbe neanche lontanamente immaginato che si trattava di un poliziotto, ma lo avrebbe preso per uno che si era deciso ad andare alla polizia e a vuotare il sacco. Stavolta era davvero molto raffreddato: aveva la voce roca e doveva di continuo tirar fuori di tasca il fazzoletto. Si guardava bene dal lamentarsene e aveva assunto un’aria rassegnata, l’aria di chi ha sofferto tutta la vita e soffrirà per il resto dei suoi giorni.

Maigret sedette alla scrivania e caricò la pipa senza che l’altro, col sedere sul bordo della sedia, osasse aprir bocca.

«Suppongo che abbia delle novità...».

«Sono venuto a farle rapporto».

«L’ascolto, vecchio mio».

Ma la cordialità non aveva presa sul Lagnoso, che doveva cogliervi Dio sa quale ironia.

«Ieri sera ho rifatto, ancora più scrupolosamente, il giro dell’altra notte. Fino alle tre del mattino, le tre e quattro minuti per l’esattezza, ma senza alcun risultato».

Sempre parlando, tirò fuori di tasca un foglietto.

«Alle tre e quattro minuti, davanti a un cabaret che si chiama Le Grelot, ho interrogato un tassista di nome Léon Zirkt, domiciliato a Levallois-Perret».

Dettagli probabilmente inutili, ma l’ispettore voleva mettere i puntini sulle i, facendo pesare così la sua posizione di subalterno cui non spetta giudicare ciò che è importante e ciò che non lo è.

Parlava con voce monotona, senza guardare il commissario che non poteva fare a meno di sorridere.

«Gli ho mostrato la fotografia, o più esattamente le fotografie, e lui ha riconosciuto quella in abito da sera».

Fece una pausa a effetto degna di un attore. Non sapeva ancora che Maigret aveva già scoperto l’identità della morta e il suo ultimo domicilio.

«La sera di lunedì, intorno a mezzanotte, Léon Zirkt era in sosta col suo taxi davanti al Roméo, un nuovo locale di rue Caumartin».

Aveva preparato tutto con cura, e tirò fuori di tasca un altro foglio, questa volta un ritaglio di giornale.

«Quella sera, in via eccezionale, il Roméo non era aperto al pubblico perché la sala era stata affittata per un banchetto di nozze».

E come gli avvocati, in tribunale, portano un documento allo scranno del giudice, così lui si alzò, andò a consegnare il ritaglio a Maigret e tornò a sedersi.

«Come può vedere, si tratta del matrimonio di tale Marco Santoni, rappresentante in Francia di una grande marca di vermut italiano, con la signorina Jeanine Armenieu, di Parigi, senza professione. C’erano numerosi invitati, perché pare che questo Santoni sia molto noto negli ambienti della dolce vita».

«È stato Zirkt a darle tutti questi particolari?».

«No. Sono andato io stesso al Roméo. Il tassista, dunque, aspettava fuori dal locale insieme ad altri suoi colleghi. Cadeva una pioggia sottile. Intorno a mezzanotte e un quarto una ragazza con un abito da sera azzurro e una cappa scura di velluto è uscita dal locale e si è incamminata lungo il marciapiede. Zirkt l’ha interpellata con l’abituale:

«“Taxi?”.

«Ma lei ha scosso la testa e ha continuato a camminare».

«Il tassista è sicuro che fosse lei?».

«Sì. L’ingresso del Roméo è illuminato da un’insegna al neon. Questo Zirkt fa spesso il turno di notte e ha subito notato che il vestito era decisamente modesto. Del resto anche un certo Gaston Rouget, che svolge mansioni di sorveglianza all’interno del locale, ha riconosciuto la fotografia».

«Suppongo che il tassista non sappia dov’è andata».

Lognon dovette ancora ricorrere al fazzoletto. Non aveva affatto un’aria trionfante, anzi, si mostrava esageratamente umile, come se si scusasse di riferire così poco.

«A quel punto, cioè pochi minuti dopo, dal locale è uscita una coppia che si è fatta portare all’Étoile. E attraversando place Saint-Augustin Zirkt ha rivisto la ragazza che, a piedi, attraversava anche lei la piazza. Camminava veloce verso boulevard Haussmann, come se fosse diretta agli Champs-Élysées».

«È tutto?».

«Zirkt ha lasciato i suoi clienti all’Étoile e, più tardi, l’ha vista di nuovo all’angolo di boulevard Haussmann con faubourg Saint-Honoré. Stava ancora camminando. Stupito, il tassista ha guardato l’ora, perché era curioso di sapere quanto tempo avesse impiegato a percorrere tutta quella strada. Ed era quasi l’una».

Louise Laboine era stata uccisa intorno alle due, e alle tre avevano trovato il suo cadavere in place Vintimille.

Lognon aveva fatto un buon lavoro. E non aveva ancora vuotato il sacco del tutto, perché restava piantato lì e stava tirando fuori dalla tasca un terzo foglietto.

«Marco Santoni ha un appartamento in rue de Berri».

«Ha visto anche lui?».

«No. Dopo il banchetto al Roméo i novelli sposi hanno preso l’aereo per Firenze, dove passeranno qualche giorno. Ho parlato con il suo cameriere personale, Joseph Ruchon».

Lognon non disponeva di una macchina e certo, sapendo che l’amministrazione avrebbe passato al vaglio ogni voce della sua nota spese, non si era concesso taxi. Per tutta la notte era andato su e giù a piedi, e al mattino doveva aver preso un autobus o il métro.

«Ho interrogato anche il barman del Fouquet’s, sugli Champs-Élysées, e quello di altri due locali. Non sono riuscito invece a parlare col barman del Maxim’s, perché abita in periferia e non era ancora arrivato a casa».

La sua tasca sembrava senza fondo. Vi pescava via via dei foglietti, ciascuno dei quali corrispondeva a una fase dell’indagine che aveva condotto.

«Santoni ha quarantacinque anni. È un bell’uomo, in carne ma molto curato, che frequenta bar, cabaret e i migliori ristoranti. Ha avuto parecchie amanti, modelle e ballerine soprattutto. Quattro o cinque mesi fa, a quanto ho potuto sapere, ha incontrato Jeanine Armenieu».

«Una modella?».

«No. La ragazza non frequentava quegli ambienti, e lui non ha mai detto dove l’avesse scovata».

«Anni?».

«Ventidue. Poco dopo aver conosciuto Santoni, si è trasferita all’Hôtel Washington, in rue Washington. Santoni andava a trovarla spesso, ma capitava anche che Jeanine passasse la notte da lui».

«È il suo primo matrimonio?».

«Sì».

«Il cameriere di Santoni ha visto la fotografia della morta?».

«Gliel’ho mostrata, e ha detto di non conoscerla. L’ho mostrata anche ai tre barman, che mi hanno dato la stessa risposta».

«Il cameriere si trovava nell’appartamento la notte tra lunedì e martedì?».

«Stava finendo di chiudere i bagagli in vista della partenza degli sposi. Nessuno ha suonato alla porta. Santoni e la sua sposina sono arrivati alle cinque del mattino, molto allegri, e dopo essersi cambiati si sono precipitati all’aeroporto».

Ciò detto, restò di nuovo in silenzio. Ogni volta Lognon faceva credere così di aver esaurito i suoi argomenti, ma dalla qualità del silenzio e dalla modestia dell’atteggiamento, Maigret capiva che c’era dell’altro.

«Sa se la ragazza si è fermata a lungo al Roméo?».

«Come le ho detto, avevo interrogato anche il responsabile della vigilanza».

«Per entrare bisognava esibire l’invito?».

«No. Alcuni lo mostravano, altri no. L’addetto ricorda di aver visto entrare la ragazza poco prima di mezzanotte, quando in sala si aprivano le danze. E l’ha lasciata entrare perché l’ha presa per un’amica della sposa: non aveva certo l’aria di un’habitué del locale».

«Dunque non si è fermata più di un quarto d’ora...».

«Già. Ho interrogato il barman».

«Era ancora al Roméo questa mattina?».

«No. Sono andato a casa sua, alla Porte des Ternes, ma dormiva».

Sommando tutti quegli andirivieni si otteneva un numero impressionante di chilometri. Maigret non poteva fare a meno di immaginare Lognon mentre li percorreva a piedi, nella notte, e poi di primo mattino, simile a una formica che porti un fardello troppo pesante ma che niente può dirottare dalla sua strada.

Fra tutti gli ispettori non ce n’era probabilmente un altro capace di sgobbare a quel modo, senza dimenticare un dettaglio, senza lasciar niente al caso, e tuttavia il povero Lognon non avrebbe mai visto realizzarsi il sogno che coltivava da vent’anni: entrare al Quai des Orfèvres.

Questo dipendeva in parte dal suo brutto carattere. Ma dipendeva anche dal fatto che non possedeva l’istruzione di base indispensabile per riuscire a superare gli esami.

«Il barman cosa le ha detto?».

Ecco spuntare un altro foglio con nome, indirizzo e qualche appunto. Ma Lognon non aveva bisogno di consultarli, sapeva tutto a memoria.

«Ha notato che all’inizio stava quasi sulla porta. Il maître le si è avvicinato e le ha detto qualcosa sottovoce. Lei ha fatto segno di no. Probabilmente le ha chiesto a quale tavolo era attesa. Poi si è infilata tra la folla. C’era molta gente in piedi. Non ballavano solo sulla pista ma anche fra i tavoli».

«Ha parlato con la sposa?».

«Le ci è voluto un po’, perché anche la sposa ballava. Alla fine la ragazza è riuscita ad avvicinarla e hanno avuto un colloquio abbastanza lungo. Santoni, che dava segni d’impazienza, le ha interrotte due volte».

«La sposa le ha consegnato qualcosa?».

«È quello che ho chiesto anch’io, ma il barman non è stato in grado di dirmelo».

«Davano l’impressione di litigare?».

«A quanto pare la signora Santoni aveva un atteggiamento sostenuto, se non freddo, e ha fatto diverse volte segno di no con la testa. Dopodiché il barman ha perso di vista la ragazza vestita d’azzurro».

«Suppongo che non sia riuscito a interrogare anche il maître...».

Sembrava un gioco.

«Abita in fondo a rue Caulaincourt. E dormiva».

Perché Lognon era andato anche là!

«Comunque mi ha confermato le dichiarazioni del barman. Si è avvicinato alla ragazza per domandarle chi stesse cercando e lei ha risposto che era un’amica della sposa e doveva solo dirle due parole».

A questo punto Lognon si alzò, il che significava che aveva vuotato il sacco.

«Ha fatto un ottimo lavoro, vecchio mio».

«Ho fatto quello che dovevo fare».

«Vada a dormire, adesso. E veda di curarsi».

«È solo un raffreddore».

«Ma se non ci starà attento diventerà una bronchite».

«Ce l’ho ogni inverno, la bronchite, e non mi sono mai messo a letto per questo».

Era sempre un problema, con Lognon. Col sudore della fronte – era proprio il caso di dirlo –, aveva messo insieme un certo numero di informazioni probabilmente preziose. Se quelle stesse informazioni gliele avesse portate uno dei suoi ispettori, Maigret avrebbe sguinzagliato in giro altre forze fresche per ottenere il massimo. Un uomo non può fare tutto.

Ma se il commissario avesse agito così, il Lagnoso avrebbe certo pensato che gli toglievano il pane di bocca.

Era stanco morto, senza voce, spossato dal raffreddore. In tre notti, aveva dormito sette o otto ore a dir tanto. Eppure bisognava lasciarlo continuare, anche se lui si considerava una vittima, un poveraccio a cui si riservano i compiti più ingrati e che viene regolarmente privato dei meritati riconoscimenti.

«Allora, che ne pensa?».

«A meno che lei non abbia intenzione di affidare l’incarico a un altro...».

«Ma no! Lo dicevo per lei, per farla riposare».

«Avrò tutto il tempo di riposare quando mi manderanno in pensione. Non sono potuto passare al municipio dell’VIII arrondissement, dove si è celebrato il matrimonio, né all’Hôtel Washington, dove la neosignora Santoni abitava prima di sposarsi. Credo che lì potrei scoprire dove viveva in precedenza e trovare, tramite lei, l’indirizzo della morta».

«Negli ultimi due mesi ha abitato in rue de Clichy, presso una certa signora Crêmieux, una vedova che le subaffittava una stanza del suo appartamento».

Lognon, piccato, strinse le labbra.

«Non sappiamo cosa facesse prima. Alla vedova ha detto di chiamarsi Louise Laboine, ma la signora non ha mai visto la sua carta d’identità».

«Posso continuare la mia inchiesta?».

A che pro negarglielo?

«Ma certo, vecchio mio! Non si strapazzi, comunque».

«La ringrazio».

Per un po’ Maigret restò solo nel suo ufficio fissando, senza vederla, la sedia su cui fino a poco prima stava seduto il Lagnoso.

Ancora una volta nuovi tratti di Louise Laboine venivano evidenziandosi, come su una lastra fotografica, ma l’insieme restava sfocato.

Forse, negli ultimi due mesi, quando non aveva un lavoro, era andata in cerca di Jeanine Armenieu...

Poteva darsi, per esempio, che un bel giorno avesse letto sul giornale che Jeanine si sposava con Marco Santoni e che, in occasione delle nozze, ci sarebbe stato un gran ricevimento al Roméo.

In tal caso doveva aver letto il giornale nel tardo pomeriggio, perché erano già le nove passate quando si era precipitata da Mademoiselle Irène per procurarsi un vestito da sera, ed era uscita dal negozio verso le dieci.

Che cosa aveva fatto dalle dieci a mezzanotte? Ci sono al massimo venti minuti di strada da rue de Douai a rue Caumartin.

Che avesse passato tutto quel tempo girando per le strade, incerta sul da farsi?

Il referto del dottor Paul era ancora sulla scrivania. Maigret gli diede di nuovo una scorsa. Vi si specificava, tra l’altro, che lo stomaco della morta conteneva una discreta quantità di alcol.

Ma secondo il maître, nel breve lasso di tempo passato al Roméo, la ragazza non aveva avuto occasione di bere.

O lo aveva fatto prima, per darsi coraggio, o dopo, tra il momento in cui era uscita dal locale e quello in cui il suo cadavere era stato ritrovato in place Vintimille.

Il commissario aprì la porta dell’ufficio degli ispettori e chiamò Janvier.

«Ho un lavoro per te. Devi andare in rue de Douai, scendere a piedi fino a rue Caumartin e far vedere la fotografia in tutti i bar e i caffè che troverai lungo la strada».

«Quella in abito da sera?».

«Sì. Cerca di sapere se lunedì, fra le dieci e mezzanotte, qualcuno ha visto la ragazza».

Mentre l’ispettore stava per richiudere la porta, Maigret lo richiamò:

«Se incontri Lognon, acqua in bocca!».

«Ricevuto, capo».

In un angolo dell’ufficio c’era la valigia blu, e sembrava che avesse ormai rivelato tutti i suoi segreti. Si trattava di una valigia a buon mercato, di quelle che si trovano in tutti i negozietti di quarta categoria e nelle vicinanze delle stazioni. Ed era piuttosto logora.

Maigret uscì dal suo ufficio e si diresse in fondo al corridoio, dove stava il collega Priollet della Buoncostume. Priollet stava firmando la corrispondenza e Maigret rimase in attesa fumando tranquillamente la pipa.

«Hai bisogno di me?».

«Solo un’informazione. Conosci un certo Santoni?».

«Marco?».

«Sì».

«So che si è appena sposato».

«Cosa puoi dirmi di lui?».

«Ha molti soldi e li spende con la stessa facilità con cui li guadagna. È un bel ragazzo, gli piacciono le donne, la cucina raffinata e le automobili di lusso».

«C’è niente a suo carico?».

«Proprio niente. Viene da una buona famiglia di Milano. Il padre è un grosso produttore di vermut e Marco è il rappresentante della ditta per tutta la Francia. Frequenta i bar degli Champs-Élysées, i ristoranti eleganti e le belle ragazze. Ultimamente si è fatto accalappiare».

«Da Jeanine Armenieu...».

«Si chiama così? Il fatto è che non abbiamo alcuna ragione per occuparci di lui e dei suoi amori. So solo che si è sposato perché ha dato una festa pazzesca in un locale notturno affittato per l’occasione».

«Vorrei che tu ti informassi su sua moglie. Negli ultimi mesi ha abitato all’Hôtel Washington. Ho bisogno di scoprire da dove viene, quello che faceva prima di conoscere Santoni, quali erano le sue amiche e i suoi amici. Le sue amiche, soprattutto».

Priollet prendeva appunti su un taccuino.

«È tutto? Ha qualcosa a che vedere con la morta di place Vintimille?».

Maigret annuì.

«Suppongo che nei tuoi fascicoli tu non abbia niente su una certa Louise Laboine...».

Priollet si girò verso una porta che era aperta.

«Dauphin! Hai sentito il nome?».

«Sì, capo».

«Potresti controllare?».

Pochi minuti dopo dalla stanza vicina giunse la risposta dell’ispettore Dauphin:

«Non c’è niente su di lei, capo».

«Mi dispiace, vecchio mio. Mi occuperò senz’altro della signora Santoni, ma per il momento sarà difficile interrogarla: secondo i giornali i novelli sposi si trovano in Italia».

«Non ti chiedo di interrogarla subito».

L’orologio sul caminetto, lo stesso orologio nero dell’ufficio di Maigret e di tutti i commissari, segnava pochi minuti a mezzogiorno.

«Andiamo a bere qualcosa?».

«Non adesso» rispose Priollet. «Aspetto una persona».

Sembrava che Maigret non sapesse bene cosa fare del suo corpo grande e grosso. Lo si vide percorrere lentamente il corridoio e gettare un’occhiata torva al di là del vetro nella sala d’attesa, dove due o tre persone stavano aspettando con aria annoiata. Pochi minuti dopo saliva i gradini di una scala stretta nel sottotetto del Palazzo di Giustizia e apriva la porta del laboratorio. Moers era chino su un microscopio.

«Hai esaminato i vestiti che ti ho mandato?».

Lassù nessuno era mai in preda all’agitazione: uomini in camice grigio si dedicavano a lavori minuziosi, maneggiavano apparecchi complicati in un’atmosfera di massima quiete e Moers era l’immagine stessa della pace interiore.

«Il vestito nero» disse «non è mai stato mandato in tintoria, ma veniva spazzolato regolarmente e smacchiato con la benzina. Ma nel tessuto erano incrostate delle particelle di polvere, che ho analizzato. Ho esaminato anche certe macchie che hanno resistito alla benzina. Ed è così che ho scoperto della vernice verde».

«C’è altro?».

«Ben poco. Qualche granello di sabbia».

«Sabbia di fiume?».

«No, di mare. Quel tipo di sabbia che si trova sulla costa normanna».

«Non è la stessa delle spiagge mediterranee?».

«No, ed è diversa anche da quella del litorale che si affaccia sull’oceano».

Maigret gironzolò ancora un po’ per il laboratorio e vuotò la pipa battendola sul tacco della scarpa. Quando scese, era mezzogiorno passato e gli ispettori stavano andando a pranzo.

«La cerca Lucas!» gli disse Jussieu, uno della squadra.

Lucas aveva già il cappello in testa.

«Me ne stavo andando, capo. Le ho messo un appunto sulla scrivania. Féret ha lasciato detto di chiamarlo al più presto. È a proposito della giovane morta».

Maigret entrò nel suo ufficio e afferrò il ricevitore.

«Passatemi la Squadra mobile di Nizza».

Non era mai capitato che ricevessero così poche telefonate dopo la pubblicazione di una fotografia sui giornali. Fino a quel momento c’era stata solo quella di Rose, la servetta di rue de Clichy.

Eppure dozzine, centinaia di persone dovevano aver visto quella ragazza, che era circolata in città almeno per qualche mese...

«Pronto! Féret?».

«È lei, capo?».

In passato l’ispettore Féret aveva lavorato per Maigret prima di essere trasferito a Nizza, dove aveva chiesto di andare per via della salute della moglie.

«Questa mattina presto ho ricevuto una telefonata riguardo alla persona di cui si sta occupando. A proposito, sa già come si chiama?».

«Louise Laboine, pare».

«Esatto. Vuole che le dia altri particolari? Non è molto, comunque. Ma prima di procedere a un’indagine più approfondita aspettavo sue istruzioni. Questa mattina, dunque, verso le otto e mezzo, mi ha telefonato una pescivendola, una certa Alice Feynerou... Pronto!...».

«Sto ascoltando».

Ad ogni buon conto Maigret annotò il nome su uno dei foglietti di Lognon.

«Costei sostiene di aver riconosciuto la fotografia pubblicata sull’“Éclaireur”. Non si tratta di una cosa recente. A quanto pare, risale a quattro o cinque anni fa. La ragazza, che all’epoca era poco più di una bambina, abitava con la madre nella casa vicina al negozio della pescivendola».

«E questa donna ha potuto fornire qualche particolare?».

«Quello che ricorda meglio è che la madre lasciava debiti ovunque:

«“A certa gente non bisognerebbe mai fare credito” mi ha detto».

«Che altro ti ha raccontato?».

«Abitavano in un appartamento piuttosto elegante nelle vicinanze di avenue Clemenceau. Pare che la madre fosse stata in passato una gran bella donna. Era più anziana di quanto non lo sia normalmente la mamma di una ragazza di quindici o sedici anni. All’epoca aveva superato di parecchio la cinquantina» .

«Di che cosa vivevano?».

«È un mistero. La madre curava molto il suo aspetto esteriore, usciva generalmente dopo pranzo e rientrava solo a tarda notte».

«Niente uomini?».

«No, nessun uomo. Se ci fosse stato qualcosa di poco regolare, la pescivendola sarebbe stata ben felice di parlarmene».

«Sono andate via insieme dal quartiere?».

«Sembra di sì. Un bel giorno sono sparite lasciandosi dietro qualche debito».

«Hai controllato se per caso nei tuoi fascicoli figura il nome Laboine?».

«È stata la mia prima mossa. No, non c’è niente. Ho chiesto anche ai colleghi. A uno dei più anziani, il nome dice qualcosa, ma non riesce a ricordare di che si tratta».

«Vorresti occupartene?».

«Farò il possibile. Che cosa le interessa principalmente?».

«Tutto. Quando la ragazza ha lasciato Nizza. Che ne è stato della madre. I loro mezzi di sussistenza. Le persone che frequentavano. A proposito, se all’epoca la ragazza aveva quindici o sedici anni, è probabile che andasse ancora a scuola. Dovresti verificare in tutte le scuole».

«Bene! Le telefonerò non appena saprò qualcosa di nuovo».

«Riguardo alla madre, vedi un po’ anche al casinò».

«Ci avevo già pensato».

Qualche altro tratto si delineava. Quest’ultima telefonata evocava l’immagine di una ragazzina che andava a comprare del pesce da una bottegaia alla quale sua madre doveva del denaro e che perciò la accoglieva senza dubbio alquanto freddamente.

Maigret infilò il cappotto, si mise il cappello e scese le scale, dove incrociò, senza guardarlo, un uomo fra due agenti. Prima di attraversare il cortile, entrò dal collega che controllava alberghi e camere ammobiliate. Aveva scritto su un foglietto il nome di Louise e quello di Jeanine Armenieu.

«Vuoi chiedere ai tuoi uomini di cercare questi due nomi nelle loro schede? Dell’anno scorso, più che di quest’anno».

Meglio che il povero Lognon non sapesse che stavano facendo una parte del suo lavoro.

Era finito da qualche minuto un acquazzone, il sole aveva fatto capolino e sui marciapiedi la pioggia si stava già asciugando. Maigret fu lì lì per fermare un taxi che passava, ma cambiò idea e si diresse lentamente verso la Brasserie Dauphine, dove rimase in piedi davanti al banco. Non sapeva bene cosa bere. Due ispettori, che non facevano parte della sua squadra, stavano discutendo sull’età della pensione.

«Che cosa prende, commissario Maigret?».

Poteva sembrare che fosse di cattivo umore, ma chi lo conosceva sapeva che non era così. Semplicemente, aveva la testa in tanti posti diversi: nell’appartamento della vedova di rue de Clichy, nel negozio di rue de Douai, sulla panchina di place de la Trinité, e infine a Nizza, dove cercava di figurarsi una ragazzina nel negozio di una pescivendola.

Tutte quelle immagini ancora confuse si mescolavano, ma alla fine qualcosa ne sarebbe venuto fuori. Ce n’era una, soprattutto, di cui non riusciva a liberarsi: quella di un corpo nudo sotto una luce violenta, con la sagoma del dottor Paul, in camice bianco, che si infilava i guanti di gomma.

«Un pernod!» rispose meccanicamente.

Paul non gli aveva forse detto che prima di venire colpita alla testa la ragazza era caduta in ginocchio?

Poco prima era passata al Roméo, in rue Caumartin, dove un tassista aveva notato il vestito modesto, dove il barman l’aveva vista infilarsi tra le coppie che ballavano e dove lei aveva parlato con il maître e poi con la sposa.

Dopodiché era uscita e aveva camminato sotto la pioggia. L’avevano vista attraversare place Saint-Augustin e poi in boulevard Haussmann, all’angolo con faubourg Saint-Honoré.

A che cosa aveva pensato per tutto quel tempo? Dove andava? Che cosa sperava?

Non aveva quasi più denaro, forse appena il necessario per un pasto, e la vecchia signora Crêmieux l’aveva messa alla porta.

Non si era certo potuta spingere molto lontano, ma ecco che, in un luogo imprecisato, qualcuno l’aveva presa a pugni e schiaffi facendola cadere in ginocchio e poi l’aveva colpita alla testa con qualcosa di duro e pesante.

Tutto questo, in base all’autopsia, era successo intorno alle due. Ma che cosa aveva fatto da mezzanotte alle due?

Dopo non era stata più lei ad agire, ma l’assassino, che aveva abbandonato il cadavere nel bel mezzo di place Vintimille.

«Strana ragazza!» borbottò.

«Come dice, commissario?» domandò il cameriere.

«Niente, niente. Che ore sono?».

Maigret decise di rientrare a casa per il pranzo.

«A proposito di quello che mi chiedevi ieri sera...» esordì la signora Maigret mentre stavano mangiando. «Ci ho pensato tutta la mattina. C’è un’altra ragione, per una ragazza, di mettersi in abito da sera...».

Il commissario non usò con lei gli stessi riguardi che usava con Lognon, e borbottò distratto, senza lasciarle nemmeno la soddisfazione di concludere:

«Lo so. Per un matrimonio».

La signora Maigret non aprì più bocca.