«Allora?»

Soltanto quella parola, nient’altro. Eravamo sedute di fronte a Miss Weatherby e io sentivo le guance bruciare di qualcosa che non era esattamente vergogna, ma simile alla vergogna. Alla mia sinistra vedevo Thea guardare fuori dalla finestra. Aveva il viso pallido e annoiato come se l’avessero convocata per discutere di targhette e di bastoni da hockey spariti, però vedevo le dita muoversi senza sosta sotto i polsini della camicetta e strappare la pelle secca intorno alle unghie.

Fatima, alla mia destra, non cercava di esibire nessuna freddezza. Sembrava scossa come lo ero io, affondata nella sedia nel tentativo di rimpicciolire fino a sparire. Aveva i capelli davanti al viso come per nascondere la paura, e gli occhi piantati in grembo in segno di rifiuto d’incrociare lo sguardo di Miss Weatherby.

«Allora?» ripeté Miss Weatherby in tono irritato, indicando con disprezzo uno dei fogli sulla scrivania.

Lanciai loro uno sguardo come se potessero parlare, ma i fogli rimasero muti e deglutii.

«Noi... non abbiamo fatto niente di male», dissi con la voce che s’incrinava sull’ultima parola, perché in realtà l’avevamo fatto, e non solo questo.

Erano schizzi, schizzi che raffiguravano me, Thea, Fatima e Kate, gettati sul piano di legno levigato in modo da farmi sentire nuda e indifesa, come non mi ero mai sentita quando Ambrose ci aveva ritratte.

Si vedeva Thea galleggiare sulla schiena nel Reach, le braccia stese pigramente dietro la testa. E Kate pronta a tuffarsi dal pontile, una lunga e sottile striscia di carne, pallida contro la distesa azzurra del mare dipinta ad acquerello. E Luc, che prendeva il sole nudo sulla banchina, con gli occhi chiusi e un sorriso indolente sulle labbra. Ce n’era uno che raffigurava tutti e cinque mentre facevamo il bagno nudi al chiaro di luna tra un groviglio di membra e risate, in un contrasto di ombre a matita e luminose chiazze di luce lunare...

Vagavo con gli occhi da un disegno all’altro, e ogni schizzo richiamava alla mente una scena, che rinasceva davanti agli occhi con la stessa chiarezza e vivacità di quando eravamo là: avvertivo la frescura dell’acqua, il calore del sole sulla pelle...

L’ultimo disegno, quello più vicino alla mano di Miss Weatherby, raffigurava me.

Sentii la gola che si chiudeva e arrossii.

«Allora?» disse ancora una volta Miss Weatherby con la voce che tremava di rabbia.

Erano stati selezionati con attenzione, su questo non c’erano dubbi. Tra le centinaia di schizzi che Ambrose aveva fatto di noi accucciate sul divano in pigiama, o mentre facevamo colazione a tavola al mattino, o marciavamo in stivali e muffole attraverso un campo screziato dal gelo, chiunque li avesse mandati aveva scelto i più morbosi: quelli in cui eravamo nude o sembrava che lo fossimo.

Guardai il disegno che mi raffigurava curva nell’atto di dipingermi le unghie dei piedi, l’arco della spina dorsale, la cresta delle vertebre disegnata con tale precisione da dare l’impressione di poter allungare la mano e toccarle, di avvertirne le protuberanze. Quel giorno indossavo un prendisole. Ricordavo ancora perfettamente il calore sulla schiena, il nodo del top che mi premeva sul collo, l’odore acre dello smalto rosa mentre lo stendevo sulle unghie.

Ma nel disegno ero seduta di spalle allo spettatore e i capelli nascondevano le spalline del top. Era stato scelto non per ciò che rappresentava, ma per ciò che sembrava rappresentare. Era stato scelto con cura.

Chi era stato? Chi voleva distruggere Ambrose in questo modo, e noi con lui?

Non può capire, avrei voluto dire. Sapevo cosa le passava per la mente: ciò che tutti avrebbero pensato vedendo quei disegni, ma aveva torto. Torto marcio completo.

Non era così, avrei voluto giustificarmi.

Ma non aprimmo bocca. Rimanemmo in silenzio mentre Miss Weatherby inveiva contro di noi predicando di responsabilità personale e della condotta di un’allieva di Salten e insisteva perché facessimo il nome dell’autore.

Silenzio.

Doveva averlo capito. Nessuno era in grado di disegnare con quella maestria, tranne forse Kate. Ma Ambrose firmava di rado i suoi schizzi, e magari lei pensava di riuscire a farci sputare fuori il nome...

«Benissimo. Dov’eravate la notte scorsa?» disse alla fine.

Silenzio.

«Non avevate il permesso di lasciare la scuola e avete infranto le regole. Qualcuno vi ha visto, sapete?»

Silenzio. Restammo sedute, una a fianco all’altra, cercando rifugio nel mutismo. Miss Weatherby incrociò le braccia, e mentre sentivo crescere la dolorosa tensione del silenzio, da un rapido scambio di occhiate tra Fatima e Thea capii cosa passava loro per la mente. Che cosa significava tutto questo, e quanto a lungo saremmo riuscite a reggere?

Qualcuno bussò alla porta facendoci sobbalzare. Voltammo la testa mentre la porta si apriva e vedemmo entrare Miss Rourke con una scatola in mano.

Fece un cenno a Miss Weatherby e rovesciò il contenuto di fronte a noi sulla scrivania, e a quel punto Thea ruppe il silenzio con la voce strozzata dalla rabbia.

«Brutte troie, avete frugato nelle nostre stanze!»

«Thea!» tuonò Miss Weatherby. Ma ormai era troppo tardi. Tutto il nostro patetico contrabbando – la fiaschetta da liquori di Thea, il mio accendino e il pacchetto d’erba di Kate, la mezza bottiglia di whiskey che Fatima conservava sotto il materasso, la confezione di profilattici, la copia d’Histoire d’O e tutto il resto – era tutto sparso sul tavolo come prova del delitto.

«Non ho altra scelta», disse con gravità Miss Weatherby. «Porterò tutto a Miss Armitage. E dato che la maggior parte di questo stava nel suo armadietto, dov’è Kate Atagon?»

Silenzio.

«Dov’è Kate Atagon?» urlò Miss Weatherby facendomi chiudere d’istinto le palpebre e riempire gli occhi di lacrime.

«Non ne abbiamo idea», fece Thea sprezzante spostando lo sguardo dalla finestra a Miss Weatherby. «E il fatto che non lo sappiate neanche voi la dice lunga sulla scuola, non vi pare?»

Seguì una lunga pausa.

«Fuori», disse alla fine Miss Weatherby, e capii che era sconvolta quasi quanto noi. Comunque fosse, era successo sotto la sua sorveglianza e sarebbe finita anche lei sul banco degli imputati. «Vi è stata offerta la possibilità di parlare, e siccome non avete voluto rispondere non ho intenzione di dare ascolto alle vostre obiezioni. Tornate nella vostra stanza a riflettere sul vostro comportamento e su ciò che intendete dire a Miss Armitage e ai vostri genitori quando li manderà a chiamare, come non dubito che farà.»

Tenne spalancata la porta e vidi che la mano tremava sulla maniglia, mentre uscivamo in fila indiana sempre in silenzio e rimanevamo là fuori a guardarci.

Cos’era successo? Come avevano fatto quei disegni a finire nelle mani della scuola? E qual era la nostra colpa?

Non lo sapevamo, ma un fatto era chiaro. Qualunque cosa fosse successa, il nostro mondo stava per crollare e aveva trascinato con sé Ambrose.

Il gioco bugiardo
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