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Non arrivai mai a controllare nessun alibi, ma ci mancò poco. Se non ci arrivai, comunque, il merito fu tutto dell’ispettore Cramer.
Dato che Wolfe si rifiuta di discutere di lavoro durante i pasti, e dato che un caso d’omicidio è pur sempre lavoro, anche se non esiste un cliente né la possibilità di riscuotere un onorario, durante la colazione non facemmo alcun progresso. Ma quando tornammo nello studio, Wolfe si immerse nei suoi pensieri, nel tentativo di escogitare qualcosa da farmi fare. Il guaio era che il problema era troppo semplice.
Sapevamo che uno di quei tre uomini aveva commesso un omicidio, e sapevamo anche come e perché. E va bene, quale dei tre? Anche il movente era molto semplice: la signora Sorell aveva tirato dalla sua uno dei tre indiziati, promettendogli una parte dei trenta milioni che avrebbe potuto incassare se fosse riuscita a mettere il marito con le spalle al muro. Comunque, la polizia sapeva né più né meno quello che sapevamo noi, e senza dubbio aveva sguinzagliato i suoi agenti per tutti i punti cardinali.
Ci voleva una buona dose di genio, per risolvere il rompicapo, e a quanto pareva Wolfe aveva mandato in ferie il cervello.
Mentre ce ne stavamo seduti nello studio, comunque, lo stuzzicai un po’ troppo, perché altrimenti non sarebbe arrivato a urlare: – E va bene, andate a controllare i loro alibi, e non se ne parli più.
Mi alzai di scatto e corsi nell’atrio a prendere cappello e cappotto. Aprii la porta nel momento stesso in cui l’ispettore Cramer sollevava la mano per suonare.
Avete un appuntamento? – domandai.
– Come no? – rispose. – Ce l’ho in tasca: sotto forma di un mandato d’arresto per voi come testimone indispensabile. E un altro per Nero Wolfe, il quale, invece, è accusato di aver ostacolato il corso della giustizia. Vi avevo avvertito.
La cosa poteva essere considerata da due punti di vista. Primo: probabilmente aveva intenzione di usare i due mandati solo se ce l’avessimo costretto. Altrimenti, avrebbe mandato due agenti, invece di venire personalmente, in compagnia del sergente Purley Stebbins. Secondo: non aveva voluto lasciarsi scappare l’occasione di dare una lezione a Nero Wolfe.
Se mi fossi lasciato sfuggire qualche commento pungente, comunque, una cosa era certa: Cramer ci avrebbe portati in guardina, la qual cosa sarebbe stata un bene se non altro da un punto di vista. Wolfe avrebbe imparato a non lasciare in giro le sue cravatte. Comunque, dato che sarei stato portato via anch’io, e la cosa non mi sembrava giusta, guidai Cramer verso lo studio, senza più aprire bocca, lasciando a Stebbins il compito di chiudere la porta.
– Cramer e Stebbins – annunciai, una volta nello studio. – Hanno due mandati d’arresto. Un ispettore per portare via voi, e un sergente per me. Dobbiamo sentirci onorati.
Wolfe mi fissò per alcuni secondi con gli occhi socchiusi, poi trasferì lo sguardo sui nuovi arrivati.
Cramer disse: – Vi avevo avvertiti, ieri sera. – Poi posò il cappotto sul bracciolo della poltrona di pelle rossa e si piazzò a sedere.
Wolfe sbuffò: – Sciocchezze.
Cramer estrasse due fogli di tasca. – Li userò solo se ne sarò costretto. Se dovessi usarli, tanto, so già che cosa accadrebbe. Vi rifiutereste di aprire bocca, e nel giro di poche ore Parker vi farebbe uscire sotto cauzione. Comunque, resterebbe agli atti, e per due investigatori privati la cosa non sarebbe poi tanto piacevole. Essere trattenuti come testimoni indispensabili è una cosa, ed essere arrestati per aver ostacolato il corso della giustizia è un’altra. Nell’interesse della giustizia, non abbiamo rivelato a nessuno il contenuto della deposizione di Goodwin, e lo sapevate benissimo. Ma voi ne avete parlato nientemeno che con gli indiziati. L’ha detto Frank Edey, il quale ha telefonato a uno dei vice Procuratori Distrettuali.
Di nuovo saltava in ballo l’uomo dalle idee brillanti.
– Edey è un farabutto dichiarò Wolfe.
– Si, certo: vi eravate fatto promettere che non ne avrebbe parlato con nessuno, vero?
– No. Non ho fatto patti, con quegli uomini. Ma ho detto chiaramente che se avessi smascherato il colpevole prima della polizia, avrei fatto del mio meglio per proteggere gli interessi dello studio dell’avvocato Otis. Se il signor Edey è innocente, non vedo che cos’aveva da guadagnare, ostacolando le mie indagini. Se è colpevole, peggio ancora.
– Chi è il vostro cliente? Otis?
– Non ho clienti. Ho intenzione di lavare un’offesa fatta alla mia dignità. La vostra minaccia di accusarmi di aver ostacolato il corso della giustizia è puerile. Non mi sto immischiando in una faccenda che non mi riguarda. Non posso sopportare l’ignominia di vedere la mia cravatta presentata in tribunale come capo d’accusa. Sareste capaci di chiamarmi sul banco dei testimoni per chiedermi di riconoscerla come mia. Comunque vadano le cose, però, ho intenzione di smascherare il mascalzone che ha osato usarla. Rivelando all’avvocato Otis e ai suoi soci quello che la signorina Aaron aveva detto al signor Goodwin, ho esclusivamente servito i miei interessi, senza interferire in alcun modo nel corso della giustizia.
– Sapevate benissimo che avevamo preferito non accennare al colloquio di Goodwin con la vittima!
Wolfe sollevò le spalle di un decimo di centimetro. – Non sono tenuto a rispettare la vostra tattica. Non me lo impone né la costituzione, né l’uso. Non siamo avvocati, signor Cramer. Provate a domandare al Procuratore Distrettuale se la vostra accusa reggerebbe. – Sollevò una mano. – Signor Cramer, non facciamo discussioni inutili. Avete un mandato d’arresto a mio nome?
– Si. E uno a nome di Goodwin.
– Ma non avete intenzione di usarli. Quindi, non sono che armi con le quali intendete minacciarci. A che scopo? Che cosa volete?
Una specie di muggito sfuggi dalle labbra del sergente Stebbins, che era rimasto in piedi dietro la poltrona di Cramer. C’è una sola cosa che darebbe a Stebbins maggior piacere di portare me o Wolfe in guardina, ed è di poterci portare tutti e due insieme. Wolfe ammanettato da una parte, e io dall’altra. Ecco il sogno della sua vita. Il muggito era di delusione; mi sentii in dovere di lanciargli un’occhiata comprensiva. Scosse il capo e andò a sedersi in un angolo.
– Voglio la verità – disse Cramer.
– Pfui – rispose Wolfe.
Cramer fece un cenno d’assenso.
– “Pfuiate” pure. Se accetto la deposizione di Goodwin cosi com’è, una cosa è certa: Bertha Aaron è stata uccisa da uno di quei tre. Edey, Heydecker e Jett. Siete d’accordo?
– Sì.
– Ma se una giuria accettasse a sua volta la deposizione di Goodwin cosi com’è, non riuscirebbe mai a far condannare il colpevole. La signorina Aaron è arrivata qui alle cinque e venti, e Goodwin è rimasto con lei fino alle cinque e trenta nove, poi è salito nella serra. Quando è tornato giù e ha trovato il cadavere, erano le sei e dieci. Passiamo ora a quei tre. Se uno di loro ha avuto un colloquio con la signorina Aaron, ieri pomeriggio, o se ha lasciato lo studio subito dopo di lei, o magari in sua compagnia, non riusciremo mai a identificarlo. Non l’abbiamo identificato finora e dubito che potremo farlo in futuro. Tutti e tre hanno un uscio privato, e le segretarie stanno in un’altra stanza. Naturalmente, stiamo ancora effettuando dei controlli sui movimenti di ognuno e su altri particolari, ma per ora non abbiamo scoperto niente. Quella lista, Purley.
Stebbins tirò fuori di tasca un foglio, che porse a Cramer. Quest’ultimo lo studiò per un attimo, prima di riprendere a parlare.
– Avevano in programma una riunione per le cinque e mezzo. Dovevano discutere un caso che non aveva niente a che fare con quello Sorell. Si dovevano trovare tutti nell’ufficio di Edey. Edey era già al suo posto, quando è arrivato Jett, un paio di minuti prima delle cinque e mezzo. Jett ed Edey sono rimasti insieme fino all’arrivo di Heydecker, che è entrato nell’ufficio alle cinque e quarantacinque. Heydecker si è scusato, dicendo che era uscito per una faccenda personale e che ci aveva messo più di quanto non si fosse aspettato. I tre sono rimasti insieme a discutere il caso fino alle sei e trentacinque. Cosi, anche se togliamo Jett ed Edey dalla lista degli indiziati, o concentriamo l’attenzione su Heydecker, che ci rimane? Goodwin ha affermato di aver lasciato la signorina Aaron, viva, alle cinque e trentanove. A sentire quei due, Heydecker è entrato nell’ufficio di Edey alle cinque e quarantacinque. In sei minuti, Heydecker avrebbe dovuto avere il tempo di chiamare questo numero, venire qui, entrare in casa, uccidere Bertha Aaron e tornare nello studio legale, che si trova a più di un chilometro di distanza. Puah! Inoltre, nessuno di quei tre avrebbe potuto venire qui e uccidere Bertha Aaron dopo la riunione. A questo riguardo, non ho bisogno di stare alle dichiarazioni di Goodwin. La sua telefonata, quella con cui ci ha avvertiti dell’omicidio, è stata registrata: è giunta alla Centrale alle sei e trentuno esatte. La riunione è finita alle sei e trentacinque. Che ve ne pare?
Wolfe lo fissò con la fronte aggrottata. – La faccenda non mi va. Dov’era andato Heydecker, per arrivare in ritardo alla riunione?
– In tre teatri, a comprare dei biglietti. Un uomo, nella sua posizione sociale, avrebbe potuto procurarseli tramite un’agenzia, ma non lui. È un avaro patentato. Abbiamo controllato, ma il personale dei tre teatri non lo ricorda.
– Edey e Jett non sono mai usciti dall’ufficio, tra le quattro e mezzo e le cinque e mezzo?
– Non che mi risulti. Hanno affermato di non essere mai usciti, e nessuno ha affermato il contrario. Comunque, anche se l’avessero fatto, che differenza c’è? Abbiamo escluso perfino Heydecker!
– Non è detto. Tanto più che l’idea che uno di quei tre abbia assoldato un sicario, è incredibile.
– Altro che! E poi, volete che un sicario sarebbe stato disposto a venire qui, nel vostro studio, a uccidere una donna? E poi, pensate che avrebbe usato la vostra cravatta? No, amico. A questo punto, non vi resta che accettare tre supposizioni. – Cramer sollevò un dito.
– Prima: quei tre mentono. La conferenza non doveva avere inizio alle cinque e trenta, e Heydecker non ha raggiunto gli altri due alle cinque e quarantacinque. Seconda. – Un altro dito: – Quando Bertha Aaron ha parlato di un “membro dello studio”, intendeva parlare semplicemente di uno degli avvocati che lavoravano per Otis, e non di un socio. Ce ne sono diciannove. Terza. – Un altro dito: – La deposizione di Goodwin è una grossa panzana. Bertha Aaron non ha detto “un membro dello studio”, ma chissà che cos’altro. Ormai Bertha Aaron è morta, e Goodwin può dire quello che vuole. Anche se, una volta risolto il caso, salterà fuori che la deposizione di Goodwin è formata da un sacco di frottole, non potremo mai dimostrare che è stato lui a inventarle, e non Bertha Aaron.
Wolfe sospirò. – Respingo l’ultima supposizione. Anche ammesso che il signor Goodwin sia capace di una simile disonestà, io sarei necessariamente suo complice. Non potete dubitare, infatti, che a me non abbia raccontato la verità, circa il suo colloquio con la signorina Aaron. Respingo ugualmente la seconda supposizione. Come vi ho detto, ieri sera ho parlato con l’avvocato Otis, il quale ha escluso che la signorina Aaron abbia potuto usare il termine “membro dello studio” se non per uno dei soci.
– Sentite, Wolfe. – Cramer piazzò le mani sui braccioli della poltrona. – Ammettetelo, volete riservarvi la gloria di smascherare il colpevole prima di noi.
– Non la gloria. La soddisfazione.
– D’accordo, lo capisco. Immagino quello che avete potuto provare, quando l’avete vista sul pavimento del vostro studio, con la vostra cravatta stretta attorno al collo. So come funziona in fretta la vostra mente, quando è necessario. Senza dubbio, vi ci sono voluti meno di due secondi, per rendervi conto che non sarebbe mai stato possibile controllare la veridicità delle dichiarazioni di Goodwin circa il colloquio che aveva avuto con Bertha Aaron. Inoltre, volevate prendervi la soddisfazione di smascherare il colpevole prima di noi. Quindi, ci avete pensato per qualche minuto, e poi avete detto a Goodwin di falsare il suo rapporto, in modo da farci sprecare inutilmente due giorni di tempo. Con quell’“io” elefantiaco che avete, senza dubbio vi è sembrata una cosa da nulla sguinzagliare decine di agenti su una pista falsa. Secondo voi, non si trattava di ostacolare il corso della giustizia, ma di assicurare un colpevole alla giustizia. Ricordo benissimo gli scherzetti che mi avete giocato da quando ci conosciamo, quindi non cercate di darmi a bere che non sareste capace di fare una cosa del genere.
Wolfe crollò il capo, rimase in silenzio per qualche attimo, poi disse: – No. Se fossi sottoposto a una pressione particolare, probabilmente, sarei capace di fare questo ed altro. Ma non l’ho fatto. Il signor Goodwin è venuto nella serra, dopo aver parlato con la signorina Aaron, e mi ha riferito parola per parola il colloquio che aveva avuto con lei. Il contenuto della deposizione che Goodwin ha rilasciato alla polizia è la copia esatta di quanto aveva riferito a me nella serra. Perciò, se vi siete armato di mandati d’arresto nella speranza di spaventarci e di farci ammettere chissà che cosa, perdete il vostro tempo e mi fate perdere il mio. Archie, chiamate l’avvocato Parker.
Il numero di Parker era tra quelli che avevo ben fissi nella memoria. Quindi, non ebbi neppure bisogno di cercarlo sulla rubrica. Allungai la mano e lo formai. Dopo qualche attimo, mi giunse una voce maschile: – Qui lo studio dell’avvocato Parker.
– Buongiorno, avvocato. Sono Archie Goodwin. Vi passo il signor Wolfe.
Nero Wolfe sollevò il ricevitore dell’apparecchio posato sulla sua scrivania, ed io restai in ascolto al mio.
– Buongiorno, avvocato Parker. L’Ispettore Cramer è qui nel mio studio, con due mandati d’arresto: uno a mio nome e l’altro a nome del signor Goodwin… No. Come testimoni indispensabili. Anzi, dice addirittura che io ho ostacolato la giustizia. Può darsi che il signor Cramer non arrivi a usare i mandati, comunque, vi prego di far telefonare qui dalla vostra segretaria ogni dieci minuti. Se Fritz dovesse dirvi che siamo usciti con l’ispettore Cramer, sapete che cosa fare… Sì, naturalmente. Grazie.
Quando Nero Wolfe riattaccò, Cramer balzò in piedi, prese il cappotto dal bracciolo della poltrona, lanciò un’occhiata al sergente Purley Stebbins e usci dallo studio a passo di marcia. Stebbins si mise sulla sua scia.
Andai nell’atrio, per assicurarmi che, una volta chiusa la porta, fossero tutti e due fuori di casa. Quando tornai nello studio, trovai Wolfe con gli occhi chiusi, adagiato contro lo schienale della poltrona, i pugni appoggiati sui braccioli, la bocca in movimento. Quando Wolfe si dedica ai suoi esercizi labiali, e comincia a spingere le labbra in dentro e in fuori, in dentro e in fuori, e vietato interromperlo. Perciò mi diressi alla mia scrivania e mi misi a sedere.
Gli esercizi labiali di Wolfe posano durare da due minuti a venti, a seconda dell’intensità del lavorio mentale.
Quel giorno, superarono di poco i tre minuti, poi Wolfe riapri gli occhi, staccò la schiena dalla poltrona e grufolò: – Ha omesso la quarta ipotesi deliberatamente? Gli è balenata nel cervello, o no?
– Ne dubito. Concentrava tutta l'attenzione su di noi. Presto, però, ci arriverà.
– A voi, è venuta in mente?
– Certo. Gli orari esposti da Cramer la rendono ovvia. Ma quando Cramer ci arriverà, confonderà le acque. Non è capace di rivivere casi del genere.
Wolfe annui. – Dobbiamo prevenirlo. Pensate di riuscire a convincerla a venire qui?
– Posso tentare – risposi. – L’avevo pensato, che stavate lavorando in questo senso. Prima, tento di convincerla per telefono; se non dovesse funzionare, escogiteremo un altro trucco, tipo quello del biglietto. Quando volete che venga? Subito?
– No. Devo avere il tempo di escogitare un piano. Che ore sono?
Gli sarebbe bastato girare la testa, per guardare l’orologio appeso alla parete, ma non lo fece.
– Le tre e dieci.
– Fatela venire alle sei. Devono essere presenti anche gli altri, incluso l’avvocato Otis.
Per quanto il numero del Churchill Hotel non mi fosse familiare quanto quello di Parker, lo ricordavo ugualmente a memoria. Perciò, senza prendere la guida, sollevai il ricevitore e lo formai. Chiesi della signora Sorell, e dopo qualche secondo mi giunse una voce che avevo già sentito.
– Qui casa Sorell. Chi parla?
– Sono Archie Goodwin, signora Sorell. Vi chiamo dallo studio di Nero Wolfe. È venuto un Ispettore di polizia, poco fa; se n’è appena andato.
– Un Ispettore di polizia?
– Sì. Voleva semplicemente fare due chiacchiere col signor Wolfe. Prima di lui, erano venuti tre uomini che conoscete bene… Edey, Heydecker e Jett. Ci sono stati degli sviluppi molto interessanti, e il signor Wolfe vorrebbe discuterli con voi, prima di prendere una decisione. Stamattina, avete domandato se il signor Wolfe sarebbe disposto a lavorare per voi. Non è escluso. Potete venire alle sei? Avete il nostro indirizzo, vero?
Silenzio. Poi la sua voce: – Quali sono questi sviluppi?
Il signor Wolfe preferisce parlarvene personalmente. Sono sicuro che li troverete interessanti.
– Perché non viene lui da me?
– Perché, come vi ho già detto, non esce mai di casa per lavoro.
– Voi sì, però. Venite voi. Subito.
– Mi piacerebbe, ma sarà per un’altra volta. Il signor Wolfe vuole discutere la questione con voi personalmente.
Silenzio. Poi: – Ci sarà anche la polizia?
– Neanche per sogno.
Silenzio. Poi, ancora: – Alle sei, avete detto?
– Sì.
– Benissimo. Verrò.
Riattaccai e mi rivolsi a Wolfe: – D’accordo. Avrebbe voluto che andassi io da lei, ma sono stato costretto a rimandare la visita. Avete meno di tre ore, per escogitare qualcosa, e due le trascorrerete nella serra con le orchidee. Avete istruzioni?
– Chiamate il signor Otis – borbottò.