Emise un grufolio – quel breve grufolio soffocato che, almeno nelle intenzioni, non dovrebbe essere udibile – girò la testa per darmi un'occhiata e riportò lo sguardo sul dottor Vollmer, che era nella poltroncina rossa vicino alla scrivania.
Il problema non consisteva nel fatto che gli stessero chiedendo un favore. Che mi risulti, al mondo non esiste nessuno capace quanto Nero Wolfe di rispondere no alla richiesta di un favore. Il problema era che si trattava del dottor Vollmer, che abitava e aveva lo studio vicino a casa nostra. Già, il dottor Vollmer ci aveva chiesto un favore, e il punteggio tra il dare e l'avere, tra noi, era nettamente a nostro svantaggio. E così, con ogni probabilità, Nero Wolfe sarebbe rimasto incastrato. Per questo aveva emesso il grufolio.
Vollmer accavallò le lunghe gambe magre e si massaggiò con le nocche le guance scavate. «Per essere esatti» disse, «è per un mio amico. Un uomo che ci terrei molto ad accontentare. Si chiama Irwin Ostrow e fa lo psichiatra, ma non freudiano. Ostrow sostiene un nuovo tipo di terapia psichiatrica, al quale sta lavorando intensamente. Lo chiamano intervento nella crisi. Forse è meglio che vi spieghi come funziona. È basato su...»
«Sul pronto intervento» completò Wolfe. «Una specie di laccio emostatico per le emozioni.»
«Come... come fate a saperlo?»
«Io leggo. E leggo per svariate ragioni, una delle quali è tenermi al corrente di quello che combinano i miei simili. Nel nostro paese sono già in funzione parecchie centinaia di centri per la psicoterapia d'urgenza. L'Istituto Psichiatrico di Detroit ha anche un centro per la prevenzione dei suicidi. Il personale sanitario dell'Ospedale di Grady è composto da psichiatri, infermiere, assistenti sociali, terapisti volontari e sacerdoti. Il direttore della clinica psichiatrica dell'Ospedale Generale di San Francisco ha parlato e scritto molto sull'argomento. Il direttore si chiama Decker.»
«E di nome?»
«Berry.»
Vollmer scosse la testa. «Sapete una cosa?» disse. «Siete la più assurda combinazione d'ignoranza e conoscenza che esista sulla faccia della terra. Scommetto, ad esempio, che non sapete di quante parti è composta una Fuga.»
«Cerco di sapere solo quello che mi serve. E faccio in modo di sapere quello che desidero.»
«E l'incognito?»
«Solo i filosofi e gli sciocchi perdono tempo con l'incognito. Ed io non sono né l'uno né l'altro. Che cosa vuol sapere il dottor Ostrow?»
Vollmer si sistemò nella poltroncina rossa, che era piuttosto accogliente. «Be', non vorrei annoiarvi con particolari che già conoscete. Se dovessi farlo, interrompetemi. La Clinica Washington Heights è nella Centosettantottesima Strada, vicino a Broadway. Ufficialmente, è una clinica di medicina generale, in realtà è una clinica psichiatrica. La gente può presentarsi a qualunque ora del giorno e della notte, e lo fa. Una donna che non può fare a meno di picchiare la figlia di due anni, o un uomo che si alza nel cuore della notte ed esce in pigiama... La maggior parte dei pazienti sarebbe destinata al manicomio, se non venisse curata per tempo, e la clinica... Ma questo lo sapete già. Otto giorni fa... anzi, otto giorni ieri, è arrivato un giovanotto, che ha detto di aver bisogno d'aiuto, e un'infermiera l'ha mandato da Irwin... dal dottor Ostrow. All'infermiera, l'uomo ha detto di chiamarsi Ronald Seaver.»
Vollmer mi guardò con le sopracciglia inarcate. «Spero che "loro due" non debbano andarci, in clinica.» E io, a Wolfe: «Una delle vostre zone d'ignoranza: il baseball. Ronald Swoboda è lanciatore e Tom Seaver battitore. "Ronald Seaver", chiaramente, è un nome falso, ma indica se non altro che l'uomo è un tifoso dei Met, ammesso che ci sia bisogno di un'indicazione».
«Appunto» disse Vollmer. «Naturalmente, Irwin l'ha capito subito che si trattava di un nome falso, ma alla prima visita i pazienti si comportano spesso così. L'uomo è tornato cinque giorni dopo, sabato mattina, e ancora il giorno dopo, domenica, e non solo non ha rivelato il suo vero nome, ma non ha voluto parlare di niente, tranne che del suo tipo di crisi: sangue sulle mani. Le sue mani si coprono di sangue, invisibile a chiunque altro, e lui va a lavarsele. La prima volta, dieci giorni fa... no, dodici... è accaduto nel cuore della notte, e lui è dovuto andare in bagno a lavarsi le mani. Accade di continuo, senza orari fissi, di giorno e di notte, e in genere quando è solo. Un'infermiera dice che si tratta della sindrome di Lady Macbeth. L'uomo afferma che non è successo niente che possa giustificare una cosa simile, ma Irwin è convinto che menta.»
Alzò una mano. «Questa, quindi, è la sua crisi. Irwin dice che la crisi esiste, e che è seria, tanto da minacciare un collasso mentale. Ma non possono fare niente per lui. Una collega di Irwin, una terapista volontaria che con altri pazienti ha riscosso notevoli successi, perfino in casi di stati catatonici, dopo due ore passate con l'uomo... questo accadeva domenica, l'altro ieri... gli ha detto che perdevano tempo tutti e due. Poi ha aggiunto che aveva due alternative da proporgli: o andava da un chirurgo a farsi amputare le mani, o si rivolgeva a un investigatore privato, magari Nero Wolfe, e cercava di tener testa alle sue domande. E sapete cos'ha risposto l'uomo? Ha risposto: "Giusto. Andrò da Nero Wolfe".»
Inarcai le sopracciglia. «Ha tentato, infatti» dissi. «Doveva essere Ronald Seaver, quello che telefonato ieri verso mezzogiorno per dire che voleva venire qui e che era disposto a pagare cento dollari l'ora per rivolgere delle domande a Nero Wolfe. Ma non mi ha detto come si chiamava, né mi ha parlato di mani insanguinate. Naturalmente ho pensato che fosse matto e ho riattaccato.»
Vollmer annuì. «Poi ha telefonato a Irwin, e Irwin ha telefonato a me.» Si rivolse a Wolfe. «Naturalmente, i cento dollari l'ora non vi tentano, ma io non sono venuto per tentarvi. Sono venuto a chiedervi un favore per un amico. Avete detto che fate sempre in modo di sapere quello che desiderate sapere. Be', secondo il dottor Ostrow, è possibile che quest'uomo possa veramente aver avuto del sangue sulle mani, e vuole rendersi conto se può o se deve aiutarlo. Ammetto che anch'io sono del suo parere. Mi è capitato spesso di avere a che fare con pazienti nevrotici... succede a tutti i medici... ma questo è un caso particolare.»
Wolfe guardò l'orologio a muro. Erano le sette meno venti. «Volete cenare con noi? Stasera abbiamo capitone alla creola. Fritz usa scalogno al posto delle cipolle, e niente pepe. E Chablis al posto dello Sherry.»
Vollmer sorrise. «Sapendo quante poche persone hanno il privilegio di essere invitate alla vostra tavola, dovrei sentirmi lusingato. Ma mi rendo conto che si tratta di compassione per il mio...»
«Io non sono un essere compassionevole.»
«Ah! Secondo voi, i miei pasti sono come quelli descritti da Johnson a Boswell: "Mal preparati, mal conditi, mal cucinati e mal serviti". E vi dispiace per me. Grazie, ma ho parecchie cose da fare, prima di cena. Se potessi venire domani e portare quell'uomo...»
Wolfe fece una smorfia. «Non a cena. Penso che domani quell'uomo vedrà il dottor Ostrow, o gli telefonerà. Se dovesse farlo, ditegli di venire domani sera alle nove. Niente onorario. E niente compassione.»