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Due ore più tardi, alle quattro meno venti, mentre ero seduto al tavolo di cucina a mangiare pane tostato, formaggio e marmellata di fragole, entrò un agente che mi comunicò che l’ispettore Cramer, della Squadra Omicidi Manhattan West, voleva vedermi per chiedermi un favore. Non era mai accaduto prima che l’ispettore Cramer arrivasse al punto di chiedermi un favore, ma il comportamento di Hattie Annis, a quanto pareva, l’aveva costretto a violare la prima legge della sua vita: mai chiedere favori a Wolfe o a Goodwin.
Seduti al tavolo con me c’erano due degli inquilini della casa, Noel Ferris e Paul Hannah. Ferris era il bel giovanottone apparso mentre stavo telefonando. Hannah era più giovane, ma non altrettanto bello: aveva le guance rosate e paffute, il naso rincagnato e le orecchie a sventola. Un poliziotto era andato a prelevarlo al Mushroom Theatre, dove stava provando, circa un’ora prima.
Quando Cramer mi mandò a chiamare, Ferris e Hannah stavano cercando di ricordare quando avevano messo piede per l’ultima volta nel salotto. Alla fine, decisero quanto segue: Ferris ci era andato una sera, circa un mese prima, per sentire se il pianoforte era veramente scordato come affermava Martha, e aveva scoperto che era ancora peggio. Hannah, invece, era andato nel salotto circa due settimane prima: era sceso per fare una telefonala, ma siccome l’apparecchio telefonico era monopolizzato da Martha, lui si era rifugiato nel salotto perché gli era parso poco delicato restare nell’atrio mentre la ragazza parlava. Prima di attaccare la questione del salotto, avevano discusso animatamente sul coltello. A sentire Hannah, si era accorto subito che il coltello era quello che aveva usato tante volte in cucina. Ferris, invece, aveva affermato che per lui i coltelli erano tutti simili, e che mai e poi mai avrebbe riconosciuto il coltello che aveva ucciso Tammy. Si erano scaldati, durante la discussione, e se n’erano dette di tutti i colori, incuranti dell’agente che ascoltava ogni loro parola.
Fino a quel momento, a me non era stato permesso di mettere piede nel salotto. Mi ero limitato a osservare l’andirivieni degli esperti della Scientifica, alcuni dei quali erano ancora là. Il mio primo colloquio aveva avuto luogo in cucina, con Purley Stebbins, che era arrivato in persona dieci minuti dopo i due agenti dell’autopattuglia. Il secondo, aveva avuto luogo nella stanza sopra la cucina, che in seguito era risultata quella di Raymond Dell, e aveva avuto come protagonisti l’ispettore Cramer e il “Tman”, Albert Leach. Un grande onore, per me, ma in fondo l’avevo meritato: se non fosse stato per merito mio, non sarebbero stati là.
La mia telefonata al Dipartimento del Tesoro aveva portato Leach sulla scena del delitto, e la presenza di Leach aveva portato l’ispettore Cramer. E cosi avrei osservato le reazioni di Cramer all’intervento di un’altra autorità, e non quelle di Stebbins. Comunque, non era stato niente di interessante, perché come al solito Cramer aveva reagito contro di me.
– A sentir voi, Wolfe le ha detto che non si aspettava di riscuotere nessun onorario e che non gli interessava nessuna ricompensa, ma ha mandato voi qui e vi ha pagato il tassi. Frottole. Conosco Wolfe e conosco voi. Vi aspettate di darmela a bere?
Oppure: – Volete darmi a intendere che non sapete esattamente quanto tempo è passato da quando avete trovato il cadavere a quando avete telefonato a Stebbins? Affermate di non avere guardato l’orologio, quando avete trovato il cadavere. Non è vero. Siete tanto abituato a fare certe cose, che avreste guardato l’orologio automaticamente. Raymond Dell e Martha Kirk hanno affermato che, quando voi e Hattie Annis avete lasciato la cucina, era l’una e cinque. Avete telefonato a Stebbins all’una e trenta, quattro. Mezz’ora. Che cos’avete fatto, nel frattempo?
Oppure: – Finitela di fare il buffone!
Comunque, Cramer era partito in svantaggio, dato che fin dal principio si era aspettato che lo prendessi per il bavero. Quindi, per evitare guai peggiori, si era limitato a bistrattarmi, ma senza calcare troppo la mano. Per mia fortuna, il punto più delicato non era stato mai affrontato. Gli avevo raccontato tutto, dalla visita di Hattie Annis al pacchetto che avevo messo nella cassaforte, ma avevo lasciato fuori un particolare: non avevo accennato, cioè, al fatto che avevo esaminato le banconote. Da parte sua, Cramer non aveva insinuato neppure per un attimo che potessero essere false, e altrettanto aveva fatto Albert Leach. Leach aveva abbassato la guardia solo una volta, quali do aveva avuto la sensazione clic volessi prenderlo in giro.
– Vi ho già avvertito – aveva sbottato – di non tentare di fare il furbo col Dipartimento del Tesoro. Quando sono venuto a domandarvi se Hattie Annis era stata da voi, lei era in casa con Wolfe. L’avete appena ammesso. Avete nascosto un’informazione a un agente del governo federale, e dovrete risponderne davanti alle autorità.
– Ne risponderò subito – avevo ribattuto. – Perché avrei dovuto darvi quell’informazione? Se avevate una ragione grave per chiedere di Hattie Annis, vi siete dimenticato di dirmelo. L’ispettore Cramer non ha bisogno di dirmi niente, invece. Hattie Annis ed io abbiamo trovato un cadavere sotto questo tetto. Il mestiere dell’ispettore è di trovare i colpevoli degli omicidi, e quindi ha il diritto di rivolgermi tutte le domande che vuole. Di conseguenza risponderò a lui e non a voi. Non mi pare che possiate sottopormi delle domande che meritino una risposta da parte mia. Comunque, provate. Posso sempre…
L’avevo fatto apposta. Prima o poi, qualcuno mi avrebbe domandato se sapevo che quelle banconote erano false, quindi tanto valeva che mi togliessi subito la spina dal cuore. Ma Leach si era limitato a guardare Cramer, e quest’ultimo aveva ripreso l’interrogatorio.
Alle quattro meno venti, quando un agente di nome Callahan entrò in cucina per dirmi che l’ispettore voleva vedermi per chiedermi un favore, pensai che avessero deciso che era arrivato il momento di rivolgermi la domanda da sessantamila dollari. Ma, quando vidi la faccia di Cramer, capii che le cose non stavano cosi. Voleva veramente chiedermi un favore. Invece di aggredirmi con qualche commento velenoso, si limitò a mordicchiare il sigaro. Cramer mordicchia il sigaro solo quando deve fare qualcosa che non gli va. Con lui, c’erano il tenente Rowcliff e un altro agente. Leach non era presente. Eravamo nella stanza di Dell.
Cramer ci mise un po’ a decidersi. Dopo qualche attimo, si tolse il sigaro di bocca e borbottò: – Abbiamo bisogno del vostro aiuto, Goodwin.
– Lieto di fare tutto quello che posso.
– Già. – Be’, non era il tono adatto per chiedere un favore. – L’avete detto voi, a quella Annis, di chiudersi in camera?
– No. Vi ho già raccontato come sono andate le cose.
– Già. – Si rificcò il sigaro tra i denti. – Non vuole aprire la porta. Non vuole aprire il becco. Non vuole aprire niente. Non abbiamo intenzione di abbattere la porta, a meno che non ci costringa a farlo. È vostra cliente. Se le consigliate di aprire, aprirà.
– Non è mia cliente. Non è neanche cliente di Wolfe.
– Questo lo dite voi. Non aprirebbe, se glielo chiedeste?
– Probabilmente si.
– Provate, allora.
Mi permisi di sogghignare. – Non come vorreste, non con voi alle calcagna. Sono disposto a provare se mi lascerete solo nel corridoio e chiuderete la porta di questa stanza. Le spiegherò la situazione. Hattie ha una specie di prevenzione, contro i poliziotti. Suo padre è stato ucciso da uno di voi, sapete, e…
– Si, lo so, quindici anni fa. Quella donna è un po’ matta. O mi sbaglio?
– Può darsi.
– Dovrebbe saperlo, che se ci costringe butteremo giù la porta. Diteglielo chiaro e tondo.
– Certo, glielo dirò, ma solo se accettate le mie condizioni. Voi dovete restarvene qui dentro, con la porta chiusa. Rowcliff ha il cervello lento, ma le gambe svelte.
– Non cominciate a fare lo spiritoso – sbottò Cramer, spostando il sigaro dall’altra parte della bocca.
– Avanti, che cosa aspettate? – Andai, mi chiusi la porta alle spalle, percorsi il corridoio, bussai alla porta di Hattie e dissi: – Sono io. Fratello Goodwin. Sono solo. Fatemi entrare. Devo chiedervi una cosa.
Alcuni passi, poi la sua voce:
– Dove sono loro?
– Ancora in casa, ma a distanza di sicurezza.
La serratura stridette e la porta si apri. Entrai, chiusi, girai la chiave. Le tende erano abbassate e la luce accesa. Hattie aveva in mano una rivista.
– Avreste potuto portarmi qualcosa da mangiare – disse. – Non ho fatto colazione. Siete un buono a nulla.
La guardai. – È la seconda volta che mi dite una cosa del genere –sbottai. – Cerchiamo dunque di mettere in chiaro la situazione una volta per tutte. Se davvero pensate che sono un buono a nulla, perché mi avete permesso di entrare?
– Pensavo che mi aveste portato qualcosa da mangiare. Comunque, quando dico che siete un buono a nulla, lo dico solo per sfogarmi. Ho fame.
– Ho capito. Comunque, mettetevi in testa una cosa: sono un tipo che sa il fatto suo. Altrimenti, come pensate che avrei trovato il modo di venire a dirvi di stare lontana dalla porta perché quelli hanno intenzione di abbatterla?
– Non lo faranno!
– E perché non dovrebbero?
– Perché sanno benissimo che sparerò.
Mi guardai attorno: un massiccio letto di noce, una vecchia scrivania a ribalta, un cassettone, due poltrone, le pareti coperte di fotografie di uomini e di donne, tutti in abito da scena.
– Con che cosa sparerete? – domandai.
– Con niente – rispose. – Non ho una rivoltella, ma loro non lo sanno.
La guardai. – Mi permettete di chiamarvi Hattie?
– No. Non finché non avrò visto come si mettono le cose.
– Benissimo. Signorina Annis, un piedipiatti, certo Cramer, mi ha chiamato per pregarmi di venire ad avvertirvi che hanno intenzione di abbattere la porta di questa camera. Possono farlo senza mettersi sulla linea di fuoco, e lo faranno. Questo è tutto quello che l’ispettore Cramer voleva che vi dicessi, ma aggiungerò qualcosa di mio: se saranno costretti ad abbattere la porta, per parlarvi, mettetevi in testa una cosa: vi porteranno alla Centrale e vi tratterranno come testimone indispensabile. Stanno svolgendo delle indagini su un omicidio avvenuto in casa vostra, e voi siete un’indiziata. Se invece li lascerete entrare e permetterete loro di rivolgervi delle domande che hanno il diritto di rivolgervi, con ogni probabilità non vi porteranno alla Centrale e voi potrete dormire nel vostro letto.
Mi fissò con gli occhi sbarrati. – Avete detto che sono un’indiziata?
– Certo. Avreste potuto uccidere quella ragazza quando siete tornata a casa per cucire il bottone.
– Anche “voi” mi sospettate?
– Neanche per sogno. Posso essere un buono a nulla, ma non un deficiente.
Strinse le labbra. – Dovranno portarmi in braccio.
– Certo, lo faranno. Sono in parecchi, e hanno delle manette.
– Dovranno essere in parecchi davvero, per portarmi via. – Chinò la testa da un lato e una ciocca di capelli grigi le ricadde sulla fronte. Non si prese la briga di rimetterla a posto. – E va bene, fratello. Non ho mai assunto un investigatore privato, quindi non so qual è la procedura. Devo firmare qualcosa?
– Chi volete assumere, signorina Annis?
– Voi. Chiamatemi Hattie.
– Non potete assumere me. Lavoro per Nero Wolfe e ricevo uno stipendio regolare.
– Allora assumo Nero Wolfe.
– Per fare che?
– Per dare una lezione ai piedipiatti. Per farli pentire di aver messo piede in casa mia. Per svergognarli di fronte a tutta la nazione americana.
– Nero Wolfe non accetterà l’incarico a questi termini. Potete assumerlo perché svolga delle indagini su un omicidio. Può darsi, comunque, che raggiunga ugualmente il vostro scopo, anche se per vie traverse. Vi avverto, però: Wolfe ha le idee confuse, per quanto riguarda gli onorari. In genere, chiede delle cifre iperboliche, e non so se sarete in grado di…
– Voi lo aiutereste?
– Certo. Fa parte del mio lavoro.
Chiuse gli occhi, li tenne chiusi per qualche secondo, poi li riapri.
– Gli darò un decimo di tutto quello che possiedo, all’infuori della casa. Significa che gli darò quarantaduemila dollari. Dovrebbero essere sufficienti.
Feci uno sforzo per non sbarrare gli occhi. – Credo di si – concessi. – Se volete che gli sottoponga la vostra proposta, però, dovrete permettermi di rivolgervi una domanda. Wolfe ha un atteggiamento spiacevolmente realistico, per quanto riguarda i quattrini. Quello che possedete, a parte la casa, è in contanti oppure dovrete vendere qualcosa, come per esempio un cavallo da corsa o uno yacht?
– Non fate lo spiritoso, fratello. Anch’io ho un atteggiamento realistico, per quanto riguarda i quattrini. La cifra è sotto forma di azioni, in una cassetta di sicurezza, in banca. Volete che firmi qualcosa?
– Non è necessario, ora che mi avete dato il permesso di chiamarvi Hattie. – Controllai l’istinto di allungare la mano e di metterle a posto la ciocca di capelli grigi. – Per il resto della giornata, probabilmente, non avrete più tempo di parlare con me, perciò restiamo intesi cosi: avete assunto Nero Wolfe perché svolga delle indagini su un omicidio. Se Wolfe non dovesse accettare l’incarico, ve lo comunicherò non appena potrò mettermi in contatto con voi. In quanto…
– Perché non dovrebbe accettare l’incarico?
– Perché è un genio e un eccentrico. I geni non hanno bisogno di spiegare il perché delle loro azioni. Ma lasciate fare a me. Comunque, siccome con ogni probabilità dovrete versarci un onorario, prima della fine, tanto vale che cominci a guadagnarmelo. Avete un cuscinetto per timbri? Di quelli inchiostrati?
Rispose di si, che doveva essercene uno nel cassetto della scrivania. Andai a cercarlo e lo trovai. A questo punto, le domandai se aveva un foglio di carta patinata. Rispose di no. Presi la rivista che aveva avuto in mano al mio ingresso nella stanza, la sfogliai, mi fermai a una pagina che riproduceva un’inserzione pubblicitaria a colori, con un largo margine bianco, e la staccai.
– Ho bisogno delle dieci dita – dissi. – Prima la mano destra. Cominciamo dal pollice. Cosi.
Non domandò perché. Non domandò niente. O sapeva già a che cosa mi servivano le sue impronte, oppure voleva semplicemente accontentarmi. Quando ebbi le dieci impronte, quelle della destra sul margine destro della pagina e quelle della sinistra sul margine sinistro, piegai con cura il foglio e lo riposi tra le pagine del mio taccuino.
– Cosi va bene – dissi poi. – Lasciate la porta aperta ed io avvertirò Cramer che…
– No. Non ci penso neanche. Se buttano giù la porta, me la pagheranno.
Le spiegai tutto da capo. Le dissi che una persona capace di essere tanto realista per quanto riguardava i quattrini, doveva esserlo altrettanto, se non di più, per quanto riguardava gli omicidi. Non si lasciò convincere. Le dissi che non aveva bisogno di invitarli a entrare, che sarebbe stato sufficiente che lasciasse aperta la porta. Rispose che non c’era niente da fare, e che ero un buono a nulla.
Me ne andai e, nel momento in cui oltrepassai la soglia, sentii che sbatteva la porta alle mie spalle, facendo girare la chiave nella toppa. Percorsi il corridoio e aprii l’uscio della stanza di Dell.
– Be’? – domandò Cramer – Niente da fare – risposi, restando sulla soglia. – Se quella donna ha un cervello, non so per che cosa lo usi. Vuole assumere Nero Wolfe perché vi dia una lezione e vi svergogni agli occhi del mondo. Le ho spiegato che, se vi costringe a buttare giù la porta, probabilmente la porterete alla Centrale e la tratterrete come testimone indispensabile. Ha risposto che dovrete trascinarla con la forza. Quando me ne sono andato dalla sua stanza, ha chiuso a chiave.
– E va bene – sbottò Cramer. – Se è cosi che preferisce, peggio per lei!
Si voltò per dire qualcosa a Rowcliff, ma io non mi fermai ad ascoltare perché avevo una faccenda urgente da sbrigare. Callahan, l’agente che mi aveva accompagnato là dalla cucina, era sparito dalla circolazione; se scendevo da basso senza scorta, probabilmente nessuno mi avrebbe fermato. Indietreggiai, e, una volta sul pianerottolo, scattai e scesi i gradini di corsa; nell’atrio, però, rallentai l’andatura e, mentre prendevo il cappello e il cappotto dall’attaccapanni, domandai all’agente di guardia se nevicava ancora. Tranquillamente, poi, mi diressi alla porta, aprii e uscii in strada la neve scendeva copiosa e aveva ricoperto il marciapiede di almeno cinque centimetri, come un tappeto bianco. Vidi due agenti, quattro autopattuglie e un gruppetto di criminologi dilettanti.
Mi diressi a est, trovai una cabina telefonica in un bar-tavola calda, appena svoltato l’angolo della Ottava Avenue, e formai il numero che mi stava a cuore. Erano le quattro passate, e Wolfe era senza dubbio nella serra per il suo appuntamento pomeridiano con le orchidee. Mi rispose Fritz, infatti.
– Passami il grande capo – gli dissi.
Aspettai un paio di secondi, giusto il tempo necessario perché Fritz abbassasse la levetta che passava la comunicazione nella serra, poi mi giunse il grugnito di Wolfe: – Si? – Wolfe è sempre scontroso, al telefono, ma quando viene interrotto durante il suo “tèteàtète” con le orchidee, diventa addirittura intrattabile.
– Sono di nuovo io – dissi. – Telefono da un bar della Ottava Avenue. Ho lasciato la scena del delitto alla chetichella perché avevo qualcosa da riferirvi. Non saremo contraddetti, per quanto riguarda il denaro. La signorina Annis, che da un po’ chiamo più confidenzialmente Hattie, ha chiuso il becco e lo terrà chiuso chissà per quanto. Si è trincerata nella sua stanza. Cramer e Rowcliff stanno per abbattere la porta. Il sergente Stebbins sembra scomparso. Credo che…
– È stato qui.
– Chi? Stebbins?
– Si. Gli ho parlato sulla soglia di casa. Voleva il pacchetto del denaro. Gli ho detto che non era di mia proprietà e che quindi non potevo consegnarglielo. Non l’ho fatto entrare. Non mi è sembrato molto soddisfatto, quando se n’è andato.
– Ci scommetto. Cramer mi ha pregato di convincere Hattie a lasciarlo entrare nella sua stanza. Ho tentato… Non attraverso la porta, perché a me Hattie ha permesso di entrare. Quando le ho spiegato che se li avesse costretti ad abbattere la porta l’avrebbero portata alla Centrale e trattenuta come testimone indispensabile, ha risposto che voleva assumere voi nella speranza che riusciste a svergognarli agli occhi di tutta la nazione americana. Le ho detto che probabilmente avreste accettato l’incarico, ma che bisognava proporvelo in termini diversi, e cioè come delle indagini su un omicidio, ma ho anche aggiunto che forse, sia pure per via indiretta, avreste ugualmente raggiunto il suo scopo. Quando ha saputo che i vostri onorari sono molto alti, Hattie mi ha assicurato di essere in grado di versarvi quarantaduemila dollari, un decimo delle azioni che tiene in una cassetta di sicurezza. Sono rimasto d’accordo con lei in questo senso: se voi aveste rifiutato l’offerta, l’avrei avvertita. Le ho spiegato che siete un po’ matto. Ma il guaio è, come faccio ad avvertirla, se non riesco a parlarle? Devo pregare Cramer di riferirle che siete troppo occupato?
– Sì.
– Capisco – dissi in tono comprensivo. – Il fatto è che Hattie voleva assumere me, e io le ho risposto che per avere me doveva assumere voi. Resto in linea finché non avrete contato fino a dieci.
– Accidenti a voi. – Questa volta, il muggito gli sali dalle viscere. – Può anche darsi che quella donna non abbia azioni di sorta, che sia povera in canna!
– Neanche per sogno. È un po’ picchiata, ma è un tesoro. Mi ha affascinato, e per giunta le devo della riconoscenza: ha costretto Cramer a chiedermi un favore.
Silenzio. Poi, un altro muggito. – Venite a casa a fare rapporto. Vedremo.